Luca Cellamare, 35 anni, agente del reparto mobile di polizia, rimasto ferito da un ordigno durante gli scontri nel centro di Torino. «A mia figlia ho detto: Papà fa come te quando fai le gare e vai avanti lo stesso anche se sei stanca»
I suoi colleghi dicono che lei ha continuato a lavorare anche da ferito. È vero?
«Sì, è vero. Ero così inc… e pieno di adrenalina che non sentivo il dolore. Sentivo la gamba sanguinante ma sono andato avanti lo stesso per un’ ora».
Prima di raccontare altro disegniamo il suo identikit.
«Mi chiamo Luca Cellamare, ho 35 anni, una moglie, due figlie piccole di 7 e 2 anni e un lavoro, che per me è una missione: sono un poliziotto del Reparto Mobile, a Torino. Sono anche il consigliere provinciale del sindacato autonomo di polizia».
Cos’è successo l’ altra sera negli scontri torinesi con i dimostranti antifascisti?
«È successo che sono stato colpito da questo ordigno e mi sono beccato una grossa scheggia nella natica. Anche altri colleghi sono stati colpiti, uno di loro ha una frattura a un piede».
E cosa ha fatto quando ha capito di essere ferito?
«Mi sono tolto dallo schieramento e sono andato nelle retrovie. Ho guardato in faccia il funzionario del servizio e ci siamo capiti: io ero il lanciatore di lacrimogeni e lui ha dato l’ ordine di lanciare. Ho lanciato e a quel punto la folla che avevo davanti si è allontanata e l’ idrante ha fatto il resto. Se ne sono andati».
È finita lì?
«Per niente. Si sono spostati in una via laterale e hanno continuato. Poi ho finito i lacrimogeni e ne ho chiesti altri a un collega».
Quindi cosa è successo?
«A un certo punto sentivo male. Ma avevo in testa solo l’ idea di aiutare gli altri. E ho corso e lavorato per un’ ora, con quelli che insultavano, lanciavano ordigni, bottiglie, sampietrini… Poi il questore vicario ha chiesto se c’ erano feriti. Sono stato zitto ma un collega mi ha messo un dito nello squarcio della divisa, sopra la coscia. Quando l’ ha tolto aveva la mano insanguinata e mi ha detto: tu devi andare in ospedale. Mi sono arreso».
Ci ha pensato al fatto che, se la scheggia l’ avesse colpita in un punto vitale, sarebbe potuto morire?
«Ci ha pensato mia moglie e ha pianto. Io sono un poliziotto. Come dicevo, per me lavorare è una missione. Mi alzo la mattina e infilo la divisa sapendo che quello che faccio non mi renderà mai ricco e che ogni giorno mi può succedere il peggio. Qualcuno però lo deve pur fare questo lavoro e anche dopo una serata come quella di giovedì il mio motto è: noi non perdiamo mai, o vinciamo o impariamo».
Che cosa ha raccontato alla sua bambina di 7 anni?
«Faccio le medicazioni e quindi non le ho nascosto che è successo qualcosa ma per non spaventarla le ho detto: “papà fa come te quando fai le gare e vai avanti lo stesso anche se sei stanca. Anche io mi sono fatto male, ho messo un cerotto grande grande e vado avanti così”».
Che cosa ne pensa di quello che ha visto a Torino?
«Penso che questa gente abbia bisogno di disciplina e che sia arrivato il momento storico per dire basta al nostro lavoro politically correct nelle piazze. L’ altra sera la città è stata ostaggio di 400-500 teppisti pregiudicati che arrivavano da vari centri sociali d’ Italia. Secondo lei è normale? Io dico che ci sono due tipi di fascismo: quello dei fascisti e quello degli antifascisti».
Come va la ferita adesso?
«Brucia parecchio ma pazienza, sopporterò. Brucia molto di più l’ idea che qualcuno di noi prima o poi possa rimetterci la vita per gente che si dichiara antifascista o per chiunque altro fa della violenza la sua bandiera».

