LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI – Presidente –
Dott. ROBERTO RIVERSO – Consigliere –
Dott. CARLA PONTERIO – Consigliere –
Dott. FABRIZIO AMENDOLA -Rel. Consigliere –
Dott. ANTONELLA CIRIELLO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 19836-2022 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. GIA’ (OMISSIS) S.P.A., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, (OMISSIS) (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS) elettivamente domiciliato in ROMA, Via (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 435/2022 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 21/06/2022 R.G.N. 119/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.
RILEVATO CHE
1. la Corte di Appello di Lecce – sez. dist. di Taranto, nell’ambito del procedimento ex lege n. 92 del 2012, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado con cui era stato giudicato illegittimo il licenziamento disciplinare intimate dalla (OMISSIS) s.p.a., già (OMISSIS) s.p.a, a (OMISSIS) (OMISSIS) con condanna della società alla reintegrazione e al pagamento dell’indennità risarcitoria prevista dal novellato art. 18 St. lav. – per aver “condiviso” e “pubblicato” sulla Sua bacheca virtuale Facebook espressioni gravemente lesive dell’immagine e della reputazione aziendale, eccedenti il diritto di critica;
2. la Corte, in estrema sintesi, ha ritenuto, sulla base degli elementi di fatto acquisiti al giudizio, che il post contestato – contenente l’esortazione a visionare una fiction televisiva narrante la morte di una bambina causata da malattia indotta dalla vicinanza di uno stabilimento siderurgico – non contenesse “nessun riferimento ne diretto ne indiretto […] al suo attuale datore di lavoro, che solo di recente ha rilevato lo stabilimento e nulla ha a che vedere con la vicenda rappresentata nella fiction in questione”; ne ha tratto la conclusione “secondo cui il fatto contestato é insussistente, perché nessun comportamento di rilievo disciplinare, idoneo ad offendere il datore di lavoro o lederne la reputazione, é stato posto in essere”;
3. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la soccombente società con tre motivi, cui ha resistito l’intima con controricorso;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si é riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
1. i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati;
1.1. il primo lamenta la motivazione solo apparente della sentenza impugnata, in violazione dei canoni dettati dall’art. 132, comma 1 4) c.p.c. e dall’art. 118, comma 1 disp. att. c.p.c.; si eccepisce che, a fronte di motivi di reclamo specifici, la sentenza d’appello si limiterebbe di fatto ad una riproposizione – mediante mere affermazioni di stile – di taluni degli assunti alla base della statuizione di prime cure, omettendo di esplicitare le ragioni alla base del disposto rigetto delle censure specificamente proposte;
1.2. in via subordinata, col secondo mezzo si denuncia la “censurabilità della sentenza di secondo grado per motivazione contraria al cd. canone costituzionale di cui all’art. 111, comma 6, “, ex art. 360 n. 5 c.p.c.; dopo aver sostenuto che nella specie non ricorrerebbe una ipotesi di cd. “doppia conforme”, ancora si sostiene che “la pronuncia é, […], palesemente viziata da motivazione apparente o, in ogni caso, obiettivamente incomprensibile”;
1.3. il terzo motivo di ricorso denuncia, ai sensi del numero 3 dell’art. 360 p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 137 5 c.c., in riferimento agli artt. 2 e 21 Cost. ed in considerazione della portata dell’art. 595 c.p., per avere la sentenza impugnata violato i “principi in materia di legittimo esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore”;
2. premesso che l’accertamento in concreto della riferibilità o meno del contenuto del post contestato alla società datrice di lavoro del (OMISSIS) investe inevitabilmente una quaestio facti che può essere sindacata da questa Corte di legittimità nei ristretti limiti in cui può esserlo ogni accertamento di fatto, il ricorso non può trovare accoglimento;
resta, infatti, fermo ii monito delle Sezioni unite civili che hanno più volte ribadito l’inammissibilità di censure che “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui é originata l’azione”, cosi travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. 55.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. 55.UU. n. 33373 del 2019; Cass. 55.UU. n. 25950 del 2020);
2.1. ciò posto, i primi due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto, sebbene secondo una diversa prospettazione formale, nella sostanza deducono che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe affetta da vizi tanto gravi da determinarne la nullità;
le censure sono infondate;
come noto le Sezioni unite di questa Corte (Cass. 55.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno sancito che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; si e ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi solo laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. 55.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. 55.UU. n. 16599 del 2016);
il che non ricorre nella specie in quanto é certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per ritenere, sulla base dell’interpretazione del contenuto del post in riferimento a tutte le circostanze del caso concrete, che lo stesso non si riferisse, ne direttamente ne indirettamente, all’attuale datrice di lavoro e non é sufficiente a determinare il vizio radicale della nullità della sentenza ne una eventuale insufficienza della motivazione, ne, tanto meno, la circostanza che la medesima non soddisfi le aspettative di chi é rimasto soccombente;
2.2. il terzo motivo é inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata che sta tutta nella circostanza che le frasi contenute nel post del lavoratore non erano rivolte alla società di cui era dipendente, per cui risultava superflua ogni indagine sul contenuto eccedente il diritto di critica delle medesime;
3. conclusivamente, il ricorso deve essere respinto, con spese secondo soccombenza e liquidazione come da dispositivo, con attribuzione all’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS) che si é dichiarato antistatario;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 d ‘ 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per ii versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. 55.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre esborsi pari ad euro 200,00, spese generali al 15% ed accessori secondo legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 9 ottobre 2024.
Il Presidente
Dott. Adriano Patti
Depositato in Cancelleria l’8 novembre 2024.