Il no dai Giudici delle leggi, ai Referendum sulla responsabilità civile dei Magistrati (Corte Costituzionale, Sentenza 2 marzo 2022, n. 49).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), e successive integrazioni e modificazioni, limitatamente alle seguenti parti:

– art. 2, comma 1, limitatamente alle parole «contro lo Stato»;

– art. 4, comma 2, limitatamente alle parole «contro lo Stato»;

– art. 6, comma 1, limitatamente alle parole «non può essere chiamato in causa ma»;

– art. 16, comma 4, limitatamente alle parole «in sede di rivalsa,»;

– art. 16, comma 5, limitatamente alle parole «di rivalsa ai sensi dell’articolo 8», giudizio iscritto al n. 177 del registro referendum.

Vista l’ordinanza del 29 novembre 2021 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi gli avvocati Sonia Sau per la Regione autonoma Sardegna e Giovanni Guzzetta per i Consigli regionali delle Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte;

deliberato nella camera di consiglio del 16 febbraio 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 29 novembre 2021, depositata il 1° dicembre 2021, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), e successive modificazioni, ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare abrogativo, promossa dai Consigli regionali delle Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte, sul seguente quesito:

«Volete voi che sia abrogata la Legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati) nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 2, comma 1, limitatamente alle parole “contro lo Stato”; art. 4, comma 2, limitatamente alle parole “contro lo Stato”; art. 6, comma 1 limitatamente alle parole “non può essere chiamato in causa ma”; art. 16, comma 4, limitatamente alle parole “in sede di rivalsa,”; art. 16, comma 5, limitatamente alle parole “di rivalsa ai sensi dell’art. 8”»?

1.1.– L’Ufficio centrale ha attribuito la seguente denominazione al quesito: «Responsabilità civile diretta dei magistrati: abrogazione di norme processuali in tema di responsabilità civile dei magistrati per i danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie», a seguito della richiesta di integrazione, da parte delle Regioni interessate, delle parole «Responsabilità civile diretta dei magistrati» all’originario titolo proposto («Abrogazione di norme processuali in tema di responsabilità civile dei magistrati per i danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie»).

1.2.– Ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, il Presidente di questa Corte ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 15 febbraio 2022, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori della richiesta di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

2.– Le Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte, con memoria depositata l’11 febbraio 2022, chiedono che il quesito referendario sia dichiarato ammissibile.

2.1.– Le Regioni promotrici, per mezzo dei loro delegati regionali, ritengono, in particolare, che l’oggetto del quesito non ricada in alcuno dei limiti previsti dall’art. 75 della Costituzione, né su leggi ad esso collegate, né tantomeno che la materia su cui verte il referendum rientri nella categoria delle cosiddette leggi a contenuto costituzionalmente vincolato. A tal proposito, la memoria richiama la giurisprudenza di questa Corte che, in tema di responsabilità civile dei magistrati, ha riconosciuto al legislatore la possibilità di «[s]celte plurime, anche se non illimitate» e una «valutazione discrezionale» (vengono citate le sentenze n. 26 del 1987 e n. 38 del 2000), sia pure temperando le contrapposte esigenze che vedono coinvolti, da un lato, il soggetto ingiustamente danneggiato legittimato a ottenere ristoro per il pregiudizio subito e, dall’altro, l’indipendenza della magistratura. Considerazioni queste, che – a parere dei delegati regionali – escludono che in subiecta materia vi sia la presenza di una disciplina costituzionalmente vincolata.

2.2.– Quanto alla formulazione del quesito, quest’ultimo soddisferebbe i requisiti della chiarezza, della coerenza e dell’omogeneità, essendo evidente sia il fine intrinseco dell’atto abrogativo, sia la matrice razionalmente unitaria da ricondurre all’abrogazione della norma speciale che limita allo Stato la legittimazione passiva nel giudizio di responsabilità civile del magistrato. Secondo i delegati regionali, infatti, l’attuale formulazione del quesito si differenzierebbe dai precedenti casi in cui questa Corte si è espressa (vengono citate le sentenze n. 34 del 1997 e n. 38 del 2000), dal momento che, allora, l’abrogazione proposta dell’espressione «contro lo Stato» determinava una mancanza di chiarezza del quesito a causa della particolare tecnica del ritaglio utilizzata. Al contrario, nel caso in esame, essa è inserita in un diverso ritaglio normativo e lascia inalterata la restante disciplina, evidenziando un chiaro intento teleologico. Nel dettaglio, la memoria asserisce che la responsabilità civile dei magistrati, per come strutturata, non forma un sistema normativo autonomo e alternativo a quello ordinario (valevole per gli impiegativi civili dello Stato), ma un corpus normativo speciale che si innesta sulla comune base costituita dalle norme generali in materia, a partire dall’art. 28 Cost. e dal d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico concernente lo statuto degli impiegati civili dello Stato), in cui si stabilisce il principio di responsabilità generale e diretta dei funzionari pubblici, e che, rispetto a quella base, si pone in rapporto di specialità.

Da questa constatazione le Regioni promotrici sostengono che, là dove vengano meno altri elementi «inquinanti» legati ad una diversa formulazione dei quesiti in passato dichiarati inammissibili, l’eliminazione dell’espressione «contro lo Stato» possa sprigionare un autonomo contenuto normativo, facendo riespandere la disciplina generale che prevede la coesistenza della disciplina dello Stato e quella diretta del magistrato, discendente proprio dai citati art. 28 Cost. e d.P.R. n. 3 del 1957. Si profilerebbe, così, una naturale espansione delle norme regolanti l’azione di responsabilità nei confronti degli illeciti dei pubblici impiegati, eliminando la «deroga» soggettiva che l’espressione «contro lo Stato» ad oggi delinea. Ad avviso dei delegati regionali, poi, l’art. 13 della legge n. 117 del 1988, nella parte in cui prevede la responsabilità diretta del magistrato nel solo caso di commissione di un illecito penale, non è dirimente ai fini di una dichiarazione di inammissibilità, in quanto la ridondanza che questa disposizione verrebbe ad assumere nel nuovo sistema normativo, delineato dall’abrogazione referendaria, rappresenterebbe un mero «inconveniente», assumendo un diverso significato nel nuovo contesto, ad ogni modo non rilevabile in sede di giudizio di ammissibilità del referendum.

2.3.– Coerente, infine, sarebbe anche la logica abrogativa delle altre disposizioni interessate dal quesito. Quanto alla possibile eccezione secondo cui con la responsabilità diretta verrebbe meno la «serenità» del giudice, i delegati regionali affermano che essa è da ricondurre, al più, all’ambito della valutazione della legittimità costituzionale della normativa di risulta, non rientrante nel giudizio di ammissibilità. Quanto, invece, all’abrogazione che interessa gli artt. 6, comma 1, e 16, commi 4 e 5, essi sarebbero diretta esplicazione della preminenza della responsabilità diretta dello Stato nell’attuale sistema e la loro abrogazione rappresenterebbe un corollario dell’esigenza di omogeneità e chiarezza del quesito proposto. In particolare, relativamente alla formulazione dell’art. 6, comma 1, l’abrogazione dell’espressione «non può essere chiamato in causa ma» sarebbe una naturale conseguenza del venir meno della possibilità solo per lo Stato di essere convenuto in giudizio e a nulla rileverebbe che residui una disposizione che permette al magistrato di intervenire, ai sensi dell’art. 105 del codice di procedura civile (quest’ultimo sarebbe eventualmente un problema ermeneutico risolvibile sulla base delle norme processualistiche). Anche le abrogazioni proposte nell’art. 16, commi 4 e 5, relativi alla responsabilità dei componenti degli organi giudiziari collegiali, sarebbero conformi al fine referendario, permettendo l’espansione dei principi sull’imputazione della responsabilità ai membri di un collegio a tutte le ipotesi oggetto di giudizio di ammissibilità.

3.– La Regione autonoma della Sardegna, in persona del suo Presidente, è intervenuta nel presente giudizio, con memoria depositata l’11 febbraio 2022, a sostegno dell’ammissibilità della richiesta del referendum abrogativo. La Regione interveniente ha svolto argomentazioni del tutto sovrapponibili a quelle esposte dai delegati regionali.

Considerato in diritto

1.– La richiesta di referendum abrogativo, su cui questa Corte deve pronunciarsi in base all’art. 75, secondo comma, della Costituzione, riguarda la legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), nel testo modificato dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilità civile dei magistrati).

Si tratta della normativa che disciplina il regime di responsabilità civile dei magistrati, per danni arrecati nell’esercizio delle funzioni loro demandate.

1.1.– I delegati dei Consigli regionali delle Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte, promotori della richiesta di referendum, hanno presentato un’unica memoria, ai sensi dell’art. 32 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo).

1.2.– In via preliminare, si deve rilevare che, nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022, questa Corte ha consentito l’illustrazione orale delle memorie depositate dai proponenti della richiesta referendaria ai sensi dell’art. 33, terzo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), e, ancora prima, ha disposto l’ammissione degli scritti presentati da soggetti diversi da quelli indicati dalla disposizione ora richiamata e tuttavia interessati alla decisione sull’ammissibilità della richiesta di referendum, come contributi contenenti argomentazioni ulteriori rispetto a quelle altrimenti a disposizione della Corte (ex plurimis, sentenze n. 10 del 2020, n. 5 del 2015, n. 13 del 2012, n. 28, n. 27, n. 26, n. 25 e n. 24 del 2011).

Tale ammissione, che deve essere qui confermata, non si traduce però in un diritto di questi soggetti di partecipare al procedimento – che, comunque, «deve tenersi, e concludersi, secondo una scansione temporale definita» (sentenza n. 31 del 2000) – e di illustrare le relative tesi in camera di consiglio, ma comporta solo la facoltà della Corte, ove lo ritenga opportuno, di consentire brevi integrazioni orali degli scritti, come è appunto avvenuto nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022, prima che i soggetti di cui al citato art. 33 abbiano illustrato le rispettive posizioni.

2.– Le norme oggetto del quesito referendario sono estranee alle materie per le quali l’art. 75, secondo comma, Cost. preclude il ricorso all’istituto del referendum abrogativo.

2.1.– Occorre tuttavia verificare se il quesito rispetti gli ulteriori limiti di ammissibilità del referendum abrogativo che la giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla sentenza n. 16 del 1978, ha costantemente ricavato dall’ordinamento costituzionale.

3.– Il quesito, la cui denominazione su richiesta dei soggetti promotori è stata corretta dall’Ufficio centrale per il referendum con l’aggiunta della locuzione «Responsabilità civile diretta dei magistrati», si vale della cosiddetta tecnica del ritaglio per abrogare alcune espressioni lessicali contenute negli artt. 2, comma 1, 4, comma 2, 6, comma 1, e 16, commi 4 e 5, della legge n. 117 del 1988, al fine di consentire che il magistrato possa essere citato direttamente nel giudizio civile risarcitorio da parte del danneggiato, così intendendo superare la vigente normativa che, invece, prevede forme di responsabilità del magistrato solo in sede di rivalsa da parte dello Stato, ove quest’ultimo sia stato condannato al risarcimento (mentre, in caso di reato, la responsabilità del magistrato non consegue ad un’azione intentata nei suoi confronti innanzi al giudice civile, se non per effetto di una previa condanna penale).

A rendere chiaro un quesito non può non concorrere (anche se in modo non di per sé decisivo) la denominazione della richiesta referendaria, posto che essa viene desunta dall’Ufficio centrale per il referendum sulla base del significato obiettivo che l’abrogazione produrrebbe nell’ordinamento. Il titolo, da riprodurre nella parte interna della scheda di votazione, ha infatti la finalità di identificare l’oggetto del quesito, così da renderlo comprensibile agli elettori chiamati ad esprimere un voto pienamente consapevole, irrinunciabile requisito di un atto libero e sovrano del corpo elettorale.

4.– Così individuato l’obiettivo delle Regioni promotrici, la richiesta referendaria è inammissibile.

5.– Una prima ragione di inammissibilità del quesito attiene al suo carattere manipolativo e creativo, e non meramente abrogativo.

Come è noto, l’azione diretta nei confronti del magistrato, pur preceduta dall’autorizzazione del Ministro della giustizia e confinata ad ipotesi estreme di responsabilità, era prevista dagli artt. 55, 56 e 74 del codice di procedura civile, che furono abrogati con il referendum ritenuto ammissibile con la sentenza n. 26 del 1987.

La necessità che tale azione fosse autorizzata dal Ministro della giustizia, peraltro, contribuiva a diluire fortemente la sua natura diretta, precludendo la immediata costituzione del rapporto processuale tra parte attrice e magistrato. La responsabilità, inoltre, ad ulteriore tutela della indipendenza della magistratura, era ristretta a ipotesi eccezionali, tali da bilanciare, insieme con l’autorizzazione di cui si è detto, la circostanza che il magistrato potesse essere citato da chi lamentasse un danno (e non invece dallo Stato, in sede di rivalsa).

Con la legge n. 117 del 1988 il legislatore, nel disciplinare nuovamente la materia, si era conformato alle indicazioni espresse da questa Corte con la menzionata sentenza n. 26 del 1987, affinché lo statuto costituzionale della magistratura fosse preservato con l’introduzione di «condizioni e limiti» alla responsabilità dei magistrati.

Fu così operata una scelta che costituisce a tutt’oggi uno dei tratti caratterizzanti della legislazione, peraltro largamente presente negli ordinamenti degli Stati europei, ovvero che l’azione risarcitoria debba essere indirizzata nei confronti dello Stato, e che solo all’esito di un’eventuale soccombenza quest’ultimo disponga di azione di rivalsa nei confronti del magistrato.

Così prevedendo, il legislatore non si è discostato dalla pur non vincolante raccomandazione CM/Rec (2010) del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulle garanzie di indipendenza dei giudici, il cui punto 67 prevede che «soltanto lo Stato, ove abbia dovuto concedere una riparazione, può richiedere l’accertamento di una responsabilità civile del giudice attraverso un’azione innanzi ad un tribunale».

A seguito della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, grande sezione, 13 giugno 2006, in causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo spa, che peraltro non ha messo in discussione la natura indiretta della responsabilità civile del magistrato, il legislatore ha nuovamente posto mano alla materia. La legge n. 18 del 2015, modificativa della legge n. 117 del 1988, ha determinato, da un lato, un ulteriore ampliamento delle ipotesi di responsabilità del magistrato e, da un altro lato, ha eliminato il filtro di ammissibilità. Si è così consolidato il nuovo modello di responsabilità indiretta senza filtro di ammissibilità: il magistrato risponde, ma in sede di rivalsa, dopo cioè che nei confronti dello Stato sia stato accertato che, nell’esercizio delle sue funzioni, il primo abbia cagionato con dolo o negligenza inescusabile un danno ingiusto.

6.– L’introduzione dell’azione civile diretta nei confronti del magistrato senza alcun filtro, in conseguenza di un impiego della cosiddetta tecnica del ritaglio, volgerebbe quest’ultima dalla finalità che le è propria (ex multis, sentenze n. 16 e n. 15 del 2008, n. 34 e n. 33 del 2000, n. 13 del 1999) a quella che è invece preclusa ad un istituto meramente abrogativo, ossia alla finalità di introdurre una disciplina giuridica nuova, mai voluta dal legislatore, e perciò frutto di una manipolazione creativa.

Questa Corte ha già affermato, a tal proposito, che non è consentita, mediante il cosiddetto ritaglio in sede di referendum, «la manipolazione della struttura linguistica della disposizione, ove a seguito di essa prenda vita un assetto normativo sostanzialmente nuovo. […] In questo caso si realizzerebbe uno stravolgimento della natura e della funzione propria del referendum abrogativo» (sentenza n. 26 del 2017; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 10 del 2020, n. 46 del 2003, n. 50 e n. 38 del 2000, e n. 36 del 1997). L’effetto abrogativo dell’istituto referendario può portare (come ha più volte portato nella storia repubblicana) anche a importanti sviluppi normativi, ma solo ove ciò derivi dalla riespansione di principi generali dell’ordinamento o di principi già contenuti nei testi sottoposti ad abrogazione parziale.

7.– Non può sostenersi, in senso diverso, che l’abrogazione mediante ritaglio di frasi, nel caso di specie, sarebbe prodromica alla «riespansione di una compiuta disciplina già contenuta in nuce nel tessuto normativo, ma compressa per effetto della applicabilità delle disposizioni oggetto del referendum» (sentenza n. 26 del 2017).

In questa direzione non può infatti operare l’impianto legislativo recato dalla legge n. 117 del 1988, il cui art. 13 prevede l’azione diretta per la sola ipotesi eccezionale, e (necessariamente) derogatoria rispetto alla disciplina generale, del fatto costituente reato. In questi casi, peraltro, l’azione per la responsabilità civile del magistrato, come si è detto, è comunque preceduta dalla condanna in sede penale, o può essere fatta valere con la costituzione di parte civile, incontrando, anche in tal caso, la intermediazione del giudice penale.

8.– Non si possono trarre spunti contrari dall’art. 28 Cost., che formula il principio per il quale i funzionari dello Stato sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di diritti, e dalla conseguente normativa generale racchiusa nel d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato).

In particolare, la sentenza di questa Corte n. 2 del 1968 ha già concluso nel senso che la disposizione costituzionale appena citata, pur concernendo anche i magistrati, ammette leggi ordinarie che disciplinino variamente la responsabilità per categorie e situazioni (alla sola condizione, si è aggiunto in seguito, che essa non sia totalmente denegata: sentenza n. 385 del 1996).

La successiva giurisprudenza costituzionale ha avuto poi modo di chiarire ulteriormente quanto postulato dalla sentenza n. 2 del 1968, specificando che una legge ordinaria, recante la disciplina ad hoc della responsabilità civile del magistrato in attuazione dell’art. 28 Cost. (che fa espresso rinvio alle «leggi penali, civili e amministrative»), è non soltanto costituzionalmente consentita, ma piuttosto costituzionalmente dovuta, al fine di preservare «i disposti costituzionali appositamente dettati per la Magistratura (artt. 101 e 103 Cost.), a tutela della sua indipendenza e dell’autonomia delle sue funzioni» (sentenza n. 18 del 1989; in senso conforme, sentenza n. 164 del 2017; nello stesso senso, sentenza n. 468 del 1990). Questo orientamento, peraltro, è stato più volte confermato da questa Corte in occasione dei giudizi di ammissibilità vertenti su iniziative referendarie analoghe all’odierna, volte ad introdurre forme di responsabilità civile diretta del magistrato (sentenze n. 38 del 2000 e n. 34 del 1997, nonché la sentenza n. 468 del 1990, relativa a taluni effetti della consultazione referendaria del 1987).

Se ne trae che la responsabilità civile del magistrato, in quanto necessariamente subordinata alla introduzione legislativa di condizioni e limiti del tutto peculiari, non si presta alla piana applicazione della normativa comune vigente in tema di responsabilità dei funzionari dello Stato; sottraendosi, in caso di abrogazione referendaria, alla potenziale riespansione dei principi ai quali tale ultima normativa si conforma (già la sentenza n. 468 del 1990 aveva sottolineato la coessenzialità di tali condizioni e limiti alla eventuale introduzione di un’azione diretta).

Per tali ragioni, con la sentenza n. 38 del 2000 questa Corte, nel dichiarare inammissibile un quesito referendario vertente anch’esso sulla legge n. 117 del 1988, ha già negato che «l’introduzione dell’azione diretta nei confronti del magistrato, accanto alla perdurante possibilità di proporre l’azione contro lo Stato, possa realizzarsi grazie a meccanismi di riespansione o autointegrazione dell’ordinamento attivati dall’eventuale abrogazione popolare».

9.– Altre ragioni di inammissibilità del quesito concernono la sua scarsa chiarezza e ambiguità, e comunque, la sua inidoneità a conseguire il fine (pur creativo, e, come si è detto, per tale motivo in sé causa di inammissibilità) di dare vita ad un’autonoma azione risarcitoria, direttamente esperibile verso il magistrato.

Come pure si è già visto, la legge n. 117 del 1988 non prevede un’azione di tale natura, della quale, perciò, la normativa di risulta non è in grado di definire forme, termini e condizioni con il tasso di determinatezza necessario a ritenere che abbia preso forma nell’ordinamento una, pur nuova, azione processuale. Perché sia obiettivamente tale, e non il frutto di una mera intenzione indeterminata e priva di contenuti, l’emersione per via abrogativa di una nuova azione in giudizio non può prescindere, infatti, da regole, anche minime, in grado di imprimerle quanto necessario ad inserirsi coerentemente nell’ordinamento processuale.

In definitiva, avendo il legislatore disciplinato una sola azione diretta, l’intervento manipolativo oggetto del quesito referendario, ove con esso si intenda non escludere la responsabilità dello Stato, fallisce nell’intento di accostarle una seconda e differente forma processuale di responsabilità del magistrato, anch’essa diretta, della quale si possa cogliere la natura con sufficiente adeguatezza, per di più rendendo il testo del quesito ambiguo e poco chiaro.

9.1.– Sul piano della portata oggettiva dell’intervento abrogativo, che è il solo a rilevare, basti osservare che la normativa di risulta sarebbe caratterizzata da un’unica disposizione concernente «competenza e termini» dell’azione risarcitoria, ovvero l’art. 4 della legge qui considerata (n. 117 del 1988), e che essa, pertanto, non sarebbe rimodellata in modo da poter regolare, invece, due azioni distinte, quella contro lo Stato e quella contro il magistrato.

Infatti, mentre con la abrogazione delle parole «contro lo Stato», al comma 2 dell’art. 4, continua a prospettarsi la sussistenza di un’unica azione diretta, alla quale si riferiscono i successivi commi 3 e 4, il quesito lascia invariato il comma 1 del medesimo art. 4, che disciplina la competenza sulla sola «azione di risarcimento contro lo Stato».

In tal modo, si avrebbe che una disposizione che reca una rubrica dedicata alla «competenza e termini» dell’azione, al comma 1 disciplinerebbe tale competenza solo quanto alla domanda proposta verso lo Stato, tacendo del tutto sull’azione diretta che si vorrebbe introdurre, con la tecnica del ritaglio, nei confronti del magistrato, mentre nel comma 2 definirebbe, senza specificare di che azione si tratti, i termini di azionabilità della pretesa.

Ne consegue che non soltanto mancherebbe analoga disciplina quanto all’azione verso il magistrato, ma anche che tale silenzio renderebbe in radice normativamente dubbio, anche per l’elettore, se tale azione prenda davvero corpo insieme con la responsabilità diretta dello Stato.

9.2.– Va aggiunto che il quesito referendario intende sopprimere l’espressione «contro lo Stato» all’art. 2, comma 1, della menzionata legge n. 117 del 1988, che definisce le ipotesi di responsabilità civile per fatti commessi nell’esercizio delle funzioni demandate ai magistrati.

Ne deriverebbe in modo del tutto illogico che il magistrato, in caso di azione diretta, sarebbe responsabile ai sensi dell’art. 2, e, dunque, in un ventaglio di ipotesi più ampio di quello che si sarebbe avuto nel caso di azione diretta contro lo Stato, e successiva rivalsa di quest’ultimo. La rivalsa, infatti, è limitata ai soli casi, oltre che di dolo, di «negligenza inescusabile» del magistrato (art. 7, comma 1, della legge n. 117 del 1988).

Tale circostanza evidenzia un ulteriore aspetto di inidoneità del quesito, perché conferma che, in base alla normativa di risulta, l’azione non può che restare una soltanto (essendone altrimenti del tutto oscura la divaricazione, sul grado di responsabilità del magistrato), con la conseguenza che la conservazione dell’azione contro lo Stato (ove si leggesse in tal senso il quesito referendario) si appalesa incompatibile o comunque contraddittoria rispetto all’introduzione di una azione diretta verso il magistrato.

È infatti evidente che sarebbe contraddittorio dilatare o restringere il campo della responsabilità del magistrato, a seconda che questi sia soggetto ad azione diretta, oppure ad azione di rivalsa, al punto che diviene anche per tale ragione obiettivamente incerto (e quindi anche non chiaro per l’elettore) se la richiesta manipolazione dell’art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988 possa davvero avere l’effetto di introdurre l’azione diretta nei riguardi del magistrato, pur permanendo l’azione di rivalsa nei termini che si sono detti.

9.3.– In definitiva, la circostanza che il legislatore abbia disciplinato una sola tipologia di azione diretta (verso lo Stato) frustra la finalità referendaria di estrapolare dal testo normativo una seconda azione avente tale natura (verso il magistrato), e rende così inidoneo il quesito a raggiungere il fine incorporato nello stesso (sentenze n. 5 del 2015, n. 25 del 2011, n. 35 e n. 40 del 2000 e n. 30 del 1997).

10.– Esso incorre, quindi, nel medesimo profilo di inammissibilità rilevato dalla sentenza n. 34 del 1997 di questa Corte, a proposito di altro referendum avente ad oggetto, a sua volta, disposizioni della legge n. 117 del 1988.

In quell’occasione, si era rilevato che con la proposta referendaria, proprio rimuovendo l’espressione «contro lo Stato, di per sé non espressiva di un autonomo contenuto normativo, nel contesto che disciplina l’azione di risarcimento, si determina una assoluta ed oggettiva mancanza di chiarezza del quesito che si intende sottoporre a votazione popolare. Difatti è del tutto equivoca la configurazione della domanda referendaria per quanto attiene alla posizione dello Stato, la cui responsabilità pure è preminente nell’attuale sistema della legge al fine della garanzia di ristoro per danni derivanti da atti in ogni caso riferibili all’esercizio di poteri statali».

10.1.– Anche l’odierno quesito si propone di abrogare le parole «contro lo Stato» negli artt. 2, comma 1, e 4, comma 2, della legge n. 117 del 1988, sicché da ciò l’elettore dovrebbe oggettivamente trarre la conclusione che, con il voto, si sarebbe chiamati a superare l’azione diretta verso lo Stato. Al contempo, tuttavia, persistendo l’art. 4, comma 1, in tema di azione contro lo Stato, e l’art. 7 in tema di azione di rivalsa, tale conclusione trova una oggettiva smentita nella normativa di risulta, e nella stessa espressione del voto, atteso che la manipolazione dell’art. 6, in tema di intervento del magistrato nel giudizio, non può che riferirsi alla causa intentata contro lo Stato. Il richiamo all’art. 105 cod. proc. civile e alla facoltà di intervento ivi prevista per il magistrato trova giustificazione, infatti, solo nel caso di una possibile successiva azione di rivalsa.

L’esigenza di garantire al corpo elettorale «nell’esercizio del suo potere sovrano, la possibilità di una scelta chiara, che è insita nella logica dell’istituto del referendum» (sentenza n. 39 del 1997) viene così mancata, perché il quesito è privo della necessaria chiarezza e univocità che la giurisprudenza di questa Corte, invece, esige a tutela della sovranità popolare (ex plurimis, sentenza n. 10 del 2020, n. 43 del 2003, n. 34 del 1997, n. 1 del 1995 e n. 347 del 1991). Peraltro, come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare, quando l’abrogazione parziale viene perseguita mediante la soppressione nel testo normativo di singole parole o frasi, «si accentua l’esigenza di garantire al popolo, nell’esercizio del suo potere sovrano, la possibilità di una scelta chiara» (sentenza n. 39 del 1997).

10.2.– Si aggiunga che il quesito non solo assume il tratto di ambiguità e contraddittorietà di cui si è appena detto, ma, ove anche si possa ipotizzare la permanenza nella normativa di risulta della responsabilità diretta dello Stato, manca di rendere chiaro all’elettore il rapporto che si creerebbe con la responsabilità del magistrato, e, in particolare, se la prima abbia natura solidale o sussidiaria rispetto alla seconda, così incorrendo in un ulteriore profilo di oscurità già rimarcato, per analogo quesito, dalla sentenza n. 26 del 1987.

11.– In conclusione, per tutte le ragioni appena esposte, la richiesta di referendum è inammissibile.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), dichiarata legittima con ordinanza del 29 novembre 2021 dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 febbraio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2022.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto Dott. MILANA

Corte Costituzionale, Sentenza 2 marzo 2022, n. 49 -.