REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da:
VITO DI NICOLA – Presidente –
PAOLA MASI
DOMENICO FIORDALISI
FILIPPO CASA
FRANCESCO ALIFFI – Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 14/02/2023 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCO ALIFFI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa MARIA FRANCESCA LOY, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata nel preambolo la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia con cui ii Tribunale aveva dichiarato (OMISSIS) (OMISSIS) colpevole del reato di cui all’art. 22 d.lgs., 25 luglio 1998, n. 286 per avere data lavoro a due cittadini clandestini, (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS).
2. Ricorre (OMISSIS) per ii tramite del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS) (OMISSIS) articolando un unico motivo con cui deduce errata, applicazione della norma incriminatrice.
Evidenzia che i giudici del merito, discostandosi dai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, hanno affermato la penale responsabilità dell’imputato nonostante sia rimasto accertato che lo stesso, contrariamente a quanta previsto dalla fattispecie incriminatrice contestata che configura un reato proprio, non era ii datore di lavoro dei soggetti privi di permesso di soggiorno, ma, come si evince dalle risultanze dell’attività di intercettazione e dalla puntuali dichiarazioni rese dal testimone (OMISSIS) (OMISSIS) un semplice dipendente con mansioni di autista regolarmente assunto da altro soggetto giudicato separatamente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unica censura dedotta é infondata sicché il ricorso deve essere rigettato.
1. La fattispecie prevista dall’art. 22, comma 12, del d.lgs., 25 luglio 1998, n. 286 é un reato proprio, che può essere commesso solo dal datore di lavoro, cosicché di esso non può rispondere un committente di opere affidate ad una persona che, a sua volta, ingaggia il lavoratore extracomunitario (Sez. 4, n. 31288 del 16/04/2013, Mangione, Rv. 255897).
L’assunzione o l’ingaggio ad opera di terze persone non può fungere da “schermo” per porre il datore di lavoro a riparo da ogni responsabilità e ciò perché la fattispecie descrive la condotta illecita come quella di “occupare alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno” e, quindi, non pretende affatto – per l’integrazione del delitto – che il datore di lavoro abbia personalmente assunto o ingaggiato lo straniero irregolare; cosicché risponde del reato di occupazione di lavoratori dipendenti stranieri privi del permesso di soggiorno non soltanto colui che precede all’assunzione di detti lavoratori, ma anche colui che, pur non avendo provveduto direttamente all’assunzione, se ne avvalga tenendoli alle sue dipendenze (Sez. 1, 25615 del 18/05/2011 – dep. 27/06/2011, fragasso, Rv. 250687).
2. La sentenza impugnata non si é discostata dalla corretta interpretazione della norma incriminatrice.
Ha, infatti, attribuito, la qualifica di datore di lavoro all’imputato dando per accertato – sulla scorta delle dichiarazioni rese da uno dei cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno e di quanta affermato dal testimone di polizia giudiziaria (OMISSIS) la cui deposizione non e stata ignorata o travisata – che lo stesso, pur essendo contrattualmente obbligato all’esecuzione di un contratto di appalto in favore di un altro soggetto committente (OMISSIS) (OMISSIS) avente ad oggetto la distribuzione di volantini pubblicitari, nei rapporti con i soggetti irregolarmente presenti nel territorio nazionale, (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) incaricati della materiale esecuzione del servizio, aveva sempre operate in piena autonomia, al pari di un appaltatore (pag. 4).
Dopa averli reclutati ed assunti, si era sistematicamente occupato di controllarne la prestazione e di impartire le direttive necessarie alla sua esecuzione ed aveva corrisposto la retribuzione al termine di ogni giornata lavorativa.
In definitiva, la qualifica di datore di lavoro e stata correttamente attribuita a colui che in concreto si e avvalso, in modo diretto, dell’attività lavorativa dei cittadini privi del permesso di soggiorno.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta ii ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma 17 gennaio 2024.
II Consigliere estensore Il Presidente
Francesco Aliffi Vito Di Nicola
Depositato in Cancelleria, oggi 5 marzo 2024.