In strada il gioco delle tre palline: impossibile parlare di raccolta abusiva di scommesse (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 1° dicembre 2021, n. 44359).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. DI NICOLA Vito – Rel. Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(OMISSIS) Vasile, nato in Romania il 13/03/19xx;

(OMISSIS) Mirela Daniela, nata in Romania il 9/10/19xx;

(OMISSIS) Florin Costei, nato in Romania il 23/05/19xx;

(OMISSIS) Ion, nato in Romania il 26/02/19xx;

avverso la sentenza del 05/06/2020 della Corte di appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso trattato ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020;

udita la relazione del Consigliere Dott. Vito Di Nicola;

letta la requisitoria del Procuratore Generale, Dott. Domanico Seccia che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata la sentenza del 5 giugno 2020 con la quale la Corte di appello di Bologna ha confermato quella emessa in data 22 maggio 2018 dal Tribunale di Rimini che aveva condannato i ricorrenti alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 800 di ammenda ciascuno per la contravvenzione di cui agli artt. 110 cod. pen. e 4, comma 4-bis, legge 13 dicembre 1989, n. 401 (“Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive”) perché, sulla pubblica via, abusivamente esercitavano il gioco cosiddetto delle “palline” svolgendo così un’attività organizzata al fine di accettare e raccogliere scommesse, senza avere alcuna concessione, autorizzazione o licenza. Accertato in Rimini, in data 2 agosto 2015.

2. I ricorsi, presentati dal comune difensore di fiducia degli imputati, sono affidati ad un unico motivo, sviluppato attraverso due doglianze con le quali i ricorrenti denunciano il vizio di motivazione e la violazione di legge, sul rilievo che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto provati i fatti descritti nell’imputazione sulla base di presunzioni, laddove nessuno degli imputati era intento ad organizzare o ad eseguire il gioco contestato (prima doglianza).

Osservano inoltre i ricorrenti che la fattispecie configurata, ovvero l’art. 4, comma 4-bis, Legge n. 401/1989, punisce esclusivamente colui o coloro i quali organizzano giochi disciplinati dall’Agenzia delle Dogane o dai Monopoli, come si evince dalla lettura della norma stessa (seconda doglianza).

Il Gioco delle c.d. “tre campanelle e/o palline e/o carte”, non rientra, ad avviso dei ricorrenti, tra quelli di competenza dello Stato, genericamente inteso, comprensivo delle Dogane e Monopoli, con la conseguenza che il fatto, così come contestato, non può certamente sussumersi nella fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 4 L. n. 401 del 1989.

Neppure risulta che gli imputati avessero raccolto scommesse dagli avventori, né sarebbero stati notati passaggi di denaro, né visto qualcuno che giocasse e nemmeno i testi hanno udito taluno che invitasse o, anche solo, invogliasse i passanti a giocare, con la conseguenza che, a tutto concedere, l’unica fattispecie astrattamente configurabile poteva essere quella di cui all’art. 718 cod. pen. o la truffa, in presenza di artifizi e raggiri, che, nel caso di specie, non sono stati neppure ipotizzati.

3. Il Procuratore generale ha concluso, nella sua requisitoria scritta, per l’inammissibilità del ricorso, sul rilievo che il motivo di gravame, da un lato, chiede alla corte di cassazione un’inammissibile rivalutazione delle prove e, dall’altro, risulta manifestamente infondato essendo stata corretta la qualificazione giuridica del fatto da parte dei giudici di merito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.

2. Il motivo di ricorso, nella parte in cui contesta la materialità del fatto ossia relativamente alla prima doglianza, è inammissibile perché fattuale e manifestamente infondato.

Con motivazione congrua e priva di vizi di manifesta illogicità e, pertanto, insuscettibile di essere sindacata in sede di controllo di legittimità, la Corte di appello ha accertato che la condotta incriminata, descritta dal teste diretto, maresciallo (OMISSIS), fu realizzata mediante l’apprestamento di due o più persone a fungere da palo ai lati della strada, in cui materialmente si svolgeva l’attività di gioco e raccolta delle scommesse, e di una persona (nel caso di specie la (OMISSIS)) che invitava i passanti a puntare denaro sugli esiti del gioco.

L’intero gruppo di concorrenti, ad eccezione di uno dei pali che riuscì a fuggire, fu fermato e controllato: al (OMISSIS) furono sequestrati un tappetino rosso e tre scatoline di cartone di colori diversi; tre banconote da 50 euro e due palline di piccole dimensioni in spugna.

L’attività di gioco e scommessa da parte del (OMISSIS) è stata ritenuta provata sia alla stregua della deposizione del teste (OMISSIS), sia alla stregua del compendio in sequestro, funzionale allo svolgimento del gioco.

Circa il concorso degli altri correi, la Corte di merito ha osservato, quanto alla (OMISSIS), come il teste (OMISSIS) avesse riferito che costei più volte, in epoca successiva, fu controllata siccome partecipe ad organizzazioni dedite al gioco ed alla raccolta di scommesse quali quella in disamina e come difettasse, nella specie, un ragionevole titolo per essersi trovata in prossimità del (OMISSIS), allorché questi era impegnato nell’esercizio del gioco.

Quanto a (OMISSIS) e (OMISSIS), la loro compartecipazione criminosa è stata logicamente desunta sia dal fatto di aver svolto, entrambi, la funzione di “palo”, tentando la fuga senza riuscirvi, e sia dal fatto che la loro presenza, in prossimità del (OMISSIS), allorché questi era impegnato nell’esercizio del gioco, difettasse di un ragionevole titolo, atteso poi che entrambi si trovavano anche in posizione idonea ad avvertire in ipotesi di un intervento della polizia.

Le censure mosse dai ricorrenti a tale logica e adeguata ricostruzione, oltre ad essere manifestamente infondate, avendo i giudici di merito ampiamente giustificato il loro convincimento, sono anche tipicamente fattuali, attingendo il merito del processo, perché, come fondatamente argomenta il Procuratore generale nella requisitoria scritta, il motivo di ricorso, in parte qua, non attacca le ragioni fondanti della decisione ma ne articola altre, tutte assertive e potenzialmente alternative, senza alcun riferimento però a vizi della motivazione desumibili dal testo della sentenza impugnata ed essendo le critiche del tutto sganciate da precise allegazioni e dal conseguente richiamo a specifici atti del processo dai quali soltanto la Corte di legittimità, quale giudice della motivazione del provvedimento e non dell’interpretazione delle prove, può ricavare, se del caso, il vizio motivazionale.

3. La seconda doglianza è fondata.

L’art. 4, comma 4-bis, legge n. 401 del 1989 punisce chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettati in Italia o all’estero.

Per quanto qui interessa, l’inseriment,, nel contesto dell’art. 4, L. n. 401 del 1989 del comma 4-bis ad opera dell’art. 37, quarto comma, L. 23 dicembre 2000, n. 388, ha comportato il divieto di svolgere in Italia – in assenza della concessone, autorizzazione o licenza di cui all’art. 88 T.U.L.P.S. – «qualsiasi attività organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero».

L’enunciato normativo descrive, pertanto, condotte riconducibili in modo esplicito al concetto di “intermediazione” ossia all’attività diretta a mettere in contatto, sia pure mediante strumenti telematici, scommettitori italiani e bookmaker (generalmente società estere).

Le Sezioni unite hanno chiarito che il reato è, quindi, integrato da qualsiasi condotta minimamente organizzata con cui – contro il divieto di intermediazione previsto dalla normativa vigente – si eserciti una funzione intermediatrice a favore di un gestore di scommesse (abilitato o meno).

Oggetto giuridico del reato è la tutela dell’interesse pubblico al controllo sulla gestione delle scommesse e la connessa protezione dell’ordine pubblico (Sez. U, n. 23271 del 26/04/2004, Corsi, Rv. 227726 – 01).

La condotta ascritta ai ricorrenti esula, dunque, dalla configurazione del reato contestato (art. 4, comma 4-bis, legge n. 401 del 1989) e il principio di stretta legalità penale impedisce di sussumere la condotta di chi eserciti abusivamente il gioco cosiddetto delle “palline” nella fattispecie di reato ascritta agli imputati.

Il gioco delle tre palline, che è simile al gioco delle tre carte o dei tre campanelli, consiste nel disporre tre scatolette, come nella specie, altrettante tazze, conchiglie o bicchieri su un tavolo e nel nascondere sotto uno di essi una pallina o un altro piccolo oggetto.

Con un rapidissimo movimento delle mani si spostano poi gli oggetti utilizzati per il gioco ed eventualmente la pallina, e si invita quindi il giocatore a individuare sotto quale di essi si trovi la pallina, o altro piccolo oggetto, dopo lo spostamento.

Si tratta, pertanto, di una condotta diversa da quella rientrate nel modello legale di cui all’art. 4, comma 4-bis, legge n. 401 del 1989 e perciò diversa dall’esercizio, in forma organizzata, di una funzione intermediatrice in favore di un gestore di scommesse.

Quando non realizzata con comportamenti sussumibili nell’ambito del reato di truffa, che è invece configurabile allorché all’abilità ed alla destrezza di chi esegue il giuoco si aggiunge una fraudolenta attività del medesimo, siffatte condotte integrano il reato di esercizio di giuochi d’azzardo (art. 718 cod. pen.), posto che la condotta di chi dirige il giuoco non realizza alcun artificio o raggiro, bensì “una realtà” ed una regolare continuità di movimenti, che, per essere l’effetto della estrema abilità di chi dirige il giuoco, inducono, da ultimo, il giocatore a confidare nel “caso” così da integrare l’alea richiesta dall’art. 721 cod. pen. quale elemento essenziale del giuoco d’azzardo (Sez. 2, n. 48159 del 17/07/2019, Pastore, Rv. 277805 – 01 Sez. 3, n. 11666 del 23/09/1985, Galante, Rv. 171261 – 01).

Sebbene con diversa motivazione, la Corte ha, peraltro, già affermato che, in tema esercizio abusivo dell’attività di pubblica scommessa su giochi di abilità, è necessaria la presenza di una struttura organizzativa costituita da mezzi e persone, anche se di natura non stabile e complessa (Sez. F, n. 26321 del 02/09/2020, Alannaru, Rv. 279545 – 01).

4. La fondatezza della precedente doglianza comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, essendosi nel frattempo il reato estinto per intervenuta prescrizione, maturata il 2 agosto 2020, trattandosi di reato contravvenzionale.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato é estinto per prescrizione.

Così deciso il 13/10/2021.

Depositato in Cancelleria, addì 1° dicembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.