Il reato di rapina, e non quello di tentata rapina, chi si impossessa della refurtiva, acquisendone l’autonoma disponibilità, pur se l’impossessamento sia avvenuto sotto il controllo, anche costante, delle Forze dell’Ordine (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 7 gennaio 2020, n. 203).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente –

Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. MANTOVANO Alfredo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Walter nato a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 20/12/2018 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALFREDO MANTOVANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PIETRO MOLINO che ha concluso per l’inammissibilità.

RITENUTO IN FATTO

1. La CORTE di APPELLO di MILANO con sentenza in data 20/12/2018, confermava la sentenza con la quale il TRIBUNALE di MILANO in data 28/06/2018, a conclusione di giudizio celebrato col rito abbreviato, aveva condannato (OMISSIS) Walter a pena di giustizia per i reati di rapina aggravata e di porto in luogo pubblico di arma da sparo con matricola abrasa, commessi a GORGONZOLA il 18/06/2018, riuniti per continuazione, con la recidiva reiterata e specifica.

2. L’imputato propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, e deduce i seguenti motivi:

– come primo motivo, violazione dell’art. 606 co. 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per motivazione illogica e contraddittoria in ordine al mancato riconoscimento del tentativo di rapina, e non invece della rapina consumata, essendo la polizia giudiziaria intervenuta nel momento in cui l’imputato stava commettendo il reato, e quindi vi era stata la sottrazione ma non l’impossessamento del denaro;

– come secondo motivo, violazione dell’art. 606 co. 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per motivazione illogica e contraddittoria sul riconoscimento della recidiva reiterata e specifica, dal momento che l’ultimo delitto commesso risale al 2007, e quindi precede di ben 11 anni quelli oggetto del presente giudizio;

– come terzo motivo, violazione dell’art. 606 co. 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per motivazione contraddittoria e illogica sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, e perché l’aumento di pena a titolo di continuazione è superiore alla pena base prevista per il delitto di cui all’art. 23 co. 4 legge n. 110/1975.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

Con riferimento al primo motivo, la CORTE territoriale con motivazione congrua e rispondente ai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, che ha ampiamente richiamato, ha ritenuto correttamente nel caso in esame il reato di rapina nella forma consumata e non in quella tentata.

Non è invero in discussione che l’imputato, nel corso dell’azione ai danni del cassiere del Credito cooperativo di GORGONZOLA, fosse già entrato in possesso del denaro e che in relazione alla somma indebitamente ottenuta egli avesse oramai eluso la sfera di vigilanza e di custodia della persona offesa, che teneva sotto la minaccia di un coltello.

Questa S.C. ha già avuto precisato (Sez. 2, n. 5512 del 22/10/2013, dep. 2014, Barbato, Rv. 258207) che “il reato di rapina si consuma nel momento in cui la cosa sottratta cade nel dominio esclusivo del soggetto agente, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione, e pur se, subito dopo il breve impossessamento, il soggetto agente sia costretto ad abbandonare la cosa sottratta per l’intervento dell’avente diritto o della Forza pubblica (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto consumata la rapina in banca commessa dall’imputato, che, dopo essersi impossessato del denaro, veniva bloccato all’interno dell’istituto dal sistema girevole di accesso e successivamente immobilizzato da una guardia giurata)”.

E ancora che “integra il reato di rapina, e non quello di tentata rapina, la condotta di chi si impossessa della refurtiva, acquisendone l’autonoma disponibilità, pur se l’impossessamento sia avvenuto sotto il controllo, anche costante, delle Forze dell’Ordine, laddove queste siano intervenute solo dopo la sottrazione, in quanto il delitto previsto dall’art. 628 cod. pen. si consuma nel momento e nel luogo in cui si verificano l’ingiusto profitto e l’altrui danno patrimoniale, a nulla rilevando, invece, la mera temporaneità del possesso conseguito” (Sez. 2, n. 5663 del 20/11/2012, dep. 2013, Alexa Catalin, Rv. 254691).

Negli stessi termini Sez. 2 sentenza n. 14305 del 14/03/2017 dep. 23/03/2017 Rv. 269848 – 01 imputato Moretti: “il reato di rapina si consuma nel momento in cui la cosa sottratta cade nel dominio esclusivo del soggetto agente, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione, e pur se, subito dopo il breve impossessamento, il soggetto agente sia costretto ad abbandonare la cosa sottratta per l’intervento dell’avente diritto o della Forza pubblica. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto consumata la rapina presso un esercizio commerciale con riferimento alla condotta dell’imputato, che, dopo essersi impossessato, sotto la minaccia di un arma, di denaro ed altri beni della persona offesa, a seguito della reazione violenta di quest’ultima veniva gravemente ferito e successivamente arrestato)”.

Nel caso in esame – come si è detto – l’azione della rapina al momento dell’intervento della polizia giudiziaria aveva già raggiunto lo stadio della completa consumazione, dal momento che la somma in denaro era entrata nella disponibilità dell’imputato, essendo già avvenuto il trasferimento di essa dalla cassa dell’istituto bancario alla persona di (OMISSIS), senza che rilevi ai fini della consumazione il successivo intervento dei Carabinieri.

2. Il ricorso è inammissibile anche quanto al secondo motivo, avendo la CORTE di APPELLO con motivazione congrua e logica sottolineato che sono sei le precedenti condanne di (OMISSIS) per rapina, talune delle quali commesse con armi, senza che pesi la circostanza che l’ultimo delitto per il quale egli ha portato condanna sia stato consumato nel 2007, anche perché egli è stato detenuto fino al 2014, sì che è da tale anno che ha riavuto la possibilità di dimostrare di non reiterare il delitto in questione: il che è invece accaduto dopo appena quattro anni, peraltro con modalità – l’uso del coltello e la disponibilità di un’arma clandestina – che accentuano la sua pericolosità.

In tal modo il Giudice di appello ha seguito l’orientamento di questa S.C. (da ultimo Sez. 6 sentenza n. 34670 del 28/06/2016 dep. 05/08/2016 Rv. 267685 – 01 imputati Cascone e altri), per il quale “l’aumento di pena apportato per la recidiva, non può essere legato esclusivamente al dato formale del titolo di reato, ma presuppone un accertamento della concreta significatività del nuovo episodio in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, avuto altresì riguardo ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo”. Tale compito è stato puntualmente svolto nel caso specifico.

3. Inammissibile è altresì il terzo motivo, poiché quanto alle attenuanti generiche, la CORTE territoriale – illustrando l’insussistenza delle ragioni evocate per il loro riconoscimento, dalla inutilità della confessione, visto l’arresto in flagranza, al profitto tutt’altro che modesto, a condizioni personali non meglio illustrate – ha fissato la pena in modo non distante dal minimo edittale, comunque inferiore ai valori medi, sottolineando l’oggettiva gravità dell’illecito penale in questione.

E’ materia che rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt.132 e 133 cod. pen., con conseguente inammissibilità della censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della sussistenza delle attenuanti evocate.

4. E’ da ultimo corretto il calcolo dell’aumento per continuazione poiché, alla stregua dell’art. 81 co. 4 cod. pen., la riconosciuta recidiva qualificata impone l’incremento sanzionatorio in misura non inferiore a un terzo della pena base, e nella specie la determinazione è avvenuta nei termini di pochi giorni in più del minimo previsto dal codice.

5. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il giorno 7 gennaio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale.pdf