REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
FELICE MANNA Presidente
GIUSEPPE GRASSO Consigliere
ANTONIO SCARPA Consigliere
CHIECA DANILO Consigliere – Rel.
CRISTINA AMATO Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21498/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) + 17, elettivamente domiciliati in Roma, viale (OMISSIS) n. 145, presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) (OMISSIS), dal quale sono rappresentati e difesi unitamente all’avv. (OMISSIS) (OMISSIS);
-ricorrenti-
contro
(OMISSIS) (OMISSIS) + 5, elettivamente domiciliati in Roma, viale (OMISSIS) n. 13, presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) (OMISSIS), dal quale sono rappresentati e difesi unitamente all’avv. (OMISSIS) (OMISSIS);
-controricorrenti-
nonché contro
CONDOMINIO LE (OMISSIS) (OMISSIS), sito in (OMISSIS) (OMISSIS) alla via (OMISSIS) n. 2, in persona dell’amministratore pro tempore (OMISSIS) (OMISSIS) e dei condomini (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), nella qualità di eredi della defunta (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS);
-intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 1194/2018 pubblicata il 10 maggio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 settembre 2023 dal Consigliere dott. DANILO CHIECA.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. depositato presso il Tribunale di Treviso il 14 maggio 2015, (omissis) (omissis) + 17, proprietari di unità immobiliari facenti parte del Condominio (omissis) (omissis), sito in (omissis) (omissis) alla via (omissis) n. 2, chiedevano l’annullamento della delibera di nomina del nuovo amministratore assunta dall’assemblea condominiale il 28 aprile 2015 con il voto contrario di essi impugnanti.
Pronunciando in contraddittorio con il predetto Condominio, in persona del suo amministratore pro tempore, e con i condòmini (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) -quest’ultima deceduta in corso di causa-, + 8, volontariamente intervenuti in posizione adesiva rispetto a quella dell’ente di gestione convenuto, il Tribunale adìto respingeva la domanda con ordinanza del 1° agosto 2016.
L’appello successivamente proposto dai soccombenti veniva rigettato dalla Corte distrettuale di Venezia con sentenza n. 1194/2018 del 10 maggio 2018, notificata ex art. 285 c.p.c. il 21 maggio 2018, avverso la quale (omissis) (omissis) e gli altri diciassette condòmini indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, resistito con controricorso da (omissis) (omissis) + 5.
Sono rimasti intimati il Condominio (omissis) (omissis), in persona dell’amministratore pro tempore, nonché i ventiquattro condòmini indicati in epigrafe.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio.
I soli ricorrenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, prospettante la violazione e la falsa applicazione degli artt. 65, comma 1, e 560, comma 5, c.p.c. (quest’ultimo nel testo applicabile ratione temporis), gli impugnanti criticano la sentenza d’appello per aver erroneamente respinto il mezzo di gravame con il quale essi avevano riproposto la tesi, già sostenuta in prime cure, secondo cui il condòmino (omissis) (omissis) non poteva ritenersi legittimato a partecipare all’assemblea del 28 aprile 2015, atteso che, anteriormente a quella data, l’appartamento di sua proprietà era stato sottoposto a pignoramento e il competente giudice dell’esecuzione aveva provveduto alla nomina di un custode dell’immobile, individuato nell’Istituto Vendite Giudiziarie.
Essi rimproverano alla Corte veneta di non aver considerato che il voto espresso in quella sede dal (omissis) era risultato determinante ai fini dell’approvazione della delibera di nomina del nuovo amministratore, giacché, in mancanza di esso, non sarebbe stata raggiunta la maggioranza qualificata all’uopo richiesta dal combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 1136 c.c.
Il ricorso appare infondato.
È bene anzitutto chiarire che gli odierni ricorrenti hanno impugnato la delibera di nomina del nuovo amministratore assunta dall’assemblea del Condominio (omissis) (omissis) in data 28 aprile 2015, deducendone l’invalidità non già per l’omessa convocazione del custode giudiziario dell’immobile di proprietà del condòmino (omissis), sottoposto a esecuzione forzata, bensì sotto il diverso profilo dell’asserito difetto di legittimazione del predetto condòmino a partecipare all’adunanza e ad esprimere in essa il proprio voto, risultato poi decisivo ai fini della formazione della maggioranza richiesta.
Non si attaglia, pertanto, alla presente fattispecie il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte -che trova oggi una precisa base normativa nell’art. 66, comma 3, disp. att. c.c., nel nuovo testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 20 L. n. 220 del 2012-, in virtù del quale il condòmino regolarmente convocato non può far valere il vizio della delibera assembleare derivante dall’omessa convocazione di altro condòmino o soggetto legittimato a partecipare all’adunanza (cfr. Cass. n. 18546/2022, Cass. n. 556/2022, Cass. n. 10071/2020, Cass. n. 6735/2020, Cass. n. 23903/2016, Cass. n. 9082/2014).
Tanto premesso, ai fini della soluzione della questione giuridica posta dal ricorso occorre prendere le mosse dal rilievo che l’art. 1136 c.c. riconosce la legittimazione a partecipare all’assemblea, e ad esprimere in essa il proprio voto, ai condòmini, e cioè ai proprietari dei piani o delle porzioni di piano di cui si compone l’edificio condominiale, i quali, all’occorrenza, possono farsi rappresentare da persona munita di delega scritta, ai sensi dell’art. 67, comma 1, disp. att. c.c.
Va, altresì, considerato che, a norma dell’art. 586 c.p.c., richiamato dall’art. 590, comma 2, del medesimo codice, la proprietà dell’immobile sottoposto ad esecuzione forzata passa dal debitore all’aggiudicatario o assegnatario soltanto a seguito della pronuncia del decreto di trasferimento.
La lettura coordinata delle disposizioni normative in esame consente di pervenire a un primo risultato, e cioè che, qualora l’immobile staggito sia ricompreso in un edificio condominiale, il debitore esecutato conserva la legittimazione a partecipare all’assemblea e alle relative deliberazioni, per la quota millesimale di sua spettanza, fino a quando non sia stato emesso il decreto traslativo, essendo detta legittimazione collegata allo status di condòmino, e quindi alla titolarità del diritto dominicale sull’immobile medesimo (esula dall’àmbito della presente decisione il tema relativo alla speciale legittimazione riconosciuta all’usufruttuario e al conduttore, rispettivamente, dall’art. 67, commi 6 e 7, disp. att. c.c. e dall’art. 10 L. n. 392 del 1978, nei limiti ivi stabiliti).
Giunti a questo punto, deve ora stabilirsi cosa accade nell’ipotesi in cui il giudice dell’esecuzione, avvalendosi del potere attribuitogli dall’art. 559, comma 2, c.p.c. – nel testo, applicabile ratione temporis, vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D. Lgs. n. 149 del 2022-, nomini custode dell’immobile pignorato una persona diversa dal debitore: se cioè, anche in questo caso, il debitore rimanga legittimato a partecipare all’assemblea condominiale fino al momento dell’emissione del decreto di cui all’art. 586 c.p.c. o se, invece, detta legittimazione si trasferisca al custode e, nell’ipotesi affermativa, se tale trasferimento avvenga in modo automatico e generalizzato, per effetto del solo provvedimento di nomina.
Per dare risposta al quesito prospettato, bisogna muovere dalla considerazione che il custode non è titolare di un’autonoma posizione di diritto, ma opera quale ausiliario del giudice, nell’esercizio di un munus publicum, con l’incarico di provvedere alla conservazione e all’amministrazione dei beni pignorati o sequestrati, come chiaramente si ricava dalla disposizione generale contenuta nell’art. 65, comma 1, c.p.c. (cfr. Cass. n. 654/2018).
In particolare, l’attività di «conservazione» consiste nel porre in essere tutto quanto si renda necessario per mantenere il bene nella sua efficienza e integrità, materiale e funzionale, mentre quella di «amministrazione» attiene alla gestione economica e produttiva dello stesso, concretandosi, ad esempio, nella riscossione del corrispettivo del concesso godimento dell’immobile o nella stipula di contratti di locazione finalizzati a rendere fruttifero il bene in attesa della sua vendita.
Con specifico riferimento al settore dell’esecuzione forzata immobiliare, l’art. 560, comma 5, c.p.c. – nella formulazione, applicabile ratione temporis, vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. n. 59 del 2016, convertito in L. n. 159 del 2016, in parte qua corrispondente al testo attuale della norma – dispone, in termini generali, che l’amministrazione e la gestione del bene pignorato siano esercitate dal custode «previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione», in tal modo attribuendo a quest’ultimo un potere di vigilanza e ingerenza nell’attività dell’ausiliario.
La stessa norma affida al custode il compito peculiare -riconducibile alla categoria degli atti definiti di «custodia attiva», siccome intesi a favorire la proficua liquidazione degli immobili staggiti- di «adoperarsi affinché gli interessati a presentare offerta di acquisto esaminino i beni in vendita», secondo le modalità stabilite dal giudice con l’ordinanza di vendita, e gli conferisce, inoltre, la legittimazione all’esperimento delle «azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità».
Sebbene la lettera della legge non sembri consentire la tradizionale distinzione fra amministrazione ordinaria e straordinaria, l’avvertita esigenza di evitare che l’attività del custode, talora richiedente interventi rapidi e risolutivi per la tutela del bene pignorato, possa essere ostacolata da un sistema di controllo preventivo eccessivamente rigido, ha indotto parte della dottrina e della giurisprudenza di merito a ricondurre gli atti di ordinaria amministrazione (si pensi, ad esempio, alla riscossione di canoni di locazione o al pagamento di oneri relativi all’immobile) alla funzione di mera «conservazione» del bene, il cui esercizio non necessita dell’autorizzazione del giudice, espressamente prescritta per le sole attività di «amministrazione» e «gestione».
A prescindere dalla condivisibilità di tale opzione esegetica, va comunque tenuto presente che, in base a quanto disposto dall’art. 676, comma 1, c.p.c. -dettato in materia di sequestro giudiziario, ma da considerarsi espressione di un principio valido per tutte le custodie e amministrazioni giudiziarie di beni-, spetta al giudice che nomina il custode stabilire i criteri e i limiti dell’amministrazione.
Proprio in applicazione della citata norma, ben può il giudice dell’esecuzione, se del caso con un provvedimento di carattere generale, impartire direttive al custode, precisando gli incarichi a lui assegnati e il modo in cui questi devono essere svolti (nella prassi giudiziaria le direttive in parola vengono spesso raccolte in apposite circolari); e in proposito giova rammentare che, ai sensi dell’art. 171 disp. att. c.p.c., le autorizzazioni al custode previste dall’art. 560 c.p.c. sono date dal giudice dopo aver sentito le parti e gli altri interessati.
Alla luce della ricostruzione giuridica qui operata, deve, quindi, pervenirsi alla conclusione che i poteri del custode sono quelli derivati direttamente dalla legge o determinati con provvedimento giudiziale, come peraltro già più volte statuito da questa Corte (cfr. Cass. n. 25278/2020, Cass. n. 11377/2011, Cass. n. 11843/2007, Cass. n. 10252/2002, Cass. n. 7147/2000).
Ne consegue che, in assenza di un’espressa previsione normativa ad hoc, e salvo che il giudice dell’esecuzione abbia fornito sul punto specifiche istruzioni operative, contenute nel provvedimento di nomina del custode o in altro successivo, la partecipazione alle assemblee condominiali non può ritenersi inclusa fra i compiti dell’ausiliario.
La soluzione accolta risulta, peraltro, armonica rispetto al sistema di riferimento, il quale non soltanto prevede che il debitore esecutato conservi il diritto di proprietà sull’immobile staggito, e con esso la qualità di condòmino, fino al momento dell’emissione del decreto di trasferimento, ma gli consente pure di continuare ad abitare detto immobile in pendenza della procedura esecutiva, ove non ne sia stata ordinata l’immediata liberazione (arg. ex art. 560, comma 3, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis).
È, infatti, coerente con il descritto contesto normativo riconoscere al condòmino esecutato la perdurante legittimazione a partecipare alle assemblee condominiali, in difetto di una diversa disposizione del giudice dell’esecuzione che oneri il custode di una siffatta incombenza; disposizione che, ove assunta, dovrà essere portata a conoscenza dell’amministratore del condominio.
A favore di un simile approdo ermeneutico milita anche la previsione contenuta nell’art. 3, comma 2, lettera b), del decreto del Ministro della Giustizia del 15 maggio 2009, n. 80 («Regolamento in materia di determinazione dei compensi spettanti ai custodi dei beni pignorati»), adottato in attuazione dell’art. 21 L. n. 52 del 2006, la quale include la partecipazione alle assemblee condominiali nel novero delle «attività straordinarie di custodia dei beni immobili», lasciando così intendere che la stessa non rientri, in ogni caso, fra gli atti di amministrazione ordinaria, relativamente ai quali il surriferito indirizzo interpretativo reputa non necessaria la preventiva autorizzazione del G.E.
Venendo ora alla fattispecie in trattazione, non risulta dalle allegazioni dei ricorrenti che all’Istituto Vendite Giudiziarie fosse stato conferito dal giudice dell’esecuzione il potere di intervenire, in qualità di custode, alle assemblee del condominio di cui fa parte l’immobile pignorato, e segnatamente, per quanto qui rileva, a quella del 28 aprile 2015, convocata per la nomina del nuovo amministratore dello stabile; né risulta che a tale data fosse già stato pronunciato il decreto di trasferimento del bene.
Sulla scorta dei rilievi che precedono, non si ravvisa, dunque, la denunciata violazione o falsa applicazione di legge, avendo la Corte distrettuale correttamente riconosciuto la legittimazione del condòmino (omissis) a partecipare con diritto di voto alla predetta adunanza.
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Nei rapporti fra le parti costituite le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Nulla va statuito in ordine alle medesime spese nei riguardi delle parti rimaste intimate.
Sussistendone i relativi presupposti processuali, viene resa nei confronti dei ricorrenti l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1- quater, D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, a rifondere ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 2.700 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13,comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 8 settembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2023.