In tema di utilizzabilità delle intercettazioni, la S.C. ricorda che vale il principio già espresso dalle S.U. ‘Cavallo’ (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 11 agosto 2021, n. 31546).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Rel. Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. CARUSILLO Elena – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Giuseppe, nato a (OMISSIS) il 19/10/19xx;

avverso l’ordinanza del 23/02/2021 del Tribunale della libertà di Catanzaro;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE RICCARDI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Perla Lori, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore, Avv. Vincenzo (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 23/02/2021 il Tribunale della libertà di Catanzaro ha rigettato l’istanza di riesame proposta da (OMISSIS) Giuseppe avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Catanzaro, emessa il 13/01/2021, che aveva applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato, contestato al capo 22 dell’imputazione provvisoria, di partecipazione ad una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti di riciclaggio, autoriciclaggio, emissione di fatture per operazioni inesistenti e intestazione fittizia di beni, aggravata dalla finalità di agevolazione di un’associazione mafiosa di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen.

In particolare, secondo la ricostruzione dei fatti accertata, a livello di gravità indiziaria, (OMISSIS) Antonio risultava essere il promotore di tutta l’organizzazione dedita alla commissione di reati, ponendosi quale punto di unione tra il mondo dell’imprenditoria e il mondo mafioso; ruoli di promotore risultavano rivestiti anche da (OMISSIS) Andrea e Rosa (OMISSIS).

Il sodalizio era finalizzato a riciclare denaro mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e l’intestazione fittizia di beni: in particolare, il meccanismo era organizzato mediante costituzione di società, spesso ‘cartiere’ – prive di dipendenti, beni aziendali e sedi effettive -, sovente intestate fittiziamente a c.d. ‘teste di legno’, anche di nazionalità straniera (in particolare, dopo la perquisizione del maggio 2018, albanesi appositamente reclutati), mediante le quali venivano emesse fatture per operazioni inesistenti; in tal modo si accumulava credito IVA, riempiendo riserve occulte di denaro; si procedeva all’estinzione di debiti verso l’erario, mediante compensazione tra il debito e il falso credito IVA; il totale complessivo del denaro veniva prelevato dai c.d. “prelevatori” – associati con tale specifico ruolo -, che effettuavano tali operazioni dividendole in varie tranches e adoperando diversi sportelli automatici, così dissimulando l’effettivo prelievo dell’intera somma in contanti; la somma totale veniva poi consegnata agli organizzatori.

Ciò posto, i sodali trattenevano una provvigione dell’11%, garantendo nel resto l’acquisizione di profitti illeciti alle ‘ndrine Trapasso di Cutro e Bagnato di Roccabernarda.

(OMISSIS) Giuseppe era il ragioniere personale di (OMISSIS) Antonio, nonché suo stretto collaboratore, conosceva il suo passato criminale e il suo attuale e concreto apporto alla criminalità organizzata; metteva a disposizione la propria auto per effettuare i regali ai membri delle cosche ‘ndranghetistiche di riferimento del sodalizio, custodiva documentazione fiscale e non, inerente l’attività illecita dell’associazione per delinquere, forniva consigli al (OMISSIS), lo coadiuvava garantendogli supporto, anche logistico – ad esempio, nell’accompagnare i prestanome albanesi presso l’Agenzia delle Entrate -, ed era a conoscenza dell’illegalità degli affari perpetrati dagli altri membri del sodalizio; traeva personale vantaggio dalle attività del gruppo, risultando intestatario di società riconducibili a (OMISSIS) Antonio.

L’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 c.p. è stata affermata sul rilievo che (OMISSIS) avesse piena contezza della caratura criminale del (OMISSIS), dei suoi legami con la criminalità organizzata, del suo ruolo all’interno della stessa e degli scopi che la propria attività criminale di costituzione e gestione di società ‘cartiere’, di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di intestazione fittizia dei beni, era diretta a realizzare, ovvero garantire, oltre che i propri personali interessi di lucro, anche l’apporto di denaro alla “bacinella” ‘ndranghetista.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) Giuseppe, Avv. Vincenzo (OMISSIS), che ha dedotto i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo ed il secondo motivo deduce la violazione di legge processuale e il vizio di motivazione in relazione alla eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite in diverso procedimento.

Sostiene al riguardo che la gravità indiziaria sia stata interamente desunta dal contenuto di intercettazioni eseguite con i RIT 1273/17 e 746/17, riguardanti l’utenza telefonica e il cellulare del coindagato (OMISSIS) Antonio in relazione al reato di cui all’art. 416 bis c.p. oggetto di contestazione al capo 1 della rubrica.

Il ricorrente risponde esclusivamente del reato di associazione per delinquere di cui all’art. 416 cod. pen. contestato al capo 22, e gli unici elementi indiziari a suo carico sono costituiti dalle intercettazioni disposte con i due RIT in relazione ad un differente titolo di reato, e quindi in procedimento diverso, sicché erano da dichiarare inutilizzabili in relazione alla posizione di (OMISSIS).

Al riguardo, le Sezioni Unite ‘Cavallo’ del 2019 e la sentenza n. 1757/2020 della 5 Sezione penale hanno affermato il principio secondo cui la nozione di procedimento è da intendere quale fatto-reato che deve essere considerato diverso: per diversi procedimenti ex art. 270 cod. proc. pen. devono intendersi diversi reati che non siano connessi ex art 12 cod. proc. pen. a quelli per i quali l’intercettazione è stata autorizzata; solo la connessione sostanziale tra reati, rilevante ex art. 12 cod. proc. pen., fonda la categoria di stesso procedimento idoneo a paralizzare l’operatività dell’art. 270.

Nell’ipotesi di diverso procedimento-fatto reato, l’intercettazione autorizzata per un’ipotesi investigata potrà trovare utilizzazione esclusivamente allorquando il differente reato rientra tra quelli per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza o i due reati siano connessi ex art. 12 cod. proc. pen.

Nel caso in esame il reato per il quale è stato emesso decreto di intercettazione telefonica e telematica, l’art. 416 bis cod. pen., è diverso rispetto a quello per il quale (OMISSIS) è stato iscritto nel registro degli indagati, l’art. 416 cod. pen., trattandosi di due associazioni distinte, radicate in differente territorio, non composte dei medesimi partecipi e con un diverso programma delinquenziale.

Per il reato di cui all’art. 416 cod. pen., in relazione alla condotta partecipativa, non è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, né ricorre alcuna delle ipotesi di connessione tra le contestazioni di cui ai capi 1 e 22: i due reati non sono stati commessi da più persone in concorso tra di loro, e (OMISSIS) non è indagato per il capo 1; non sussiste il concorso formale tra reati; non ricorre il nesso finalistico tra i reati.

Inoltre, il limite di pena previsto per il partecipe all’associazione è inferiore a quello per il quale l’art 266 cod. proc. pen. consente l’esecuzione di intercettazioni, non potendo trovare applicazione la lettera F-quinquies che consente l’esecuzione delle intercettazioni per reati aggravati dall’art 416 bis.1 cod. pen., perché la previsione è stata introdotta con D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito in legge 28 febbraio 2020, n. 7, e si applica ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020.

Tanto premesso, lamenta che l’ordinanza impugnata abbia rigettato l’eccezione di inutilizzabilità richiamando due pronunce di legittimità, precedenti alle Sezioni Unite ‘Cavallo’, secondo cui il concetto di diverso procedimento non equivale a quello di diverso reato, in tal senso determinando una violazione di legge processuale, per inosservanza del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite.

Sotto altro profilo lamenta la motivazione apparente in ordine alle ragioni per le quale il Tribunale ha omesso di dare applicazione al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite ‘Cavallo’.

2.2. Con il terzo, il quarto e il quinto motivo deduce la violazione di legge processuale in relazione agli artt. 266, 268 comma 3, e 271 comma 1, cod. proc. pen., l’inutilizzabilità delle intercettazioni, nonché il vizio di motivazione.

L’art 268, comma 1, cod. proc. pen. prescrive che sia redatto verbale delle operazioni registrate contenente la sintesi delle conversazioni intercettate, attività che deve essere compiuta dal PM o dall’ufficiale di p.g. a ciò delegato; il verbale ha un contenuto predeterminato dall’art. 89 disp. att.4 cod. proc. pen.; l’art 271 prevede l’inutilizzabilità nei casi di violazione degli artt. 267 e 268, commi 1 e 3.

Dunque, non possono trovare utilizzazione le intercettazioni eseguite in difformità delle modalità autorizzative previste dall’art 267, quelle non documentate con verbale d’ascolto, e le captazioni eseguite in luogo diverso dalla Procura della Repubblica in assenza di preventiva autorizzazione che dia conto delle eccezionali ragioni di urgenza e della indisponibilità o insufficienza degli impianti.

Con riferimento alle intercettazioni di cui ai RIT 746/17 e 1273/17 andava verificato quindi il rispetto delle prescrizioni in materia di redazione dei verbali di esecuzione, i c.d. brogliacci di ascolto, e quelle relative alla disposta modalità di esecuzione.

Dai verbali di inizio di fine delle operazioni di intercettazione risulta che i servizi sono stati effettuati presso la Procura della Repubblica di Catanzaro a mezzo apparati forniti dalla ditta (OMISSIS) ed utilizzando una linea urbana con possibilità di ascolto remotizzato presso la sala intercettazioni della DIA di Catanzaro: il decreto esecutivo e quello di inizio delle operazioni non contengono alcun dettaglio in merito agli apparati forniti dalla ditta (OMISSIS) utilizzati per le intercettazioni; inoltre, dal verbale di fine ascolto risulta che “gli estremi delle conversazioni sono stati annotati su apposito brogliaccio meccanizzato generato direttamente dal sistema di intercettazione (OMISSIS) che non verrà stampato in quanto riversato direttamente nei supporti informatici contenenti anche gli impegni registrati.

I supporti informatici debitamente repertati verranno consegnati agli addetti della segreteria della Procura della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro che ne cureranno la custodia non appena saranno masterizzati e consegnati dalla ditta (OMISSIS) spa di Milano”.

Dunque, l’ufficiale di p.g., delegato all’esecuzione delle intercettazioni, ha certificato che il verbale di esecuzione, il brogliaccio di ascolto, è del tipo meccanizzato ed è stato generato direttamente dal sistema di intercettazione (OMISSIS).

Analoghe deduzioni sono state formulate con riferimento al RIT 1273/17 in relazione al captatore informatico, e all’apposito brogliaccio meccanizzato generato direttamente dal sistema di intercettazione (OMISSIS).

Risultava pertanto che erano stati utilizzati strumenti telematici – (OMISSIS) e (OMISSIS), di proprietà della ditta (OMISSIS) – per la materiale formazione dei brogliacci di ascolto, con attività sostitutiva di quella di verbalizzazione che l’art. 268 cod. proc. pen. prevede sia eseguita dal PM o dagli ufficiali di p.g.

Non risulta tuttavia alcun provvedimento di nomina del personale della (OMISSIS) ad ufficiale di p.g., né alcun documento idoneo a spiegare il funzionamento dei software utilizzati.

Al riguardo, alla richiesta difensiva avente ad oggetto i contratti tra Procura della Repubblica e società (OMISSIS), rigettata dal PM, che riteneva ciò insuscettibile di divulgazione, trattandosi di atti di gara, faceva seguito la richiesta diretta a conoscere i documenti che consentivano di conoscere quali beni e servizi fossero stati resi disponibili all’autorità giudiziaria, con particolare riferimento ai programmi di elaborazione informatica (OMISSIS) e (OMISSIS).

Lamenta la violazione di legge nella parte in cui il Tribunale ha rigettato la richiesta difensiva, non avvedendosi della stretta correlazione del disposto degli artt. 309 e 268, comma 3, cod. proc. pen. che attribuisce alla parte il diritto di conoscere la documentazione descrittiva delle concrete modalità di esecuzione delle intercettazioni.

Con il quarto motivo, deduce il medesimo vizio sotto il profilo del vizio di motivazione.

Con il quinto motivo deduce la violazione di legge processuale per l’omesso rilascio di copia degli atti indicati nei decreti di esecuzione, relativi ai servizi resi disponibili dalla società (OMISSIS) alla Procura, in quanto essenziali per l’apprendimento delle modalità di esecuzione delle intercettazioni.

2.3. Con il sesto motivo deduce la violazione di legge processuale e l’inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto i brogliacci relativi alle conversazioni coinvolgenti il (OMISSIS) si compongono di una stampa che non reca la sottoscrizione dell’ufficiale di p.g. che ha eseguito l’attività di intercettazione, in contrasto con l’art. 137 c.p.p.

Sostiene al riguardo che non si può escludere che il brogliaccio sia stato generato direttamente dal sistema di intercettazione (OMISSIS), ovvero dal sistema (OMISSIS), e quindi non dagli ufficiali di p.g. delegati all’esecuzione delle operazioni, e che non è stata indicata la consegna da parte di (OMISSIS) al personale di Procura dei brogliacci formati con gli applicativi citati.

Le operazioni di intercettazione sono state dunque eseguite in difformità da quanto indicato dall’art. 268, comma 1, cod. proc. pen., e ciò comporta l’inutilizzabilità ai sensi dell’art. 271, comma 1.

Erroneamente il Tribunale ha rigettato l’eccezione sostenendo che i verbali di inizio ascolto e di fine ascolto risultavano sottoscritti, in quanto il denunciato difetto di sottoscrizione riguardava i brogliacci, che documentano le modalità di esecuzione delle intercettazioni, indicando la sintesi dei colloqui registrati.

2.4. Con il settimo e l’ottavo motivo deduce la violazione di legge processuale e l’inutilizzabilità delle intercettazioni, nonché il vizio di motivazione, in relazione alla remotizzazione delle registrazioni.

Sostiene al riguardo che il PM aveva disposto l’esecuzione delle intercettazioni con la modalità della remotizzazione, prevedendo dunque la registrazione dei dialoghi intercettati nei locali e quindi nel server della Procura della Repubblica ed il loro ascolto presso una sede della polizia giudiziaria.

Le Sezioni Unite, con la sentenza del 2008, hanno affrontato il tema dell’esecuzione delle intercettazioni con modalità di remotizzazione distinguendo le diverse fasi di: captazione, registrazione, ascolto e verbalizzazione.

Mentre la captazione è per definizione effettuata presso l’operatore telefonico, quindi al di fuori degli uffici della procura, la registrazione, corrispondente alla memorizzazione dei dati captati, deve avvenire presso un server dislocato nella sede della Procura della Repubblica; l’ascolto può avvenire nei locali della Procura o presso la sede decentrata che riceve le singole conversazioni dell’impianto in Procura, mentre è del tutto indifferente il luogo in cui avvengono le attività di documentazione e masterizzazione di supporti informatici.

Nel caso di specie i verbali di cessazione dell’attività di intercettazione attestano che i supporti informatici contenenti le conversazioni captate non rappresentano la copia di quanto memorizzato presso il server di Procura o presso la sede decentrata di polizia giudiziaria, ma sono stati resi disponibili a seguito di masterizzazione e consegna da parte della (OMISSIS) di Milano: dunque, all’esito di ciascuna delle due intercettazioni non può dirsi che le conversazioni captate fossero nella disponibilità della polizia giudiziaria o della Procura della Repubblica, in quanto erano consegnate dalla società privata.

Inoltre, dai verbali risulta l’utilizzazione di una sola linea per ciascuno dei due RIT, circostanza incompatibile con l’esecuzione mediante remotizzazione che avrebbe dovuto coinvolgere contemporaneamente due linee telefoniche, una utilizzata per convogliare il segnale dall’operatore telefonico al server di Procura e l’altra per l’instradamento dei dati presso i locali di polizia giudiziaria, legata all’ascolto.

In assenza della documentazione richiesta, deve ritenersi essersi trattato dell’esecuzione di intercettazioni in luogo differente dalla sede della Procura ed in assenza di decreto ex art. 268, comma 3, cod. proc. pen.

Con l’ottavo motivo deduce, sotto altro profilo, il vizio di motivazione in relazione all’eccezione sollevata con cui si sosteneva che le modalità esecutive delle intercettazioni fossero differenti rispetto a quelle disposte dal PM con il proprio decreto; in altri termini, il rilievo difensivo non riguardava la nomina, anche senza particolari formalità, di ausiliari tecnici, quanto la ben più consistente circostanza che le emergenze procedimentali offrivano contezza dell’esecuzione delle intercettazioni con modalità ed in luoghi differenti da quelli indicati del PM ed in assenza di qualsivoglia decreto di autorizzazione, in quanto l’esecuzione dell’intercettazione risulta in realtà eseguita da personale di (OMISSIS) ed in altro luogo rispetto alla Procura della Repubblica.

2.5. Con il nono motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Sostiene al riguardo che il contenuto delle intercettazioni non manifesta che il ricorrente avesse avuto percezione dell’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia fiscale e tributaria, per di più aggravata dalla circostanza di cui all’art. 416 bís.1 cod. pen.

Il ricorrente, dipendente del coindagato (OMISSIS) e legato da rapporti certamente cordiali, non ha in alcun momento potuto avere consapevolezza della costituzione di un’associazione a delinquere alla quale non può aver partecipato, non avendo mai trattato temi rapportabili all’associazione con i restanti associati; anche i residui colloqui intrattenuti con il (OMISSIS) manifestavano preoccupazioni e necessità personali del coindagato, inidonei a fondare l’ipotesi di una partecipazione associativa: si è limitato a raccogliere alcune preoccupazioni del (OMISSIS), ha segnalato che la società (OMISSIS) Universal aveva un portafoglio clienti ristretto che avrebbe potuto attirare l’attenzione degli organi finanziari preposti ai controlli, ha fornito indicazioni circa la possibilità di distruggere alcune fatture non ancora saldate, ma ciò dopo la perquisizione eseguita presso una società fornitrice e su disposizione del (OMISSIS), ha manifestato la disponibilità a custodire i documenti del coindagato (OMISSIS), che precisava trattarsi di agende e documenti personali, e non di documentazione fiscale o contabile rapportabile alle attività aziendali, avrebbe accompagnato cittadini stranieri presso l’Agenzia delle Entrate, ma con un’attività episodica; infine, il (OMISSIS) ha proposto al ricorrente l’intestazione del 50% di una società nautica, per le difficoltà che avrebbe incontrato per la stipula di contratti di leasing.

Nel richiamare tali elementi, ne contesta analiticamente la valenza indiziaria, fornendo una alternativa lettura degli stessi.

2.6. Con il decimo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa.

Sostiene che l’ipotesi che i singoli partecipi all’associazione per delinquere fossero consapevoli che una percentuale dei proventi venisse devoluta a due cosche mafiose non ha trovato adeguato riscontro, in quanto gli eventuali rapporti intrattenuti dal (OMISSIS) non esauriscono il tema di una consapevolezza di ciascun associato.

Il (OMISSIS) non è mai stato informato da (OMISSIS) o da altri dell’esistenza dei due gruppi mafiosi, di un loro possibile interesse e della devoluzione di utilità in loro favore, e si è trovato nella condizione di non sapere del legame funzionale impresso dal suo interlocutore; non sarebbe sufficiente in tal senso il solo colloquio del dicembre 2017 nel quale (OMISSIS) apprende di taluno che stappa lo champagne con la sciabola o di regali destinati dal (OMISSIS) a soggetti gravati da pregiudizi penali, ovvero la ricezione della preoccupazione del (OMISSIS) per possibili collaborazioni processuali.

La motivazione del Tribunale sul punto è veramente assertiva e dunque apparente, anche con riferimento alla consapevolezza che il (OMISSIS) avesse acquistato doni natalizi per soggetti con precedenti penali o comunque gravati da pregiudizi in materia associativa, trattandosi di circostanze che non indicavano una condivisione della finalità di agevolazione, e non essendosi il ricorrente mai occupato della loro consegna.

2.7. Con l’undicesimo motivo deduce il vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, individuate nel pericolo di reiterazione di reati e nell’inquinamento della prova, nonostante il (OMISSIS), ben prima della sottoposizione a misura, avesse spontaneamente interrotto il rapporto lavorativo con la società del (OMISSIS), in tal senso eliminando anche l’occasione in seno alla quale era avvenuta la collaborazione illecita con il (OMISSIS) e quindi la ritenuta partecipazione alle associazioni.

Aggiunge al riguardo che il ricorrente è incensurato, appartenente ad un nucleo familiare estraneo al malaffare, e ben inserito nel contesto sociale, e che la condotta partecipativa sarebbe limitata ad un periodo circoscritto, dall’ottobre 2017 al giugno 2018.

L’ordinanza impugnata non avrebbe apprezzato il tempo silente, e la cessazione del rapporto di lavoro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato limitatamente ai primi due motivi di ricorso concernenti l’utilizzabilità delle intercettazioni in relazione ad un diverso procedimento.

2. Le doglianze concernenti l’inutilizzabilità delle intercettazioni per la violazione delle modalità di documentazione dei brogliacci – in quanto redatti automaticamente da un software, e non da un ufficiale di p.g., e privi di sottoscrizione -, proposte con i motivi dal terzo al sesto, sono infondati.

Invero, in tema di intercettazioni telefoniche, la sanzione della inutilizzabilità, prevista dall’art. 271 cod. proc. pen. in caso di inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 268 stesso codice, riguarda l’omessa redazione dei verbali e non l’omesso deposito dei cd. brogliacci, che si distinguono dai primi perché contengono solo la sintesi delle conversazioni intercettate e non la sommaria indicazione delle operazioni svolte (Sez. 3, n. 21968 del 24/02/2016, Amato, Rv. 267075); l’omesso deposito del cosiddetto “brogliaccio” (consistente nella sintesi delle conversazioni eseguita dalla polizia giudiziaria che procede alla relativa operazione) non è sanzionato da alcuna nullità o inutilizzabilità delle conversazioni intercettate (Sez. 3, n. 36350 del 23/03/2015, Bertini, Rv. 265630; Sez. 6, n. 49541 del 26/11/2009, Santagati, Rv. 245656).

Del resto, come chiarito anche di recente, con riferimento alla inosservanza dell’art. 89 disp.att. cod. proc. pen., in tema di intercettazioni telefoniche o ambientali, anche a mezzo di captatore informatico, non è causa di inutilizzabilità dei risultati di tali operazioni l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. del 29 dicembre 2017, n. 216, essendo tale sanzione prevista solo per i casi tassativamente indicati dall’art. 271 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 35010 del 30/09/2020, Monaco, Rv. 280398 – 02; Sez. 6, n. 33231 del 21/07/2015, Murianni, Rv. 264462: “In tema di intercettazioni, non determina l’inutilizzabilità degli esiti delle attività di captazione, ai sensi dell’art. 271, primo comma, cod. proc. pen., la irregolare indicazione di inizio e fine delle operazioni nei verbali cui fa riferimento l’art. 267, quinto comma, dello stesso codice, e che attengono alla durata complessiva dell’attività di intercettazione autorizzata per le singole utenze o i singoli ambienti privati, posto che l’indicata sanzione processuale opera solo con riferimento alle ipotesi previste dall’art. 268, commi 1 e 3, cod. proc.pen.”).

Con riferimento alla sottoscrizione del brogliaccio, è stato altresì chiarito che, in tema di intercettazioni telefoniche, dal combinato disposto degli artt. 268, primo comma, cod. proc. pen., 89, primo comma e secondo comma, norme att., emerge non soltanto che la legge ha inteso attribuire rilevanza probatoria esclusivamente ai documenti fonici ed ai verbali delle operazioni di intercettazione, con eccettuazione di ogni altro mezzo (in particolare, la testimonianza di chi ha eseguito l’intercettazione), ma si chiarisce anche che i cosiddetti “brogliacci di ascolto” inseriti nel verbale hanno lo scopo di consentirne il controllo da parte della difesa al momento del deposito; con la conseguenza che l’omissione della trascrizione di cui all’art. 268, secondo comma, cod. proc. pen. non è causa di inutilizzabilità dell’intercettazione.

Ulteriore conseguenza della rilevanza probatoria esclusiva del documento fonico, quanto al contenuto delle avvenute registrazioni e indipendentemente dal fatto della sommaria trascrizione delle medesime registrazioni nel verbale delle operazioni delle intercettazioni, è quella che la relazione di servizio – normalmente predisposta quale “brogliaccio” di ascolto ad opera del soggetto addetto all’ascolto stesso ed il cui contenuto, ai sensi dell’art. 268, secondo comma, cod. proc. pen., deve, non a pena di inutilizzabilità, essere sommariamente trascritto nel verbale delle operazioni – assume efficacia unicamente a detto fine, sicché la sottoscrizione di essa relazione di servizio non costituisce momento di redazione del verbale delle operazioni, ma serve soltanto a far riconoscere a colui che deve predisporre il verbale che le relazioni di servizio attinenti alle varie fasi delle operazioni di intercettazione non vengono esattamente dai soggetti operatori, volta a volta addetti alle singole operazioni di ascolto, qualora, per l’impossibilità che il solo operatore adempia a tutte le operazioni nell’arco di durata della intercettazione, si renda inevitabile un avvicendamento tra i più addetti; nonché a ragguagliare il Pubblico ministero e i coordinatori dell’operazione di polizia circa lo stato delle indagini e la scelta di ogni attività investigativa susseguente a predisporre ed attuare secondo finalità meramente interne delle quali il verbale non deve dare atto.

In definitiva, considerato che unico è il verbale previsto dall’art. 268, primo comma, cod. proc. pen., e che esso – quale documento attestante il complesso delle operazioni effettuate deve necessariamente essere predisposto al termine del periodo complessivamente autorizzato, incluse le eventuali proroghe, è logico o coerente ricavare che alla redazione del verbale medesimo non debbono partecipare, quali sottoscrittori, anche tutti gli altri operatori alle fasi attuative, perché ciò la legge, non solo non richiede a pena di nullità, ma addirittura implicitamente esclude (art. 89, primo comma, norme att.), quando prescrive la semplice indicazione nel verbale delle “persone che hanno preso parte alle operazioni”, con chiaro riferimento a tutti i soggetti, diversi dal Pubblico Ministero ovvero dall’Ufficiale di Polizia espressamente delegato alla titolarità della relativa indagine cui è stato possibile affidare il compimento delle distinte operazioni parziali svolte (Sez. 6, n. 3784 del 05/10/1994, dep. 1995, Celone, Rv. 201850).

3. I motivi concernenti l’inosservanza delle disposizioni in materia di remotizzazione delle captazioni sono infondati.

Secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite ‘Cadi’, condizione necessaria per l’utilizzabilità delle intercettazioni è che l’attività di registrazione – che, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, consiste nella immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata – avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che negli stessi locali vengano successivamente svolte anche le ulteriori attività di ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati così registrati, che possono dunque essere eseguite “in remoto” presso gli uffici della polizia giudiziaria (Sez. U, n. 36359 del 26/06/2008, Carli, Rv. 240395, che hanno precisato, con riguardo all’attività di riproduzione – e cioè di trasferimento su supporti informatici di quanto registrato mediante gli impianti presenti nell’ufficio giudiziario -, che trattasi di operazione estranea alla nozione di “registrazione”, la cui “remotizzazione” non pregiudica le garanzie della difesa, alla quale è sempre consentito l’accesso alle registrazioni originali).

È stato altresì chiarito che, in tema di intercettazioni, è legittima l’utilizzazione, per le operazioni di captazione, di impianti e mezzi appartenenti a privati (Sez. 1, n. 40122 del 16/05/2019, Balice, Rv. 277794, con riferimento ad una fattispecie relativa ad intercettazioni telefoniche ed ambientali eseguite presso i locali della procura della Repubblica con remotizzazione negli uffici della polizia giudiziaria mediante impianti presi a noleggio da privati).

Ciò posto, il ricorrente non deduce, fornendone dimostrazione, che la registrazione sia avvenuta fuori dei locali della Procura, ma che, essendo la documentazione e verbalizzazione delle operazioni avvenuta ad opera della società che aveva noleggiato gli impianti, che aveva provveduto alla masterizzazione e consegna dei brogliacci, le conversazioni captate non sarebbero state nella disponibilità della polizia giudiziaria o della Procura della Repubblica, in quanto erano state consegnate dalla società privata.

La deduzione, tuttavia, pur nella sua farraginosità argomentativa, non implica che la registrazione sia avvenuta fuori dei locali della Procura, ma soltanto che la documentazione e verbalizzazione delle operazioni di captazione sia avvenuta fuori dei locali della Procura, conformemente alle regolari modalità di c.d. remotizzazione poc’anzi richiamate.

4. I primi due motivi sono invece fondati.

4.1. Giova premettere che, trattandosi di intercettazioni eseguite nel 2017, occorre fare riferimento al testo dell’art. 270 cod. proc. pen. anteriore alle modifiche introdotte con la legge n. 7 del 2020 di conversione del d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, poiché la novella si applica ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020 (art. 2, comma 8, d.l. n. 161, cit., come modificato dall’art. 1, comma 2, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., nella legge n. 70 del 2020).

I criteri interpretativi di riferimento sono stati sanciti di recente dalle Sezioni Unite ‘Cavallo’, con la sentenza n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020.

Le Sezioni Unite ‘Cavallo’ hanno stabilito che il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen., di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza -, non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata “ah origine” disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395).

In sintesi per “diversi procedimenti”, ex art. 270 cod. proc. pen., devono intendersi “diversi reati” che non siano connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli per i quali l’intercettazione è stata autorizzata. Vale a dire: solo la connessione “sostanziale” tra reati, rilevante ex art. 12 cod. proc. pen., fonda la categoria di “stesso procedimento” idonea a paralizzare l’operatività dell’art. 270 cod. proc. pen.

Di contro non è sufficiente un nesso di natura “formale” o “occasionale”, quale quello derivante dal collegamento delle indagini ai sensi dell’art. 371 cod. proc. pen., dall’appartenenza ad un medesimo contesto (o “filone”) investigativo, dal medesimo numero di iscrizione del fascicolo processuale.

Precisano le Sezioni Unite che, in presenza di un legame sostanziale tra reati ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., le intercettazioni sono utilizzabili, ma solo a condizione che il “nuovo” reato rientri nel catalogo di cui all’art. 266 cod. proc. pen.

Di recente, il medesimo principio è stato ribadito da Sez. 5, n. 1757 del 17/12/2020, dep. 2021, Lombardo, Rv. 280326 – 02, secondo cui, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, secondo la disciplina applicabile ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per ulteriori fatti-reato legati al primo da una connessione sostanziale rilevante ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., ma solo a condizione che rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen. (In motivazione la Corte ha precisato che la previsione di limiti di utilizzabilità degli esiti captativi è espressione della riserva di legge posta a garanzia del diritto alle libertà e segretezza delle comunicazioni di cui all’art. 15 Cost., non travalicabile in ragione dei principi di “non dispersione della prova”, non incidendo sull’obbligo di esercizio dell’azione penale sancito dall’art. 112 Cost., e di uguaglianza ex art. 3 Cost., in quanto il differente regime processuale afferisce, secondo un criterio di ragionevolezza, alla diversa tipologia dei reati e non dei soggetti concorrenti).

5. Tanto premesso, il Tribunale del riesame ha rigettato la medesima eccezione di inutilizzabilità, richiamando orientamenti giurisprudenziali precedenti alle Sezioni Unite ‘Cavallo’ – e divergenti rispetto ai principi da esse affermati -, alla cui stregua le intercettazioni sarebbero utilizzabili per tutti i reati emergenti nel medesimo procedimento.

Invero, l’ordinanza impugnata ha affermato l’utilizzabilità delle intercettazioni disposte per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. anche nei confronti del diverso reato di cui all’art. 416 cod. pen. (oggetto del presente ricorso) aderendo all’orientamento – il secondo scrutinato dalle Sezioni Unite ‘Cavallo’ – secondo cui, in tema di intercettazioni, qualora il mezzo di ricerca della prova sia legittimamente autorizzato all’interno di un determinato procedimento concernente uno dei reati di cui all’art. 266 cod. proc. pen., i suoi esiti sono utilizzabili anche per gli altri reati di cui dall’attività di captazione emergano gli estremi e, quindi, la conoscenza, mentre, nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso “ab origine“, l’utilizzazione è subordinata alla sussistenza dei parametri indicati espressamente dall’art. 270 cod. proc. pen., e, cioè, all’indispensabilità ed all’obbligatorietà dell’arresto in flagranza (ex multis, Sez. 2, n. 9500 del 23/02/2016, De Angelis, Rv. 267784).

6. Il Tribunale ha tuttavia omesso del tutto di confrontarsi con i principi, poc’anzi richiamati, affermati dalle Sezioni Unite ‘Cavallo’, e di compiere una specifica verifica in merito alla effettiva sussistenza di un reale collegamento sostanziale tra i fatti-reato per i quali l’intercettazione è stata disposta e quello per cui si procede nei confronti del (OMISSIS).

7. Nel rammentare, al riguardo, che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, ai fini dell’applicazione della disciplina derogatoria delle norme codicistiche prevista dall’art. 13 del D.L. n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata devono intendersi quelli elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen. nonché quelli comunque facenti capo ad un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato (Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, Rv. 266906), l’ordinanza impugnata va dunque annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Catanzaro, per nuovo esame, sulla base dei singoli decreti autorizzativi, della sussistenza o meno di una connessione sostanziale tra i reati oggetto di autorizzazione e quello oggetto del titolo cautelare impugnato, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite ‘Cavallo’.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro – Sezione Riesame.

Così deciso in Roma, il 17/06/2021.

Depositata in Cancelleria l’11 agosto 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.