Il ricorrente, già detenuto per il reato di cui si procede, all’atto dell’impugnazione non necessita l’elezione di domicilio (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 20 settembre 2023, n. 38442).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –

Dott. (OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –

Dott. (OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –

Dott. (OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –

Dott. D’AURIA Donato – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) (CUI 0(omissis)C) nato in Senegal il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 21/03/2023 della CORTE di APPELLO di TORINO;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. DONATO D’AURIA;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. ANTONIO BALSAMO, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della impugnata sentenza;

ricorso trattato ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Torino con ordinanza del 21/3/2023 dichiarava inammissibile l’appello proposto da (omissis) (omissis) avverso la sentenza del Tribunale di Torino del 19/1/2023, in assenza della dichiarazione o elezione di domicilio prevista dall’art. 581, comma 1 -ter, cod. proc. pen.

2. L’imputato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.

Rileva come la Corte territoriale abbia errato nell’applicare la disciplina prevista dall’art. 581, comma 1 -ter, cod. proc. pen., nonostante l’imputato fosse detenuto per il reato per cui si procede, evidenziando che nel caso di specie l’elezione di domicilio sarebbe stata del tutto superflua, stante la necessità della notifica personale al detenuto, ai sensi dell’art. 156 cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

1.1 L’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. – nell’ottica di garantire la speditezza e la celerità del giudizio di appello, così esonerando l’autorità giudiziaria dall’effettuare ricerche volte ad individuare il luogo della notifica del decreto di citazione a giudizio – stabilisce che «con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».

La questione oggetto di scrutinio riguarda l’applicabilità di detta disposizione anche nelle ipotesi in cui l’imputato sia detenuto – e tale condizione emerga dall’atto di impugnazione – ovvero se, in tal caso, debba prevalere la modalità di notifica prevista dall’art. 156 cod. proc. pen.

Ritiene il Collegio che l’interpretazione logica e sistematica della norma porti a circoscriverne la portata ai soli casi in cui l’imputato sia libero, atteso che solo in tali ipotesi ha senso la dichiarazione o l’elezione di domicilio, che – come esplicitato dalla norma – è funzionale ad evitare che, per notificare il decreto di citazione a giudizio, si rallenti la celebrazione del giudizio di impugnazione.

Del resto, da un lato, l’art. 161 cod. proc. pen., al comma 1, stabilisce che «il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con l’intervento della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato non detenuti o internati, li invitano a dichiarare uno dei luoghi indicati nell’articolo 157, comma 1, o un indirizzo di posta elettronica certificata o altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato, ovvero a eleggere domicilio per le notificazioni dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601», con ciò evidentemente escludendo dall’ambito di applicazione dell’invito a dichiarare o eleggere domicilio l’imputato detenuto (in altri termini, a mente dell’art. 161 cod. proc. pen., è richiesta una condizione negativa perché l’imputato possa eleggere o dichiarare domicilio, vale a dire che non sia detenuto, né internato); dall’altro, l’art. 156, comma 1, cod. proc. pen. dispone che «le notificazioni all’imputato detenuto, anche successive alla prima, sono sempre eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona».

Dunque, laddove il soggetto risulti detenuto per il reato per cui si procede, deve trovare applicazione la norma generale che prevede la notifica personale all’imputato (in tali sensi, Sezione 2, n. 33355 del 28/6/2023, Quattrocchi).

Siffatto principio, peraltro, è stato affermato – prima della novella del decreto legislativo del 10 ottobre 2022, n. 150 – dalla giurisprudenza di legittimità nella sua composizione più autorevole (Sezioni Unite, n. 12778 del 27/2/2020, S., Rv. 278869 – 01) anche con riferimento all’imputato detenuto per altra causa, pur in presenza di dichiarazione od elezione di domicilio, con ciò considerandola superflua.

È stato, invero, osservato che si privilegia la consegna della notificazione alla “persona”, in quanto, essendo certa la reperibilità del detenuto, la notificazione è agevole; che, in secondo luogo, la notifica a mani proprie si spiega con la necessità di portare personalmente a conoscenza del detenuto gli atti processuali, al fine di consentirgli di esercitare la facoltà di una consapevole difesa, tanto più necessaria stante il grave status derivante dalla detenzione.

In buona sostanza, il legislatore ha voluto evitare il rischio che il domiciliatario, nonostante il rapporto fiduciario, possa non comunicare al detenuto la notifica di atti che lo riguardano e privarlo così della possibilità di partecipare al processo e di difendersi in modo tempestivo ed adeguato.

Se così è, sarebbe del tutto illogico far discendere la inammissibilità dell’impugnazione dalla mancata presentazione di un atto (la dichiarazione o elezione di domicilio) che l’imputato detenuto non è tenuto a compiere (se non all’atto della scarcerazione, ai sensi dell’art. 161 comma 3 c.p.p., non verificatasi nel caso di specie) e che resterebbe comunque privo di ogni effetto ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, che andrebbe in ogni caso effettuata ai sensi dell’art. 156 cod. proc. pen. a mani proprie dell’imputato detenuto.

L’applicazione di una sanzione processuale di tale gravità, posto che incide pesantemente sui diritti dell’appellante, non può avere luogo in mancanza di una adeguata ratio giustificatrice.

Peraltro, l’applicazione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. anche all’imputato detenuto violerebbe, oltre che l’art. 3 Cost., l’art. 6 della CEDU, che impone il pieno rispetto del diritto di accesso effettivo alla giustizia per le decisioni relative al «merito di qualsiasi accusa penale» anche nel giudizio di appello e che – pur ammettendo che il diritto di presentare un ricorso possa essere subordinato a determinate condizioni previste dalla legge – richiede che i giudici nell’applicare le relative norme procedurali evitino un eccessivo formalismo che pregiudicherebbe l’equità del procedimento (Corte europea dei diritti dell’uomo, 26 luglio 2007, Walchli c. Francia).

In particolare, è stato più volte affermato che l’applicazione da parte delle Corti nazionali di determinate formalità da osservare per proporre un ricorso rischia di violare il diritto di accesso alla giustizia quando l’interpretazione eccessivamente formalistica della legge ordinaria impedisce di fatto l’esame nel merito del ricorso proposto dall’interessato (Corte europea dei diritti dell’uomo, 12 luglio 2016, Reichman c. Francia; 5 novembre 2015, Henrioud c. Francia).

Per contro, ove all’atto della notifica l’impugnante abbia riacquistato la libertà, il giudicante dispone dell’elezione del domicilio effettuata all’atto della scarcerazione, obbligatoria ai sensi dell’art. 161 comma 3 cod. proc. pen., elemento che consente l’efficienza processuale che il nuovo art. 581 comma i- ter cod. proc. pen. intende perseguire.

Deve, dunque, essere ribadito il principio di diritto secondo il quale «la nuova disposizione di cui all’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. (introdotta dall’art. 33, comma 1, lett. d), d. Igs. n. 150 del 2023, ed in vigore per le impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del citato d.Igs.) – che richiede, a pena d’inammissibilità, il deposito, unitamente all’atto d’impugnazione, della dichiarazione od elezione di domicilio della parte privata, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio – non opera anche nel caso in cui l’imputato impugnante sia detenuto» (Sezione 2, n. 33355/2023 cit.).

2. La sentenza impugnata va annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Torino per il giudizio.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Torino per l’ulteriore corso.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria, Roma, oggi 20 settembre 2023.

SENTENZA