In materia di falso ideologico in atto pubblico (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 25 ottobre 2018, n. 48898).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 22/06/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa ANTONIETTA PICARDI che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio limitatamente al riconoscimento dell’articolo 131 bis.

udito il difensore, l’avvocato (OMISSIS), che chiede l’accoglimento del ricorso presentato.

RITENUTO IN FATTO

1. E’ impugnata la sentenza del 22 giugno 2017 con la quale la Corte di appello di Milano, decidendo il gravame presentato da (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Milano in data 22 novembre 2016, che l’aveva condannato per il delitto di falso ideologico commesso dal privato in dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorieta’, ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 483 cod. pen. e Decreto Legislativo n. 445 del 1990, articolo 76, consumato in (OMISSIS), ha integralmente confermato la pronuncia del primo giudice.

2. Con il ricorso per cassazione la difesa dell’imputato deduce tre motivi enunciati nei limiti indicati dall’articolo 173 disp. att. cod. proc. pen.:

2.1. con il primo denuncia il vizio di violazione di legge in relazione all’articolo 483 cod. pen. avendo errato la Corte territoriale nel non riconoscere che il comportamento tenuto dall’imputato, integrativo sotto il profilo materiale del delitto contestatogli, era stato, invero, connotato da buona fede, essendo stato il dichiarante tratto in inganno dall’assenza di annotazioni pregiudizievoli contenute nel certificato del casellario rilasciato ad uso del privato e, comunque, essendo indicativa dello stato soggettivo che l’aveva animata, la dismissione di ogni incarico direttivo all’interno della compagine societaria (la (OMISSIS) Srl. a favore della quale era stata resa la dichiarazione);

2.2. il vizio di motivazione, avendo il giudice censurato omesso di esaminare la richiesta di applicazione della causa di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto ex articolo 131-bis cod. pen. formulata dall’imputato, il quale ben avrebbe potuto beneficiare dell’istituto in esame sussistendone i presupposti;

2.3. il vizio di motivazione con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, dovendosi escludere il rilievo dei precedenti dell’imputato per effetto dell’ottenuta riabilitazione e non potendosi qualificare il comportamento tenuto come abituale o professionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.

1.1. Non coglie nel segno la censura che si dirige sull’elemento soggettivo del reato, del quale il ricorrente deduce la mancanza per essere egli incorso in errore sul fatto a causa dell’assenza di annotazioni pregiudizievoli sul certificato del casellario giudiziale rilasciato ad uso dei privati.

La motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale non si presta, infatti, a rilievi di sorta, atteso che, secondo l’interpretazione consolidata resa dalla giurisprudenza di legittimita’, in tema di falsita’ ideologica in atto pubblico, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo e’ sufficiente il dolo generico, ossia la volontarieta’ e la consapevolezza della falsa attestazione (Sez. 5, n. 35548 del 21/05/2013, Ferraiuolo e altro, Rv. 257040).

Poiche’ nel caso al vaglio il contenuto della dichiarazione richiesta ai partecipanti alla gara di appalto era analiticamente scandito, quanto alla descrizione dei reati per i quali l’interessato non doveva essere stato condannato, neppure con sentenza pronunciata si sensi dell’articolo 444 cod. pen. e recante il beneficio della non menzione, tanto obbligava il ricorrente a dichiarare il vero: cio’ a maggior ragione perche’ questi era dotato di sufficienti strumenti culturali per comprenderne il tenore e, in ogni caso, prima di rendere l’attestazione di cui alla contestazione, avrebbe dovuto verificare se le condanne riportate – delle quali egli era del tutto consapevole avendo presentato istanza di riabilitazione – fossero o meno tra quelle elencate nella clausola del bando.

2. Del pari destituita di fondamento e’ la doglianza con la quale si stigmatizza l’assenza di motivazione in punto di richiesta di applicazione dell’istituto di cui all’articolo 131-bis cod. pen. .

Giova ribadire che questa Corte si e’ gia’ condivisibilmente espressa nel senso di ritenere che l’assenza dei presupposti per l’applicabilita’ della causa di non punibilita’ per la particolare tenuita’ del fatto puo’ essere rilevata anche con motivazione implicita (Sez. 5, n. 24780 del 08/03/2017, Tempera, Rv. 270033; Sez. 3, n. 48317 del 11/10/2016, Scopazzo, Rv. 268499).

Deve, infatti, ravvisarsi, nel passaggio della motivazione della sentenza in cui la Corte di appello ha ritenuto che il ricorrente avesse addirittura approfittato della circostanza che le risultanze del certificato del casellario giudiziale tacessero delle condanne subite per i delitti di bancarotta fraudolenta continuata e per il delitto di corruzione in concorso per atto contrario ai doveri dell’ufficio – confidando nel fatto che, a causa di cio’, gli eventuali controlli attivati dalla stazione appaltante a seguito della dichiarazioni resa non avrebbero sortito alcun effetto -, un’implicita esclusione della particolare tenuita’ del fatto in ragione delle peculiari modalita’ della condotta, caratterizzata dalla fraudolenza del silenzio serbato.

3. Il rilievo che deduce la preterizione della disamina del motivo di appello riguardante la concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza non tiene conto dell’insegnamento costantemente impartito da questa cattedra nomofilattica secondo cui la nozione di mancanza di motivazione, di cui all’articolo 606 cod. proc. pen., comma 1, lettera e), si riferisce all’assenza dei necessari passaggi e delle argomentazioni indispensabili al fine di rendere l’intero iter logico seguito comprensibile, verificabile da parte del giudice sovraordinato e completo in ordine alle risposte da dare alle istanze rilevanti e pertinenti avanzate dall’interessato, con la conseguenza che, ove la sentenza dia, comunque, contezza adeguata del percorso logico seguito dal giudice e possa desumersi dal documento che le questioni devolute siano state in concreto esaminate, la censura articolata sul punto si sottrae ad ogni conseguenza sanzionatoria (Sez. 4, n. 6499 del 21/04/1994, Massetti, Rv. 198050).

Dalla regula iuris enunciata deriva, quindi, la legittimita’ della statuizione negatoria adottata sul punto, dovendosi la stessa ritenere efficacemente sorretta dalle argomentazioni complessivamente sviluppate in ordine alle modalita’ decettive della condotta, ritenute, con valutazione insindacabile in questa sede, quali elementi fattuali preponderanti ai fini dell’esclusione di un piu’ mite trattamento sanzionatorio (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163).

4. Alla stregua delle spiegate ragioni, la decisione impugnata resiste alle deduzioni del ricorrente, che, quindi, devono essere rigettate con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.