In servizio di pattugliamento, caporale sorpreso a giocare con il calciobalilla. Condannato.

(Corte di Cassazione penale, sez. I, sentenza 2 luglio 2015, n. 27826)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Presidente –
Dott. CASSANO Margherita – Consigliere –
Dott. SANDRINI Enrico G – rel. Consigliere –
Dott. LA POSTA Lucia – Consigliere –
Dott. CASA Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
S.S. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 157/2013 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del 20/05/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/03/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FLAMINI Luigi Maria che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 20.05.2014 la Corte Militare di Appello, in parziale riforma della sentenza pronunciata il 11.06.2013 dal Tribunale Militare di Verona, ha ridotto a mesi 3 giorni 5 di reclusione militare, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti ritenute, la pena (sospesa) inflitta a S.S. per il reato di violata consegna continuata, commesso in concorso con altro militare il (OMISSIS), confermando nel resto la decisione di primo grado.

I fatti attribuiti all’imputato, in qualità di caporale dell’esercito italiano, riguardavano il servizio di pattugliamento al quale era stato comandato insieme al caporale D.D. nell’ambito della vigilanza armata di un deposito di munizioni sito in (OMISSIS) dalle 20.00 alle 22.00 del (OMISSIS) e dalle 14.00 alle 16.00 del (OMISSIS); in particolare, il comandante della guardia, M.llo T., in sede di esame dibattimentale, aveva riferito di aver sorpreso l’imputato intento a giocare a calciobalilla col D. alle 20.45 del (OMISSIS), mentre avrebbe dovuto trovarsi di pattuglia, e che anche il giorno seguente i due militari erano stati sorpresi ancora all’interno del corpo di guardia dopo mezz’ora dall’inizio del servizio, che avevano intrapreso, in ritardo solo su sollecitazione del superiore in grado, interrompendolo prima del dovuto e fornendo false indicazioni al riguardo; ritenuto che i fatti non erano stati contestati nella loro materialità dall’imputato, che si era giustificato allegando trattarsi del primo servizio di guardia da lui svolto e di aver seguito perciò le indicazioni del commilitone più esperto comandato insieme a lui (il D.), la Corte territoriale rilevava che dall’istruttoria dibattimentale era emerso che l’imputato era stato adeguatamente istruito sul servizio da svolgere e che l’eventuale determinazione del D. a non rispettare la consegna, stante la sua manifesta criminosità, non poteva assumere alcuna efficacia scriminante della condotta del S., di cui doveva perciò essere confermato il giudizio di colpevolezza, tanto più a seguito della reiterazione della violazione nonostante l’intervento correttivo del M.llo T. del giorno precedente.

2. Ricorre per cassazione S.S., personalmente, deducendo due motivi di censura coi quali lamenta:

– violazione di legge con riguardo all’art. 192 c.p.p. e agli artt. 81 e 110 cod. pen., art. 47 c.p.m.p., n. 2 e art. 120 c.p.m.p., comma 2 rilevando di non aver inteso contravvenire agli ordini, ma di essersi limitato a eseguire le direttive impartite dal capo muta D., alla cui maggiore esperienza si era affidato trattandosi del primo servizio di vigilanza armata da lui svolto; in particolare, il ricorrente lamenta l’omesso accertamento dell’elemento psicologico del reato con riguardo alla cosciente volontà di trasgredire le prescrizioni munite di forza cogente, tra le quali rientravano anche quelle del capo muta;

– violazione di legge in relazione all’art. 133 cod. pen., con riguardo alla misura eccessiva e sproporzionata della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in entrambe le sue deduzioni.

2. Il primo motivo di doglianza non deduce in realtà alcuna violazione di legge, ma si limita a una semplice censura di merito diretta a contestare, in termini del tutto generici, l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, riproponendo le medesime questioni di fatto, sull’insussistenza dell’elemento psicologico del reato di violata consegna sotto il profilo dell’assenza di una volontà del S. di contravvenire agli ordini di servizio, nonchè dell’affidamento riposto nella maggiore esperienza del capo muta D. e nelle direttive di quest’ultimo, alle quali il prevenuto si era uniformato, che avevano costituito oggetto dei motivi d’appello avverso la decisione di primo grado, omettendo completamente – tra l’altro – di confrontarsi con le puntuali argomentazioni con cui la Corte territoriale aveva ritenuto acquisita (e addirittura conclamata) la prova del dolo del reato di cui all’art. 120 c.p.m.p., sulla scorta dell’adeguata istruzione preventivamente impartita al S. sul servizio di pattuglia da svolgere, della palese irrilevanza scriminante della determinazione manifestata dal commilitone D.D. a non svolgere correttamente il servizio (ritardandone insieme al S. l’orario d’inizio, interrompendone ingiustificatamente lo svolgimento, trattenendosi a giocare a calcio ballila con l’imputato nel corpo di guardia invece di uscire di pattuglia), nonchè della stessa pervicace reiterazione delle violazioni, nonostante il richiamo espresso operato fin dal primo giorno di servizio dal comandante responsabile, M.llo T., alla puntuale osservanza degli ordini impartiti.

Si tratta di censure che non è consentito proporre al giudice di legittimità e che non superano perciò la soglia dell’ammissibilità.

3. Il secondo motivo di ricorso si risolve a sua volta in una generica contestazione in punto di fatto dell’esercizio del potere commisurativo della pena, che non può trovare ingresso in questa sede, formulata in termini puramente assertivi che neppure indicano le ragioni – prescritte a pena di inammissibilità dall’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) – per cui la pena (contenuta nella misura di mesi 3 giorni 5 di reclusione militare) inflitta dalla Corte territoriale sarebbe “eccessiva e sproporzionata”.

4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della sanzione pecuniaria che si ritiene equo quantificare in 1.000 Euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2015.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2015