In materia di richiesta del diritto di cittadinanza, dopo aver subito una condanna in materia di stupefacenti (Consiglio di Stato, Sezione III, Sentenza 21 ottobre 2019, n. 7122).

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale 

Sezione Terza

con l’intervento dei magistrati:

Dott. Paola Alba Aurora Puliatti – Presidente FF, Estensore

Dott. Stefania Santoleri – Consigliere

Dott. Giovanni Pescatore – Consigliere

Dott. Raffaello Sestini – Consigliere

Dott. Solveig Cogliani – Consigliere

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1741 del 2019, proposto dal Sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Br. Na., Ar. Po. e Gi. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Ar. Po. in Roma, via (…);

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS- del 4/5 dicembre 2018, resa tra le parti, concernente il decreto del Ministro dell’interno del 7 agosto 2018 di diniego della cittadinanza italiana, notificato al ricorrente il 28 settembre 2018.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2019 il Consigliere Dott.ssa Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti l’Avvocato Br. Na. e l’Avvocato dello Stato At. Ba.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Il ricorrente, cittadino -OMISSIS-, è titolare di permesso di lungo soggiorno, vive in Italia da oltre venti anni insieme alla -OMISSIS- e alla -OMISSIS-, che ha conseguito nel 2015 la cittadinanza italiana, ha studiato in Italia e lavora con contratto a tempo indeterminato.

Con istanza del 12.12.2014, chiedeva la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9 comma 1, lett. f), della legge n. 91/92.

Nel 2006 era stato condannato per detenzione e cessione di sostanze stupefacenti in concorso, ex art. 73 comma 5 DPR 9.10.1990, n. 309, e nel 2015 il Tribunale di sorveglianza di Milano lo ha riabilitato (ordinanza n. -OMISSIS- del 10-3/ 13-3-2015).

Con decreto del 7 agosto 2018, il Ministero dell’Interno rigettava l’istanza, sul presupposto della inaffidabilità e non compiuta integrazione del ricorrente nella comunità nazionale, desumibile dalla condotta tenuta nel decennio anteriore alla data di presentazione della domanda e, in particolare, dal richiamato precedente penale.

2. – Con ricorso al TAR per il Lazio, sede di Roma, il ricorrente ha impugnato il provvedimento ministeriale.

A sostegno del ricorso ha dedotto vizi di eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione; in particolare, l’istante lamentava che non si sarebbe tenuto conto del provvedimento di riabilitazione del marzo 2015 da parte del Tribunale di Sorveglianza, né della sua integrazione sociale e di quella dei suoi familiari nella comunità italiana.

3.- Con la sentenza in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso per l’amplissima discrezionalità dell’Amministrazione in questo procedimento e ha ritenuto che l’Amministrazione abbia valutato in maniera procedimentalmente corretta e non manifestamente illogica la situazione dell’istante.

Il TAR ha ricordato che le valutazioni finalizzate all’accertamento di una responsabilità penale si pongono su di un piano assolutamente differente ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo e che, nella specie, tale valutazione discrezionale dell’Amministrazione investe il completo inserimento dello straniero nella comunità nazionale.

La detenzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti provoca un forte allarme sociale ed è, pur se non grave con riferimento alla pena edittale, connotato da un particolare disvalore rispetto ai principi fondamentali della convivenza all’interno dello Stato.

Inoltre, secondo il TAR, l’intervenuta riabilitazione non è in grado di scalfire la valutazione operata dall’Amministrazione, che, ad un controllo di legittimità estrinseco e formale, non appare viziata da illogicità e difetto di istruttoria.

4.- Con l’appello in esame, il ricorrente lamenta l’erroneità e ingiustizia della sentenza, e ipotizza il travisamento dei fatti da parte del TAR, che non individua correttamente il ricorrente indicandolo al femminile, attribuendogli plurimi precedenti penali e riferendo la riabilitazione erroneamente al Tribunale di Sorveglianza di Firenze anziché a quello di Milano.

Il ricorrente ripropone i vizi già sollevati in primo grado, secondo cui il provvedimento sarebbe affetto da errore e mancanza di motivazione, posto che, con un illegittimo automatismo, la sola presenza di un precedente penale è stata ritenuta ostativa, nonostante l’intervenuta riabilitazione.

L’Amministrazione non avrebbe svolto alcuna indagine sull’effettiva integrazione del ricorrente nel contesto sociale, né ha considerato che non è riconducibile alcuna pericolosità sociale ad un unico episodio delittuoso, non grave e risalente nel tempo.

Inoltre, non vi è stata valutazione alcuna della situazione familiare del ricorrente.

A suo avviso, il diniego di concedere la cittadinanza sarebbe irragionevole e non proporzionato, contrario al diritto UE che tutela in modo “rafforzato” i lungosoggiornanti: immigrazione e cittadinanza sono connessi ed anche il Parlamento Europeo auspica, in una relazione del 2.4.2009, che gli Stati membri adottino legislazioni nazionali favorevoli alle nuove esigenze di integrazione.

Da ultimo, con memoria del 1° agosto 2019, il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Sezione sulla rilevanza dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, sulla necessita della valutazione in concreto delle circostanze del caso, specie in presenza di un solo precedente penale risalente nel tempo.

Il ricorrente richiama i principi costituzionali fondamentali della dignità e valore della persona e la recente giurisprudenza della Corte di giustizia UE in materia di cittadinanza, sul principio di proporzionalità (sentenza 12.3.2019 causa C-221/17 Tjebbes e sentenza 2.3.2010 causa C-135/08 Rotmann, 55 -58) e sulla tutela della effettività del legame tra lo Stato e i propri cittadini (causa Rotmann, punto 53).

Infine, ricorda le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 2009 che sollecita l’obiettivo di offrire ai cittadini extracomunitari che soggiornano legalmente in maniera prolungata l’opportunità di ottenere la cittadinanza dello Stato membro in cui risiedono.

4. – Resiste in giudizio l’Amministrazione intimata che chiede il rigetto dell’appello.

5.- Alla pubblica udienza del 3 ottobre 2019, la causa è stata decisa.

DIRITTO

1.- L’appello è infondato.

2.- Col primo e secondo motivo il ricorrente lamenta vari errori di fatto e travisamento, la mancata considerazione da parte del primo Giudice della situazione concreta, l’illogicità manifesta.

Il TAR incorrerebbe in una serie di errori, forse non semplicemente materiali, che lasciano ritenere che probabilmente ha giudicato su persona diversa.

Inoltre le motivazioni del rigetto sarebbero carenti ed errate.

Il TAR non avrebbe rilevato che l’Amministrazione non ha svolto alcuna indagine sulla effettiva integrazione del ricorrente nel contesto sociale, ha fondato la decisione, con un illegittimo automatismo, sull’unico precedente penale a suo carico, non ha tenuto conto della intervenuta riabilitazione.

Cita al riguardo la giurisprudenza di questa Sezione che in casi analoghi ha annullato i dinieghi di cittadinanza.

2.1- Il Collegio osserva, innanzitutto, che gli errori nella redazione della sentenza rilevati dall’appellante sono palesemente errori materiali, come si comprende dallo svolgimento delle complessive argomentazioni del giudice, che ha ben chiara la situazione personale del ricorrente nella sostanza dei fatti, l’unicità del precedente penale e il titolo della condanna, così come l’intervenuta riabilitazione.

Sicché deve ritenersi che gli errori individuati non hanno inciso sul contenuto della decisione.

2.2.- Il Collegio condivide le considerazioni svolte dalla sentenza appellata circa l’ampio potere discrezionale di cui gode l’Amministrazione ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della l. 5.2.1992, n. 91, così come ribadisce i limiti, già richiamati dal primo giudice, del controllo giudiziario sull’esercizio della discrezionalità, che non si estende al merito della valutazione compiuta dall’Amministrazione, ma alla logicità e proporzionalità della stessa, alla sufficienza dell’istruttoria svolta, al non travisamento dei fatti (Cons. Stato, Sez. III, 6 settembre 2016, n. 3819; 25 agosto 2016, n. 3696; 11 marzo 2016, n. 1874).

Quanto all’onere motivazionale, la giurisprudenza ha più volte rilevato che il provvedimento di diniego della cittadinanza non deve necessariamente riportare analiticamente le notizie sulla base delle quali si è addivenuti al giudizio di sintesi finale, essendo sufficiente quest’ultimo, anche per comprensibili ragioni di riservatezza delle fonti di informazione (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 6 settembre 2018 n. 5262; Id., 29 maggio 2018, n. 3206).

D’altra parte, si è costantemente sottolineata la delicatezza della valutazione discrezionale che l’Amministrazione è chiamata a compiere ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) cit. nel formulare il giudizio di meritevolezza in relazione alla richiesta di conseguire lo status di cittadino, da cui scaturisce la pienezza del godimento dei diritti civili e politici.

A tal fine, l’Amministrazione è tenuta all’esame scrupoloso delle condizioni personali, economiche e familiari, della condotta e stile di vita dell’interessato, che devono risultare rispettosi delle regole di convivenza civile del nostro ordinamento, a tutela dell’interesse pubblico al corretto e stabile inserimento dello straniero nel tessuto sociale italiano, che non arrechi danno allo stesso.

Pertanto, l’Amministrazione non solo deve tenere conto dei fatti penalmente rilevanti esplicitamente indicati dal legislatore (cfr. art. 6 l. 91/92), ma deve valutare anche l’area della loro prevenzione e, più in generale, della prevenzione di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale (Consiglio di Stato sez. III, 14/05/2019, n. 3121).

2.3.- Tanto premesso, il Collegio ritiene che, nel caso concreto, il Ministero ha legittimamente esercitato il potere discrezionale di cui dispone, assolvendo all’onere di motivazione e senza venir meno ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità nel bilanciamento degli interessi, ritenendo che l’unica condanna subita dal richiedente nel 2006 costituisce indice di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale.

Tale giudizio non è frutto di mero automatismo, come lamenta l’appellante, in quando non difetta la motivazione circa il carattere ostativo della condotta penale e la ritenuta irrilevanza della riabilitazione.

Con riguardo al precedente penale per cessione illecita di sostanze stupefacenti, il Ministero ritiene, infatti, seppure sinteticamente, che “la condotta del richiedente è indice di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale”.

Si tratta di giudizio logicamente condivisibile, come evidenziato dal primo giudice, alla luce delle emergenze sociali che assumono maggiore disvalore e allarme nella nostra comunità nazionale; basti pensare all’automatismo espulsivo che il legislatore fa scaturire per i cittadini extracomunitari dalle condanne in materia di stupefacenti, ex art. 4 D.lgs. 286 del 1998.

2.4. – Più complesso si rivela, invece, il profilo della legittimità del provvedimento impugnato per quanto riguarda la ritenuta irrilevanza dell’intervenuta riabilitazione.

La riabilitazione ai sensi dell’art. 178 c.p., sul presupposto che la pena principale sia stata scontata o altrimenti estinta, estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna.

La ratio della norma è individuata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione nella considerazione che “la riabilitazione, infatti, non può essere considerata fungibile, ai detti fini, con altre cause di estinzione del reato, come quella di cui all’art. 460 c.p.p., dalle quali differisce, secondo la giurisprudenza penale di legittimità, per la peculiarità di presupporre – essa soltanto – l’accertamento di un completo ravvedimento del reo” (così ad es. Cassazione civile, sez. VI, 26/09/2014, n. 20399).

Ai fini della riabilitazione non è sufficiente la mancata commissione di altri reati, come nel caso dell’estinzione, ma occorre l’accertamento del “completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione, e tradotto anche nella eliminazione (ove possibile) delle conseguenze civili del reato” (Cass. Pen. Sez. I, 18 giugno 2009, n. 31089).

Ai fini specifici dell’acquisto della cittadinanza, poi, va rilevato che l’art. 6, comma 3, l. n. 91 del 1992 prevede che solo la riabilitazione faccia cessare l’effetto preclusivo delle condanne, tassativamente indicate dal comma 1 dello stesso articolo come automaticamente ostative all’acquisto della cittadinanza ex art. 5 della legge (acquisto della cittadinanza per matrimonio), per cui la riabilitazione costituisce, in tali casi, l’unico rimedio previsto dalla l. n. 91 del 1992 per elidere l’effetto preclusivo dei precedenti penali (in tal senso, il parere C.d.S. Sez. I 8/05/2018 n. 1225/2018; C.d.S., Sez. III 29/05/2017, n. 2552; 30/07/2018, n. 4686).

Tuttavia, al di fuori dell’ipotesi considerata dall’art. 6 citato in relazione all’art. 5, la riabilitazione da parte del giudice penale non comporta però alcun automatismo circa l’ottenimento della cittadinanza, poiché lascia sempre in capo alla pubblica amministrazione la decisione discrezionale inerente alla concessione della cittadinanza: “ciò in quanto, come più volte pure sottolineato da questa stessa Sezione nella sua costante giurisprudenza, il mutamento dello status civitatis è un fatto di rilevante importanza pubblica e, pertanto, i requisiti di cui all’art. 9 della l. n. 91 del 1992, da leggere in combinato con gli elementi ostativi dell’art. 6, per quanto necessari, non risultano tuttavia da soli sufficienti. Detti requisiti infatti, oltre a non essere sufficienti, non costituiscono nemmeno una presunzione di idoneità al conseguimento dell’invocato status (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 20/03/2019, n. 1837; 13/11/2018, n. 6374).

In altri termini, mentre gli effetti della riabilitazione sono chiaramente diretti ad agevolare il reinserimento nella società del reo, in quanto, eliminano le conseguenze penali residue e fanno riacquistare all’interessato la capacità giuridica persa in seguito alla condanna; viceversa, la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento.

Nel riconoscere la cittadinanza ai sensi dell’art. 9 della l. n. 91 del 1992, pur se intervenuta la riabilitazione, l’Amministrazione è chiamata, comunque, ad effettuare la delicata valutazione discrezionale in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero nella società e l’interesse del richiedente deve essere comparato con l’interesse della collettività sotto il profilo più generale della tutela dell’ordinamento, ovvero con lo scopo di “proteggere il particolare rapporto di solidarietà e di lealtà tra esso e i propri cittadini nonché la reciprocità di diritti e di doveri, che stanno alla base del vincolo di cittadinanza” (Corte di giustizia UE, causa Rotmann, punto 51).

Pertanto, si richiede che l’istante sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società italiana, ma che sul piano dei valori mostri, indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza, per quanto possa non essere esigibile una condotta morale totalmente irreprensibile (“un quantum di moralità superiore a quella posseduta mediamente dalla collettività nazionale in un dato momento storico” cfr. C.d.S., sez. III, -OMISSIS-/2019).

Nel caso di specie, è ragionevole che l’Amministrazione valuti sfavorevolmente anche un’unica condanna penale in materia di stupefacenti, risalente al decennio anteriore alla domanda, nonostante l’intervenuta riabilitazione, visto che si tratta di condotta che per l’ordinamento italiano, come sopra si è ricordato, riveste un particolare disvalore sociale in questo momento storico.

3. -Tali conclusioni non sono in contrasto con la giurisprudenza nazionale e comunitaria richiamata dall’appellante.

3.1.- Con la sentenza -OMISSIS- del 2019, questa Sezione ha accolto l’appello di un cittadino straniero avverso il diniego di cittadinanza, riaffermando un principio consolidato secondo cui il giudizio dell’Amministrazione non può essere “sommario, superficiale ed incompleto” e la condotta dell’interessato non può essere valutata secondo il criterio di “assoluta irreprensibilità morale”.

Tuttavia, il fatto penale ritenuto dall’Amministrazione impeditivo all’acquisto della cittadinanza, in quella fattispecie, era rappresentato da una contravvenzione (il ricorrente era stato condannato a pena pecuniaria per guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope art. 187, comma 1, d.lgs. 30.4.1992 n. 385; il fatto era risalente nel tempo ed era intervenuta la riabilitazione); inoltre, il provvedimento era privo di motivazione.

3.2.- Anche dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia UE si ritiene che l’Amministrazione e il giudice di primo grado abbiano fatto buon uso.

Nella sentenza Rotmann (punto 52), che si occupa, peraltro, dell’ipotesi inversa di perdita di un diritto di cittadinanza acquisito, si legge che, in ogni caso, anche la Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia, conclusa a New York il 30 agosto 1961 ed entrata in vigore il 13 dicembre 1975, (art. 8, n. 2), e la Convenzione europea sulla cittadinanza, datata 6 novembre 1997, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa ed entrata in vigore il 1° marzo 2000, (art. 7, comma 1, lett. b) consentono la revoca della naturalizzazione per ragioni di pubblico interesse, se acquisita con mezzi fraudolenti, e che il principio di proporzionalità, semmai, esige una verifica circa la gravità dell’infrazione commessa dall’interessato e la possibilità per lo stesso di recuperare la propria cittadinanza di origine.

Nella fattispecie, oltre alle considerazioni sulla gravità della condotta penalmente sanzionata di cui si è detto, va osservato che il ricorrente conserva il proprio legame stabile con il territorio italiano in ragione del permesso di soggiorno di cui è titolare a tempo indeterminato e, comunque, mantiene la propria cittadinanza di origine.

Infine, si osserva che le stesse conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere 15-16 ottobre 2009 sulla realizzazione dell’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi non contraddicono il rigore interpretativo dell’Amministrazione, laddove la tutela si riferisce a cittadini di paesi terzi che “soggiornano legalmente” e tali devono considerarsi non solo coloro che sono muniti di regolare permesso di soggiorno, ma anche coloro che rispettino le norme penali dell’ordinamento nazionale.

4.- In conclusione, l’appello va respinto.

5.- Le spese del secondo grado di giudizio possono compensarsi tra le parti, attesa la particolarità della vicenda.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, dichiara legittimo il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il giorno 21 ottobre 2019.