(Corte di Cassazione penale, sez. I, sentenza 22.06.2010, n. 23869)
Fatto
1. Con la decisione in epigrafe il Tribunale di Siena dichiarava non doversi procedere nei confronti di A. B. in ordine al reato di cui all’art. 671 c.p. perché il fatto «non costituisce più reato».
La contestazione aveva riguardo all’impiego della figlia, di cinque anni, nell’accattonaggio ed era stato accertato il ****.
A ragione della decisione il Tribunale osservava che la contravvenzione era stata abrogata dall’art. 3 comma 19 del «nuovo decreto sicurezza del 2009».
2. Proponeva appello il Pubblico ministero, chiedendo l’annullamento della sentenza denunziando violazione di legge.
Evidenziava che la legge 15 luglio 2009 n. 94 aveva trasformato la fattispecie in delitto, introducendo l’art. 600-octies c.p. che punisce la medesima condotta già prevista dall’art. 671 c.p. con la reclusione, e solo formalmente abrogando, nel contempo, la fattispecie contravvenzionale.
3. Con ordinanza 7.1.2010 la Corte d’appello di Firenze rilevava che la sentenza impugnata era da considerare predibattimentale e qualificata l’impugnazione come ricorso avverso sentenza pronunziata ai sensi dell’art. 469 c.p.p., trasmetteva gli atti a questa Corte.
Diritto
1. Osserva il Collegio che la qualificazione della sentenza ai sensi dell’art. 469 c.p. appare corretta, giacché la stessa appare pronunziata nella fase degli atti preliminari e prima che fosse aperto, sia formalmente sia nella sostanza, il dibattimento (cfr. S.U. sent n. 3027 del 19/12/2001, Angelucci; nonché, tra molte, Sez. 6, sent. n. 23466 del 16/05/2001, Marchetto, ivi richiamata).
Né rileva che il Tribunale abbia intestato la sentenza all’art. 129 c.p.p., poiché la facoltà di pronunziare a norma di tale disposizione non gli era, in quel momento, riconosciuta.
Come affermato in relazione a situazione analoga all’attuale (sentenza emessa in pubblica udienza, ma prima della dichiarazione di apertura del dibattimento) dalla sentenza delle Sezioni Unite prima citata, il riferimento ad “ogni stato e grado del processo”, contenuto nell’art. 129 c.p.p., deve essere infatti inteso in relazione al giudizio in senso tecnico, in cui s’è instaurata «la piena dialettica processuale tra le parti», e cioè il contraddittorio: cui inerisce innanzitutto il diritto di quelle di selezionare le fonti di prova delle quali chiedere l’ammissione, da assumere nel corso della istruzione dibattimentale (Sez. 6, Marchetto, citata; Sez. 5, Sentenza n. 12980 del 27/10/1999, Mahlknecht).
Sicché, dovendo la regola generale dell’art. 129 c.p.p. essere correlata con quella dell’art. 469 c.p.p. (altrimenti superflua) essa non può trovare applicazione nella fase degli atti introduttivi.
E il principio è ribadito da S.U. sent. n. 12283 del 2005, De Rosa, che, richiamando C. cost. n. 91 del 1992, ha in linea generale ricordato come l’immediatezza del proscioglimento ex art. 129 c.p.p., enunciata peraltro solamente in rubrica, «non denuncia una connotazione di “tempestività temporale” assoluta», ma deve «saldarsi con le specificità della sede processuale» in cui si iscrive e non può, di conseguenza, né deve «penalizzare il contraddittorio» che non è solo metodo di formazione della prova, ma insopprimibile «diritto delle parti all’ascolto».
La sentenza impugnata deve pertanto ritenersi assoggettata al regime dell’art. 469 c.p.p., che consente di dichiarare prima dell’apertura del dibattimento, e se non vi è opposizione di alcuna delle parti, soltanto l’improcedibilità dell’azione penale o l’estinzione del reato (cfr. le più volte citate S.U. Angelucci e Sez. 6, sent. n. 23466 del 2001, Marchetto).
2. Deve di conseguenza rilevarsi che la sentenza in esame, del tutto irritualmente ha prosciolto in predibattimento l’imputata perché il fatto «non è più previsto dalla legge come reato». La non corrispondenza alla fattispecie concreta di una fattispecie astratta, perché mai prevista o perché abrogata, è causa di proscioglimento nel merito e non è riconducibile al novero delle pronunzie a contenuto processuale richiamate dall’art. 129 comma 1, cui esclusivamente si riferisce l’art. 469 c.p.p.
E tanto già basterebbe ad imporre l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Ciò detto, il ricorso appare anche fondato nel merito.
L’art. 3 comma 19 della legge n. 94 del 2009 ha introdotto, con la lettera a), nel codice penale l’art. 600-octies che punisce con la reclusione fino a tre anni «chiunque si avvale per mendicare di una persona minore degli anni quattordici, o comunque non imputabile, ovvero permette che tale persona, ove sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, mendichi, o che altri se ne avvalga per mendicare»; contemporaneamente, con la lettera d), ha previsto: « l’articolo 671 è abrogato».
Rispetto all’art. 671 c.p., la novella ha ampliato l’ambito dei soggetti incriminabili e ha aggravato la sanzione, ma continua pur sempre a prevedere la punizione, sebbene ora a titolo di delitto, della condotta già prevista dall’art. 671 c.p. e contestata all’imputata quale genitore che s’avvaleva della figlia minore per medicare.
Con riferimento alla fattispecie prima contravvenzionale si versa dunque in ipotesi di successione di leggi nel tempo e la condotta contestata mantiene rilievo penale, dovendo soltanto farsi applicazione degli artt. 25 Cost. e 2 c.p. con riguardo alla pena applicabile in ragione del tempo del commesso reato.
3. Il proscioglimento dell’imputata perché «il fatto non è più previsto come reato» è dunque sotto ogni aspetto errato.
La sentenza impugnata deve per l’effetto essere annullata senza rinvio e gli atti vanno restituiti al Tribunale di Siena per il giudizio di merito.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Siena per il giudizio.