REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati:
ANTONIO MANNA Presidente
ANNALISA DI PAOLANTONIO Consigliere
CATERINA MAROTTA Consigliere
ANDREA ZULIANI Consigliere – Rel.
IRENE TRICOMI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19681/2023 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis) in persona del legale rappresentante, pro tempore, domiciliata in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’avv. (omissis) (omissis) che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(omissis) (omissis) domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’avv. (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la Sentenza della Corte d’Appello di Lecce n. 158/2023, depositata il 31.3.2023;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3.4.2024 dal Consigliere dott. Andrea Zuliani;
udito ii Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, dott. Mario Fresa, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
udito l’avv. (omissis) (omissis) intervenuta per delega dell’avv. (omissis) (omissis);
udito l’avv. (omissis) (omissis) intervenuto per delega verbale dell’avv. (omissis) (omissis).
FATTI DI CAUSA
(omissis) (omissis) ricorre avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Lecce, accogliendo il gravame contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Brindisi, ha annullato il licenziamento intimato all’attuale controricorrente, operaio forestale, per avere falsamente dichiarato, al momento dell’assunzione, l’assenza di condanne penali a suo carico.
La Corte d’Appello ha qualificato il licenziamento come disciplinare, anziché come provvedimento di decadenza dal servizio, contrariamente a quanto ritenuto dalla datrice di lavoro e condiviso dal Tribunale; per l’effetto ha ravvisato un’illegittimità formale della sanzione per violazione del termine perentorio di 120 giorni fissato dalla legge per portare a termine il procedimento disciplinare.
Contro la sentenza della Corte d’Appello (omissis) (omissis) ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
II lavoratore si é difeso con controricorso.
II Pubblico Ministero ha rassegnato conclusioni scritte per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Alla pubblica udienza sono intervenuti il rappresentante del Pubblico Ministero e i difensori delle parti, come indicato in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia «errata qualificazione del recesso dal rapporto di lavoro per omesso esame circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».
1.1. Secondo la ricorrente il giudice d’appello avrebbe omesso di valutare il fatto che era stato imposto al lavoratore di compilare la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà sull’assenza di condanne penali e che nel contratto individuale di lavoro si era precisato che le dichiarazioni non veritiere avrebbero comportato la risoluzione di diritto del rapporto di lavoro. Altro fatto di cui si denuncia l’omesso esame é l’avvertimento al lavoratore, da parte del Responsabile dell’Ufficio Gestione Risorse umane, dell’imminente dichiarazione di decadenza per l’accertata falsità.
1.2. II motivo é infondato, perché non sussiste il denunciato omesso esame del fatto che al lavoratore era stato chiesto di dichiarare l’eventuale presenza di condanne penali e del fatto che il contratto individuale prevedeva la risoluzione del rapporto quale conseguenza di dichiarazioni non veritiere. La Corte d’Appello ha richiamato espressamente tale clausola e ha concluso che con essa «non é stato introdotto alcun requisito sostanziale ai fini dell’assunzione, necessario per verificare se la falsità é idonea a determinare gli effetti radicali e decadenziali previsti dall’art. 75 d.P.R. n. 445/2000 o se, invece, é tale da giustificare altro tipo di sanzione».
É dunque del tutto evidente che i fatti allegati (dichiarazione preliminare rilasciata dal lavoratore e menzione della stessa nel contratto) sono stati esaminati dal giudice, anche se l’esame ha dato un esito non gradito e non condiviso da (omissis) (omissis) il che, però, nulla ha a che fare con il vizio di omesso esame.
Per quanto riguarda il preventivo avvertimento del 10.10.2017 sull’imminente dichiarazione di decadenza dall’impiego, anche questo fatto é stato esaminato dal giudice del merito (tant’e che nella sentenza si menziona proprio la nota del 10.10.2017 quale data di contestazione dell’illecito, a decorrere dalla quale non venne rispettato il termine di 120 giorni per concludere il procedimento disciplinare). A ciò si aggiunga che l’odierna ricorrente non spiega – ne altrimenti si comprende – perché e come quel fatto potrebbe essere considerato «decisivo» ai fini del giudizio sulla natura dell’atto di recesso (dichiarazione di decadenza o licenziamento disciplinare).
2. II secondo motivo denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 75 d.P.R. 28.12.2000 n. 445, nonché dell’art. 127, comma 1, lett. d), del d.P.R. 10.1.1957 n. 3, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».
2.1. Con questo motivo la ricorrente ripropone la qualificazione del recesso in termini di dichiarazione di decadenza, il che consentirebbe di escludere la violazione del termine di durata massima del procedimento disciplinare che, invece, è risultata decisiva per l’accoglimento dell’impugnazione del licenziamento.
2.2. II motivo é infondato, perché la decisione della Corte pugliese é conforme al diritto, cosi come più volte affermato anche da questa Corte di legittimità.
Infatti, deve essere qui ribadito il seguente principio di diritto:
«Il determinarsi di falsi documentali (art, 127, lett d, d.P.R. n, 3 del 1957) o dichiarazioni non veritiere (art, 75 d.P.R. n, 445 del 2000) in occasione dell’accesso al pubblico impiego e causa di decadenza, per conseguente nullità del contratto, allorquando tali infedeltà comportino la carenza di un requisito che avrebbe in ogni caso impedito l’instaurazione del rapporto di lavoro con fa P.A. Nelle altre ipotesi, le produzioni o dichiarazioni false effettuate in occasione o ai fini dell’assunzione possono comportare, una volta instaurato il rapporto, il licenziamento, ai sensi dell’art, 55-quater, lett d, in esito al relativo procedimento disciplinare e a condizione che, valutate tutte le circostanze del caso concreto, la misura risulti proporzionata rispetto alla gravità dei comportamenti tenuti» (Cass. n. 18699/2019, alla cui motivazione si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e altre successive conformi, tra cui Cass. nn. 12460/2022; 16785/2023).
3. Rigettato il ricorso, le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000, oltre a spese generali al 15%, € 200 per esborsi e accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3.4.2024.
Il Consigliere estensore
Andrea Zuliani
Il Presidente
Antonio Manna
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2024.