Il sequestro preventivo nei confronti di un socio, indagato per omessa dichiarazione delle somme derivanti dall’occulta distribuzione di dividendi di una Srl a ristretta base azionaria, può basarsi anche su presunzioni se queste assumono il valore di elementi di fatto.

(Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 14 settembre 2016, n. 38142)

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 14 settembre 2016, n. 38142

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – rel. Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nata a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 9/12/2015 del Tribunale del riesame di Avellino;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, con condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali;

letti altresi’ i motivi aggiunti e la memoria depositati dalla Difesa della ricorrente in data 28/05/2016.

Ritenuto in fatto

1. Con decreto in data 9/11/2015 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Avellino dispose, nei confronti di (OMISSIS), il sequestro preventivo per equivalente della somma di 667.590,00 Euro, siccome costituente “profitto” del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4, ascritto alla stessa (OMISSIS) con riferimento all’anno di imposta del 2010.

Secondo l’ipotesi accolta nel provvedimento genetico, la (OMISSIS), titolare del 49% delle quote della societa’ (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, avrebbe indicato, nella dichiarazione annuale IRPEF presentata nell’anno di imposta 2010, al fine di evadere le imposte sul reddito e sul valore aggiunto, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, sottraendo all’imposizione la somma di 1.505.200 Euro, con una imposta evasa (a titolo di Irpef, addizionale regionale e comunale) pari a 677.590,00 Euro.

2. Con ordinanza del 9/12/2015 il Tribunale del riesame di Avellino rigetto’ la richiesta di riesame presentata, nell’interesse di (OMISSIS), avverso il suddetto decreto di sequestro preventivo per equivalente.

3. A mezzo del proprio difensore, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione sulla base di due articolati motivi di impugnazione, peraltro strettamente intrecciati, di seguito riportati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione al combinato disposto dell’articolo 125 c.p.p., Decreto Legislativo n. 175 del 2014, articolo 28, e articolo 2495 c.c., comma 2, per avere l’ordinanza impugnata:

a) erroneamente ritenuto valido l’avviso di accertamento notificatole quale socio della societa’ di capitali denominata (OMISSIS) S.r.l., nonostante che fosse decorso oltre un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese della predetta societa’;

b) omesso totalmente di motivare su quali altri e/o diversi elementi, ulteriori rispetto all’avviso di accertamento asseritamente illegittimo, emesso in data 13/07/2015 nei confronti della societa’, si sarebbe fondato l’ulteriore avviso di accertamento emesso il 26/08/2015 nei confronti della ricorrente;

c) compiuto una praesumptio de praesumptio in relazione ad una asserita distribuzione di utili non contabilizzati a beneficio della stessa (OMISSIS) pari all’entita’ delle somme sequestrate, risultando il vizio in questione dallo stesso testo del provvedimento impugnato.

Con il secondo motivo viene, invece, dedotta la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 5, per avere l’ordinanza impugnata ritenuto, secondo quanto manifestamente emergente dal testo del provvedimento impugnato:

a) la validita’ della “presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati in presenza di un fatto non definitivamente accertato, ossia che la societa’ era a ristretta base azionaria”;

b) la correttezza della “presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati in assenza di prova della concreta distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio di liquidazione”.

Sotto il primo profilo, la ricorrente ha dedotto la totale mancanza di motivazione sulla censura, dalla stessa formulata in sede di riesame, per cui essendo controversa, in quanto ancora oggetto di una procedura di accertamento giudiziario, la natura della (OMISSIS) S.r.l. (ovvero se essa fosse o meno a ristretta base sociale e/o familiare), il Tribunale del riesame non avrebbe potuto presumere l’avvenuta distribuzione ai soci degli utili asseritamente non contabilizzati.

Sotto altro profilo la ricorrente censura che il Tribunale del riesame abbia ritenuto avvenuta una distribuzione di utili tra i soci che in realta’ non sarebbe stata dimostrata in base al bilancio finale di liquidazione, atteso che questo risultava pari a zero e che dal medesimo non risultava alcuna effettiva riscossione dell’attivo da parte dei singoli soci. E ancor piu’ erronea, secondo la prospettiva difensiva, si paleserebbe la determinazione della quota riscossa dalla (OMISSIS), che sarebbe stata “apoditticamente determinata” in misura esattamente corrispondente alla percentuale delle sue partecipazioni societarie.

La ricorrente, inoltre, rileva come con ordinanza in data 17/12/2015, la Commissione tributaria provinciale di Avellino abbia sospeso l’efficacia dell’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, in data 26/08/2015, dall’Agenzia, delle entrate di Avellino.

Con atto depositato in data 4/04/2016 il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso, con condanna di (OMISSIS) alle spese processuali.

Dopo aver precisato che le presunzioni tributarie possono assumere rilevanza, con riferimento alla cautela reale, nel senso che gli elementi posti a fondamento delle stesse possono essere utilizzati per riscontrare l’esistenza di un fumus delicti “in concreto”, il Procuratore generale rileva che la presenza, nella compagine sociale della (OMISSIS) S.r.l., di due soli soci, con quote sostanzialmente uguali, consente di affermare, secondo una regola di comune esperienza, l’alta probabilita’ che i ricavi non dichiarati siano stati suddivisi in misura sostanzialmente paritaria, non essendo emerso alcun elemento per poter sostenere la presenza di soci occulti ed apparendo ovvio che il bilancio di liquidazione, pari a zero, non abbia riportato degli elementi attivi non contabilizzati.

E’ questa, secondo la prospettazione del Procuratore generale, una dimostrazione di tipo logico-deduttivo, anch’essa di tipo presuntivo, ma non riconducibile all’alveo concettuale delle presunzioni tributarie propriamente intese, sicche’ le censure dedotte dal ricorrente sia in relazione alla validita’ di questa particolare tipologia di presunzioni, sia in relazione alla legittimita’, nell’ambito del processo penale, dell’accertamento tributario compiuto nei confronti di una societa’ ormai cancellata dal registro delle imprese, non sarebbero pertinenti. Cosi’ come sarebbe irrilevante la sospensione dell’efficacia dell’avviso di accertamento da parte della Commissione tributaria di Avellino, peraltro successiva alla data del provvedimento impugnato.

Con memoria depositata in data 28/05/2016 la Difesa della ricorrente ha dedotto, in primo luogo, che con ordinanza in data 21/04/2016 la Commissione tributaria provinciale di Avellino ha sospeso il processo relativo alla declaratoria di nullita’ dell’avviso di accertamento in data 26/08/2015; e, inoltre, ha allegato l’ordinanza della Commissione tributaria provinciale di Napoli in data 13/05/2016, con la quale e’ stata dichiarata la nullita’ dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzie delle entrate di Napoli del 13/07/2015.

Su tali basi, sono state ribadite le censure gia’ formulate con il ricorso introduttivo del presente giudizio.

Considerato in diritto

4. Il ricorso e’ manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

5. Va preliminarmente ricordato che, in tema di misure cautelari reali, e, dunque, anche nel caso di sequestro per equivalente (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 45343 del 06/10/2011, P.M. in proc. Moccaldi e altro, Rv. 251616), con il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 325 c.p.p., puo’ essere dedotta unicamente la violazione di legge e non anche il vizio di motivazione. Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre violazione di legge non soltanto in caso di errores in iudicando o in procedendo, ma anche laddove ricorrano dei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento impugnato del tutto mancante o comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, tanto da determinarne l’inidoneita’ a rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692): e’ il caso, ad esempio, in cui il provvedimento impugnato non contiene l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che sorreggono la decisione su un punto decisivo del giudizio ed il cui esame sia stato del tutto pretermesso.

In tale evenienza, difatti, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un elemento essenziale dell’atto. Viceversa, non rientra pacificamente nell’ambito del vizio in questione il caso dell’illogicita’ manifesta, la quale puo’ denunciarsi nel giudizio di legittimita’ soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’articolo 606, comma 1, lettera e), stesso codice, non attivabile nel caso della cautela reale (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710).

Va, altresi’, ricordato che, se anche in materia di sequestro preventivo il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio altrettanto solido di quello previsto per le misure cautelari personali, non e’ pero’ sufficiente prospettare, ai fini dell’adozione della cautela reale, un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione. E’, invece, necessario valutare le concrete risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al semplice livello di fumus, al fine di ritenere che la fattispecie concreta vada ricondotta alla figura di reato configurata; ed e’, inoltre, necessario che appaia possibile uno sviluppo del procedimento in senso favorevole all’accusa nonche’ che siano valutati gli elementi di fatto e gli argomenti prospettati dalle parti (cfr., ex plurimis, Sez. 1, 9 dicembre 2003, n. 1885/04, Cantoni, m. 227.498; Sez. 3, 16.3.2006 n. 17751; Sez. 2, 23 marzo 2006, Cappello, m. 234197; Sez. 1311, 8.11.2006, Pulcini; Sez. 3, 9 gennaio 2007, Sgadari; Sez. 4, 29.1.2007, 10979, Veronese, m. 236193; Sez. 5, 15.7.2008, n. 37695, Cecchi, m. 241632; Sez. 1, 11.5.2007, n. 21736, Citarella, m. 236474; Sez. 4, 21.5.2008, n. 23944, Di Fulvio, m. 240521; Sez. 2, 2.10.2008, n. 2808/09, Bedino, m. 242650; Sez. 3, 12.1.2010, Turco; Sez. 3, 24.2.2010, Normando; Sez. 3, 11.3.2010, D’Orazio). E a tale valutazione, poi, dovranno aggiungersi quelle in tema di periculum in mora che, necessariamente, devono essere riferite ad un concreto pericolo di prosecuzione dell’attivita’ delittuosa ovvero ad una concreta possibilita’ di condanna e, quindi, di confisca del bene in sequestro.

Sempre preliminarmente deve essere ricordato che ai sensi del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4, rubricato “Dichiarazione infedele”, la fattispecie di cui alla imputazione cautelare ricorre quando un soggetto “fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3 (…), al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti”, sempre che l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a una delle singole imposte, a centocinquantamila Euro e sempre che l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, sia superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, sia superiore a tre milioni di Euro.

6. Poste tali premesse di ordine sistematico, va considerato che il provvedimento impugnato presenta una motivazione che rende pienamente possibile una corretta individuazione del fatto per il quale si procede e, inoltre, dell’iter logico seguito dal giudice, risultando, quindi, del tutto infondato innanzitutto il complessivo impianto del presente ricorso (cfr. in argomento Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893).

Giova innanzitutto porre in luce che in materia di reati tributari il fondamento, sul piano indiziario, della configurabilita’ di un fumus delicti in relazione ai fatti oggetto della contestazione cautelare non deve essere costituito da una presunzione tributaria, intesa come meccanismo di inversione dell’onere probatorio ovvero di affermazione dell’esistenza (o inesistenza) di un fatto sulla base di determinate circostanze cui la norma tributaria riconosce una assoluta e non controvertibile idoneita’ probatoria di determinati accadimenti. Al contrario, tale fondamento e’ individuabile nell’esistenza di specifici eventi, eventualmente costituenti la base fattuale delle presunzioni in questione, che costituiscano, alla stregua delle regole del processo penale, il complesso degli elementi, eventualmente posti in reciproca connessione attraverso massime di esperienza anche di tipo logico-presuntivo, che siano idonei a supportare l’ipotesi della avvenuta commissione di determinati reati.

Infatti, come piu’ volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, se per un verso i regimi di presunzione legale operanti in campo tributario non possono essere utilizzati, sic et simpliciter, in sede penale, essendo il procedimento di formazione della prova tributaria ispirato ad un principio di inversione dell’onere probatorio (Sez. 3, 18.5.2011, n. 36396, Mariutti, m. 251280; conf. Sez. 3, 26.2.2008, n. 21213, De Cicco, m. 239984), per altro verso il giudice e’ chiamato a svolgere delle verifiche circa l’esistenza e l’ammontare dell’imposta evasa, “in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario” (Sez. 3, 26.2.2008, n. 21213, De Cicco, m. 239983), potendo comunque assumere dette presunzioni il valore di elementi di fatto (Sez. 3, n. 30890 del 23/06/2015, Cappellini e altro, Rv. 264251; Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013, Piccolo, Rv. 254852) ovvero potendosi fondare l’esperimento degli accertamenti di ufficio attraverso il ricorso “a presunzioni di fatto” (Sez. 3, 26.11.2008, n. 5490/2009, Crupano, in motivazione).

Lungo tale traiettoria interpretativa si e’ certamente mosso il Tribunale del riesame, atteso che se e’ vero che l’ordinanza impugnata in qualche punto fa riferimento al concetto di “astratta configurabilita’ del reato”, essa in realta’ ha poi esaminato e valutato la sussistenza in concreto del fumus commissi delitti, tenendo anche conto delle prospettazioni e delle contestazioni difensive, disattendendole motivatamente.

Il Tribunale del riesame e’, infatti, partito dagli accertamenti della Guardia di finanza e, pur riferendosi alle relative presunzioni tributarie fondate sugli avvisi di accertamento in data 13/07/2015 e 26/08/2015, compiuti rispettivamente dalle Agenzie delle entrate di Napoli e Avellino, ha poi ritenuto che potesse attribuirsi valore di elementi indiziari, rilevanti in questa preliminare e sommaria sede cautelare, ai fatti su cui tali presunzioni si fondavano, su di essi poi basando il giudizio di sussistenza del fumus del delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4, che sarebbe rimasto integrato, secondo l’ipotesi contemplata dall’imputazione cautelare, alla stregua dei passaggi logici e fattuali di seguito riassunti:

a) in data 27/09/1993 fu costituita la (OMISSIS) S.p.a.;

b) in data 17/02/2011, a seguito della cessione del ramo di azienda avente ad oggetto la produzione di porte ed infissi alla costituenda (OMISSIS) S.p.a., la societa’ (OMISSIS) S.p.a. cambio’ la propria denominazione in (OMISSIS) Spa e, successivamente, in (OMISSIS) S.r.l., con sede legale dapprima in (OMISSIS) e successivamente in (OMISSIS);

c) nel corso di un verifica fiscale eseguita nei confronti della (OMISSIS) S.p.a., furono acquisiti n. 2 files denominati “FATTURATO 3″ e” Circolare interna per SB filiali”;

d) nel primo file erano riportate le vendite della societa’ effettuate dal 1999 al 4/03/2011, venendo indicati: nella colonna a) gli importi fatturati mensilmente, nella colonna b) gli importi complessivi delle vendite (fatturate e non fatturate); nella colonna c) gli importi non fatturati (indicati con la sigla SE); nella colonna d) i valori percentuali calcolati tra gli importi della colonna c) con quelli della colonna a);

e) il file denominato “circolare interna per SB filiali” conteneva disposizioni di carattere commerciale impartite dall’amministratore delegato, Dott. Luigi (OMISSIS) ai “dipendenti addetti alle filiali di (OMISSIS)” ovvero agli show rooms (OMISSIS), con le quali si precisava che “le vendite SB possono essere effettuate, esclusivamente presso la sede di (OMISSIS)”;

f) dai due files in argomento emergeva che la sigla “SB” e i relativi importi indicati nei prospetti contenuti nel file denominato “fatturato” si riferivano a vendite di prodotti senza fatture i cui aspetti finanziari erano stati definiti presso la sede centrale;

g) dal momento che il file “fatturato” conteneva prospetti riferibili agli anni compresi tra il 2008 e il marzo 2011 e che fino al 17/02/2011 non vi era stata la cessione del ramo di azienda, le vendite dovevano riferirsi esclusivamente alla (OMISSIS) S.p.a., poi divenuta (OMISSIS) S.r.l., la quale era l’unica societa’ esistente;

h) dall’esame delle operazioni memorizzate nei files acquisiti presso la (OMISSIS) S.p.a. erano dunque emerse, per l’anno 2010, vendite senza fatture attribuibili alla societa’ (OMISSIS) S.r.l., con ricavi non contabilizzati per 6.153.856,00 Euro da tassare ai fini Ires ed Irap;

i) il reddito di impresa della societa’ (OMISSIS) S.r.l. doveva quindi essere incrementato fino alla somma di 7.446.158,00 Euro;

l) non essendo emersi, oltre ai due soci ufficiali, dei soci occulti, doveva ritenersi che il dividendo di 6.153.856,00 Euro, corrispondente alle somme ottenute dalle vendite non registrate, fosse stato distribuito agli stessi soci;

m) considerato, poi, che la quota di partecipazione di (OMISSIS) nella societa’ (OMISSIS) S.r.l. era pari al 49% si era dunque ipotizzato che la stessa avesse percepito un reddito da capitale sottratto all’imposizione pari alla somma di 1.505.200,00 Euro e che, dunque, per l’anno di imposta 2010, avesse evaso un’imposta (dovuta a titolo di Irpef, addizionale regionale e comunale) pari a 677.590,00 Euro.

Alla stregua della puntuale ricostruzione compiuta dall’ordinanza impugnata, come piu’ sopra sintetizzata, appare dunque condivisibile il rilievo della Procura generale, secondo cui deve ritenersi del tutto irrilevante, nella specie, ogni profilo inerente alla dedotta illegittimita’ dell’atto di accertamento cosi’ come del ricorso a presunzioni tributarie in ordine alla distribuzione degli utili occulti tra i soci di una societa’ ritenuta “a ristretta base azionaria”, assumendo invece importanza l’insieme dei dati fattuali relativi alla omessa contabilizzazione di ricavi rilevanti e all’ovvia assenza degli stessi nel bilancio di liquidazione.

Su tali dati, riscontrati in occasione degli accertamenti tributari, e’ certamente corretto fondare – alla stregua di un ordinario procedimento inferenziale di tipo deduttivo che il Tribunale ha sviluppato in maniera coerente ed esente da vizi di carattere logico – l’avvenuta distribuzione delle somme non contabilizzate tra i soci palesi, non risultandone di occulti; distribuzione che, secondo una regola di comune esperienza, e’ del tutto plausibile sia avvenuta in proporzione alla entita’ della loro partecipazione societaria, apparendo questo, sul piano logico, l’unico probabile criterio sulla base del quale operare la suddivisione degli utili maturati.

Dunque, e conclusivamente, non e’ dato configurare, nel caso di specie, alcun deficit nel percorso di composizione del quadro indiziario che ha portato all’applicazione del provvedimento ablativo, sicche’ risulta pienamente assolto l’onere motivazionale incombente sul Tribunale del riesame, non potendo in alcun modo opinarsi l’impossibilita’ di ricostruire la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice del provvedimento impugnato, ne’, tantomeno, l’assenza di una logica motivazione in relazione a profili essenziali della vicenda cautelare, salvi ovviamente, come gia’ sottolineato dallo stesso Tribunale del riesame, gli eventuali approfondimenti probatori da rimettere al vaglio dibattimentale.

7. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso presentato da (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile in quanto manifestamente infondato.

Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.500,00.

P.Q.M.