REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
LUIGI ALESSANDRO SCARANO -Presidente
DANILO SESTINI -Consigliere
PASQUALE GIANNITI -Consigliere – Rel.
STEFANIA TASSONE -Consigliere
ANNA MOSCARINI -Consigliere
Ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 13089/2021 proposto da:
(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in (omissis)
-ricorrente –
contro
(omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) Spa, (omissis) (omissis) (omissis) Srl;
– intimati –
nonché contro
(omissis) Spa in qualità di impresa designata per la gestione nel FGVS;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 5671/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/05/2023 dal Consigliere dott. Pasquale Gianniti;
FATTI DI CAUSA
1. (omissis) (omissis) ricorre contro la sentenza n. 5671/2020 della Corte di Appello di Roma, che, rigettando il suo appello, ha confermato la sentenza n. 19385/2014 del Tribunale di Roma, che aveva parzialmente accolto la sua domanda risarcitoria.
2. Il 31 gennaio 2004 si verificava in all’altezza dell’intersezione con un incidente stradale tra il motociclo (omissis) (omissis), (omissis) condotto dal proprietario (omissis) (omissis) e l’autocarro Nissan (omissis), privo di garanzia assicurativa, di proprietà della (omissis) e condotto da (omissis) (omissis)
A seguito del sinistro lo (omissis) riportava danni materiali e personali, mentre il (omissis) veniva tratto a giudizio davanti al Giudice di Pace penale di Roma che, con sentenza1093/2006, pronunciata in seguito a dibattimento e divenuta irrevocabile il 17 ottobre 2006, accertava che il sinistro si era verificato per esclusiva sua colpa e responsabilità (e, in particolare, per inosservanza del divieto di svolta a sinistra).
Con ricorso depositato il 10 luglio 2008 lo (omissis) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma il (omissis) nonché la (omissis) e (omissis) s.p.a. (oggi (omissis) s.p.a.), quest’ultima quale Impresa Designata per il FGVS, chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento in solido dei danni subiti.
Esponeva che, mentre era alla guida del suddetto motociclo, era stato urtato dall’autocarro, il cui conducente – proveniente dalla direzione opposta – aveva effettuato una improvvisa svolta a sinistra, nonostante detta manovra e l’immissione in via (omissis) fossero vietate.
Si costituivano: dapprima, l’Impresa, contestando la domanda attorea e svolgendo domanda di regresso nei confronti del conducente del veicolo non assicurato; poi la società (omissis)che esponeva di aver venduto il veicolo prima del sinistro e pertanto eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva.
Il (omissis) invece rimaneva contumace (e successivamente decedeva in data 28 giugno 2010).
La causa veniva istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, assunzione di prove orali e espletamento di ctu medicolegale.
Il Tribunale di Roma con sentenza n. 19385/2014, accertato il concorso del danneggiato nella causazione del sinistro nella misura di un terzo, condannava i convenuti al risarcimento dei danni, determinati in euro 43.816,00, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo ed oltre spese legali.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado lo (omissis) proponeva appello, articolando quattro motivi:
con il primo lamentava l’omessa valutazione della valenza del giudicato penale, costituito dalla sentenza n. 1093/2006, emessa dal Giudice di Pace di Roma a seguito di dibattimento e passata in giudicato;
con il secondo si doleva della motivazione contraddittoria e della errata valutazione circa l’attendibilità dei testimoni e della conseguente omessa valutazione delle prove orali;
con il terzo si lamentava della errata ed illogica motivazione circa la valutazione della responsabilità;
con il quarto si doleva dell’errata applicazione delle Tabelle del Tribunale di Roma in luogo di quelle di Milano, più favorevoli ed usualmente applicate sull’intero territorio nazionale.
Si costituivano nel giudizio di appello la società (omissis) che proponeva appello incidentale, l’Impresa, nonché, essendo nelle more deceduto il (omissis) la di lui vedova (omissis).
Quest’ultima depositava rinuncia all’eredità del marito, ragion per cui lo (omissis) a seguito di autorizzazione, chiamava in giudizio (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) quali genitori del (omissis) chiamati alla di lui eredità.
La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 5671/2020 respingeva entrambi gli appelli e dichiarava inammissibile l’appello principale nei confronti della (omissis)
3. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso lo (omissis)
Ha resistito con controricorso la (omissis) s.p.a.
Il difensore del ricorrente ha depositato memoria insistendo nell’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso dello (omissis) affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo (p. 10 ) il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 651 c.p.p., nonché la nullità e/o vizio della sentenza per carenza e contraddittorietà di motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il suo primo motivo di appello, ha erroneamente ritenuto che l’art. 651 c.p.c. non preclude al giudice civile l’accertamento dell’apporto causale del danneggiato, senza spiegare le ragioni per le quali la sentenza del giudice di Pace penale di Roma (che aveva accertato come l’incidente era avvenuto per esclusiva colpa e responsabilità dell’imputato), non aveva efficacia vincolante per la valutazione della colpa esclusiva del danneggiate (che, peraltro, era rimasto contumace e non aveva fornito alcuna prova in tal senso).
Richiama al riguardo Cass. n. 19487/2004 e n. 15392/2018.
Con il secondo motivo (p. 17 ss.) denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché la nullità e/o vizio della sentenza per carenza e contraddittorietà di motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il suo terzo motivo di appello, ha erroneamente ritenuto sussistente il suo concorso di colpa per il solo fatto, ipotizzato e non provato, che egli avrebbe condotto il motociclo a velocità sostenuta; e nella parte in cui deduce in maniera assolutamente apodittica che lui non avrebbe fatto tutto il possibile per evitare il danno laddove al contrario gli elementi probatori acquisiti (e in particolare le deposizioni dei testi escussi ed il rapporto redatto dalla Polizia Municipale nell’immediatezza del sinistro) non offrono riscontro a tale tesi.
Richiama al riguardo Cass. n. 6941/2021.
Con il terzo motivo (p. 24 ss.) denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. in tema di violazione del principio di equità della valutazione del danno nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il suo quarto motivo di appello, ha erroneamente applicato le meno favorevoli tabelle del Tribunale di Roma, in luogo di quelle predisposte dal Tribunale di Milano, sul presupposto che queste ultime non erano state depositate, senza tener conto di quanto già affermato da questa Corte di legittimità con sentenza n. 12408 del 2011.
2. Il terzo motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
Nella sentenza impugnata, la corte territoriale, nel rigettare il quarto motivo di appello (nella parte in cui lamentava la mancata adozione delle tabelle milanesi), ha osservato (p. 6): <<che le c.d. “tabelle milanesi” non costituiscono un fatto notorio, che le stesse non sono state depositate e che in mancanza di produzione non è sufficiente indicare le somme pretese in applicazione delle stesse>>, invocando a sostegno la sentenza n. 12288 del 2016 emessa da questa Corte.
Senonché, come già rilevato da questa Corte (Cass. n. 392/2018), detta ultima sentenza <<non aveva ad oggetto il problema sostanziale delle condizioni alle quali può essere invocata nei gradi di merito l’applicazione delle tabelle milanesi (onere della domanda; onere di deposito); ma il ben diverso problema processuale della ricorribilità per cassazione della sentenza di merito che quei criteri non avesse applicato e degli adempimenti di contenuto-forma che il ricorso per cassazione, in tal caso, deve soddisfare. lì, infatti, non si discuteva se il giudice di merito avesse o no sbagliato nel non applicare le tabelle milanesi; ma si discuteva se gli importi liquidati dal giudice di merito, che pure aveva dichiarato di stare applicando le tabelle milanesi, fossero davvero quello risultanti da tali tabelle: un caso, dunque, nel quale era imprescindibile la produzione in giudizio delle tabelle da parte del ricorrente>>
Nulla di tutto questo nel caso di specie.
Occorre qui ribadire che in via generale non vi è alcun obbligo di deposito in giudizio delle tabelle milanesi, in quanto, come questa Corte ha già avuto modo di affermare ( Cass. n. 8508 del 2020):
a) nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante da una lesione alla salute il principio di equità, di cui all’art. 1226 c.c., è garantito dall’adozione dei criteri uniformi predisposti e diffusi dal Tribunale di Milano;
b) la mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre può integrare violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. (Cass. n. 12408 del 2011),
c) i parametri delle Tabelle di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella di inferiore ammontare cui sia diversamente pervenuto, essendo incongrua la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri esibiti dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire (Cass. n. 14402 del 2011; Cass. n. 16992 del 2015; Cass. n. 21059 del 2016).
Pertanto, il giudice di merito è tenuto ad utilizzare per la liquidazione del danno alla salute i valori risultanti dalle “Tabelle” del Tribunale di Milano, salvo motivato dissenso.
Tabelle facilmente reperibili sulle riviste specializzate, nella trattatistica o sul web (Cass. n. 392 del 2018).
Poiché tale principio è stato disatteso dalla corte di merito nella sentenza impugnata, della medesima s’impone pertanto la cassazione in relazione.
3. Il 1° e il 2° motivo sono inammissibili.
3.1. Va in primo luogo osservato che la compagnia (omissis) s.pa. non risulta essere stata parte nel giudizio penale, per cui la sentenza penale di condanna non è ad essa opponibile (secondo quanto previsto dallo stesso art. 651 c.p.p.).
Inoltre, secondo consolidato principio di diritto affermato da questa Corte <<in materia di rapporti tra il giudizio penale e quello civile per il risarcimento del danno, la decisione con cui il giudice civile ravvisi un concorso del soggetto danneggiato nella causazione del pregiudizio dallo stesso lamentato non viola l’art. 651 c.p.p., a norma del quale, nel processo civile, ha efficacia di giudicato l’accertamento, contenuto nella sentenza penale di condanna, in ordine alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e alla commissione dello stesso da parte dell’imputato>>: ciò in quanto, in via generale, ogniqualvolta un medesimo fatto integra al contempo un illecito civile ed un illecito penale, il giudice civile è legittimamente chiamato a compiere un autonomo accertamento dei fatti costitutivi rilevanti ai fini della domanda civile, proprio perché diversi da quelli rilevanti ai fini della condanna penale (v., di recente, Cass. n. 21402 del 2022)
Pur formalmente denunciando la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 651 c.p.p. nonché la nullità e/o vizio della sentenza per carenza e contraddittorietà di motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia la mossa censura si appalesa invero sostanzialmente volta ad un riesame delle risultanze istruttorie (acquisite sia nel giudizio penale che nei due gradi di merito) in punto di accertamento della responsabilità (che, nella sentenza impugnata è stata attribuita al ricorrente nella misura del 30%).
3.2. Va altresì posto in rilievo che per dedurre la violazione dell’art. 115 proc. civ. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è dedicato alla valutazione delle prove; Sez. Un. 16598 del 2016).
D’altra parte, la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente erroneamente esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014 (tra le ultime: Sez. U. n. 34474 del 2019, con richiami pure a Cass. n. 13960 del 2014, ovvero a Cass. n. 26965 del 2007).
4. Dichiarati inammissibili il 1° e il 2° motivo, attesa la fondatezza del 3° motivo nei suindicati termini e limiti l’impugnata sentenza va pertanto cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo del suindicato disatteso principio
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso nei termini e limiti di cui in motivazione.
Dichiara inammissibili il 1° e il 2° motivo.
Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2023, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.
Il Presidente
Dott. Luigi A. Scarano
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2023.