Infezione da “piercing” ai danni di minore, ne risponde il tatuatore (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 24 novembre 2020, n. 32870).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MENICHETTI Carla – Presidente – 

Dott. TANGA Antonio Leonardo – Rel. Consigliere –

Dott. BRUNO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere –

Dott. DAWAN Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(omissis) nata a (omissis);

avverso la sentenza n. 07/19 in data 28/02/2019 del Tribunale di Modena;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Antonio Leonardo Tanga;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Tommaso Epidendio che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udite le richieste del difensore dell’imputata, avv. (omissis), del Foro di Modena, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO  IN FATTO

1. Con sentenza n. 743/2016, emessa in data 24/11/2016, il Giudice di Pace di Modena condannava (omissis) per il reato di cui all’art. 590 c.p. alla pena di euro 500 di multa, nonché al risarcimento a favore della parte civile,(omissis), dei danni subiti, da liquidarsi in separato giudizio, oltre alle spese di costituzione ed assistenza.

L’imputata era stata tratta a giudizio per rispondere del delitto di cui art. 590 c.p. perché, per negligenza, imperizia ed imprudenza consistite nel non aver rispettato le norme d’igiene e di disinfezione, nel posizionare un “piercing” all’orecchio destro di (omissis), cagionava alla stessa una malattia della durata superiore ai gg. 40 (infezione padiglione auricolare destro da impianto di orecchino) con residuato all’orecchio danno biologico di tipo estetico di natura non penale.

1.1. Con la sentenza n. 07/19 in data 28/02/2019, il Tribunale di Modena, giudice di appello, adito dall’imputata, in parziale riforma della sentenza (omissis) di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (omissis) (omissis) per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, confermando nel resto con condanna al pagamento delle spese di costituzione ed assistenza sostenute dalla parte civile per il secondo grado di giudizio.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione (omissis), a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’art.173, comma 1, disp. att.  cod.  proc.  pen.):

– violazione di legge in relazione agli artt. 40, 41, e 590 c.p.

Deduce che il Giudice d’appello ha erroneamente affermato che, nella vicenda in esame, la condotta addebitata all’imputata costituisce l’unico possibile fattore scatenante della malattia, omettendo però di confrontarsi con l’elemento probatorio costituito dalle dichiarazioni testimoniali rese dal consulente tecnico del P.M. il quale non poteva escludere che una cattiva igiene personale nei giorni successivi alla applicazione del piercing potesse avere causato l’infezione, confermando quindi che era possibile tracciare un percorso causale alternativo per l’insorgere dell’infezione stessa.

Sostiene, quindi, la sussistenza di un plausibile e ragionevole dubbio che non può che comportare la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio stabilito dall’art. 530, comma 2, c.p.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

4. Va premesso che, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre  in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

4.1. Occorre, inoltre, evidenziare che la ricorrente ignora le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame, fornendo puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.

4.2. In realtà la ricorrente, sotto il profilo dell’asserita violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.

In vero, in sede di legittimità, sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).

5. Ciò posto, in replica alle censure, mette conto osservare che, in tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, la scelta operata dal giudice, in virtù del principio del libero convincimento e pur in assenza di una perizia d’ufficio, tra le diverse tesi prospettate ai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, purché la sentenza – come nella specie – dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell’opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti (cfr. Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015 – dep. 25/02/2015 – Rv. 263435; Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008 Ud. -dep. 04/12/2008- Rv. 241907), tenendo costantemente presenti le altre risultanze processuali (cfr. Sez. 4,  n. 15493 del 10/03/2016 Ud. -dep. 14/04/2016- Rv. 266787; Sez. 5, n. 686 del 03/12/2013 Ud. – dep. 10/01/2014- Rv. 257965).

5.1. A ciò deve aggiungersi che la regola di giudizio dell’al di là  di  ogni ragionevole dubbio, ex art. 533, comma 1, c.p.p., consente di pronunciare sentenza di condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto ricostruzioni alternative costituenti eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili  “in  rerum  natura”  ma  la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva  del  benché  minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (v. Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018 Ud. – dep. 11/01/2019 –  Rv. 275299).

Più in particolare, la “elevata probabilità logica”, in presenza della quale può essere affermata la sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento, esprime la forte corroborazione dell’ipotesi accusatoria sulla base delle concrete acquisizioni probatorie disponibili, che il giudice dovrà valutare alla stregua delle regole dettate dagli artt. 192, commi 1 e 2, c.p.p. (quanto al ragionamento sull’evidenza probatoria) e 546, comma 1, lett. e), c.p.p. (quanto alla doverosa ponderazione del grado di resistenza dell’ipotesi di accusa rispetto alle ipotesi antagoniste od alternative, in termini conclusivi di “certezza processuale” o di “alta probabilità logica” della decisione) (dr. Sez. 4, n. 15282 del 07/03/2008 Ud. -dep. 11/04/2008- Rv. 239604).

6. Nel caso che occupa, giudici del merito han fatto buon uso dei principi sopra riportati.

Nel dettaglio, osserva il giudicante d’appello, che la modalità concretamente utilizzata dalla ricorrente nell’occorso è stata conformemente riferita dai testi (omissis) per cui risulta «confermato che l’imputata non aveva fatto ricorso a disinfettanti>> mentre «le testimoni addotte dalla difesa nemmeno hanno allegato circostanze direttamente in contrasto, posto che non avevano assistito all’episodio specifico.

Si sono limitate a riferire di prassi generali senza poter confermare lo svolgimento concreto dell’operazione nel caso specifico», rammentando come sia regola comune quella secondo cui, laddove si produce una ferita, devono assumersi quelle cautele che sono necessarie ed opportune per evitare la contaminazione da agenti patogeni «il che significa necessaria disinfettazione:

a) delle componenti umane che direttamente o indirettamente interagiscono;

b) degli strumenti, anche quelli che vengono a contatto soltanto mediato con l’area somatica attinta dall’operazione».

Per far proprie la tesi prospettata dal consulente del P.M., il Tribunale evidenzia che <<La sequenza ricostruita e ricevuta in sentenza, seppure per via testimoniale, attesta idoneamente che l’infezione si era manifestata appena 1-2 giorni dopo l’operazione. In tal senso hanno in particolare deposto fa (omissis) e la (omissis) In particolare, la prima, con racconto sostanzialmente confermato dalla figlia, in relazione a tale fase, ha ricordato che il 2° giorno dopo l’operazione, l’orecchio della ragazza era divenuto rosso [ … ] L’infiammazione, peraltro, era poi peggiorata.

In  data 11.6.2010, alle ore 23:30, dal momento che (omissis) l’orecchio era gonfio e rosso, aveva portato  la figlia  al  PS di . La minore era stata visitata e  le  era  stato  estratto  l’orecchino  con  una  piccola incisione.  L’orecchio  risultava  molto  gonfio. Le era stato prescritto un antibiotico da assumere per bocca. Sino a che la figlia non era partita, essa dichiarante aveva controllato che seguisse la cura>>. Specifica il giudice del merito che <<E’ credibile il racconto sui tempi di manifestazione della infezione offerto dalla (omissis) […] non ci sono elementi che la smentiscano direttamente [ … ] gli elementi acquisiti non offrono argomenti per confutare la attendibilità della (omissis) ed, anzi, in parte direttamente la supportano».

Ciò è coerente con quanto affermato dal C.T. del P.M. secondo il quale <<la ferita era destinata a rimarginarsi nel giro di 2-3 giorni». Ragionevolmente, perciò, il giudice territoriale desume che l’insorgenza della patologia sia da collocarsi in tale periodo; di contro appare del tutto generica, al riguardo, l’affermazione del C.T. della difesa secondo cui la cattiva manutenzione igienica della ferita, da parte della vittima, debba ritenersi quale causa più probabile della infezione: «nulla avvalora l’ipotesi che l’insorgenza sia da riferire allo scarso rispetto dell’igiene e (omissis) delle prescrizioni poste dalla  [ … ].

Quello che, però, appare decisivo è che la ipotizzata circostanza che l’infezione fosse sorta per la scarsa igiene della minore o per il suo non attenersi alle prescrizioni indicate all’atto della (omissis) applicazione è, invero, smentita dalle dichiarazioni della che ha riferito come essa stessa si fosse premurata di verificare che la figlia rispettasse le prescrizioni. Ciò mentre nessun elemento smentisce tale dato. Al contrario, (omissis) secondo quanto sopra esposto, le risultanze indicano che la (omissis) non aveva rispettato le regole igieniche basilari».

7. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso si riduca all’offerta di una diversa (e per la ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).

8. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a  titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima equo fissare, in € 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 22/10/2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020.

SENTENZA – copia conforme -.