Incidente mortale. Rotatoria con scarsa visibilità: per evitare responsabilità non basta rispettare il limite di velocità (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 23 marzo 2023, n. 12116)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore – Presidente –

Dott. VIGNALE Lucia – Consigliere –

Dott. DAWAN Daniela – Rel. Consigliere –

Dott. CENCI Daniele – Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza in data 08/02/2022 della Corte di appello di Napoli;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere dott.ssa Daniela Dawan;

letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Vincenzo Senatore, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello d Napoli, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal Tribunale di Torre Annunziata nei confronti di (OMISSIS) (OMISSIS) per aver riconosciuto la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p., con conseguente rideterminazione della pena, ha confermato la dichiarazione di responsabilità dell’imputato per il reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale (omissis).

1.2. Alla guida dell’autovettura (OMISSIS) (tg. omissis), l’imputato percorreva (OMISSIS), nel tenimento del Comune di […], con direzione di marcia […], viaggiando ad una velocità compresa tra i 40 e i 48 km/h, superiore a quella entro la quale deve viaggiare un veicolo in prossimità di un incrocio stradale.

All’altezza dell’incrocio tra (OMISSIS), senza decelerare adeguatamente il proprio veicolo al fine di arrestarlo in corrispondenza del segnale di stop, e non riuscendo ad effettuare alcuna manovra di arresto efficace e/o di aggiramento dell’ostacolo, andava ad impattare contro l’autovettura (OMISSIS) (tg. omissis), che procedeva su (OMISSIS), diretto verso […] centro, nel momento in cui quest’ultima stava per immettersi su (OMISSIS).

Per l’impatto, la (OMISSIS) superava la barriera metallica e precipitava, ribaltandosi, nel sottostante canale del (OMISSIS) ove perdevano la vita (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS).

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il difensore dell’imputato mediante l’articolazione di due motivi con cui lamenta:

2.1. Violazione del diritto di difesa per essere state rigettate le doglianze difensive concernenti il mancato accoglimento delle due istanze di rinvio per legittimo impedimento nel corso del giudizio di primo grado, in relazione alle udienze del 22/02/2017 e del 25/10/2017, con connesse illogicità ed omissioni motivazionali sul punto. Nell’atto di appello, il difensore aveva ribadito, contrariamente a quanto assunto dal Tribunale, l’oggettiva impossibilità di adempiere due mandati difensivi concomitanti.

La Corte di merito, tuttavia, ha condiviso gli assunti contenuti nelle ordinanze del Tribunale al riguardo, omettendo di spiegarne le ragioni. Richiama, sul punto, la sentenza delle Sezioni Unite n. 4909 del 18/12/2014.

2.2. Violazione dell’art. 533 c.p.p. per assenza della prova della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio, nonché degli artt. 40 e 41 c.p. in punto di nesso di causalità della colpa; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza di cause oggettivamente idonee ad interrompere il nesso eziologico.

La sentenza impugnata sovrappone piani eterogenei di valutazione, quello della causalità materiale e quello della causalità della colpa.

I Giudici di merito hanno riconosciuto che la velocità dell’auto condotta dall’imputato era nettamente inferiore al limite di 50 km/h, collocandola tra i 30 e i 35 km/h.

La valutazione di inadeguatezza ha dato luogo ad un duplice profilo di illogicità perché ha individuato la regola di diligenza – ossia la velocità esigibile – non solo da un ragionamento ex post, trascurando del tutto le caratteristiche insidiose del tratto stradale, ma ha fatto discendere uno o più dati certi (velocità imputata) da un elemento che, al contrario, si colloca nella sfera della probabilità, atteso che la sentenza di primo grado ha affermato che la velocità ricavata nel caso in questione non costituisce un dato certo e assoluto, potendo subire un arrotondamento del 20%, tanto in eccesso quanto in difetto. Detta variabilità incide sulla tematica dell’evitabilità in concreto dell’evento.

Per connotare la causalità della colpa si sarebbe dovuto dimostrare che la condotta di stop/ripartenza avrebbe consentito, con ragionevole certezza, una maggiore visibilità dell’incrocio e/o un’apprezzabile minore velocità del veicolo del (OMISSIS), aspetti essenziali di cui è privo il percorso argomentativo della sentenza impugnata.

Nel caso di specie, era palese che l’inadeguatezza dell’incrocio restituiva ai conducenti una falsa prospettiva, tale da determinare un gran numero di sinistri: l’inappropriata costruzione del tratto stradale lo faceva apparire libero da veicoli e l’imputato, anche per la presenza di edifici, non aveva nel caso concreto alcuna possibilità, neanche da fermo, di vedere sopraggiungere la (OMISSIS). Lo stop non era infatti sufficiente a garantire una circolazione sicura.

Nessuna menzione fa la Corte di appello rispetto alle censure in tema di imprevedibilità, tenuto conto del fatto che la presenza di una barriera stradale adeguata e in buone condizioni di manutenzione avrebbe contenuto il veicolo su cui viaggiavano le persone offese, come ha altresì evidenziato il consulente della Procura.

L’inadeguatezza del parapetto stradale andava, quindi, considerata quale evento eccezionale, imprevedibile, tale da interrompere il nesso di causa.

3. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo è infondato.

Secondo i principi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema “l’impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire, ai sensi dell’art. 420 ter, comma 5, c.p.p., a condizione che il difensore:

a) prospetti l’impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni;

b) indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione nel diverso processo;

c) rappresenti l’assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l’imputato; d) rappresenti l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 c.p.p. sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio” (Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 2015, Torchio, Rv. 262912 – 01; già Sez. U, n. 4708 del 27/03/1992, Fogliani, Rv. 190828 – 01, con riferimento all’abrogato dell’art. 486, comma 5, c.p.p., avevano sostenuto che, perché l’impegno professionale del difensore in altro procedimento possa essere assunto quale legittimo impedimento è necessario che il difensore prospetti l’impedimento e chieda il rinvio non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni e che non si limiti a comunicare e documentare l’esistenza di un contemporaneo impegno professionale in altro processo, ma esponga le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione in esso per la particolare natura dell’attività a cui deve presenziare, l’assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l’imputato, l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 c.p.p. sia nel processo a cui si intende partecipare sia in quello di cui si chiede il rinvio).

E, dunque, per quanto di rilievo nella presente sede, vale il principio per il quale l’obbligo di comunicare prontamente, ex art. 420-ter, comma 5, c.p.p., il legittimo impedimento a comparire, per concorrente impegno professionale, si intende puntualmente adempiuto dal difensore quando questi, non appena ricevuta la notificazione della fissazione dell’udienza nella quale intenda far valere il legittimo impedimento, verifichi la sussistenza di un precedente impegno professionale davanti a diversa Autorità giudiziaria cui deve accordare prevalenza, conseguendone che la tempestività della comunicazione predetta va determinata con riferimento al momento in cui il difensore ha conoscenza dell’impedimento (Sez. 5, n. 27174 del 22/04/2014, Sicolo e altro, Rv. 260579 – 01).

Nel caso di specie, la Corte di appello, ha fatto corretta applicazione dei menzionati principi, osservando che, in entrambi i casi di cui alle rispettive ordinanze di rigetto, non vi era stata pronta comunicazione del legittimo impedimento del difensore perché, a fronte di una notificazione della fissazione di udienza ricevuta diversi giorni prima della presentazione dell’istanza di differimento, le relative istanze dovevano ritenersi intempestive.

Ha, pertanto, correttamente ritenuto assorbita anche la questione relativa alla argomentazione sull’impossibilità di avvalersi di sostituto, non più rilevante una volta che sia accertata l’intempestività della richiesta di differimento (Sez. 5, n. 27174 del 22/04/2014, cit.).

3. Il secondo motivo è infondato, pur rendendosi necessarie alcune precisazioni.

La Corte di appello ha osservato come dal compendio probatorio sia emersa, con palmare evidenza, la condotta negligente ed imprudente posta in essere dall’imputato, per avere violato le regole cautelari imposte dal codice della strada e, segnatamente, dagli artt. 140, 141 e 145, in particolare ponendo in luce che, sebbene l’odierno prevenuto al momento dello scontro con la (OMISSIS) su cui viaggiavano le due vittime, circolasse nel rispetto del limite di velocità di 50 km/h, deve comunque tenersi conto del fatto che egli, in considerazione delle particolari condizioni atmosferiche di quel giorno, del traffico e delle peculiari caratteristiche della sede stradale (un incrocio con rotatoria a più ingressi) avrebbe dovuto mantenere una velocità ancora inferiore che avrebbe consentito di avere un maggior controllo dell’autovettura e di rispettare l’art. 140 C.d.S., il cui disposto letterale impone a ciascun conducente di comportarsi in modo da non costituire ostacolo o pericolo per la circolazione e l’art. 141 medesimo codice, il quale statuisce che gli utenti della strada devono regolare la velocità della propria autovettura, a prescindere dal limite imposto, adattandola alle circostanze del caso concreto e cioè alle particolari condizioni della strada ovvero alle condizioni atmosferiche tali da richiedere una maggiore prudenza.

Rileva, poi, che dagli accertamenti tecnici, era risultato che l’auto condotta dal (OMISSIS) pur tenendo una velocità contenuta, non si era arrestata al segnale di stop e non aveva dato così la precedenza, in violazione dell’art. 145 C.d.S., concludendo, infine, nel senso che “se l’imputato avesse percorso la strada ad una velocità minore e avesse mantenuto costantemente il controllo della autovettura, così da riuscire ad arrestarsi prontamente al segnale di stop e a non impattare contro il veicolo delle due vittime, la rovinosa caduta nel (OMISSIS) della (OMISSIS) in cui viaggiavano le due donne, seguita dal loro decesso per annegamento, non si sarebbe verificata”.

Tanto premesso, deve rilevarsi che coglie nel segno la doglianza con cui il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, nel definire “inadeguata” la velocità tenuta dal prevenuto, ha individuato la regola di diligenza, ossia la velocità esigibile, da un ragionamento formulato a posteriori.

L’accertamento della violazione cautelare, invero, richiede la preliminare identificazione della regola che doveva essere osservata nel caso concreto.

Sul tema, questa Corte ha osservato come questa operazione si appalesi agevole quando la regola cautelare è codificata con un contenuto sufficientemente determinato (regola cautelare cosiddetta “rigida”), ma come più spesso, tuttavia, essa si presenti di notevole difficoltà, sia perché quella prescrizione va tratta dal patrimonio di conoscenze formatesi nel corpo sociale attraverso l’uso dei criteri euristici della prevedibilità e dell’evitabilità dell’evento pregiudizievole, sia perché spesso la regola codificata non esaurisce il quadro disciplinare, concorrendo con regole non codificate (Sez. 4, n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv. 273871 – 01 la cui massima è formulata nei seguenti termini: Nei reati colposi, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta “elastica”, che cioè necessiti, per la sua applicazione, di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l’agente deve operare – al contrario di quelle cosiddette “rigide”, che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento – è necessario, ai fini dell’accertamento dell’efficienza causale della condotta antidoverosa, procedere ad una valutazione di tutte le circostanze del caso concreto).

Anche nel caso di regole codificate, tuttavia, l’eventuale natura “elastica” pone rilevanti problemi di definizione contenutistica, così come emblematicamente rappresentato dall’art. 141 cod. strada, che impone di tenere una velocità prudenziale ma non definisce quale essa sia attraverso parametri “rigidi”, valevoli in ogni caso, dovendo essa essere definita in relazione alle condizioni concrete nelle quali si pone l’atto della guida.

Questa Corte ha precisato che è regola cautelare cosiddetta “elastica” quella che necessita, per la sua applicazione, di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l’agente deve operare; mentre quelle cosiddette “rigide” fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento (Sez. 4, n. 29206 del 20/06/.2007, Di Caterina, Rv. 236905 -01, attinente proprio all’art. 141 C.d.S.).

L’insidia che incombe in presenza di regole elastiche è che agisca più o meno inconsapevolmente l’errore cognitivo evocato dal brocardo post hoc ergo propter hoc, rispetto al quale le Sezioni Unite hanno segnalato “il pericolo che il giudice prima definisca le prescrizioni o l’area di rischio consentito e poi ne riscontri la possibile violazione, con una innaturale sovrapposizione di ruoli che non è sufficientemente controbilanciata dalla terzietà” (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri; si veda anche Sez. 4, n. 36400 del 23/05/2013, Testa, Rv. 257112 – 01 e, più di recente, Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016, dep. 2017, Di Pietro e altro, Rv. 269254- 01).

Nel caso di specie, come si è detto, la sentenza impugnata – pur avendo osservato che, al momento dello scontro con la (OMISSIS) su cui viaggiavano le due vittime, circolava nel rispetto del limite di velocità di 50 km/h (procedendo, infatti, a 30-35 km/h) – ha affermato che l’imputato “in considerazione delle particolari condizioni atmosferiche di quel giorno, del traffico e delle peculiari caratteristiche della sede stradale (un incrocio con rotatoria a più ingressi), avrebbe dovuto mantenere una velocità ancor minore che gli avrebbe consentito… di avere un maggior controllo dell’autovettura” e di rispettare, quindi, il disposto degli artt. 140 e 141 C.d.S.; ma ha totalmente mancato di esplicitare quale fosse la velocità adeguata, ovvero quella che, alla luce di tutte le circostanze del caso, risultava – non ex post ma ex ante – doverosa.

In conclusione, sullo specifico punto: la Corte di appello ha omesso di identificare il preciso contenuto della regola cautelare, finendo per far coincidere la velocità che ex ante il (OMISSIS) avrebbe dovuto tenere con quella che ex post avrebbe evitato l’evento, così sovrapponendo al piano dell’accertamento della sussistenza di una condotta non cautelare quello dell’accertamento del nesso causale (della colpa).

Decisiva, ai fini della configurazione della responsabilità dell’imputato, appare, invece, la circostanza valorizzata dalla Corte di appello, costituita dalla violazione dell’art. 145 C.d.S., per non essersi questi arrestato al segnale di stop e non avere dato la dovuta precedenza all’auto delle vittime.

Detta violazione collega direttamente l’imputato alla causazione del sinistro, non essendo intervenuti, nel caso di specie, fattori che abbiano innescato un rischio nuovo ed eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta, tale da interrompere il nesso causale tra condotta ed evento (sulla nozione di rischio eccentrico questa Corte si è espressa, più volte, con riguardo agli infortuni sul lavoro e alla responsabilità medica).

Non costituisce rischio eccentrico, afferma la sentenza impugnata, con argomentare congruo e non manifestamente illogico, il dato inerente al danneggiamento della barriera stradale, la quale poteva, “al più… assurgere a concausa dell’evento lesivo, anche tenuto conto del fatto che l’imputato non poteva non essere consapevole della pericolosità dell’intersezione”, considerato altresì che, come lamenta lo stesso ricorrente, l’incrocio non garantiva una buona visibilità, ulteriore ragione per la quale l’imputato avrebbe dovuto rispettare il segnale di stop.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Penale della Corte di cassazione, il giorno 16 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.