In caso di morte del compagno, l’appartamento non va agli eredi se il contratto di comodato non è precario ma finalizzato ai bisogni abitativi della comodataria (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 24 aprile 2023, n. 10895).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1080/2019 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS);

-ricorrenti –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS);

-controricorrente –

avverso la sentenza n. 668/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/02/2023 dal dott. CRICENTI GIUSEPPE.

Premesso in fatto che:

1.- (OMISSIS) (OMISSIS) con un atto del 4 marzo 1998, ha concesso in comodato a (OMISSIS) (OMISSIS) un immobile di sua proprietà sito in (OMISSIS).

Il 13 settembre del 2015 (OMISSIS) (OMISSIS) è deceduto e gli sono succeduti come eredi, oltre alla moglie (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) i due figli (OMISSIS) e (OMISSIS).

Questi ultimi, con una lettera raccomandata del 12.1.2016, hanno intimato alla (OMISSIS) la restituzione dell’immobile, ritenendo che il comodato che il loro dante causa aveva stipulato con costei fosse di natura precaria, e dunque risolvibile per volontà del comodante o dei suoi danti causa.

La (OMISSIS) si è costituita in giudizio ed ha eccepito che il comodato era finalizzato a soddisfare un suo bisogno abitativo e dunque non poteva ritenersi precario, ma aveva la durata del bisogno per il quale era stipulato, e che dunque gli eredi del comodante non potevano risolverlo a loro discrezione, ma dovevano rispettare la finalità cui il contratto era destinato.

2.- La tesi della (OMISSIS) ha trovato accoglimento sia in primo grado, presso il Tribunale di Lucca, che ha rigettato la richiesta di restituzione, sia in secondo grado, da parte della Corte di Appello di Firenze.

3.- Ora gli eredi del comodante ricorrono per Cassazione con sette motivi e memoria, di cui chiede il rigetto (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) con controricorso.

Considerato in diritto che:

4.- La decisione impugnata ha la seguente ratio: è emerso che v’era tra il comodante e la comodataria una relazione sentimentale; che proprio in ragione di tale relazione il (OMISSIS) aveva offerto la disponibilità del bene alla signora (OMISSIS) che dunque, da un complesso di elementi emersi in giudizio, il contratto di comodato va inteso, conformemente alla volontà delle parti, non come precario, ma finalizzato ai bisogni abitativi della comodataria e dunque di durata corrispondente a tali bisogni.

Questa ratio è censurata con sette motivi.

5.- Il primo motivo denuncia la violazione degli articoli 416 c.p.c. e 1809 e 1810 c.c.

La tesi è la seguente.

La comodataria, alla richiesta di restituzione del bene e risoluzione del comodato, ha eccepito che il contratto non aveva natura precaria, ma, essendo destinato a soddisfare il suo bisogno abitativo, aveva la durata di tale bisogno, e dunque lei aveva diritto al godimento del bene fino a che quel bisogno fosse durato.

Secondo i ricorrenti questa eccezione ha la natura di una eccezione in senso stretto e come tale andava proposta in termini.

Invece, la resistente si è costituita in giudizio tardivamente: le cause di risoluzione del comodato seguono il rito lavoro-locatizio, con la conseguenza della necessità di costituzione almeno 10 giorni prima della udienza: la ricorrente si è costituita invece il giorno stesso della udienza, con la conseguenza che la sua eccezione, in quanto tardiva, non poteva essere presa in considerazione.

A sostegno di tale argomento i ricorrenti adducono che la comodataria avrebbe allegato un preciso fatto estintivo del loro diritto alla restituzione del bene, quello consistente nella sua destinazione alle proprie esigenze abitative, e ciò caratterizzava la sua difesa come una eccezione in senso stretto.

Il motivo è infondato.

I ricorrenti citano la definizione che di “eccezione” ha dato questa Corte, nella decisione a Sezioni unite n. 2951 del 2016, in termini di contrapposizione di “fatti” che privano di efficacia quelli costitutivi del diritto fatto valere in giudizio.

Proprio applicando questa definizione i giudici di merito hanno correttamente escluso che, nel caso di specie, si sia trattato di una eccezione: la comodataria infatti non ha allegato alcun fatto, ma ha soltanto proposto una interpretazione diversa del contratto. Allegare un fatto vuol dire addurre una circostanza storica precisa, e diversa da quella fatta valere dalla controparte.

Non costituisce “fatto”, di converso, la ricostruzione della finalità del contratto, ossia l’interpretazione di quale sia il suo scopo pratico: opporre, a chi assume che il comodato è precario, che invece deve intendersi di durata, ossia come finalizzato ai bisogni abitativi del comodatario e come tale avente la durata di quei bisogni, non significa allegare un fatto, ma piuttosto attribuire al contratto una natura, in ragione del suo scopo, diversa da quella attribuitagli dalla controparte.

Significa, in altri termini, proporre una diversa ricostruzione della volontà delle parti.

6.- Secondo, terzo e quarto motivo pongono una questione comune.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli articoli 116, 117, 420 447 bis cpc. La tesi dei ricorrenti è che uno dei presupposti di fatto, o meglio uno degli indizi, da cui è stata ricavata la finalità del contratto è costituito dalla esistenza di una relazione sentimentale tra comodante e comodataria. Questa relazione è stata ricavata dalla Corte di Appello, e prima ancora dal Tribunale, dall’interrogatorio libero di uno dei ricorrenti, il figlio del comodante.

Secondo i ricorrenti, la sola dichiarazione resa nel corso di un interrogatorio libero non è di per sé sufficiente a fondare una decisione: può costituire argomento di prova, ma non prova da sola sufficiente.

Con il terzo motivo, che denuncia la violazione dell’articolo 132 c.p.c., si sostiene che, peraltro, la Corte non ha neanche motivato adeguatamente le ragioni per le quali ha dato credito all’interrogatorio libero, o meglio, lo ha ritenuto cosi decisivo da fondarvi la prova della preesistente relazione sentimentale.

Infine, con il quarto motivo, che denuncia la violazione degli articoli 116 c.p.c. e 2697 c.c. si afferma che la decisione della Corte di Appello di ritenere accertata la relazione sentimentale tra comodante e comodatario è stata presa senza tenere in considerazione che l’esistenza di quella relazione era stata ampiamente e puntualmente contestata dai ricorrenti, e che quindi, in presenza di una tale contestazione, non poteva essere assunta come prova la mera dichiarazione resa in un interrogatorio libero.

Questi motivi, che come si è visto, pongono una questione comune, possono considerarsi insieme e sono infondati.

Intanto è principio di diritto che “la natura giuridica non confessoria dell’interrogatorio libero non incide sulla sua libera valutazione da parte del giudice, che può legittimamente trarre dalle dichiarazioni rese dalla parte in tale sede un convincimento contrario all’interesse della medesima ed utilizzare tali dichiarazioni quale unica fonte di prova”. (Cass. 20736/2014; Cass. 8066/2009).

Inoltre, come risulta chiaramente dalla sentenza (p. 6-7), l’esistenza di una relazione sentimentale non è stata l’unica circostanza su cui i giudici di merito hanno basato la convinzione che il contratto mirava a soddisfare una esigenza abitativa, in quanto menzionano tra gli altri elementi anche la data della stipulazione e la circostanza che la comodataria abitava l’immobile già da tempo quando il contratto si è perfezionato, ed infine il fatto che v’era una clausola che ne consentiva l’uso anche al comodante.

Il che significa che, da un lato, pur potendo comunque farlo, i giudici d’appello non hanno utilizzato l’interrogatorio libero come unica prova e, per altro verso, che non v’era ragione di motivare il perché di una circostanza inesistente – di aver fatto, cioè, ricorso all’interrogatorio come prova unica.

Ne deriva altresì l’infondatezza del quarto motivo: pur contestata che fosse la relazione, ed a prescindere dall’uso che si è fatto dell’interrogatorio libero, non è stata quella la circostanza decisiva. La Corte ha tratto il proprio convincimento da un complesso di circostanze, la cui valutazione è rimessa alla sua discrezionalità, trattandosi dell’apprezzamento di elementi di prova o di indizi.

7.- Il quinto motivo denuncia la violazione degli articoli 101 e 359 c.p.c.

Secondo i ricorrenti, la circostanza che le parti hanno impresso all’immobile un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari era una circostanza rilevata d’ufficio, sulla quale andava provocato il contraddittorio delle parti, che invece la Corte ha eluso.

Il motivo è infondato.

La circostanza, come emerge chiaramente, era stata introdotta quale difesa dalla convenuta: si ricorderà che al primo motivo si è discusso se fosse oggetto di una eccezione in senso stretto.

Appurato che non lo era, e che si trattava di una difesa svolta dalla convenuta, non andava di certo provocato il contraddittorio, che era già nelle cose, come rispetto ad ogni argomento difensivo della controparte: esso stimola la replica di per sé.

Del resto, se anche fosse una eccezione in senso stretto, non basterebbe a sanarne l’inammissibilità – per tardività – la sua rilevazione d’ufficio previo stimolo del contraddittorio.

8.- Il sesto motivo denuncia la violazione dell’articolo 132 c.p.c.

Secondo i ricorrenti, la Corte di Appello è incorsa in contraddizione insanabile nel momento in cui, da un lato, ha ritenuto che l’immobile fosse destinato ai bisogni della famiglia, dall’altro a quelli della comodataria.

Il motivo è infondato.

La differenza, posto che esista – dal momento che, dopo la morte del comodante, la “famiglia” si è ridotta alla comodataria superstite – non incide sulla interpretazione dello scopo del contratto, che rimane pur sempre quello di un atto non già di durata precaria, bensì di durata coincidente con il bisogno da soddisfare, del solo comodatario o di entrambe le parti, e dunque anche del comodatario.

9.- Infine, l’ultimo motivo, il settimo, censura la decisione impugnata per violazione dell’articolo 1362 c.c.

Secondo i ricorrenti, la Corte avrebbe interpretato il contratto tradendo il senso letterale delle clausole.

In particolare, avrebbe fatto leva sulla clausola secondo cui il concedente si riservava la possibilità di utilizzare il bene, e su quella secondo cui era inibito ad entrambi, ed in particolare al comodatario, di concederne il godimento a terzi. Invece, a parere dei ricorrenti, nessuna di queste due clausole, se letteralmente intese, autorizzava l’interpretazione fatta propria dalla Corte.

La violazione del criterio letterale starebbe poi anche nel fatto che la previsione della destinazione ai bisogni della famiglia dovrebbe essere prevista dalle parti, trattandosi di pattuizione accessoria, ed invece è stata inserita nel contratto per via interpretativa dai giudici.

Il motivo è infondato.

La Corte di merito non ha fatto leva sulla sola interpretazione letterale, per come si è avuto modo di mettere in evidenza, ma ha basato il suo accertamento sulla interpretazione del complesso delle clausole contrattuali, lette unitamente ad alcuni elementi esterni alla convenzione negoziale, quali la relazione sentimentale tra le parti e la circostanza che l’immobile fosse già da tempo usato dalla comodataria al momento della stipula del contratto.

A prescindere da ciò – ma è circostanza dirimente – non si può di certo sostenere che l’interpretazione della volontà delle parti (se abbiano voluto o meno destinare il bene al bisogno abitativo) debba essere esplicita e che, in mancanza di patto esplicito, tale volontà non possa ricavarsi dall’insieme delle condizioni contrattuali e degli elementi di fatto a riscontro, senza con ciò violare il canone della interpretazione letterale – che, peraltro, è quello di elezione, ma non l’unico che il giudice è tenuto ad adottare (da ultimo, Cass. 33451/ 2021).

Né può sottacersi, infine, la insanabile carenza argomentativa del motivo in esame, dalla lettura del quale non è dato evincere il perché una interpretazione letterale di quelle due clausole avrebbe comportato una opposta decisione: che il comodante si riservi a sua volta l’uso (congiunto) del bene non significa che tale uso venga poi precluso, ipso facto, al comodatario, ma anzi è previsione compatibile con il comune utilizzo di una coppia di fatto; per altro verso, poi, che ci si impegni ad escludere il godimento di terzi significa solo imporre un divieto di sub godimento, ed anzi, ciò ribadisce che il bene è concesso in godimento non già per farne libero uso, ma per usarlo per i propri bisogni abitativi, volta che la concessione a terzi implicherebbe, viceversa, un evidente difetto di quei bisogni.

10.- Il ricorso va pertanto rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite nella misura di 2850,00 euro, oltre 200,00 euro di spese generali.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Roma, lì 23/02/2023.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.