Il medico specializzato non deve limitarsi a far eseguire al paziente solo esami clinici riguardanti il proprio settore. In caso contrario sussiste la responsabilità medica per negligenza o imprudenza (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 5 aprile 2018, n. 15178).

(Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 5 aprile 2018, n. 15178)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Presidente

Dott. TORNESI Daniela Rita – Consigliere

Dott. MICCICHE’ Loredana – Consigliere

Dott. BRUNO M. – rel. Consigliere

Dott. COSTANTINI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 9085/2015 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 03/11/2016;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/01/2018 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIAROSARIA BRUNO;

udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Zacco Franca, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per la parte civile l’avv. (OMISSIS), che si riporta alla memoria in atti;

udito il difensore avv. (OMISSIS), che chiede l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza emessa in data 3 novembre 2016, in riforma della pronuncia resa dal Tribunale di Napoli, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS), medico specialista in neurologia, in ordine al reato contestatogli di omicidio colposo in danno di (OMISSIS), perche’ estinto per intervenuta prescrizione.

Confermava la condanna al risarcimento del danno resa dal primo giudice in favore delle parti civili costituite e la condanna al pagamento di una provvisionale, quantificata in Euro 70 mila dal primo giudice

2. Era contestato all’imputato di avere cagionato la morte di (OMISSIS), deceduta a seguito di un episodio di sincope, dovuta ad una cardiopatia aritmogena maligna.

Si individuavano a carico del sanitario profili di responsabilita’ riconducibili a negligenza, imprudenza e imperizia, nonche’, alla violazione dei protocolli medici e delle linee guida che indicavano, all’epoca dei fatti, il corretto percorso diagnostico terapeutico da intraprendersi in relazione alla cura dei pazienti interessati da episodi di sincope.

Il ricorrente, secondo la contestazione elevata a suo carico, condivisa dai giudici di merito, preso in esame il caso della (OMISSIS), che era stata colta da tre episodi sincopali, avvenuti a breve distanza di tempo, avrebbe omesso di prescrivere l’effettuazione dei necessari esami di’ base, che avrebbero permesso di addivenire ad una corretta diagnosi della patologia sofferta dalla giovane. In particolare, si addebitava al ricorrente di non avere prescritto, come primo step di indagine, un elettrocardiograma standard a 12 derivazioni.

La mancanza di tale accertamento avrebbe avuto quale conseguenza, la determinazione di un’errata diagnosi di sincope neuromediata vasovagale, la quale risultava fuorviante, impedendo la instaurazione di una terapia idonea a scongiurare successivi episodi di perdita di coscienza. Tali episodi sincopali si ripetevano dopo la visita in altre due occasioni, l’ultima della quali aveva un esito letale.

3. L’imputato proponeva ricorso per Cassazione a mezzo del difensore, deducendo i seguenti motivi di doglianza.

3.1. Primo motivo: nullita’ della sentenza impugnata per mancanza di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione all’articolo 589 c.p.p., articolo 43 c.p. e L. 8 novembre 2012, n. 189, articolo 3. La difesa evidenziava che il (OMISSIS) non era medico curante della paziente, ma era intervenuto nella vicenda quale specialista d’organo, che ebbe a visitare la giovane in una sola occasione, in data (OMISSIS).

Successivamente, non ebbe mai piu’ modo di rivedere la paziente. All’esito del controllo specialistico, effettuato con l’osservazione encefalografica, escluse il sospetto diagnostico per il quale la paziente si era a lui rivolta (epilessia), consigliando la esecuzione di un Tilt Test per avere conferma dell’origine vagale delle manifestazioni di perdita di coscienza. In sede di appello, furono proposte una serie di argomentazioni volte a scagionare il medico dalle accuse elevate nei suoi confronti, alle quali la Corte territoriale non avrebbe fornito puntuale risposta.

Le deduzioni formulate nel precedente grado di appello riguardavano i seguenti aspetti: la paziente (OMISSIS) era seguita da un medico curante che aveva prescritto un elettroencefalogramma per sospetta epilessia.

Pertanto, il ricorrente non era titolare dell’indirizzo diagnostico e, dopo la visita specialista, la paziente sarebbe dovuta ritornare dal medico curante; il (OMISSIS) non ebbe a partecipare alle fasi successive dell’iter seguito dalla paziente.

Invero, costei si rivolse alla Unita’ di studio delle sincopi dell’Ospedale (OMISSIS), centro cardiologico di eccellenza, con la impegnativa del medico curante e la prenotazione del C.U.P.; il ricorrente nel dare indicazione alla paziente di effettuare il Tilt Test presso una clinica dove operava un medico di propria fiducia, uniformo’ la propria condotta alle linee guida vigenti, essendo, il suddetto Test, un esame di primo livello se eseguito in conformita’ ai protocolli; in ogni caso, il Prof. (OMISSIS), nel dare indicazione alla esecuzione del Tilt Test, versava nel convincimento che esso venisse eseguito previa osservazione con elettrocardiogramma basale o a 12 derivazioni.

La sentenza impugnata non offrirebbe alcuna motivazione in ordine alle ragioni per le quali lo specialista avrebbe assunto la funzione di garanzia in luogo del medico curante. Sul punto, la Corte di appello aveva osservato (pag. 18 della sentenza impugnata) che l’ipotesi di epilessia espressa dal medico curante postulava un accertamento non di sua competenza, all’esito del quale andava “poi svolta l’indagine a largo spettro omessa dall’imputato”.

La Corte territoriale, tuttavia, avrebbe trascurato di indicare le ragioni per le quali l’ampliamento della indagine dovesse essere disposto dal (OMISSIS), non tenendo conto delle diverse osservazioni formulate sul punto dal C.T. del P.M., prof. (OMISSIS).

La sentenza, ancora, non avrebbe tenuto conto della circostanza che la paziente effettuo’, dopo la visita specialistica, delle scelte del tutto autonome, prescindendo anche da un solo consulto telefonico con lo specialista e facendo ritorno al medico curante per la prescrizione della esecuzione del Tilt Test.

Pertanto, il ricorrente fu definitivamente emarginato dalle scelte successive inerenti alla procedura diagnostica. In proposito, la Corte territoriale avrebbe fornito una motivazione del tutto insufficiente in ordine alla posizione di garanzia che veniva attribuita al ricorrente nella conduzione dell’iter diagnostico.

A pag. 13 della motivazione, si affermava che le perdite transitorie di coscienza andavano affrontate secondo le linee guida pubblicate nel documento condiviso dalla GIAC, che imponeva, nel corso della valutazione iniziale, l’esecuzione dell’elettrocardiogramma standard e non del Tilt Test, da reputarsi inadeguato e non risolutivo, come comprovato dal grafico contenuto nello stesso protocollo.

Secondo la difesa, la Corte territoriale, cosi’ argomentando, sarebbe rimasta ancorata alle affermazioni del prof. (OMISSIS), C.T. del P.M., il quale aveva affermato nella relazione che “il Tilt Test e’ un esame di secondo livello caratterizzato da bassa specificita’ e sensibilita’”.

Le linee guida valide per l’approccio diagnostico delle perdite di coscienza temporanee all’epoca vigenti, rammentava la difesa, erano quelle pubblicate dalla Commissione composta da societa’ Italiana Cardiologia; Associazione nazionale medici Cardiologi; Associazione Cardiologi del Territorio; Societa’ di Ecografia Cardiovascolare.

Esse, risalenti all’anno 2004, erano state redatte da specialisti in cardiologia e prevedevano che l’approccio diagnostico potesse essere, indifferentemente, cardiaco o neuromediato. In tal caso, prevedevano che fosse specialmente indicato il Tilt Test, il cui protocollo di esecuzione prevedeva che venisse effettuato in costanza di monitoraggio elettrocardiografico, supini ed in piedi, per 60 minuti.

La Corte d’appello, lamentava il difensore, si sarebbe sottratta al confronto con tali argomentazioni, liquidando il tema con la mera osservazione che, anche il prof. (OMISSIS), C.T. della parte civile ed il prof. (OMISSIS), C.T. della difesa, si erano pronunciati nel senso della inadeguatezza del Tilt Test.

Tale affermazione, tuttavia, superficiale e non argomentata, sarebbe contraddetta dall’esame dibattimentale dei consulenti, che hanno invece affermato come la esecuzione del Tilt Test preveda l’obbligatorio monitoraggio elettrocardiografico, prescritto dalle linee guida che, tuttavia, non preciserebbero il numero derivazioni (3 o 12).

Contrariamente a quanto sostenuto dai giudici dell’appello, risulterebbe dalla relazione del Prof. (OMISSIS) che, al cospetto di una sincope vagale di origine sconosciuta, la indicazione del Tilt Test sia conforme alle linee guida.

Peraltro, in tal senso, depongono anche le testimonianze raccolte dai medici specialisti esaminati in dibattimento, professori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che la Corte territoriale avrebbe del tutto omesso di considerare.

Pertanto, la motivazione della sentenza sarebbe del tutto confusa e carente sul tema delle linee guida, confondendo protocolli esecutivi e indicazioni all’approccio diagnostico.

La conferma della inadeguatezza e della contraddittorieta’ della motivazione, si ricaverebbe dal richiamo conclusivo, contenuto a pagina 13 della sentenza, al cd. Flow Diagram, dal quale invece si ricava la pari dignità degli esami in questione.

Pertanto, in caso di sincope di origine sconosciuta, e’ parimenti indicata sia l’indagine cardiaca che quella neuromediata o ortostatica, eseguite con esami cardiaci e test specifici. Nel caso che gli uni o gli altri offrano esito negativo, sara’ necessario il rinvio allo specialista d’organo. In caso positivo, si dovra’ procedere al trattamento.

La mancanza di argomentazioni sulla osservanza delle Linee Guida, si tradurrebbe in un difetto totale della motivazione i­n tema di colpa specifica.

La colpa professionale con addebito di’ imperizia, invero, dovrebbe essere valutata con larghezza di vedute e comprensione.

La responsabilita’ penale del medico al quale sia mosso addebito di imperizia, puo’ essere configurata solo nell’ambito della colpa grave, che si riscontra nell’errore inescusabile. Tale non sarebbe il caso del ricorrente.

La sentenza non dedica alcuna valutazione alla eccezione difensiva circa il difetto della colpa e l’apprezzamento del grado della stessa, che si imponeva al cospetto della contestazione di colpa specifica per violazione di linee guida.

Tutti gli elementi raccolti porterebbero a sostenere che il prof. (OMISSIS), contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, abbia agito con perizia, diligenza e prudenza sia nell’indicazione del sospetto diagnostico (avendo escluso patologie nEurologiche e concluso per una sincope di natura sconosciuta), sia prescrivendo il Tilt test (in conformita’ al consenso della comunita’ scientifica), sia suggerendo alla paziente di effettuare il Tilt test con l’assistenza di altro sanitario di sua fiducia, nella certezza che tale indagine sarebbe stata praticata con osservazione del paziente ed ECG a 12 derivazioni.

3.2 Secondo motivo: nullita’ della sentenza ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), per difetto della motivazione in relazione agli articoli 589 e 40 c.p..

La Corte di Appello affiderebbe le risposte alle censure mosse in tema di casualita’ a poche, scarne osservazioni, nonche’, al richiamo dei principi enunciati dalla Corte di legittimita’ in tema di nesso causale, senza procedere, tuttavia, ad una effettiva verifica del giudizio controfattuale.

Essa muoverebbe dal presupposto che sia stata accertata la causa che determino’ la morte della (OMISSIS), individuata in una malattia elettrica del cuore, pur nella impossibilita’ di precisarne la specifica sindrome.

Assumerebbe, quale fondamento del proprio ragionamento causale, un elemento che sarebbe del tutto incerto, affermando che la morte della (OMISSIS) sia ascrivibile a malattia elettrica del cuore, identificabile quale “canalopatia” o altra sindrome.

La sentenza, in realta’, sul punto traviserebbe del tutto le risultanze dibattimentali, attribuendo ai consulenti conclusioni che essi non hanno raggiunto. In assenza di diagnosi anatomo patologica di patologia cardiaca, il prof. (OMISSIS) ha concluso che la morte della (OMISSIS) sia da classificare come “morte improvvisa circolatoria”, per alterazione letale del ritmo cardiaco, imprevedibile e riconducibile a cause naturali. Il prof. (OMISSIS), C.T. della parte civile, ha affermato che la causa della morte puo’ essere individuata in una “aritmia ventricolare maligna all’esito di una malattia cardiovascolare non definitivamente accertata”.

Il prof. (OMISSIS) (C.T. del P.M.), nel sostenere la necessita’ di un accertamento ecocardiografico ed elettrocardiografico, ha del pari concluso che tali accertamenti non avrebbero consentito, con certezza, la diagnosi della malattia cardiaca. Il prof. (OMISSIS) ha, viceversa, segnalato la rilevanza essenziale delle indagini macroscopiche, istologiche e genetiche ai fini della diagnosi in morte, evidenziando come non siano emerse cardiopatie strutturali dalle prime due e come l’indagine genetica sui tessuti non abbia rivelato anomalie cardiache microstrutturali.

Pertanto, l’ipotesi della canalopatia o della malattia elettrica come causa della morte, resterebbe una mera suggestione.

Peraltro, la Corte territoriale, avrebbe ignorato la circostanza, introdotta dal dott. (OMISSIS) (esecutore del Test) in dibattimento, che la (OMISSIS) venne sottoposta prima ad osservazione elettrocardiografica a 12 derivazioni e, durante la esecuzione del Test, ad osservazione con ECG a 3 derivazioni (idoneo, a parere del medico, alla identificazione di tutte le aritmie).

La Corte avrebbe parimenti ignorato il dato statistico offerto dal dott. (OMISSIS), circa la percentuale di morti improvvise imprevedibili, che ammontano a 57.000 casi in Italia per anno, ascritte a cause sconosciute, assolutamente non prevedibili. La sentenza, dunque, sul tema del nesso causale apparirebbe del tutto illogica.

Sempre sotto il profilo del ragionamento controfattuale, il prof. (OMISSIS) aveva avanzato l’ipotesi che la crisi risultata fatale, poteva essere stata la prima manifestazione di un’aritmia maligna, mentre le precedenti crisi sincopali potevano essere ascritte a manifestazioni di origine vagale.

Con tali premesse il giudizio controfattuale porterebbe alla necessaria esclusione del nesso causale, poiche’ non sarebbe sostenibile che la condotta omessa si atteggi a conditio sine qua non dell’evento.

3.3 Terzo motivo: nullita’ della sentenza per difetto di motivazione in relazione alla difformita’ con l’accusa contestata. Il giudice di primo grado disattese la imputazione, attribuendo rilievo decisivo, nella vicenda, all’autorevolezza del prof. (OMISSIS), causa di un affidamento incondizionato della paziente. La sentenza impugnata, non avrebbe offerto alcuna risposta alla doglianza difensiva avanzata sul punto in sede di appello.

Da cio’ discenderebbe la nullita’ della sentenza di primo grado, ai sensi dell’articolo 522 c.p.p..

3.4 Quarto motivo: nullita’ della sentenza per mancanza di motivazione sulle statuizioni civilistiche ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), in riferimento all’articolo 538 c.p.p. e articoli 40 e 41 c.p..

Con l’atto di appello si sollecitava l’attenzione della Corte territoriale sul profilo dei concorso di colpa del medico curante e del professionista che esegui’ il Tilt Test.

La Corte territoriale avrebbe sul punto offerto una motivazione incongrua che travisava i termini della richiesta, affermando che la condotta dei sanitario che aveva effettuato il Tilt Test e del medico curante, sebbene valutabili ai fini del grado della colpa dell’odierno imputato, non valgono ad escludere il nesso di causalita’.

Ne conseguirebbe un difetto della motivazione della sentenza impugnata che, nel riconoscere il concorso di colpa, ha del tutto omesso di valutare la misura percentuale del contributo degli altri concorrenti, rilevante ai fini risarcitori, con evidente pregiudizio delle ragioni del ricorrente il quale ha interesse all’accertamento dell’eventuale concorso alla produzione dell’evento e della sua misura sotto l’aspetto della entita’ del risarcimento.

4. La parte civile ha depositato memoria difensiva, con cui ha richiesto la declaratoria d’inammissibilita’ del ricorso o il suo rigetto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso proposti dalla difesa del ricorrente sono infondati, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.

2. La Corte di appello, nel dichiarare non doversi procedere nei confronti dell’imputato per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ha confermato la sentenza del Tribunale in punto di statuizioni civili.

Quanto alla ricostruzione in fatto, ripercorrendo dettagliatamente la vicenda sulla base delle dichiarazioni della madre della persona offesa, ha evidenziato che la giovane (OMISSIS) era stata colpita da alcuni episodi sincopali caratterizzati dalla perdita di conoscenza, con rilascio delle urine. La giovane, al cospetto di tali sintomi preoccupanti, si rivolse al medico di base che, dopo averle prescritto un elettroencefalogramma e le analisi del sangue di rito, le consiglio’ di effettuare una visita neurologica.

La giovane e sua madre, dopo avere raccolto informazioni presso colleghi di lavoro e di università, essendo ambedue introdotte negli ambienti medici, decisero di rivolgersi al prof. (OMISSIS), avendo ricevuto ampie assicurazioni sulla bravura e l’indiscussa competenza nel campo neurologico del ricorrente.

Nel corso del consulto, l’imputato pratico’ un ulteriore esame elettro encefalografico ed effettuo’ la visita, dopo avere raccolto la descrizione dei sintomi e delle modalita’ delle crisi subite dalla paziente.

All’esito, escludendo patologie neurologiche di rilievo, rimarcate dalla espressione “signora sua figlia e’ sana come un pesce” ed affermando che gli episodi di perdita di coscienza non comportavano rischi per la ragazza, ipotizzo’ che si potesse trattare di crisi vagali, ponendo una diagnosi di “crisi sincopali a genesi vagale”.

In ragione di cio’, prescrisse una terapia di supporto ed anche l’effettuazione di un Tilt test che egli consiglio’ di praticare presso un professionista di sua fiducia.

La (OMISSIS) preferi’ effettuare il Tilt test presso l’Ospedale (OMISSIS) di Napoli, ritenendo tale centro maggiormente all’avanguardia in questo settore. Il test, la cui efficacia e’ stata messa fortemente in discussione dagli esperii esaminati in dibattimento, escluse patologie neurologiche di rilievo, inducendo la vittima e sua madre a ritenere confermata la diagnosi benigna del neurologo.

In ragione della fiducia riposta nelle parole del (OMISSIS), la giovane si determino’ a non approfondire ulteriormente le cause poste a base dei suoi svenimenti e continuo’ le sue normali attivita’. Fu cosi’ raggiunta da altri attacchi di perdita di coscienza, che ne determinarono la morte il (OMISSIS).

Seguendo un percorso argomentativo analogo a quello seguito dal giudice di primo grado, la Corte territoriale e’ giunta a ribadire, sia pure ai soli effetti civili, la responsabilita’ del (OMISSIS) in ordine ai fatti in contestazione, mettendo in rilievo: il particolare affidamento riposto dalla giovane nella diagnosi e nelle indicazioni ricevute dal neurologo; la negligenza dimostrata dai (OMISSIS) nella trattazione del caso, avendo egli prescritto di effettuare un accertamento che risulto’ fuorviante ai fini della individuazione dell’esatta causa della patologia della (OMISSIS); l’omessa, doverosa esplorazione, da parte del sanitario, della possibile origine cardiologica dei preoccupanti svenimenti della persona offesa; l’errore diagnostico.

3. Prima di passare oltre nell’esame del contenuto del ricorso proposto dalla difesa dell’imputato, alla luce dell’esito del giudizio di appello, occorre svolgere talune considerazioni di carattere preliminare, volte a definire l’ambito di svolgimento del sindacato di legittimita’ in caso di sentenza dichiarativa di una causa estintiva del reato.

E’ d’uopo rilevare che, in caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, trovando applicazione l’articolo 129 c.p.p., comma 2, anche in sede di legittimita’, la Corte di cassazione puo’ rilevare l’evidenza della prova dell’innocenza del ricorrente pervenendo al suo proscioglimento.

Tuttavia, a questo fine, la esistenza di una delle cause piu’ favorevoli, enunciate nell’articolo 129 c.p.p., comma 2, puo’ essere desunta unicamente dal testo del provvedimento impugnato (cosi’, ex multis Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013; Sez. 1, n. 35627 del 18/04/2012, Rv. 253458; Sez. 6, n. 27944 del 12/06/2008, Rv. 240955; Sez. 1, n. 10216 del 05/02/2003, Rv. 223575; Sez. 4, n. 9944 del 27/04/2000, Rv. 217255).

Si e’ quindi affermato che la valutazione da esperirsi da parte del giudice, nella ipotesi contemplata dall’articolo 129 c.p.p., comma 2, e’ piu’ vicina al concetto di “constatazione”, che di “apprezzamento”, essendo incompatibile con qualsiasi necessita’ di accertamento o di approfondimento, dovendo risultare ictu oculi dal provvedimento impugnato (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274).

Ebbene, escluso che nella vicenda in esame possa trovare applicazione l’articolo 129 c.p.p., comma 2, stante la mancanza di evidenza della prova della innocenza dell’imputato, tenuto conto delle due conformi decisioni adottate nei gradi precedenti, e’ preciso dovere di questa Corte, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni pronunciata dai giudici di merito, secondo il disposto dell’articolo 578 c.p.p., esaminare il fondamento dell’azione civile e verificare l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale, al fine di confermare o meno la condanna agli effetti civili.

4. Occorre rilevare come la Corte territoriale ed il giudice di primo grado, nella disamina dei fatti, abbiano offerto una compiuta risposta alle doglianze difensive, individuando in modo conforme alle norme che sovrintendono alla disciplina del caso in esame ed ai principi stabiliti in sede di legittimita’, i profili di responsabilita’ nei quali e’ incorso il (OMISSIS), fondanti la condanna al risarcimento.

4.1 Nel primo motivo di ricorso, che contiene diverse doglianze, il difensore censura la decisione di attribuire una posizione di garanzia al ricorrente.

La motivazione offerta sul punto dai giudici di merito e’ esente dai denunciati vizi logici, poiche’ si regge su un convincente percorso argomentativo, basato su precisi elementi fattuali enucleati dalle prove raccolte, che risultano indiscutibili.

In particolare, con riferimento a tale aspetto, il giudice di primo grado e la Corte territoriale, hanno messo in rilievo l’esistenza di una posizione di garanzia, in capo al (OMISSIS), desumendola dall’avvenuta instaurazione del rapporto terapeutico, nell’ambito del quale, peraltro, la persona offesa e sua madre avevano riposto particolare fiducia, confidando nelle doti professionali del sanitario, ritenuto nell’ambiente medico e scientifico, un esperto nel campo della neurologia.

E’ principio indiscusso, nella giurisprudenza di legittimita’, quello in base al quale, in tema di colpa professionale medica, l’instaurazione della relazione terapeutica tra medico e paziente e’ fonte della posizione di garanzia del primo nei confronti del secondo, con conseguente assunzione dell’obbligo di tutela della vita e della salute della persona (cosi’ Sez. 4, n. 10819 del 04/03/2009, Rv. 243874).

Gli sviluppi fattuali susseguitisi alla instaurazione di tale relazione, non sono suscettibili di escludere la responsabilita’ assunta dal sanitario nel rapporto con il paziente.

Nella sostanza, la funzione di garanzia non puo’ considerarsi rescissa per effetto della circostanza che la paziente non ritorno’ piu’ dal (OMISSIS) o, per effetto della sua decisione di praticare il Tilt test presso una struttura diversa da quella indicata dal ricorrente.

La paziente, benche’ avesse deciso di effettuare l’ulteriore accertamento presso l’Ospedale (OMISSIS), aveva ottemperato precisamente alle indicazioni dello specialista, confidando nella esattezza della sua diagnosi.
Pertanto, non e’ corretto affermare, come si dice nel ricorso, che il (OMISSIS) fu emarginato dalle scelte diagnostiche da effettuarsi.

Sul punto, la Corte territoriale, ha correttamente osservato, sulla base delle prove raccolte, che il (OMISSIS), all’esito della visita specialistica, non paleso’ la necessita’ di alcun successivo consulto.

Quanto all’esito del tilt test, avendo la giovane avuto contezza del buon esito dell’accertamento, ritenne logicamente confermata la diagnosi dello specialista, che l’aveva rassicurata sulla sua natura benevola (cosi’ pag. 17 della sentenza impugnata).

La sentenza impugnata esprime argomentazioni del tutto logiche in ordine ai profili di responsabilita’ ravvisati a carico del ricorrente, mettendo in rilievo, in piu’ punti della motivazione, l’erroneo approccio diagnostico del sanitario, che limito’ la propria indagine esclusivamente all’ambito neurologico, escludendo, a priori, la natura cardiologica delle perdite di coscienza della giovane.

La competenza di tale approfondimento, si afferma in sentenza, doveva intendersi radicata presso il (OMISSIS), che non poteva limitare il proprio consulto ad un unico profilo, omettendo qualunque previsione e successiva indicazione di approfondimento, in ordine alla possibile, alternativa genesi cardiaca delle crisi di perdita di coscienza.

Il motivo per il quale tale competenza spettava allo specialista, coerentemente con quanto risulta dalla disamina dei fatti, viene individuata in sentenza, nella circostanza che il medico di base avanzo’ una mera ipotesi di epilessia, indirizzando la giovane verso un esperto che doveva vagliare le effettive cause degli episodi sincopali.

La diagnosi posta dal professionista, che si era pronunciato unidirezionalmente per una genesi vagale delle sincopi, determino’ il successivo sviluppo degli eventi, con esito infausto per la donna.

4.2 Sempre nel primo motivo di ricorso, si affronta la tematica riguardante l’osservanza delle linee guida stabilite in materia per la corretta risoluzione delle problematiche inerenti alle P.T.C. (perdite temporanee di coscienza). Si afferma nel ricorso che tali linee guida, vigenti nell’anno 2004, furono osservate dallo specialista che prescrisse, come avrebbe dovuto, il Tilt test, in presenza di una sincope vagale di origine sconosciuta.

Sul punto, secondo la difesa, la Corte territoriale si sarebbe fatta fuorviare dall’equivoco introdotto dal consulente del P.M., prof. (OMISSIS), il quale aveva affermato che il Tilt test era un esame di secondo livello, non in grado di rivelare la origine cardiologica degli episodi di perdita di coscienza, la cui individuazione era possibile attraverso un elettrocardiogramma a 12 derivazioni.

La Corte territoriale, investita della questione, cosi’ argomentava in proposito: “Le crisi descritte, per quanto chiarito dai consulenti, erano delle perdite transitorie di coscienza – dunque sincopi e come tali andavano trattate, secondo le linee guida che governano la specifica materia, alle quali hanno fatto riferimento i consulenti escussi.

Tali linee guida gia’ nel marzo 2002 erano esistenti ed applicabili ed erano ribadite nei documenti di analogo tenore stilati in epoca successiva, e precisamente nel 2004 come evidenziato correttamente dal professor (OMISSIS) e dalla parte civile: la societa’ di cardiologia richiamando gli studi pubblicati stilava il documento condiviso della GIAC – nel quale classificava in tabella le diverse cause che potevano indurre alla sincope, tra queste le aritmie cardiache e le cardiopatie strutturali ed evidenziava che la percentuale di mortalita’ era sicuramente piu’ elevata in ipotesi di causa cardiaca- espressamente indicava quale esame adottabile nel corso della valutazione iniziale, l’effettuazione di un elettrocardiogramma standard che, per quanto precisato dai consulenti escussi, rappresenta il primo step operativo a differenza del tilt-test che risulta inadeguato e non risolutivo ai fini della evidenziazione di eventuali canalopatie (in tal senso (OMISSIS), (OMISSIS) e lo stesso (OMISSIS))”.

Si osserva, dall’analisi del testo, che la Corte territoriale ha ritenuto valide le indicazioni provenienti dal consulente del P.M. e dal consulente della parte civile, non smentite dal consulente del ricorrente, in base alle quali, l’indagine sulle cause delle sincopi di natura non determinata, andava condotta principalmente effettuando l’elettrocardiogramma, unico accertamento in grado di escludere la piu’ pericolosa e insidiosa origine cardiaca degli episodi. Cio’, in ossequio alle Linee guida dettate in materia.

La consultazione delle tavole presenti nell’allegato 3 del ricorso, tese a censurare le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale, rivelano il carattere generico e non dirimente delle asserzioni difensive.

Oltre ad evincersi, dalla numerazione dell’allegato, la incompletezza del documento, si’ nota, nella tavola n. 2, la indicazione all’effettuazione del tilt test in pazienti nei quali non siano presenti cardiopatie.

Si tratta quindi di un’allegazione incompleta, dalla quale si desumono indicazioni che riguardano esclusivamente le perdite di coscienza collegate a fenomeni che non hanno attinenza con una origine che interessa la sfera cardiologica, che proprio in questa sede viene in rilevo come causa del decesso della (OMISSIS).

Le critiche mosse dalla difesa alle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, in ordine all’errore diagnostico in cui era incorso il (OMISSIS) ed alla mancata osservanza delle linee guida, impongono di svolgere talune necessarie considerazioni sul tema dell’onere motivazionale imposto al giudice in materia di valutazione delle perizie e del sapere scientifico. In tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di’ legittimita’ – se logicamente e congruamente motivato, come nel caso di specie – l’apprezzamento, positivo o negativo, espresso dal giudice con riferimento all’elaborato peritale ed alte relative conclusioni.

Si e’, invero, affermato in molteplici pronunce, che il giudice di legittimita’ non puo’ operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza tecnica, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimita’, se congruamente motivato (cosi’ ex multis Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, Rv. 262722).

Il giudice del merito puo’ attenersi alle conclusioni del perito ove le condivida, purche’ motivi il proprio convincimento con criteri che rispondano a principi scientifici e di logica.

E’ altrettanto certo, tuttavia, che il giudice possa fare legittimamente propria una determinata tesi scientifica, preferendola ad un’altra, purche’ dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire (cosi’ ex multis Sez. 4, n. 11235 del 05/06/1997, Rv. 209675).

Entro questi limiti, deve ritenersi, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, l’omesso esame critico di ogni piu’ minuto passaggio della perizia, poiche’ la valutazione delle emergenze processuali e’ affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all’onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, essendo sufficiente che enunci, con adeguatezza e logicita’, gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento (cosi’, “ex plurimis”, Sez. 4, n. 11235 del 05/06/1997, Rv. 209675).

Cio’ e’ quanto si e’ verificato nel caso di specie, laddove la Corte distrettuale ha raccolto, e motivatamente condiviso le indicazioni fornite dal consulente del P.M. e di quello di parte civile disattanedendo, con puntuale argomentazione, la prospettazione difensiva dell’imputato.

4.3 L’affermazione secondo la quale la Corte territoriale non avrebbe argomentato sulla inosservanza delle Linee guida, non puo’ ritenersi fondata, come si evince dal passaggio della motivazione riportata sopra.

Il lamentato aspetto dell’asserita inadeguatezza delle motivazioni rese dalla Corte in tema di Linee guida, ha offerto occasione alla difesa per rappresentare che i profili di colpa individuati dai giudici di merito a carico del ricorrente non sarebbero limitati alla negligenza, ma riguarderebbero anche l’imperizia.

Si afferma, quindi, che la responsabilita’ per imperizia, nell’ambito della colpa professionale, verrebbe in rilievo soltanto nella ipotesi di colpa grave, da escludersi nel caso in esame.

Il riferimento lascerebbe pensare ad un richiamo alla L. 8 marzo 2017, n. 24, che ha introdotto il nuovo articolo 590 sexies c.p. il quale, in materia di colpa professionale, ha escluso la punibilita’ dal reato, qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico – assistenziali.

A parte la considerazione che la pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, essendo piu’ favorevole rispetto ad una pronuncia di non punibilita’, prevarrebbe su quest’ultima, si deve osservare come il riferimento non possa trovare ingresso in questa sede, essendo i profili di responsabilita’ configurati a carico del ricorrente riconducibili all’ambito della negligenza. Inoltre, sulla base delle condivisibili argomentazioni illustrate dai giudici di merito, risulta acclarato che vi fu mancato rispetto delle Linee guida valevoli in materia di accertamento dell’origine delle crisi di perdita di coscienza.

La difesa solleva, altresi’, la questione della individuazione del grado di colpa da configurarsi a carico del ricorrente, in relazione alla L. 8 novembre 2012, n. 189, articolo 3 (c.d. legge Balduzzi), affermando che il giudice avrebbe dovuto ravvisare nel caso in esame una ipotesi di colpa lieve.

Numerose pronunce della Suprema Corte hanno affrontato la materia della colpa medica, con specifico riferimento alle problematiche interpretative determinate dall’entrata in vigore dell’articolo 3 della c.d. legge Balduzzi, a mente del quale “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attivita’ si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.

Gia’ in sede di prima lettura, la Corte di Cassazione aveva svolto un’importante opera interpretativa, resa necessaria dalle peculiarita’ della norma, che introduceva il novum di una distinzione tra colpa lieve e colpa grave, con tutto cio’ che ne consegue in termini definitori dei due concetti.

L’orientamento conforme delle diverse pronunce di questa Corte, nella vigenza della legge richiamata, si e’ attestato su una linea esegetica che esclude la possibilita’ di ravvisare la colpa lieve nei casi di violazione del dovere di diligenza. Si e’ invero affermato che la limitazione di responsabilita’ prevista in caso di colpa lieve, ai sensi della L. 8 novembre 2012, n. 189, articolo 3, operando soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida, non si estende agli errori diagnostici connotati da negligenza o imprudenza (cosi’ Sez. 4, n. 7346 del 8/7/2014, Rv. 262243; Sez. 4 n. 16944 del 20/3/2015, Rv. 263389).

Poiche’ nel caso in esame viene in rilievo il profilo colposo della negligenza e dell’errore diagnostico e’ escluso, sulla base dei principi appena richiamati, che possa trovare applicazione l’invocata L. n. 189 del 2012, articolo 3.

5. Nel secondo motivo di ricorso la difesa lamenta una carenza di valutazione, nell’apparato argomentativo della sentenza, con riferimento all’aspetto riguardante il nesso causale ed il giudizio controfattuale.

Lamenta inoltre la difesa, un vizio di travisamento della prova, affermando che la Corte territoriale ha attribuito ai consulenti conclusioni che non risultavano dagli atti.

Dall’esame della motivazione, risulta che la Corte territoriale ha effettuato una ricostruzione approfondita e chiara detta vicenda, correttamente valutando la rilevanza causale della condotta omissiva contestata all’imputato con richiamo al quadro teorico della c.d. causalita’ della colpa, rispetto alla quale vale il principio per cui “il rapporto di causalita’ tra omissione ed evento non puo’ ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilita’ statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita’ logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarita’ del caso concreto”. (Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261103).

Calando nella realta’ del caso in esame, i suddetti principi, la Corte territoriale ha correttamente affermato, in modo conforme a quanto ritenuto dal primo giudice, che l’omessa, doverosa esplorazione della causa cardiologica del malessere, imposta dalle leggi di copertura scientifica, non ha consentito di approfondire la natura della canalopatia presente nella paziente e di approntare gli adeguati presidi, come l’installazione di un defibrillatore sottocutaneo, che avrebbero salvato la vita alla donna.

Quanto al vizio di travisamento della prova, non e’ superfluo ricordare che, nell’ambito del ricorso per Cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo’ essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. (cosi’ ex multis Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, Rv. 269217).

In realta’, il ricorrente si limita a proporre una diversa lettura degli elementi probatori che, a fronte di una doppia conforme sentenza di condanna, non possono essere presi in considerazione, anche perche’ non evidenziano, ne’ isolatamente, ne’ valutati nel loro insieme, un reale vizio logico e argomentativo della decisione.

Quanto alla causa del decesso della (OMISSIS), circostanza anch’essa contrastata dalla difesa, occorre rilevare come tale causa sia stata validamente individuata dai giudici di merito, sulla base delle prove raccolte (esiti dell’autopsia, testimonianza del CT professore (OMISSIS) e testimonianza del CT professore (OMISSIS)) in una malattia di origine cardiologica (canalopatia aritmogena maligna).

Tale affermazione, fondata su un’attenta e convincente analisi degli elementi scaturiti dalle testimonianze di ordine scientifico raccolte nel corso dell’istruttoria, non risulta suscettibile di essere riconsiderata in questa sede.

Le valutazioni inerenti alla prova scientifica, come si e’ detto anche in precedenza, sono sottratte al sindacato di legittimita’ sotto il profilo della maggiore o minore attendibilita’ del sapere tecnico-scientifico veicolato nel giudizio.

Cio’ che rileva in questa sede, e’ la tenuta logica del ragionamento del giudice di merito che ne recepisce il risultato e la correttezza metodologica dell’approccio al sapere tecnico-scientifico.

Ebbene, nel caso in esame, risulta evidente la correttezza dell’approccio e della valutazione espressa dai giudici sulla causa del decesso della donna, essendo corredata da una logica e adeguata motivazione che non si presta a censure.

6. Nel terzo motivo di ricorso, la difesa sostiene che il giudice di primo grado abbia emesso una pronuncia dal contenuto difforme rispetto alla Imputazione elevata a carico dell’imputato.

Tale doglianza non sarebbe stata esaminata dalla Corte d’appello, cui la questione era stata sottoposta, con conseguente nullità della sentenza per violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p..

Il motivo di ricorso e’ infondato.

L’asserita mancata corrispondenza tra quanto contestato al ricorrente e quanto ritenuto dal giudice, secondo la difesa, consisterebbe nel fatto che i giudici di merito hanno attribuito un rilievo decisivo nella determinazione causale dell’evento, all’autorevolezza del professionista che indusse la paziente ad attenersi scrupolosamente alla diagnosi errata ed alle prescrizioni inadeguate del sanitario.

Occorre rilevare come la Corte territoriale, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, abbia fornito adeguata risposta sul punto, rammentando il principio consolidato, espresso in sede di legittimita’, in base al quale: “In tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa” (cosi’ Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Rv. 260161).

Il principio, si afferma nella motivazione della pronuncia citata, trae origine dalle caratteristiche stesse della condotta colposa che puo’ essere identificata solo attraverso la integrazione del dato fattuale con quello normativo.

In essa, quindi, diventa determinante la precisa individuazione del quadro fattuale verificatosi, nel quale si e’ trovato inserito l’agente/omittente, tanto che una modifica anche marginale dello scenario fattuale puo’ importare lo stravolgimento del quadro nomologico da considerare.

Da cio’ deriva il ricorrente richiamo da parte della giurisprudenza di legittimita’, alla necessita’ di tener conto della complessiva condotta addebitata come colposa e di quanto e’ emerso dagli atti processuali; ove risulti corrispondenza tra tali termini, al giudice e’ consentito di aggiungere agli elementi di fatto contestati, altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, perche’ sostanzialmente non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa.

7. Nell’ultimo paragrafo, la difesa si duole della mancata quantificazione, in termini percentuali della responsabilita’ del proprio assistito con riferimento alla concorrente colpa del medico di base e del medico che effettuo’ il Tilt test.

Sul punto, lamenta la difesa, la Corte d’appello avrebbe fornito una risposta incongrua affermando che: le cause preesistenti o concomitanti non valgono ad interrompere il nesso causale; il contributo causale delle condotte degli altri sanitari, seppur valutabili ai fini del grado della colpa dell’odierno imputato, non valgono ad escludere il nesso di causalita’; l’apporto causale del primo medico risultava minimamente incidente sull’evento.

Le questioni sollevate dalla difesa non risultano fondate. Nell’ambito delle previsioni colpose, ove piu’ persone risultino responsabili di un evento, ciascuna ne risponde per intero. In tema di rapporto di causalita’ vige il principio della equivalenza delle cause, avendo il legislatore, all’articolo 41 c.p., adottato la teoria della par condicio.

Pertanto, qualunque comportamento riferibile ad un soggetto agente, che si ponga come antecedente nella verificazione di una serie di accadimenti che conducono all’evento, e’ causa dello stesso.

Il rilievo mosso dalla difesa in ordine alla corresponsabilita’ degli altri medici che si’ sono occupati del caso, ovemai tale responsabilita’ fosse stata ritenuta esistente, avrebbe potuto essere considerata come elemento di valutazione rilevante ai fini della determinazione della entita’ della pena, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 133 c.p., comma 1, n. 3) che fa espresso riferimento al grado della colpa.

Peraltro, poiche’ il reato e’ estinto per intervenuta prescrizione, tale aspetto non ha piu’ alcuna incidenza nell’ambito della vicenda in esame.

Quanto alla possibilita’ di una valutazione comparativa, in termini percentuali, della responsabilita’ dell’imputato, si tratta di un aspetto che viene in rilievo quando vi e’ un concorso di colpa anche della persona offesa.

Sul punto, questa Sezione, si e’ cosi’ espressa: “In tema di reato colposo, il giudice penale e’ tenuto ad accertare la colpa concorrente del terzo, rimasto estraneo al giudizio, al solo fine di verificare la rilevanza della sua condotta sull’efficienza causale del comportamento dell’imputato e di assicurare la correlazione tra gravita’ del reato e determinazione della pena, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, n. 3) dovendosi escludere, in via generale, l’esistenza di un obbligo di quantificazione percentualistica dei diversi fattori causali dell’evento, a meno che egli non sia chiamato a pronunciare statuizioni civilistiche e ricorra il fatto colposo della parte civile” (Sez. 4, n. 23080 del 30/01/2017, Rv. 270428).

Poiche’ nel caso in esame non si ravvisa alcun aspetto afferente al fatto colposo della parte civile, il giudice non era tenuto ad effettuare una previsione percentualistica dei diversi fattori causali dell’evento.

8. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese di giudizio in favore della parte civile (OMISSIS), liquidate in Euro 2.500,00 oltre ad accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese di giudizio in favore della parte civile (OMISSIS), liquidate in Euro 2.500,00 oltre ad accessori di legge.