In materia di armi: il porto per uso sportivo non legittima il suo utilizzo per scopi differenti (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 28 giugno 2019, n. 28320).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente

Dott. SCARLINI Enrico V.S. – Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Rel. Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) ANTONINO nato a PALERMO il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 02/05/2018 della CORTE APPELLO di PALERMO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe DE MARZO;

udito il Procuratore Generale, in persona della Dott. Perla Lori, la quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 02/05/2018 la Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione di primo grado, quanto alla affermazione di responsabilità di Antonino (OMISSIS), in relazione ai reati di cui agli artt. 582, 583, primo comma, n. 1 e 2, 585, 577, n. 4, cod. pen. (capo A), 12 e 14 I. n. 497 del 1974, 61, n. 1, cod. pen. (capo B), 13 I. 497 del 1974, 61, n. 1 cod. pen. (capo C), provvedendo a rideterminare la pena in senso migliorativo per l’imputato.

2. Nell’interesse di quest’ultimo è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi.

2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al reato di cui al capo B), richiamando l’orientamento giurisprudenziale alla stregua del quale l’autorizzazione al porto di fucile per l’esercizio della caccia rende legittimo il porto dell’arma anche se strumentale a finalità diverse, persino illecite.

2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, giustificato da una valutazione di pericolosità contraddetta sia dall’assenza di precedenti penali – che aveva condotto alla riduzione della pena – sia dal fatto che la condotta del (OMISSIS) aveva fatto seguito, come reazione istintiva, a un pestaggio sofferto.

2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla determinazione della pena.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Ritiene il Collegio di dare continuità all’orientamento di recente espresso da Sez. 1, n. 44419 del 01/10/2015 – dep. 20/10/2016, Mongiardo, Rv. 268259, secondo la quale l’autorizzazione al porto di un’arma per un uso sportivo non rende legittimo il porto della stessa ove effettuato per finalità diverse da quella consentita dal provvedimento amministrativo.

Tale decisione muove dalla condivisa premessa che il nostro ordinamento non riconosce come diritto soggettivo pubblico la possibilità per il cittadino di portare un’arma da fuoco fuori dalla propria abitazione.

Al contrario, il porto delle armi – in difetto dello specifico provvedimento della Autorità della Pubblica Sicurezza che, ai sensi dell’art. 42, r.d. 18/06/1931, n. 773, lo consenta – è in generale affatto vietato e costituisce condotta illecita. In tale prospettiva può, quindi, affermarsi che è proprio il rilascio della licenza il fatto costitutivo del “diritto”, per il suo titolare, di portare fuori dalla propria abitazione un’arma.

La disciplina nazionale in materia di porto e trasporto di armi comuni da sparo, infatti, consente di rilasciare la licenza di porto d’arma solo per scopi di difesa personale, per il tiro a volo (uso sportivo) e per le altre attività previste dalla legge n. 157 del 1992.

In particolare, l’art. 42 del r.d. n. 773 del 1931 e gli artt. 61 e seguenti del r.d. 06/05/1940, n. 635, recante l’approvazione del regolamento per l’esecuzione del t.u.l.p.s. disciplinano la licenza di porto d’armi per esigenze di difesa personale; la legge 25/03/1986, n. 85, recante norme in materia di armi per uso sportivo, regolamenta l’uso di armi per tale finalità; infine, è la I. 11/02/1992, n. 157 disciplina la licenza di porto d’arma per uso di caccia.

Il rigore e il significato di siffatta regolamentazione sono stati riconosciuti anche dalla giurisprudenza amministrativa. Come anche di recente ribadito dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. III, 22/08/2018, n. 5015), in coerenza con la propria costante giurisprudenza, la regola generale è il divieto di detenzione delle armi; pertanto, l’autorizzazione a detenere armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, ma assume contenuto di permesso concessorio in deroga al divieto di portare armi sancito dall’art. 699 cod. pen. e dall’art. 4 comma 1, I. 18/04/1975 n. 110 (cui sì possono aggiungere gli artt. 12 e 14, I. 497 del 1974).

Da tali premesse discende che la cd. autorizzazione di polizia rimuove, solo in via di eccezione, tale divieto in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’autorità di pubblica sicurezza prevenire e che spetta al prudente apprezzamento di detta Autorità di pubblica sicurezza l’individuazione della soglia di emersione delle ragioni impeditive della detenzione degli strumenti di offesa.

Pertanto, l’affermazione secondo cui sarebbero penalmente irrilevanti le finalità per le quali il titolare della licenza porta l’arma fuori dalla propria abitazione (v., per tale considerazione (Sez. 3, n. 14749 del 20/01/2016, Mereu, Rv. 266391; Sez. 1, n. 8838 del 08/01/2010, Curridori, Rv. 246379; Sez. 1, n. 19771 del 24/04/2008, Franchina, Rv. 240376) non è condivisibile, in quanto non si tratta di dare rilievo alle motivazioni interiori dell’autore della condotta, ma di valutare se quest’ultima sia o non consentita dal provvedimento concessorio che la permette. In difetto di siffatta corrispondenza, il porto d’armi deve ritenersi, in conformità alla indicata regola generale, vietato.

2. Il secondo motivo è inammissibile.

La motivazione della Corte d’appello non è fondata sulla pericolosità dell’imputato, ma sull’assenza di elementi positivamente valutabili, in relazione alle modalità della condotta, razionalmente giudicata come grave. L’assenza di precedenti ha svolto un ruolo come elemento di mitigazione della pena e, a tali effetti, è stato preso in esame nella sua efficacia di ridimensionamento del complessivo disvalore di un fatto, si ripete considerato dai giudici di merito come grave.

3. Inammissibile è anche il terzo motivo, dal momento che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre.

4. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 12/04/2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019.

SENTENZA – copia non ufficiale –