Integra il reato di raccolta illecita di scommesse anche l’intermediazione senza licenza di pubblica sicurezza (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 11 aprile 2022, n. 13680).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACETO Aldo – Presidente

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Pasqualino, nato a Nereto il 15/03/19xx;

avverso la sentenza del 18/02/2021 della Corte d’appello di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Emanuela Gai;

letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Stefano Tocci, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, emessa in data 18 febbraio 2021, la Corte d’appello di Ancona ha riformato la sentenza di assoluzione del Tribunale di Ascoli Piceno e ha condannato, alla pena di giustizia, (OMISSIS) Pasqualino in relazione al delitto di cui all’art. 4, comma 1 e 4 bis legge 13 dicembre 1989, n. 401, quale titolare dell’esercizio commerciale sito in San Benedetto del Tronto denominato “Sala scommesse (OMISSIS)”, per aver esercitato, senza l’autorizzazione di cui all’art. 88 TULPS, attività di raccolta scommesse per conto del bookmaker maltese Phoenix International LTD. In San Benedetto del Tronto sino al 07/07/2016.

La Corte territoriale ha dapprima richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di esercizio abusivo di attività di gioco o scommessa, l’adesione – da parte dell’operatore privo di licenza di pubblica sicurezza e di concessione – alla sanatoria di cui all’art. 1, comma 643, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), nel rispetto delle prescrizioni imposte dalla medesima disposizione, determina il diritto di svolgere l’attività in corso da tale momento fino alla data di scadenza, nell’anno 2016, delle vigenti concessioni statali, ma non contempla in alcun modo l’estinzione o la non perseguibilità del reato derivante da condotte poste in essere in epoca pregressa, limitandosi ad introdurre una forma equipollente di autorizzazione, non ottenuta in precedenza, al fine di svolgere lecitamente tale attività, nonché il principio di diritto, assolutamente consolidato, secondo cui non integra il reato di cui all’art. 4 legge n. 401 del 1989 la raccolta di scommesse in assenza di licenza di pubblica sicurezza da parte di soggetto che operi in Italia per conto di operatore straniero cui la licenza sia stata negata per illegittima esclusione dai bandi di gara e/o mancata partecipazione a causa della non conformità, nell’interpretazione della Corte di giustizia CE, del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 del Trattato CE, e, quanto al caso in esame, ha rilevato come dall’esame testimoniale risultava dimostrato che l’imputato non si limitava ad effettuare la mera trasmissione delle scommesse, rimanendo estraneo al rapporto contrattuale tra la società estera e lo scommettitore, ma operava la raccolta delle scommesse e incassava il denaro.

Da cui l’affermazione di responsabilità per il reato contestato atteso che l’attività dell’imputato era svolta senza concessione e autorizzazione Tulps.

2. Ha proposto ricorso per cassazione, l’imputato, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo, due motivi di ricorso.

Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla non ritenuta estinzione del reato o la non perseguibilità dello stesso, derivante dalla condotta dell’imputato di adesione alla sanatoria di cui all’art. 1 comma 643 della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015).

Secondo il ricorrente, premesso in fatto che l’imputato aveva aderito alla procedura di regolarizzazione di cui all’art. 1 comma 926 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) che ha consentito la regolarizzazione a coloro che non avevano aderito, entro il 31/01/2015, alla precedente regolarizzazione di cui ai commi 643 e ss. dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, con inoltro della domanda di adesione in data 31 gennaio 2016, la condotta contestata al ricorrente non integrerebbe la contesta violazione dell’art. 4 poiché la perdurante mancanza di pubblicazione di nuovi bandi per le concessioni da parte dello Stato italiano, in violazione dei principi di libertà di circolazione e stabilimento, comporterebbe la disapplicazione della norma interna (l’art. 4 appunto) in contrasto con la normativa comunitaria e tale disapplicazione della norma interna andava operata non solo per il periodo relativo alla possibilità di presentare domanda in sanatoria, ma per tutti i periodi futuri in assenza di pubblicazione dei bandi per l’aggiudicazione delle concessioni per l’attività di raccolta delle scommesse.

Se l’adesione alla procedura di regolarizzazione, i cui termini sono stati prorogati dalla legge di stabilità del 2015, è l’unico strumento che consente di svolgere lecitamente l’attività di raccolta di scommesse, tale norma, secondo il ricorrente, dovrebbe essere interpretata nel senso che dovrebbe scriminare anche le condotte pregresse laddove la società era in possesso dei requisiti per l’ottenimento della autorizzazione di legge, ma impossibilitata a richiederla per mancanza di pubblicazione del bando che le consentisse lo svolgimento dell’attività in Italia.

Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al ritenuto svolgimento di attività organizzata di raccolta scommesse e ciò tenuto conto delle disposizioni contenute nel d.m. 11/2006, art. 18 comma 1, art. 17 d.m. 11/2006.

3. Il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso, i cui motivi possono essere trattati congiuntamente, è inammissibile per la prospettazione di motivi privo della necessaria critica censoria alla sentenza impugnata e, come tale, è privo del requisito di specificità estrinseca.

5. Va da subito sgombrato il campo da un equivoco.

Non è pertinente la questione giuridica, sollevata con il primo motivo di ricorso e risolta correttamente dalla sentenza impugnata, dell’ampiezza degli effetti della sanatoria di cui all’art. 1 comma 926 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) che ha consentito la regolarizzazione a coloro che non avevano aderito, entro il 31/01/2015, alla precedente regolarizzazione di cui ai commi 643 e ss. dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, con inoltro della domanda di adesione in data 31 gennaio 2016.

Adesione – da parte dell’operatore privo di licenza di pubblica sicurezza e di concessione – alla sanatoria di cui all’art. 1, comma 643, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), che determina il diritto di svolgere l’attività in corso da tale momento fino alla data di scadenza, nell’anno 2016, delle vigenti concessioni statali, ma non contempla in alcun modo l’estinzione o la non perseguibilità del reato derivante da condotte poste in essere in epoca pregressa, limitandosi ad introdurre una forma equipollente di autorizzazione, non ottenuta in precedenza, al fine di svolgere lecitamente tale attività (Sez. 3, n. 889 del 28/06/2017, Della Mura, Rv. 271978 – 01).

Nel caso in esame, la condanna dell’imputato si fonda sull’accertamento (cfr. pag. 7 e 8) che l’imputato non si limitava ad effettuare la mera trasmissione dei dati delle scommesse all’operatore straniero, ma operava egli la raccolta delle scommesse e incassava il corrispettivo in assenza di concessione e autorizzazione ex art. 88 Tulps.

6. La questione si sposta, quindi, su un piano diverso.

A seguito di diversi interventi dei Giudici europei (in particolare sentenza Placanica e sentenza Costa – Cifone), che hanno esaminato funditus la normativa interna per verificarne la compatibilità con quella comunitaria, la giurisprudenza di questa Corte si è attestata nel senso di ritenere che integra il reato previsto dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, la raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che compia attività di intermediazione per conto di un allibratore straniero privo di concessione.

Qualora il bookmaker estero sia provvisto di concessione, la precedente condotta è ugualmente sussumibile nel modello legale descritto dalla L. n. 401 del 1989, art. 4, in mancanza del preventivo rilascio della prescritta licenza di pubblica sicurezza richiesta ai sensi dell’art. 88 TULPS.

Tuttavia, poiché le autorizzazioni di polizia sono rilasciate unicamente ai titolari di una concessione, le irregolarità commesse nell’ambito della procedura di concessione di queste ultime vizierebbero anche la procedura di rilascio di autorizzazioni di polizia, la cui mancanza non potrà perciò essere addebitata a soggetti che non siano riusciti a ottenere tali autorizzazioni per il fatto che il rilascio di tale autorizzazione presuppone l’attribuzione di una concessione, di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto dell’Unione (sentenza Placanica, punto 67).

Ne consegue che, in mancanza della concessione e della licenza, per escludere la configurabilità della fattispecie incriminatrice, occorre la dimostrazione che l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare (Sez. 3, n. 40865 del 20/09/2012, Maiorana, Rv. 253367) o per effetto di un comportamento comunque discriminatorio tenuto dallo Stato nazionale nei confronti dell’operatore comunitario.

In siffatti casi, il giudice nazionale, anche a seguito della vincolante interpretazione data alle norme del trattato dalla Corte di giustizia, dovrà disapplicare la normativa interna per contrasto con quella comunitaria.

Ed infatti, si è affermato che, non integra il reato di cui alla legge 401 del 1989, art. 4, la raccolta di scommesse in assenza di licenza di pubblica sicurezza da parte di soggetto che operi in Italia per conto di operatore straniero cui la licenza sia stata negata per illegittima esclusione dai bandi di gara e/o mancata partecipazione a causa della non conformità, nell’interpretazione della Corte di giustizia CE, del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 del Trattato CE (Sez. 3, n. 28413 del 10/07/2012, Cifone, Rv. 253241).

Ciò che rileva, ai fini della disapplicazione della norma domestica per contrasto con i principi fissati dalla Corte di Giustizia a causa della non conformità del regime concessorio interno agli artt. 49 e 56 T.F.U.E. nella interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, è la dimostrazione del diniego di concessione a causa della discriminazione perpetrata ai danni dell’operatore estero e, quanto all’operatore italiano, la circostanza che il diniego dell’autorizzazione di cui all’art. 88 Tulps sia fondato proprio sulla mancanza di concessione in capo all’operatore straniero.

E ciò in quanto l’attività legata alle scommesse lecite è soggetta a concessione rilasciata dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (A.A.M.S.) e, una volta ottenuta tale autorizzazione, deve essere rilasciata la licenza di pubblica Sicurezza di cui all’art. 88 del TULPS con la conseguenza che il reato di cui alla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, comma bis (svolgimento di attività organizzata per la accettazione e raccolta anche per via telefonica e telematica di scommesse o per favorire tali condotte) risulta integrato da qualsiasi attività, comunque organizzata, attraverso la quale si eserciti, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 88 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), una funzione intermediatrice in favore di un gestore di scommesse, a nulla rilevando l’esistenza di abilitazione in capo al gestore stesso (Sez. Un., n. 23271 del 26/04/2004, Corsi, Rv. 227726).

7. Appare di tutta evidenza che il caso in scrutinio non appartiene alle ipotesi nelle quali viene in rilievo la questione della disapplicazione della norma domestica, oltre tutto neppure allega l’imputato di avere chiesto l’autorizzazione ex art. 88 Tulps negata in ragione dell’assenza in capo all’operatore straniero della concessione determinata dalla condotta discriminatoria dello stato italiano.

8. La Corte d’appello ha ritenuto che era stata svolta un’attività di raccolta e gestione delle scommesse da parte dell’imputato, deponendo in tal senso la testimonianza del m.llo (OMISSIS) che aveva effettuato una pluralità di giocate, che l’imputato incassava il denaro e che le ricevute delle scommesse non recavano i segni distintivi dell’operatore ed erano mancanti i requisiti indicati all’AMS ovvero il logo e il numero identificativo della scommessa (cfr. pag. 7) ed ha tratto la conclusione che l’imputato svolgesse non una mera attività di intermediazione attraverso la mera messa a disposizione del supporto tecnico on line della giocata e con gestione della scommessa da parte della società estera (cfr. pag. 8), bensì una vera a propria attività di raccolta di scommesse per la quale non aveva l’autorizzazione ex art. 88 TULPS.

Dunque, la corte territoriale ha ritenuto configurato il reato nei confronti del ricorrente il quale non svolgeva la mera attività di ausilio tecnico, trasmissione dati all’operatore straniero, ma esercitava in prima persona una vera e propria attività di intermediazione e raccolta delle scommesse e l’ha congruamente argomentata. Il ricorso, che non si confronta con la decisione di condanna e con l’affermazione dello svolgimento di una vera e propria attività di intermediazione e raccolta delle scommesse come tale integrante la fattispecie di cui all’art. 4 cit., è inammissibile perché connotato da aspecificità.

9. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 01/02/2022.

Depositato in Cancelleria il giorno 11 aprile 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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