Il ritardo nella diagnosi determina di per sé una lesione del diritto di autodeterminarsi (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 17 novembre 2021, n. 34813).

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE TERZA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16958-2019 proposto da:

(OMISSIS) RICHARD, in proprio e in qualità di erede di Gabriella (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, viale (OMISSIS) 6, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GUIDO (OMISSIS), ROBERTO (OMISSIS);

– ricorrenti –

nonchè contro

(OMISSIS) GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. (OMISSIS) n. 12, presso lo studio dell’avvocato SILVIA (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO (OMISSIS);

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS) RICHARD, in proprio e in qualità di erede di Gabriella (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE (OMISSIS) 6, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GUIDO (OMISSIS), ROBERTO (OMISSIS);

– controricorrenti all’incidentale –

avverso la sentenza n. 744/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 29/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/05/2021 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato;

FATTI DI CAUSA

1. Nel 1991, con atto di citazione Gabriella (OMISSIS) convenne in giudizio, dinanzi il Tribunale di Lucca, il Dottor Giovanni (OMISSIS) chiedendo di accertarne la responsabilità per i danni subiti e condannarlo al conseguente risarcimento.

A fondamento della domanda, l’attrice espose che in data 20 ottobre 1988 si era recata presso lo studio del convenuto, medico dermatologo, al fine di chiarire la natura di un’affezione cutanea presente sull’alluce del piede sinistro; che il professionista le diagnosticò un’onicomicosi con relativa terapia, ma, nonostante tali cure, si presentò un peggioramento del quadro clinico; che solo in data 12/10/1989 il medico prescrisse all’attrice esami più approfonditi, in seguito ai quali le fu diagnosticato un melanoma maligno con conseguenti interventi chirurgici e profilassi oncologica.

L’attrice dedusse la colpa del professionista per non aver accertato la natura dell’affezione cutanea tempestivamente nonostante il quadro clinico in continuo peggioramento.

Si costituì in giudizio il Dottor Giovanni (OMISSIS), chiedendo il rigetto delle domande attoree.

Sostenne che la terapia micotica era stata utile a guarire la micosi presente allo scopo di poter valutare adeguatamente la malattia sottostante e che nonostante gli svariati inviti rivolti alla paziente di effettuare ulteriori accertamenti, ella aveva rifiutato più volte, procrastinandoli.

L’attrice morì in corso di causa e i suoi credi, Richard (OMISSIS) e Frederick (OMISSIS), si costituirono in giudizio.

Istruita la causa mediante prove orali, documentali e c.t.u., il Tribunale di Lucca, con sentenza 1703/2005, respinse la domanda attorea in quanto, in base alla relazione peritale, non era emersa una precisa negligenza del medico né un nesso causale tra il melanoma e la morte della paziente.

Per quel che qui ancora rileva, il giudice escluse la responsabilità del convenuto sulla base della particolare difficoltà diagnostica dovuta alla micosi e alla non sempre puntuale adesione dell’attrice a sottoporsi a esami ulteriori.

2. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 326/2011 pubblicata il 3 febbraio 2011, ha respinto l’appello proposto da Richard (OMISSIS) che ha agito pro quota del 50 % quale erede legittimo della de cuius.

La Corte ha argomentato la decisione sotto due profili.

In primo luogo, ha ritenuto che gli eredi potessero agire unicamente iure successionis, quali aventi causa della madre, mentre per chiedere iure proprio i danni cagionati loro dalla morte della stessa avrebbero dovuto iniziare una nuova e diversa causa.

In secondo luogo, mancava la prova, gravante sull’attrice, che il danno sofferto dalla paziente e la sua successiva morte fossero collegati all’imperizia e negligenza del medico convenuto in giudizio.

3. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9249/2015, ha accolto il terzo motivo di ricorso presentato da Richard (OMISSIS), nel quale si lamentava che la Corte d’appello avesse errato nel ritenere non allegato e non provato il danno patito da Gabriella (OMISSIS).

La Corte di legittimità ha ritenuto fondato tale motivo per due ragioni:

1) Circa l’onere di allegazione, l’attrice sin dal primo grado di giudizio aveva allegato che la ritardata diagnosi della malattia aveva aggravato il male. Tale danno non doveva essere dimostrato nel grado e nel tempo dall’attrice, stante che suo onere era quello di descriverlo e non anche di quantificarlo, considerando anche che si trattava di una malattia in itinere senza possibilità di prevedere se ci sarebbe stata una guarigione.

2) Circa l’onere probatorio, l’attrice aveva domandato il risarcimento per il danno non patrimoniale alla salute il quale necessitava, ai fini dell’accertamento, l’ausilio del consulente tecnico. La Corte d’appello invece, nonostante la domanda di parte, aveva rigettato la domanda perché non provata, senza procedere a rinnovare la consulenza.

Per tali profili la Corte di Cassazione ha cassato la pronuncia impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze la quale era tenuta:

a) a valutare se il danno alla salute patito da Gabriella (OMISSIS) fosse stato allegato nella citazione, tenendo conto del fatto che si trattava di un danno in evoluzione e che l’attore ha l’onere di descrivere il danno, ma non quantificarlo;

b) ove ritenesse, in applicazione dei principi appena ricordati, debitamente allegata l’esistenza del danno, a procedere al relativo -accertamento di esso tenendo conto del principio secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio, che di norma non è un mezzo di prova, lo diventa allorché la prova del danno — come quello alla salute — sia impossibile od estremamente difficile a fornirsi con i mezzi ordinari.”.

2.1. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 744/2019, pubblicata il 29 aprile 2019, ha respinto le domande risarcitorie iure ereditatis di Richard (OMISSIS) che aveva riassunto la causa ex art. 392 c.p.c.

La CTU, disposta dai giudici di merito, ha evidenziato che un intervento anticipato di amputazione dell’alluce sinistro avrebbe determinato una maggiore possibilità di sopravvivenza della Signora (OMISSIS) quantificabile nella misura del 30-40 °A a 10 anni se la diagnosi fosse stata formulata nell’ottobre 1988; che le metastasi polmonari, causa finale del decesso della paziente, secondo un giudizio probabilistico, erano collegate al melanoma del piede; che quest’ultimo era cresciuti di circa 0,40 mm al mese.

Alla luce di tali affermazioni, i giudici di merito hanno ritenuto non provato il nesso causale tra la condotta colposa del medico e il decesso della (OMISSIS).

La Corte pone a base del suo ragionamento due assunti principali enunciati dalle relazioni dei consulenti tecnici, sia di parte che d’ufficio: che il tumore nel 1989 aveva uno spessore di 10 mm; che la crescita del melanoma è stata di 0,40 mm al mese.

Pertanto, secondo un giudizio di verosimiglianza, nel 1988, data della prima visita della donna presso il dermatologo, il tumore aveva già raggiunto uno spessore di 4,8 mm entrando nel livello superiore a 4 mm Breslow, il medesimo in cui si trovava l’anno dopo.

Pertanto, non si poteva affermare con ragionevole sicurezza che una diagnosi corretta all’epoca della prima visita avrebbe evitato l’evoluzione delle metastasi, in quanto a quel tempo il tumore era già in un uno stadio tale da poterle generare.

3. Avverso la suddetta pronuncia Richard (OMISSIS) propone ricorso per cassazione sulla base di 4 motivi illustrati da memoria.

3.1. Giovanni (OMISSIS) propone controricorso con ricorso incidentale condizionato. Ha depositato memoria.

3.2. Richard (OMISSIS) propone controricorso al ricorso incidentale condizionato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 191 e ss. c.p.c; nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. n. 4 (art. 360 n. 4 c.p.c.); omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le part (360 n. 5 c.p.c.)”.

Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe disatteso la consulenza tecnica senza adeguata motivazione.

In particolare, i giudici di merito avrebbero sostenuto che lo spessore del melanoma della paziente fosse già di 4,8 al tempo della prima visita presso il Professor (OMISSIS) e che pertanto una diagnosi precoce non avrebbe evitato lo sviluppo delle metastasi successive.

Tale affermazione contrasterebbe con quanto enunciato dal consulente tecnico, secondo cui, accertato il collegamento tra le metastasi causa della morte della paziente e il melanoma al piede, la diagnosi compiuta all’epoca avrebbe comportato una percentuale di sopravvivenza a 10 anni tra il 30 e 40 %.

Il giudizio della Corte sarebbe pertanto autonomo e disancorato dalla perizia tecnica.

Il motivo è infondato.

Giova sottolineare come, di norma, non sia consentito all’istante dolersi della mancata adesione del giudice d’appello alle conclusioni rese dal consulente tecnico d’ufficio.

Le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. (Cass. Sez. I n. 5148/2011; Cass. Sez. I 988/2021).

Si ritiene che la Corte d’appello abbia disatteso le conclusioni della perizia tramite una valutazione rispettosa dei principi giurisprudenziali summenzionati.

Difatti, essa fonda la sua decisione su dati scientifici accertati nel corso dell’istruttoria (la grandezza del tumore nell’anno 1989 – la crescita dello stesso di circa 0,40 mm al mese) per poi affermare, sulla base di un ragionamento logico deduttivo fondato sul criterio della verosimiglianza, che lo spessore del melanoma all’epoca della prima visita presso il Professor (OMISSIS) fosse tale da comportare l’assenza del nesso di causalità tra colpa professionale e evento-morte.

Principio generale nel processo civile è quello secondo cui il giudice deve valutare le prove secondo il suo libero convincimento, ragione per cui rimane nelle sue facoltà quella di poter compiere un ragionamento induttivo o deduttivo basato sulle risultanze processuali e delle ctu, come avvenuto nel caso di specie.

Anche la motivazione appare esaustiva dal punto di vista logico e giuridico, confutando in maniera lineare quanto sostenuto dal consulente d’ufficio.

Pertanto, si ritiene che la decisione del giudice di seconde cure non sia sindacabile sotto il profilo censurato, in quanto il ragionamento appare inattaccabile da un punto di vista motivazionale.

4.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e degli art. 40 e 41 c.p.; violazione e falsa applicazione dei principi civilistici in tema di colpa medica; omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.)”.

Per accertare il nesso di causalità la Corte d’appello avrebbe basato il suo giudizio sul principio della certezza causale ispirata al criterio del “oltre ogni ragionevole dubbio” invece che fondarsi sul principio civilistico del “più probabile che non”, avendo sostenuto che “non si potrebbe affermare con ragionevole sicurezza che una diagnosi corretta avrebbe evitato la metastizzazione “.

Il motivo è infondato.

L’accertamento del nesso di causalità materiale nel processo civile si fonda, sul piano strutturale, sul criterio della cd. causalità adeguata mentre, sul piano probatorio, si fonda sul criterio del “più probabile che non” – per cui, sulla base di un giudizio probabilistico relativo e non assoluto, deve essere ‘più probabile che non’ che la condotta abbia cagionato l’evento dannoso.

Secondo le Sezioni Unite n. 578 del 2008 “ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come rilevato da attenta dottrina che ha esaminato l’identità di tali standard delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali, con la predetta differenza tra processo civile e penale (in questo senso, ancor prima della pronuncia delle sezioni unite, Cass.16.10.2007, n. 21619; Cass. 18.4.2007, n. 9238; Cass. 5.9.2006, n. 19047; Cass. 4.3.2004, n. 4400; Cass. 21.1.2000 n. 632).

Anche la Corte di Giustizia CE è orientata nel senso che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (CGCE, 13/07/2006, n. 295, ha ritenuto sussistere la violazione delle norme sulla concorrenza in danno del consumatore se “appaia sufficientemente probabile” che l’intesa tra compagnie assicurative possa avere un’influenza sulla vendita delle polizze della detta assicurazione; Corte giustizia CE, 15/02/2005, n. 12, sempre in tema di tutela della concorrenza, ha ritenuto che “occorre postulare le varie concatenazioni causa – effetto, al fine di accogliere quelle maggiormente probabili”).

Detto standard di “certezza probabilistica” in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa – statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana).

Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l’attendibilità dell’ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni)”.

La Corte d’appello ha escluso il nesso di causalità sulla base di un giudizio di verosimiglianza e non di certezza assoluta, per cui ha ritenuto non possibile affermare con “ragionevole sicurezza” che la diagnosi precoce avrebbe evitato il danno, sulla base di un ragionamento ancorato agli elementi probatori e correttamente argomentato, non censurabile in questa sede.

4.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione degli art. 112 e 277 c.p.c. (360 n. 3) e dell’art. 2059 c.c.; mancato esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.)”.

I giudici di merito si sarebbero pronunciati solo su una parte delle domande avanzate dal ricorrente, quella inerente all’accertamento del nesso causale tra condotta medica omissiva ed evoluzione nefasta, od accelerazione della medesima, che non esaurisce il thema decidendum in relazione alle domande proposte che comprendevano uno spettro d’esame più ampio includendo ‘i gravi danni patrimoniali e non patrimoniali anche connessi al decesso’ e non solo quelli conseguenti a detto evento finale.

La corte territoriale ha omesso di considerare che da una diagnosi esatta di una malattia ad esito ineluttabilmente infausto consegue che il paziente, oltre ad essere messo nelle condizioni di scegliere, se possibilità di scelta vi sia, che fare nell’ambito di quello che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all’esito infausto e di programmare il suo essere persona in vista di quell’esito.

4.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la “violazione a contrario dell’art. 360-bis c.p.c. per essere stata disattesa una costante giurisprudenza di questa Corte”, in quanto i giudici di merito non avrebbero tenuto conto che il ritardo nella diagnosi avrebbe determinato di per sé una lesione del diritto di autodeterminarsi.

Il motivo da esaminare congiuntamente con il precedente, è fondato.

Il ricorrente lamenta la lesione del diritto all’autodeterminazione della donna, la quale, se consapevole tempestivamente della malattia infausta, avrebbe avuto la facoltà di determinarsi liberamente nella scelta dei percorsi da intraprendere nell’ultima fase della sua vita.

Pertanto, ciò che rileva in questa sede non è la lesione del bene salute o della perdita di chance, quanto la lesione di un bene autonomo di per sé risarcibile in quanto tutelato dalla Costituzione.

È la stessa Corte d’appello ad affermare che all’epoca della prima visita della (OMISSIS) presso il Professor (OMISSIS) la stadiazione del melanoma aveva uno spessore per cui era già iniziato quel percorso irreversibile che le avrebbe cagionato la morte.

Sulla base di tale affermazione i giudici di merito avrebbero dovuto tener conto, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, che, nonostante l’inutilità della diagnosi precoce ai fini dell’evitabilità dell’evento infausto, questa avrebbe consentito alla paziente di autodeterminare il suo tempo rimanente con coscienza e consapevolezza.

Nel caso in oggetto la condotta del medico non ha cagionato la morte della paziente che, secondo la Corte d’appello, si sarebbe comunque verificata, ma ha comportato un peggioramento del periodo rimanente.

Pertanto, il mancato accertamento del nesso causale tra la condotta del sanitario e il decesso della paziente può fondare la non risarcibilità del danno non patrimoniale correlato al decesso della stessa ma non anche la non risarcibilità di un diverso bene giuridico quale per l’appunto la lesione al diritto di autodeterminarsi.

A tal proposito si richiama Cass. Sez. III n. 29983/2019 che, nell’intento di marcare i confini tra la lesione del diritto all’autodeterminazione e lesione da perdita di chance, contraddistingue varie ipotesi: ovvero “la condotta colpevole del sanitario non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata e sull’esito finale, rilevando di converso, in pejus, sulla sola (e diversa) qualità ed organizzazione della vita del paziente (anche sotto l’aspetto del mancato ricorso a cure palliative): “l’evento di danno (e il danno risarcibile) sarà in tal caso rappresentato da tale (diversa e peggiore) qualità della vita (intesa altresì nel senso di mancata predisposizione e organizzazione materiale e spirituale del proprio tempo residuo), conseguente alla lesione del diritto di autodeterminazione, purché allegato e provato (senza che, ancora una volta, sia lecito evocare la fattispecie della chance)”.

In tali casi il risarcimento del danno non patrimoniale dovrà esser riconosciuto quale conseguenza dell’autonoma lesione del diritto all’autodeterminazione.

In conclusione il principio che la Corte d’appello dovrà applicare è il seguente: in caso di colpevoli ritardi nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l’area dei danni risarcibili non si esaurisce nel pregiudizio recato alla integrità fisica del paziente, ma include il danno da perdita di un “ventaglio” di opzioni, con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima, ovvero “non solo l’eventuale scelta di procedere (in tempi più celeri possibili) all’attivazione di una strategia terapeutica, o la determinazione per la possibile ricerca di alternative d’indole meramente palliativa, ma anche la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico (senza ricorrere all’ausilio di alcun intervento medico) in attesa della fine”, giacche, tutte queste scelte “appartengono, ciascuna con il proprio valore e la propria dignità, al novero delle alternative esistenziali” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, ord. n. 7260 del 2018, cit.).

In tema di danno alla persona, conseguente a responsabilità medica, integra l’esistenza di un danno risarcibile alla persona l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, in quanto essa nega al paziente, oltre che di essere messo nelle condizioni di scegliere “cosa fare”, nell’ambito di ciò che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all’esito infausto, anche di essere messo in condizione di programmare il suo essere persona e, quindi, in senso lato l’esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche, in vista e fino a quell’esito.

5. Con l’unico motivo di ricorso incidentale il Prof. (OMISSIS) denuncia ex art. 360 n. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2967 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c. ex articolo 360 numero tre per errata valutazione delle prove in atti; omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La corte d’appello avrebbe errato in quanto dalla documentazione depositata dal professor (OMISSIS) si dimostrerebbe, contrariamente a quanto affermato dalla c.t.u. e dalla sentenza, che la signora (OMISSIS) era portatrice di una doppia neoplasia.

Ed il fatto che non si trovano più i documenti di supporto rende ancora più rilevante quanto accertato dal suo medico curante.

Inoltre il fatto che l’attrice non abbia prodotto la documentazione medica dell’ospedale di massa perché irreperibile certificava, o è più probabile che non certificasse, che la signora (OMISSIS) era affetta da un autonomo adenocarcinoma polmonare inoperabile come ricordato dalla dottoressa (OMISSIS), suo medico curante.

Se tali fatti fossero stati adeguatamente esaminato dalla Corte d’appello, quest’ultima avrebbe necessariamente dovuto concludere che era più probabile che non che la signora Gabriella (OMISSIS) fosse affetta da un autonomo adenocarcinoma polmonare, inoperabile, taciuto in giudizio ma riportato dalla dottoressa (OMISSIS) nel suo certificato del 23 luglio 1991.

Il motivo è inammissibile perché contesta l’apprezzamento di una prova documentale ritenuta non decisiva alla stregua di dati tecnici specifici.

In secondo luogo tutte le cesure si risolvono in una sostanziale richiesta alla Corte di procedere alla rivalutazione della quaestio facti tramite il controllo della motivazione della sentenza impugnata e, dunque, in una critica estranea ai limiti di cui Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014.

6. Pertanto la Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo e quarto motivo come in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo e quarto motivo come in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, in data 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria, addì 17 novembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.