REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. ANNA PETRUZZELLIS – Presidente –
Dott. LUCIA AIELLI – Consigliere –
Dott. GIUSEPPE COSCIONI – Relatore –
Dott. DONATO D’AURIA – Consigliere –
Dott. GIUSEPPE NICASTRO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
(OMISSIS) (OMISSIS) nata a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 13/09/2024 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e iricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE COSCIONI;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa LIDIA GIORGIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma del 13/09/2024, che aveva confermato la sentenza di primo grado con la quale gli imputati erano stati dichiarati colpevoli del reato di cui agli artt.110, 633-639 cod.pen. perché avevano occupato un immobile di proprietà dell’Esercito Italiano.
1.1 Al riguardo il difensore contesta la parte della motivazione nella quale la Corte di appello affermava che “la arbitrarietà della condotta invasiva è stata accertata ecristallizzata dalla sentenza di prescrizione del reato; di conseguenza, il protrarsi della occupazione nel periodo successivo concreta non già un post factum non punibile, ma una nuova condotta criminosa, la cui natura abusiva scaturisce proprio dall’esistenza del titolo costituito dalla sentenza che, pur dichiarando la estinzione del reato, interrompe la permanenza”; deduce che durante l’intero arco temporale dell’imputazione, ossia a far data dal 1/04/2019, la contestata condotta di invasione, mediante forzatura della porta di ingresso, non si era mai verificata, atteso che a quella data i ricorrenti occupavano l’immobile già da molti anni; nè poteva convenirsi che un reato contestato a far data dal 2019 sarebbe stato, invece, integrato da un fatto-condotta di invasione del 2012, momento dell’introduzione nell’immobile oggetto di imputazione, individuato nella sentenza che aveva statuito non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione; risultava quindi contestata una condotta di invasione mai dimostrata, né dal giudice che nel 2019 aveva dichiarato la prescrizione del reato, né nel presente procedimento; il difensore osserva che la fattispecie di reato prevista e punita dall’art. 633 cod. pen. è configurabile soltanto quando si proceda ad una “invasione arbitraria” e non anche in relazione alla mera occupazione conseguente alla condotta invasiva.
1.2 Il difensore rileva che il reato di cui all’art. 633 cod. pen. non tutela affatto il diritto di proprietà, ma si pone unicamente a presidio della situazione di fatto violata con la condotta di invasione: nel caso in esame, la situazione di fatto era costituita esattamente ed incontestabilmente dall’immobile dal 2012 ininterrottamente abitato da parte della famiglia (omissis); tale situazione di fatto poteva essere oggetto di azione avanti il giudice civile e non con una ulteriore azione penale in prosecuzione della precedente che era stata definita (con buona pace per il bis in idem a causa della sentenza di estinzione del reato per prescrizione, non impugnata); il difensore chiede quindi di valutare la possibilità di rimettere gli atti alle Sezioni Unite di questa Corte onde chiarire se la condotta di invasione oggetto dell’art. 633 cod. pen. possa spingersi negli effetti anche all’occupazione che, in esito, ne deriva, o debba essere perimetrata soltanto alla condotta di indebita ed illecita intrusione dall’esterno da parte dell’imputato, costituendo il seguito un post factum non sanzionato dalla norma in esame, e diversamente tutelabile.
1.3 Il difensore eccepisce la violazione dell’art. 639-bis cod. pen. e la improcedibilità dell’azione penale: la sentenza viene impugnata nella parte riguardante il mancato accertamento del reale assetto proprietario dell’immobile asseritamente invaso, non essendo stata allegata alcuna documentazione di fonte ufficiale attestante la demanialità dell’immobile, né tanto meno il titolo di proprietà dell’Amministrazione della Difesa.
1.4 Il difensore eccepisce la violazione degli artt. 133 cod. pen. e 62-bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1 Con riferimento al primo motivo di ricorso, deve essere ribadita la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale nel reato di invasione di terreni o edifici di cui all’art. 633 cod. pen. la nozione di “invasione” non si riferisce all’aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce “arbitrariamente”, ossia “contra ius” in quanto privo del diritto d’accesso, cosicché la conseguente “occupazione” costituisce l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione; nel caso in cui l’occupazione si protragganel tempo, il delitto ha natura permanente e la permanenza cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto o con la sentenza di condanna, dopo la quale la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell’invasione, ma si sostanzia nella prosecuzione dell’occupazione. (vedi Sez.2, n. 29657 del 27/03/2019, PMT/Cerullo, Rv. 277019 Sul punto, si veda anche Sez.2, n. 27041 del 24/03/2023, Buccino, Rv. 284792: “integra il reato di cui all’art. 633 cod. pen. la condotta di chi, ospitato in un immobile di edilizia residenziale pubblica in virtù del rapporto di parentela con il legittimo assegnatario, vi permanga anche dopo il decesso di quest’ultimo, comportandosi come “dominus” o possessore (In motivazione, la Corte ha precisato che l'”invasione” va intesa nel senso di introduzione arbitraria non momentanea nell’edificio altrui allo scopo di occuparlo o, comunque, di trarne profitto, restando indifferenti i mezzi ed i modi con i quali essa avviene, non essendo necessaria la ricorrenza del requisito della clandestinità e risultando irrilevante che gli imputati avessero corrisposto i canoni di locazione all’Istituto proprietario dell’immobile)”.
Nella motivazione della sentenza da ultimo citata si evidenzia che “il reato di invasione deve, dunque, ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupa un immobile sine titulo e come occupazione di un immobile sine titulo devono considerarsi le condotte di chi subentra nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore ovvero di chi occupa l’immobile a titolo di mera cortesia o ancora, come nel caso oggetto di scrutinio, in virtù di un rapporto di parentela con l’originario e legittimo assegnatario.
La conseguente “occupazione” deve ritenersi, pertanto, l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione”.
Pertanto, è irrilevante il fatto che i ricorrenti fossero già nel possesso dell’immobile, considerato che il permanere nell’immobile occupato dopo la declaratoria di prescrizione integra il reato per quanto sopra precisato; quanto alla richiesta di rimessione del procedimento alle Sezioni Unite di questa Corte, si deve rilevare che la giurisprudenza più recente di questa Corte è tutta nel senso sopra indicato per cui, anche a voler ritenere sussistente uncontrasto, lo stesso è da ritenersi superato.
1.2 Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, posto che il dolo specifico del delitto di invasione di terreni oedifici si compone della finalità di occupare l’immobile o di trarne altrimenti profittoe presuppone che l’agente sia consapevole dell’ altruità del bene, e per“immobile altrui” si deve intendere quello in cui l’agente non ha diritto di introdursi per occuparlo o per trarne, altrimenti, un profitto.
1.3 Le censure relative al mancato accertamento della proprietà demaniale è manifestamente infondata, posto che la Corte di appello ha esaurientemente motivato sulla demanialità dell’immobile (si veda l’ultima pagina della sentenza impugnata), come del resto aveva già fatto il Tribunale nelle pagine 4 e 5 della sentenza di primo grado.
1.4 Quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche la stessa è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità (si veda l’ultima pagina della sentenza impugnata) che, pertanto, è insindacabile in cassazione (vedi Sez.3, n.1913 del 20/12/2018, dep. 16/01/2019, Carillo, Rv. 275509 –03).
2. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere rigettato; ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., i ricorrenti devono essere condannatial pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26/02/2025.
Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2025.