In tema di frodi fiscali cd. “carosello” (Corte di Cassazione, Sezione V Civile, Sentenza 2 ottobre 2020, n. 21126).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

D’Auria Vincenzo, rappresentato e difeso, giusta procura speciale stesa a margine del ricorso, dagli Avv.ti Cataldo D’Andria, Flaminia Ferrucci e Mariangela Mastrogregori, i quali hanno indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei procuratori designati, al viale Regina Margherita n. 262/264 in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2399, pronunciata dalla Commissione tributaria regionale di Roma il 18.2.2014 e pubblicata il 10.4.2014;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Dott. Paolo Di Marzio.

FATTI DI CAUSA

1. Vincenzo D’Auria riceveva dall’Agenzia delle entrate, il 15 febbraio 2010, la notifica dell’avviso di accertamento n. RCE010500011 2010, concernente il recupero di Irpef ed accessori, emesso in riferimento all’anno d’imposta 2005.

A base della contestazione erano poste le verifiche effettuate dalla Guardia dì finanza di Viterbo, che aveva ritenuto accertata la partecipazione a c.d. frodi carosello della Secom Srl, società che dichiarava di esercitare l’attività di commercio all’ingrosso di apparecchi per la telefonia mobile, ritenuta dagli accertatori una mera “cartiera” ed avente una ristretta base partecipativa, detenendone quote soltanto due soci, ciascuno titolare del 50%.

L’Agenzia delle entrate ha condiviso le conclusioni dei militari.

Essendo state ritenute inesistenti tutte le operazioni effettuate dalla società, è stato accertato un reddito da capitale non dichiarato pari ad Euro 3.334.984,00 applicandosi la presunzione di integrale redistribuzione proporzionale degli utili ai soci, tra cui l’odierno ricorrente.

Il contribuente impugnava l’avviso d’accertamento contestando, per quanto ancora d’interesse, il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento, fondato per relationem sull’avviso di accertamento redatto nei confronti dalla società e non allegato, e l’illegittima applicazione della ricordata presunzione.

La Commissione tributaria provinciale di Roma osservava che il Pvc, su cui l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società risultava fondato, era stato portato a conoscenza del ricorrente, che ne aveva ricevuto notifica il 9.4.2008 (in mani proprie, cfr. sent. CTR, p. IV) ed aveva compiutamente articolato le proprie difese.

Inoltre, il contribuente nulla eccepiva circa l’inesistenza delle operazioni poste in essere dalla società.

La CTP ha quindi ritenuto legittima la presunzione di distribuzione degli utili ai soci, vedendosi in ipotesi di società a ristretta base partecipativa, ed ha rigettato il ricorso.

2. Vincenzo D’Auria ha gravato la decisione di appello innanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, rinnovando le proprie censure.

In corso di giudizio ha altresì prodotto sentenza penale di assoluzione dall’imputazione di avere partecipato all’evasione fiscale posta in essere dalla Secom Sri mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

La CTR ha osservato che il processo verbale di costatazione è stato notificato in mani proprie al contribuente.

Ha quindi ritenuto irrilevante l’omessa allegazione all’atto di accertamento del diverso avviso notificato alla società, stante l’autonomia, nelle società di capitali, della posizione fiscale del socio rispetto a quella della società.

Ha poi ritenuto ricorrere le condizioni per l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili occultati ai soci, che importa l’inversione dell’onere della prova, e pure la non rilevanza della sentenza penale che aveva assolto il contribuente dal reato di concorso nelle false fatturazioni contestate alla società, stante l’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale.

3. Avverso la decisione assunta dalla CTR del Lazio ha proposto impugnazione per cassazione il contribuente, affidandosi a quattro motivi di ricorso.

L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di gravame, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 39, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ., in cui è incorsa l’impugnata CTR, per aver ritenuto applicabile la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio conseguiti dalla società, avente ristretta base partecipativa, senza accertare la sussistenza di un valido accertamento nei confronti della società, da intendersi come accertamento definitivo sul dato presupposto (ric., p. 19).

2. Mediante il secondo motivo di impugnazione, anch’esso introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, il ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., e dell’art. 2697 cod. civ., in cui è incorsa la CTR per aver ritenuto operante l’inversione dell’onere della prova, per il sol fatto che la società Secom Sri presentava una ristretta base partecipativa, gravando il contribuente della dimostrazione di non aver conseguito la redistribuzione degli utili.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., l’impugnante afferma la nullità della sentenza, e comunque lamenta la violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., per avere la CTR impugnata omesso di esaminare, ai fini probatori, la sentenza penale di assoluzione del contribuente dall’imputazione di essere stato partecipe di evasioni fiscali commesse dalla Secom Srl che non vi è prova siano state effettivamente realizzate.

4. Mediante il quarto motivo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 6 e 7 della legge n. 212 del 2000, dell’art. 42, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 2697 cod. civ., commessa nella sentenza pronunciata dalla CTR in conseguenza della omessa allegazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società all’avviso di accertamento consequenziale notificato a titolo personale al socio, sebbene il primo costituisca presupposto necessario del secondo.

5. Il primo ed il quarto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente poiché propongono la medesima questione di diritto, se cioè sia possibile ritenere operante la presunzione della distribuzione in favore dei soci degli utili extrabilancio conseguiti dalla società di capitali a ristretta base partecipativa, qualora non vi sia prova dell’esistenza di un valido accertamento tributario nei confronti della società – peraltro non allegato all’avviso di accertamento – e tantomeno che l’accertamento eventualmente emesso nei confronti della società sia divenuto definitivo.

Occorre premettere che il contribuente era ben a conoscenza delle verifiche tributarie effettuate nei confronti della Secom Srl, avendo ricevuto regolare notifica del processo verbale di costatazione redatto dalla Guardia di finanza (cfr. sentt. CTP e CTR), unico in relazione a più annualità (2004-2007), dato neppure contestato dal contribuente nel suo ricorso introduttivo (cfr. sintesi dei motivi di ricorso in primo grado, ric., p. 5).

Invero, l’accertamento del reddito sottratto alla tassazione da parte della società costituisce un presupposto dell’azione di accertamento posta in essere nei confronti dei soci, ma non si richiede che lo stesso sia definitivo, come sostiene il ricorrente, discendendo dalla mancata definitività dell’accertamento conseguenze, in primo luogo processuali, diverse.

Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, infatti, che «in tema di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, l’accertamento relativo agli utili extracontabili della società, anche se non definitivo, è presupposto dell’accertamento presuntivo nei riguardi del singolo socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali, sicché l’impugnazione dell’accertamento “pregiudicante” costituisce, fino al passaggio in giudicato della pronuncia che lo riguarda, condizione sospensiva, ex art. 295 c.p.c., ai fini della decisione della lite sull’accertamento “pregiudicato” relativo al singolo socio, la cui esistenza e persistenza grava sul contribuente che la invochi sotto forma di allegazione e prova del processo scaturente dall’impugnazione del provvedimento impositivo», Cass. sez. VI-V, 7.3.2016, n. 4485.

Nel suo ricorso per cassazione il contribuente prospetta anche l’ipotesi che l’accertamento del maggior reddito nei confronti della società non solo non sia divenuto definitivo, non solo non possa essere considerato “valido”, ma potrebbe persino non esistere affatto.

In contrario può evidenziarsi che, nel suo ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, era stato proprio il contribuente ad evidenziare che l’accertamento notificato nei suoi confronti era conseguenza di quello effettuato nei confronti della società.

Non solo, aveva pure provveduto ad indicare lo stesso numero dell’accertamento emesso nei confronti della Secorn Srl (RCE030500425/2009), di cui era evidentemente a conoscenza.

Ancor più importa rilevare in questa sede, peraltro, che il contribuente non aveva contestato, nel suo atto introduttivo del giudizio, l’inesistenza dell’avviso di accertamento presupposto, quello emesso nei confronti della società.

Neppure deve trascurarsi, del resto, come questa Corte di legittimità abbia avuto recentemente occasione di confermare che «in tema di imposte sui redditi, l’obbligo di motivazione degli atti tributari, come disciplinato dall’art. 7 della I. n. 212 del 2000, e dall’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii per relationem a quello riguardante i redditi della società, ancorché solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2261 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi», Cass. sez. VI-V, ord. 4.6.2018, n. 14275, esprimendosi, in materia di società di persone, un principio che merita di essere esteso, per identità di ratio, anche alle società di capitali, nel caso in esame una società a responsabilità limitata, che presentano una ristretta componente partecipativa (in senso conforme cfr. Cass. sez. V, 21.11.2018, n. 30069).

Può quindi affermarsi il principio di diritto secondo cui «in materia di accertamento tributario di un maggior reddito nei confronti di una società di capitali, organizzata nella forma della società a responsabilità limitata ed avente ristretta base partecipativa, e di accertamento conseguenziale nei confronti dei soci, l’obbligo di motivazione degli atti impositivi notificati ai soci, come disciplinato dall’art. 7 della I. n. 212 del 2000, e dall’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, è soddisfatto anche mediante rinvio per relationem alla motivazione dell’avviso di accertamento riguardante i maggiori redditi percepiti dalla società a responsabilità limitata, ancorché solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2476 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi».

5.1. Tanto premesso, occorre ribadire che l’accertamento operato dall’Amministrazione finanziaria nei confronti della società ai fini Iva ed Irpeg, e quello conseguenziale operato nei confronti del socio ai fini Irpef, costituiscono atti distinti e separati, ma sono legati da vincolo di pregiudizialità.

In conseguenza, come ha già avuto modo di chiarire questa Corte di legittimità, per escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, conseguiti e non dichiarati da una società di capitali avente ristretta base partecipativa, non è sufficiente che il socio si limiti ad allegare genericamente la mancanza di prova di un valido e definitivo accertamento nei confronti della società, ma deve contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, di tali utili, ove non sia in grado di dimostrare la mancata distribuzione degli stessi, stante l’autonomia dei giudizi nei confronti della società e del socio e il rapporto di pregiudizialità dell’accertamento nei confronti del primo rispetto a quello verso il secondo (Cfr. Cass. sez. V, 19.12.2019, n. 33976).

Nel caso di specie, né dal ricorso introduttivo, né dalla decisione assunta dalla Commissione tributaria regionale, emerge che il contribuente avesse contestato nel merito l’avviso di accertamento notificato alla società, impegnandosi a provare l’infondatezza dell’accertamento del maggior reddito conseguenziale da lui percepito. Il primo ed il quarto motivo di ricorso devono pertanto essere rigettati.

6. Il contribuente critica, con il suo secondo motivo di ricorso, la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la impugnata CTR, per aver ritenuto operante il principio dell’inversione dell’onere della prova, di cui ha reputato dovesse essere gravato il contribuente, in materia di intervenuta redistribuzione degli utili extrabilancio conseguiti dalla società, soltanto in considerazione della ristretta base sociale.

In proposito questa Suprema Corte, confermando un orientamento da lungo tempo consolidato, ha di recente avuto occasione di ribadire che «l’accertamento del maggior reddito nei confronti di società di capitali a ristretta base partecipativa legittima … la presunzione di distribuzione degli utili tra i soci, in quanto la stessa ha origine nella partecipazione e pertanto prescinde dalle modalità di accertamento, ferma restando la possibilità per i soci di fornire prova contraria rispetto alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria dimostrando che i maggiori ricavi dell’ente sono stati accantonati o reinvestiti», Cass. sez. V, 20.12.2018, n. 32959 (conf. Cass. sez. V, 22.11.2017, n. 27778).

Anche il secondo motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve essere respinto.

7. Mediante il terzo motivo di impugnazione il contribuente lamenta la nullità della sentenza, e comunque la violazione di legge, per non avere la CTR valutato la decisione di assoluzione dall’imputazione di essere stato partecipe di evasioni fiscali di cui si sarebbe resa responsabile la Secom Sri.

Invero la CTR ha osservato in proposito, sinteticamente ma con chiarezza, che l’accertamento posto in essere in sede penale, anche quando riguardi gli stessi fatti posti a fondamento dell’accertamento tributario, non vincola il giudice del procedimento civilistico, stante l’autonomia dei giudizi da esprimersi nei due processi.

Questa valutazione non si discosta dall’orientamento di questa Suprema Corte, la quale ha recentemente avuto occasione di confermare che «in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna.

Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario» (Cass. sez. V, 28.6.2017, n. 16262).

La questione è stata pertanto esaminata dal giudice dell’appello, che ha espressamente pronunciato in materia, peraltro adeguandosi a quanto statuito in materia dalla Corte di legittimità.

Solo per completezza può pertanto aggiungersi che il ricorrente non ha neppure illustrato perché ritenga che la decisione favorevole conseguita in sede penale risulti idonea ad inficiare l’intero accertamento tributario emesso nei suoi confronti, non spiegando neanche se la stessa abbia avuto ad oggetto l’intero compendio di fatture contestate alla società Secom ed ai suoi soci ed amministratori, oppure soltanto una porzione di tali documenti contabili, più o meno grande.

Il motivo di ricorso presenta pertanto evidenti limiti anche in ordine alla illustrazione della sua decisività.

Pure il terzo motivo di ricorso deve pertanto essere respinto.

8. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.

Deve inoltre darsi atto che ricorrono le condizioni perché sia dovuto dal ricorrente il versamento degli oneri relativi al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto da D’Auria Vincenzo, che condanna al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 15.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 -quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27.02.2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.