REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIANI Vincenzo – Presidente
Dott. CIAMPI Francesco Maria – Consigliere
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere
Dott. FIORDALISI Domenico – Rel. Consigliere
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) MIRCO nato a (OMISSIS) il 24/05/19xx;
avverso la sentenza del 23/09/2019 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DOMENICO FIORDALISI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa GIUSEPPINA CASELLA che ha concluso chiedendo di dichiararsi inammissibile il ricorso, con requisitoria scritta, ai sensi dell’art. 23, d.l. 187 del 2020.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) Mirco ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona del 23 settembre 2019 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ancona del 10 ottobre 2017, lo ha condannato alla pena di mesi otto, giorni dieci di arresto, in ordine ai reati di cui agli artt. 5 legge 22 maggio 1975, n. 152 e 703, secondo comma, cod. pen., perché il 18 ottobre 2014 in Ancona, durante una manifestazione con corteo alla quale aveva preso parte e durante la quale si erano verificati incidenti, si era travisato mediante l’utilizzo di un casco e di indumenti atti a rendere difficoltoso il riconoscimento e, durante il contatto tra i manifestanti e le Forze dell’ordine, aveva lanciato all’indirizzo di queste ultime un fumogeno acceso.
2. Il ricorrente articola tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo e il secondo motivo denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte territoriale avrebbe del tutto omesso di valutare la doglianza formulata nell’atto di appello e relativa alla genericità delle dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS) (unico soggetto che aveva dichiarato di aver riconosciuto l’imputato nel corso della visione delle riprese video) e al fatto che non fosse stata indicata la modalità attraverso la quale il medesimo teste era pervenuto al riconoscimento.
In merito a tale ultima questione, il ricorrente evidenzia che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’atto di ricognizione fotografica operato dalla polizia giudiziaria non gode di uno statuto probatorio sovraordinato e che, di conseguenza, il giudice di merito è tenuto a motivare in ordine all’attendibilità di tale mezzo di prova anche in considerazione delle specifiche modalità di assunzione di tale atto.
L’apparato logico-motivazionale proposto dalla Corte territoriale sul punto, quindi, risulterebbe viziato sotto il profilo del travisamento della prova e della motivazione apparente, non avendo il giudice offerto alcun criterio di valutazione e assunzione della prova avente ad oggetto l’individuazione fotografica dell’imputato.
Il giudice di secondo grado si è limitato, infatti, ad affermare che il teste aveva riferito di aver visto l’imputato immortalato in un filmato in cui erano ben visibili le parti del corpo dell’imputato, posto che (OMISSIS) era soggetto già conosciuto in precedenza per ragioni di servizio del teste e che in passato lo aveva sottoposto a controlli di polizia.
Il ricorrente, quindi, contesta la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice, pur non avendo effettuato alcuna specifica verifica, ha affermato l’esistenza di un preciso filmato in cui erano ben visibili tutte le parti del viso e del corpo dell’imputato.
La Corte di appello, inoltre, hai affermato che era stato possibile identificare con certezza l’imputato in quanto immortalato con il viso scoperto, circostanza che aveva consentito di vedere in maniera chiara tutti i dettagli del busto e la capigliatura del soggetto autore del fatto.
Le foto richiamate rappresentavano solo un soggetto che indossava un casco di protezione, sicché non potevano costituire la prova del reato, ma solo del fatto che l’imputato avesse partecipato alla manifestazione.
In sostanza, il ricorrente evidenzia che l’intero apparato argomentativo sviluppato dalla Corte territoriale è fondato interamente sulle dichiarazioni del teste Contardo, che vengono utilizzate anche come riscontro di se stesse.
Il tenore delle immagini versate in atti, invece, avrebbe richiesto una verifica circa le modalità del riconoscimento fotografico operato dall’agente di polizia giudiziaria.
2.2. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 703 cod. pen., perché il giudice di merito avrebbe omesso di considerare che il reato di accensioni ed esplosioni pericolose è teso a impedire esplosioni o accensioni di ordigni che, producendo fiamme o la propulsione di corpi incandescenti e contundenti, possano arrecare danno e pericolo a persone e cose.
Nel caso di specie, invece, all’imputato era stata contestata l’accensione in un luogo pubblico di un fumogeno, quindi, una condotta che non rientra tra quelle sanzionate nel citato articolo, posto che il fumogeno non sprigiona fiamme, né genera alcuna propulsione.
Il fumogeno, infatti, è un dispositivo coreografico privo di potenziale pericolosità, mentre il reato in oggetto non ha la finalità di perseguire l’utilizzo di qualsivoglia oggetto che possa potenzialmente arrecare disturbo all’essere umano.
2.3. Il ricorrente, con memoria di replica, ha illustrato i motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Giova premettere che nel giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura di elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482); né è sindacabile in questa sede, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova e la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Sempre in premessa, va ricordato che la mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate, in modo logico e adeguato, le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
1.2. Alla luce dei principi sopra indicati, la Corte ritiene che i primi due motivi di ricorso non siano consentiti in sede di legittimità, essendo costituiti da mere doglianze in punto di fatto.
Va evidenziato, infatti, come le censure sollevate siano tese a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai decidenti di merito, più che a denunciare un vizio rientrante in una delle categorie individuate dall’art. 606 cod. proc. pen.
In particolare, il ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale in modo ineccepibile ha evidenziato che (OMISSIS), nel corso di un corteo, dopo aver sfilato a volto scoperto, abbia celato buona parte del viso nel momento in cui erano iniziati i lanci di fumogeni.
Tale circostanza era stata accertata in quanto l’imputato era stato identificato con certezza grazie alle immagini nitide dei fotogrammi in atti e riprese dal filmato dell’evento, che avevano immortalato l’imputato.
Il teste (OMISSIS) aveva affermato che, dalla visione della sequenza completa del filmato, l’imputato risultava essersi coperto il viso negli occhi con il collo del giubbetto e che nel prosieguo del filmato lo stesso soggetto era stato ripreso mentre lanciava il fumogeno acceso.
Il giudice di merito, quindi, dato atto che dalle foto in atti non era stata ripresa l’intera sequenza dell’azione, ha ritenuto che la deposizione del teste aveva consentito di ricostruire con certezza i fatti avvenuti il 18 ottobre 2014.
Il ricorrente, invece, propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera uniforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle prove, che risultano vagliate dalla Corte di appello, con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicché non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.
1.3. Anche il terzo motivo di ricorso non può trovare accoglimento in sede di legittimità.
La Corte territoriale, fornendo sul punto una motivazione chiara e lineare, ha evidenziato che la fattispecie di reato contestata, ex art. 703 c.p., è tesa a punire le ipotesi nelle quali vi sia una possibilità concreta che esplosioni di ordigni in un centro abitato o sulla pubblica via, senza la predisposizione delle cautele che vengono imposte a chi ottiene la prescritta autorizzazione, possano compromettere l’incolumità delle persone.
Nel caso di specie, l’imputato aveva utilizzato un fumogeno, artificio pirotecnico idoneo a produrre tale nocumento e quindi a perfezionare il reato in oggetto.
D’altronde, il Collegio condivide la linea interpretativa tracciata da questa Corte secondo la quale l’epilogo decisorio non può difatti essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148).
Infatti, nessun vizio logico argomentativo è ravvisabile nella motivazione sviluppata in relazione ai reati ex artt. 5 legge n. 152 del 1975 e 703 cod. pen., perché i giudici della cognizione hanno esplicitato, con motivazione puntuale e adeguata, le ragioni per le quali hanno ritenuto fondata la responsabilità penale in capo a (OMISSIS).
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 03/03/2021.
Depositata in Cancelleria il 15 giugno 2021.