REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Rel. Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9142-2020 proposto da:
(OMISSIS) RICHARD, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’ avvocato LORENZO (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI TORINO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 1406/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 22/08/2019 R.G.N. 1155/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/03/2022 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.
RILEVATO CHE
1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza n. 1406 del 2019, ha confermato l’ordinanza con cui il Tribunale della stessa sede aveva respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria, proposta dal richiedente, cittadino del Ghana.
2. Nella gravata sentenza si legge che il richiedente, in sede di audizione, aveva riferito di avere lasciato il proprio paese ed il figlio piccolo per il timore di essere incarcerato per l’attività di estrazione illegale di oro, che svolgeva, e di essere ucciso dai familiari di un suo amico, deceduto in miniera, i quali nutrivano su di lui il sospetto di avergli fatto un sortilegio; aveva specificato, altresì, di non avere avuto un regolare contratto di lavoro e che la Polizia aveva arrestato, nell’ambito del processo a suo carico, il padre al suo posto, il quale sarebbe rimasto in prigione fino a quando egli non sarebbe tornato.
3. A fondamento della decisione la Corte territoriale ha rilevato la inattendibilità del racconto del richiedente perché contraddittorio e perché privo di riscontri; ha precisato che il Ghana non poteva essere ritenuto paese “insicuro” ai sensi dell’art. 14 lett. c) D.Igs. citato; infine, ha reputato che non era concedibile neanche la protezione umanitaria per la mancanza di condizioni di vulnerabilità oggettive e soggettive.
4. Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo.
5. Il Ministero dell’Interno si è costituito ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO CHE
1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 1 e n. 3 cpc, la violazione e/o erronea applicazione degli artt. 5 co. 6, 19 D.Igs. n. 286/98, in relazione all’art. 10 co. 3 della Costituzione.
Contesta la sintetica motivazione della gravata sentenza, lì dove era stata negata la protezione umanitaria in quanto:
a) nulla ostava al rientro nel proprio paese di origine, non essendo il Ghana interessato da atti di violenza indiscriminata da conflitto armato;
b) non erano state allegate situazioni di vulnerabilità soggettiva nonché elementi idonei a dimostrare una ipotetica integrazione sociale e lavorativa, se non meri corsi scolastici o stage formativi.
2. Il ricorso è fondato.
3. Va preliminarmente sottolineato che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, una volta assolto, da parte del richiedente asilo, il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale che evidenzi aspetti contraddittori idonei a metterne in discussione la credibilità, poiché è finalizzato al necessario chiarimento di realtà e vicende che presentano una peculiare diversità rispetto a quelle di altri Paesi e che, solo attraverso informazioni acquisite da fonti affidabili, riescono a dare una logica spiegazione alla narrazione (Cass. n. 24010/2020).
4. Inoltre, deve specificarsi che, ai fini del riconoscimento della misura della protezione sussidiaria, il grave danno alla persona, ai sensi dell’art. 14, lett. b), del d.lgs. n. 251 del 2007, può essere determinato dalla sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti con riferimento alle condizioni carcerarie e, al riguardo, il giudice è tenuto a fare uso del potere-dovere d’indagine previsto dall’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008, che impone di procedere officiosamente all’integrazione istruttoria necessaria al fine di ottenere informazioni precise sull’attuale condizione generale e specifica del Paese di origine (Cass. n. 16411/2019).
5. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale, sebbene abbia evidenziato che la causa dell’allontanamento del richiedente avrebbe potuto essere indicata nel solo rischio di essere sottoposto a regime di detenzione in carcere (per l’attività illegale di estrazione di oro), non risulta però avere svolto, in osservanza del suddetto dovere di cooperazione istruttoria, alcuna indagine specifica sullo stato del sistema giudiziario e carcerario del Paese di provenienza del richiedente nonché sulle condizioni degradanti cui sono sottoposti coloro che svolgono l’attività di minatore illegale (“galamseyer”): ciò a prescindere dai dubbi nutriti sulla veridicità della circostanza che il padre fosse stato arrestato, o meno, al posto suo.
6. L’accertamento del rischio di sottoposizione alla pena di morte o quello di subire trattamenti inumani o degradanti nelle carceri non può essere, infatti, ignorato dal giudice nazionale (cfr. Cass. 20.9.2013 n. 21667) in conformità con la consolidata giurisprudenza della Corte EDU, secondo la quale l’eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il paese di appartenenza può costituire violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, quando non vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel Paese trattamenti contrari proprio all’art. 3 della Convenzione, essendo irrilevante il tipo di reato di cui è ritenuto responsabile il soggetto da espellere, poiché dal carattere assoluto del principio affermato dal citato art. 3 deriva l’impossibilità di operare un bilanciamento tra il rischio di maltrattamenti ed il motivo invocato per l’espulsione (per tutte Corte CEDU sent. 28.2.2008 e Cass. 22.2.2019 n. 5358).
7. La suddetta questione può rilevare anche sotto l’aspetto della protezione umanitaria la quale, infatti, quale prevista dall’art. 5 co. 6 del Dlgs. n. 286 (applicabile ratione tempons: Cass. Sez. Un. 13.11.2019 n. 29460), è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuarsi caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione o debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 32044 del 2018; Cass. n. 23604 del 2017).
8. La Corte di merito avrebbe dovuto procedere, pertanto, avvalendosi dei propri poteri di accertamento di ufficio, alla verifica, oltre che della sicurezza socio-politica, anche dello stato del sistema giudiziario e carcerario presente in Ghana.
9. In conclusione, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione che, attenendosi ai principi sopra esposti, procederà all’ulteriore esame del merito della controversia, provvedendo, altresì, anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 29 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2022.