REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
Dott. Giulio Sarno – Presidente –
Dott. Cinzia Vergine – relatrice –
Dott. Antonio Corbo – Consigliere –
Dott. Enrico Mengoni – Consigliere –
Dott. Alessandro Andronio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx e (omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 23 ottobre 2023 della Corte di Appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Cinzia Vergine;
lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020 dal Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro Molino;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 luglio 2022 il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, all’esito di giudizio abbreviato come da richiesta degli odierni ricorrenti e della coimputata (omissis) (omissis) ha giudicato colpevole dei reati a lui ascritti ai capi 1, di cui agli artt. 81 cpv., 110 c.p. e 5 D.lgs. 74/2000, imputato a (omissis) quale legale rappresentante della società cooperativa (omissis)(omissis) (e (omissis) per cui si é proceduto separatamente) in qualità di soci occulti e amministratori di fatto della suddetta società, 2, di cui agli artt. 81 cpv, 110 c.p. e art. 8 D.Lgs. 74/2000, imputato a (omissis) quale legale rappresentante della società cooperativa per cui si é proceduto separatamente) in qualità di soci occulti e amministratori di fatto della suddetta società) e 3, di cui all’art. 2 D.lgs. 74/2000, imputato a (omissis) in qualità di rappresentante legale pro-tempore della società cooperativa (omissis) e, ritenuto più grave il reato di cui al capo 2, riconosciute le attenuanti generiche, con la continuazione e la riduzione per il rito, lo ha condannato alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali;
– ha giudicato colpevole dei reati a lui ascritti ai capi 1, di cui agli artt. 81 cpv., 110 c.p. e 5 D.lgs. 74/2000, imputato a (omissis) quale legale rappresentante della società cooperativa (omissis) (omissis) per cui si é proceduto separatamente) in qualità di soci occulti e amministratori di fatto della suddetta società), 2, di cui agli artt. 81 cpv, 110 c.p. e art. 8 D.Lgs. 74/2000, imputato a (omissis) quale legale rappresentante della società cooperativa (omissis) per cui si é proceduto separatamente) in qualità amministratori di fatto della suddetta società, e 5, di cui all’art. (e (omissis) di soci occulti e 2 D.lgs. 74/2000, imputato a (omissis) in qualità di rappresentante legale pro-tempore della società (omissis) snc di (omissis) (omissis) e ritenuto più grave il reato di cui al capo 2, riconosciute le attenuanti generiche, con la continuazione e la riduzione per il rito, lo ha condannato alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali;
– ha disposto per entrambi la sospensione condizionale della pena e la confisca del profitto del reato di cui al capo 1, pari ad euro 354.564,34 per il periodo di imposta 2015, ovvero di altri beni mobili e immobili, anche per equivalente, rinvenuti nella loro disponibilità.
Li ha assolti, entrambi, dal reato di cui al capo 4, perché il fatto non sussiste.
Ha assolto la coimputata (omissis) (omissis) dai reati a lei ascritti ai capi 1 e 2 perché il fatto non costituisce reato, e al capo 4 perché il fatto non sussiste.
2. Con sentenza del 23 ottobre 2023 la Corte di appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza del giudice dell’udienza preliminare.
3. Con atto del 5 dicembre 2023 (omissis) (omissis) il tramite del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte meneghina, affidandolo ad un unico motivo col quale lamenta violazione di legge ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. C) cod.proc.pen. per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza con riferimento all’art. 220 disp.att. e agli artt. 62, 63, 191 e 438, comma 6-bis cod.proc.pen..
Censura la difesa l’utilizzabilità delle dichiarazioni dei ricorrenti trasfuse nel processo verbale di contestazione, in quanto rese, ai verbalizzanti, dopo l’emersione di indizi a loro carico, ma in difetto delle norme poste a presidio della piena esplicazione dei diritti della difesa, a partire dagli artt 62 e 63 c.p.p.. Dichiarazioni fondanti l’assunto dell’essere il (omissis) (omissis) amministratore di fatto della soc. cooperativa (omissis) (omissis) sulla base dei ritenuti riscontri esterni, ordini di vendita intestati dalla (omissis) s.r.l. al (omissis) e conclusioni di rapporti commerciali della (omissis) s.p.a. con il ricorrente, senza adeguata confutazione delle dichiarazioni rese in proposito dal ricorrente. Ruolo, comunque, neppure provato con riferimento all’esercizio, continuativo e non occasionale, di poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione e alla sua necessaria pregnanza.
4. Con atto del 5 dicembre 2023 ha proposto ricorso per Cassazione anche (omissis) (omissis) affidandolo a cinque motivi.
4.1. Col primo motivo lamenta, ex 606 lett c cod. proc. pen., inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza con riferimento all’art. 220 disp att cod,proc.pen. e agli artt. 62, 63, 191 e 438 comma 6-bis cod.proc.pen..
Gia il giudice dell’udienza preliminare ha preso atto della dichiarazione resa il 20.6.2018 da (omissis) (omissis) ai verbalizzanti, su loro esplicita domanda, circa il fatto che la fattura n. (omissis) dell’importo di euro 43.360,00 emessa dalla società cooperativa (omissis) (omissis) nei confronti della (omissis) Sas era una fattura relativa ad operazioni inesistenti.
Si tratta di confessione del reato di cui agli artt. 2 e/o 8 D.lgs 74/2000, che prescinde dalla necessità di avere riscontri di coerenza esterna, integrante chiari e gravi indizi di reità. Sarebbe stato necessario, assume la difesa, interrompere con immediatezza l’esame e comunque le dichiarazioni rese non avrebbero dovuto essere utilizzate contro di lui (così in conformità al dictum di Sezioni Unite N. 45477/2001, che si attaglia alla situazione del processo de quo; nello stesso senso Sez. 3 n. 44170 del 2023 secondo la quale per quanto concerne l’utilizzabilità nel processo penale delle prove acquisite nel procedimento tributario la norma di riferimento e l’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. A tenore del quale quando, nel corso di attività ispettive o di vigilanza, emergono indizi di reato gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quanto possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice di rito, osservando le garanzie difensive dell’interessato e le altre disposizioni del codice di procedura penale, pena l’inutilizzabilità del materiale raccolto (art. 191 cod.proc.pen.).
Gli atti formatisi nell’ambito delle attività ispettive o di vigilanza costituiscono documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. fino a quando non sono emersi indizi di reato, mentre gli accertamenti compiti a partire da quel momento dovranno essere considerati atti del procedimento, anche se non ancora iscritto dall’autorità giudiziaria penale.
Ne deriva che le dichiarazioni autoaccusatorie di (omissis) (omissis) sono del tutto inutilizzabili al pari di quelle della coimputata (omissis) (omissis) in quanto raccolte senza le cautele necessarie e senza riscontro di attendibilità. Unico atto di indagine effettivamente compiuto a suo carico, ed utilizzato a fondarne la responsabilità, é quello, successivo a tali dichiarazioni, del 6 dicembre 2018, i cui esiti sono esplicitati nel processo verbale di contestazione in pari data, che presupponeva altro accertamento a carico di altra società, la (omissis).
Ma contenuto del processo verbale di contestazione della Guardia di Finanza e giustificazioni del contribuente -prosegue la difesa- possono essere utilizzati nel processo penale solo se gli atti sono redatti, come anticipato, prima dell’emersione di indizi di reità a carico dei dichiaranti (cfr. Sez. 3, n. 44170/2023); nel processo penale non valgono, a pena di sovvertire ii principio della presunzione di innocenza, le presunzioni semplici utilizzate dal fisco, e, comunque, l’utilizzabilità delle prove acquisite nel procedimento tributario e regolata dal disposto dell’art. 220 disp att. cod proc pen che, nel caso di emersione di indizi di reato, richiede il rispetto dell’osservanza delle disposizioni del codice di rito per l’acquisizione di dichiarazioni, pena l’inutilizzabilità del materiale raccolto (artt. 62, 63, 191 cod. proc. pen.) il che vale, trattandosi di inutilizzabilità patologica, anche nel rito abbreviato.
4.2. Col secondo motivo lamenta, ex art. 606 lett b cod.proc., erronea applicazione delle norme incriminatrici speciali in relazione alla ritenuta qualità di amministratore di fatto, che non sarebbe stata dimostrata dai giudici del merito, non avendo l’imputato esercitato alcuna significativa e continua attività per conto della società (omissis).
La Corte di appello ha ritenuto il pieno coinvolgimento degli imputati (omissis) e (omissis) quali soci di fatto del (omissis) (omissis).
Ha fondato la sua affermazione sulle dichiarazioni di (omissis) soggetto interno alla cooperativa, e su quelle degli stessi odierni ricorrenti, confermate dalla documentazione prodotta dai fornitori della cooperativa, nella specie quella relativa alla prestazione richiesta al Notaio (omissis) (omissis) dallo studio di (omissis) e pagata con assegno firmato dallo stesso, e alla prestazione richiesta al Notaio (omissis) da (omissis) per la procedura di revoca dello stato di liquidazione della società.
Richiamata l’inutilizzabilità delle dichiarazioni sopra discusse il ricorso rileva l’insufficienza degli elementi raccolti ad affermare il ruolo gestorio, in fatto, dell’imputato.
4.3. Col terzo motive lamenta inosservanza ed errata applicazione della legge penale con riferimento all’art. 9 d.lgs. n. 74/2000.
L’art. 9 prevede la non punibilità dell’autore del reato di emissione di fatture inesistenti, in qualità di concorrente, nel delitto di utilizzo delle medesime in dichiarazione; specularmente la stessa norma esclude l’applicazione del concorso nel delitto di emissione da parte dell’autore della dichiarazione fraudolenta.
La sentenza ha violato la norma visto che l’imputato avrebbe emesso le fatture con la società il (omissis) in concorso con il coimputato (omissis) (omissis) e le avrebbe utilizzate con la società dal medesimo amministrata, (omissis) snc di (omissis) (omissis) e (omissis). Ciò avrebbe dovuto comportare l’assoluzione dal reato sub capo 2), che si invoca.
4.4. Col quarto motivo lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 12-bis, comma 1, d.lgs. n. 74/2000.
La norma in discussione prevede, in caso di condanna, la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, anche per equivalente.
Successivamente alla proposizione dell’appello (omissis) ha definito tutte le proprie pendenze con l’Erario, proponendo domanda di definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti.
Le fatture per operazioni inesistenti oggetto di imputazione penale sono state oggetto di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
L’accertamento é stato impugnato e successivamente oggetto di definizione agevolata con un piano di ammortamento che, rispetto al totale a debito di euro 468.058,00, prevede il pagamento di una prima rata entro il 30/09/2023, già pagata all’atto del ricorso, una seconda al 30/10/2023, una terza al 30/11/2023 e infine altre 17 rate con scadenza trimestrale, con garanzia ipotecaria accesa su 37 immobili di (omissis) del valore di gran lunga superiore a quanta dovuto.
II principio di proporzione, dettato esplicitamente nell’ambito delle cautele personali, ha nel sistema processuale penale una portata più ampia, come affermato anche dalla giurisprudenza sovranazionale, e riconosciuto da quella di questa Corte. Errata é allora la commisurazione del profitto in euro 354.564,34, la sua determinazione in modo unitario a carico di tutti i coimputati, la sua mancata rideterminazione alla luce della sanzione tributaria. La Corte di appello avrebbe dovuto revocare la disposta confisca o quanto meno ridurne l’entità in base a quanto emerso nel giudizio abbreviate e in proporzione ai diversi imputati.
4.5. Col quinto motivo si censura l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità inutilizzabilità inammissibilità o decadenza con riferimento all’art. 599-bis cod.proc. pen.
La parte ne ha invocato l’applicazione dichiarando di rinunciare a tutti i motivi di appello ad eccezione di quello relativo alla confisca. La Corte di appello ha errata nel non comunicare preventivamente tale decisione alle parti, onde consentire loro una rimodulazione dell’accordo.
4.6. II ricorso invoca l’annullamento della sentenza di appello con ogni conseguente statuizione di legge.
5. Con requisitoria scritta il Proc. Gen. Sost. P. Molino ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. II motive formulate nell’interesse di (omissis) (omissis) é infondato.
Non é in discussione il principio astratto affermato nel ricorso. Concorda questo collegio con la giurisprudenza consolidata sul punto secondo cui «In materia di attività ispettive di vigilanza di natura amministrativa, il momento a partire dal quale, nel corso di tale attività, sorge l’obbligo di rispettare le garanzie del codice di procedura penale e quello nel quale é possibile attribuire rilevanza penale al fatto, emergendone tutti gli elementi costitutivi, anche se ancora non possa essere ascritto a persona determinata. »Sez. 3, n. 31223 del 04/06/2019-Rv. 276679 – 01.
Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, devono ritenersi inutilizzabili le dichiarazioni rese da persona nei cui confronti siano emersi, nel corso dell’attività ispettiva, anche semplici dati indicativi di un fatto apprezzabile come reato e le cui dichiarazioni, ciononostante, siano state assunte in violazione delle norme paste a garanzia del diritto di difesa, atteso che il significato dell’espressione “quando (… ) emergano indizi di reato” – contenuta nell’art. 220 disp. att. cod.proc.pen. é tesa a fissare il momento a partire dal quale, nell’ipotesi di svolgimento di ispezioni o di attività di vigilanza, sorge l’obbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire ai fini dell’applicazione della legge penale – deve intendersi nel senso che presupposto dell’operatività della norma sia non l’insorgenza di una prova indiretta quale indicata dall’art. 192 c.p.p., bensì la sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Raineri, Rv. 220291).
Tuttavia occorre dare continuità al principio fissato da questa Corte per il quale, quando con il ricorso per cassazione si lamenti, come nella specie, l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del già menzionato elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza” (Sez. 6^, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452) perché gli elementi di prova acquisiti illegittimamente devono incidere, scardinandola, sulla motivazione censurata e diventano irrilevanti ed ininfluenti quando non abbiano, come nella specie, alcun peso reale sulla decisione del giudice di merito. Cosi, da ultimo Sez. 4 -, Sentenza n. 50817 del 14/12/2023 Ud. (dep. 20/12/2023 ) Rv. 285533 – 0l «Nel giudizio di legittimità, laddove risulti l’inutilizzabilità di prove illegalmente assunte, e consentito ricorrere alla ed. “prova di resistenza”, valutando se, espunte le prove inutilizzabili, la decisione sarebbe rimasta invariata in base a prove ulteriori, di per se sufficienti a giustificare la medesima soluzione adottata. » In linea N. 30271 del 2017 Rv. 270303 – 01.
Nella specie é lo stesso ricorrente ad indicare il complessivo compendia probatorio come integrato anche con le dichiarazioni della coimputata (omissis) (omissis) utilizzabili nei confronti del (omissis) tenuto conto che la garanzia di cui all’art. 63, comma 1, cod.proc. pen. é posta a tutela del solo dichiarante e del rito speciale prescelto, – e con copiosi riscontri documentali e testimoniali.
II motivo deve dunque essere dichiarato inammissibile, in difetto di qualsiasi esplicitazione al riguardo, nel mentre la sentenza impugnata ne offre (a pagina 17), una ampia discussione con cui il ricorrente non si confronta.
2. Del pari inammissibile, per le medesime considerazioni, il primo motivo di ricorso formulate nell’interesse di (omissis) (omissis).
II secondo motivo del ricorso di (omissis) é anch’esso inammissibile. Esso impinge nel merito delle valutazioni svolte dalla Corte di appello e dal giudice dell’udienza preliminare in merito alla interpretazione e valutazione degli elementi probatori sottesi alla affermazione e del ruolo di amministratore di fatto di (omissis).
Si premette che nel giudizio di legittimità (v. da ultimo Sez. 3, n. 8466 del 17/01/2023, Negrini, n.m.) sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
Ciò determina l’inammissibilità di tutti quei profili (come si vedrà dettagliatamente in appresso) che concernono la valutazione degli elementi di prova, quali il linguaggio contenuto nelle intercettazioni telefoniche o la valutazione delle immagini riprese, in cui si contesta la «lettura» degli elementi di prova da parte dei giudici del merito, che sono pertanto inammissibili, posto che si chiederebbe alla Corte di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, operazione preclusa salvo che si deduca un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale; ed infatti, il vizio della motivazione, come vizio denunciabile, é coltivabile solo ove esso sia «evidente», cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi (Sez. U., n. 14722 del 30/01/2020, Polito, Rv. 279005 – 01, cit.), circostanza non ricorrente nel caso di specie.
La sentenza della Corte di appello (a partire dalla pag. 19 e segg) indaga puntualmente le risultanze probatorie da cui ha tratto la conclusione del pieno coinvolgimento di (omissis) (omissis) nella gestione della cooperativa quanto agli aspetti contabili, amministrativi e imprenditoriali.
Ha indicate le dichiarazioni della coimputata (omissis) (omissis) per quanta sopra già argomentato pienamente utilizzabili, ha citato le dichiarazioni di (omissis) (omissis) riprodotte nel pvc in atti, ha citato la confessione di (omissis) (omissis) circa la riferibilità della fattura n. (omissis) a operazioni inesistenti. Ha, soprattutto, valorizzato le risultanze della documentazione acquisita in quanto prodotta dai fornitori della cooperativa, e le prestazioni commissionate da (omissis) ai Notai (omissis) (omissis).
Premesso che si é già affermato (Sez. 5, n. 2514 del 04/12/2023-Rv. 285881 – 01) che «In tema di bancarotta, la qualifica di amministratore di fatto di una società non richiede l’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, essendo necessaria e sufficiente una significativa e continua attività gestoria o cogestoria, svolta in modo non episodico o occasionale, anche solo in specifici settori, pur se non interessati dalle condotte illecite, tale da fornire indici sintomatici dell’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus“, nell’assetto societario», e che (Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022 – Rv. 283850 – 01) «In tema di reati societari, ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, può essere valorizzato l’esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione o anche soltanto di alcuni di essi, ipotesi, quest’ultima, in cui spetta al giudice di merito valutare la pregnanza, ai fini dell’attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati»,, si rileva, con particolare riferimento alla fattispecie in esame, che questa sezione, con sentenza n. 20052 del 14/04/2022 -Rv. 283202 – 01, ha ritenuto che «In tema di reati tributari, la prova della posizione di amministratore di fatto di una società “schermo”, priva di reale autonomia e costituita per essere utilizzata come “cartiera” in un meccanismo fiscalmente fraudolento volte a evadere le imposte, si traduce in quella del ruolo di ideatore e organizzatore del suddetto sistema fraudolento, atteso che non e ipotizzabile l’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico in un ente solo formalmente operante.»
II ricorrente argomenta che il giudice territoriale non avrebbe adeguatamente motivato per delineare la figura dell’amministratore di fatto secondo i criteri stabiliti dall’art. 2639, cod. civ. e non avrebbe individuate la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, come reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, 45134 del 27/06/2019, Bonelli, Rv. 277540 – 01; Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, Berni, Rv. 264009-01, in relazione ai reati tributari, e Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 246534-01).
La questione appare manifestamente infondata sul rilievo che i criteri sopra enunciati sono stati elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per l’individuazione della figura dell’amministratore di fatto nell’ambito di società e imprese che operano nel contesto economico; criteri che non appaiono trasferibili ed applicabili in un contesto nel quale la società é la mera veste attraverso cui si pongono in essere condotte di reato.
La società in tali casi assume il ruolo di “schermo” per l’autore materiale del reato, fenomeno tipico delle società c.d. cartiera. Si tratta, come é noto, di società priva di una reale autonomia e costituita per essere utilizzata come “cartiera” in un meccanismo fiscalmente fraudolento volto ad evadere le imposte.
In tali casi, la dimostrazione della figura dell’amministratore di fatto si traduce in quella del ruolo di ideatore ed organizzatore del suddetto sistema fraudolento, atteso che non e ipotizzabile l’accertamento di elementi sintomatici di un inserimento organico all’interno di un ente solo formalmente operante (Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Lucamarini, Rv. 279829 – 02; Sez. 5, n. 32398 del 16/03/2018, Caruso, Rv, 273821).
3. Nel caso in esame, a proposito della attestazione della qualifica in capo a il Tribunale prima e la Corte di appello poi hanno ritenuto che il fatto che la cooperativa non avesse sede operativa, ma solo sede legale presso ii suo studio depone nel senso che questi, oltre ad essere depositario delle scritture contabili, avesse anche un ruolo attivo all’interno della medesima.
Inoltre, dai riscontri di coerenza esterna effettuati nel corso della verifica della e risultato che egli abbia provveduto al pagamento della prestazione professionale resa dal notaio-effettuata nei confronti de-senza pattuire alcuna forma di restituzione desumibile dalle scritture contabili istituite.
Anche il Notaio incaricato della revoca dello stato di liquidazione della Coop. (omissis) ha dichiarato di essersi recato presso lo studio (omissis) in (omissis) a seguito di richiesta dell’appuntamento da parte di entrambi dello studio (omissis).
Ha inoltre vagliato la circostanza che definito la propria posizione fiscale in merito alle false fatturazioni emesse dal nei confronti di alcune delle società terze inconsapevolmente coinvolte, oltre ad aver presentato dichiarazione integrativa per l’anno 2015. Eliminando ogni effetto pregiudizievole per l’erario quanto all’utilizzazione da parte della – -s.n.c. della falsa fattura emessa da (omissis) (omissis) ha quindi valutato che l’aver posto in essere siffatte condotte riparatorie costituisce ulteriore risconto del ruolo attivo svolto nell’ambito della vicenda in esame.
Si tratta di elementi che, risultanti dal compendia probatorio disponibile, validamente argomentati con motivazione che non offre il fianco a censure di manifesta irragionevolezza o illogicità, rendono la censura inammissibile, limitandosi la stessa a proporne una diversa lettura presidia del giudice del merito.
4. II quarto motivo di ricorso verte in merito alla disposta La proposta lettura della disposizione normativa, art 12-bis, comma 2, d.lgs n. 74/2000, «2. Salvo che sussista ii concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravita del reato, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma 1 non é disposto se il debito tributario é in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti» é stata con giurisprudenza consolidata intesa nel senso che «In tema di reati tributari, la disposizione di cui all’art.12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, introdotta dal d.lgs. n.158 del 2015, secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prezzo del reato «non opera per la parte che ii contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro>>, deve essere intesa nel senso che la confisca – così come il sequestro preventivo ad essa preordinato – può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito. (In motivazione, la Corte ha precisato che ii sequestro e la conseguente confisca devono essere conservati fino all’integrale effettivo pagamento della somma evasa, potendo le rate già versate essere considerate solo ai fini della riquantificazione della misura).» Sez. 3, n. 28488 del 10/09/2020 Rv. 280014 – 01 e, precedentemente, N. 42087 del 2016 Rv. 268081 – 01, N. 5728 del 2016 Rv. 266038 – 01, N. 42470 del 2016 Rv. 268384 – 01, N. 18034 del 2019 Rv. 275951 – 01, N. 6246 del 2019 Rv. 274856 – 01.
A tale insegnamento il collegio intende uniformarsi, sicché il motivo come proposto risulta infondato.
5. II quinto motivo é infondato.
Si duole la difesa della violazione della norma di cui all’art. 12-bis, comma 1, d. lgs. N. 74/2000 e di cui all’art. 599-bis cod.proc.pen..
Richiama la difesa il principio sancito da Sez. 6, n. 23614 del 18/05/2022-Rv. 283284, secondo cui «II provvedimento di rigetto del concordato di pena ex art. 599-bis cod. proc. pen. é ricorribile per cassazione unitamente alla sentenza resa all’esito del giudizio. (In motivazione la Corte ha precisato che l’illegittimo diniego si risolve in un “vulnus” al diritto di difesa dell’imputato, ledendone l’interesse ad accedere ad un trattamento sanzionatorio di favore). »
II motivo si palesa inammissibile nella misura in cui non consente di rilevare se ii rigetto dell’istanza ex art. 599-bis cod.proc.pen. sia intervenuto, o meno, dopo la formazione del consenso tra le parti o sul mancato consenso del procuratore Generale.
Proprio la sentenza invocata dalla parte distingue le due ipotesi, affermando che «Si tratta, invero, di fattispecie che non paiono affatto sovrapponibili. Nel caso in cui il Procuratore generale non presti parere favorevole al concordato, il ricorso per cassazione non può essere proposto per il semplice motivo che l’impugnazione non concerne la sentenza, bensì un atto che costituisce espressione di un negozio processuale rimesso ad una delle parti del processo.
Tanto ciò é vero che neppure nel patteggiamento é ammesso il ricorso diretto avverso il dissenso del pubblico ministero, a fronte del quale é stato introdotto un diverso controllo di legalità, demandato al giudice che precede il quale, ove ritenga il dissenso immotivato potrà recepire la proposta di applicazione della pena.» Neppure può predicarsi la nullità della sentenza per il motivo dedotto col ricorso: Concorda il collegio con la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2 n. 45287 del 17/10/2023 -Rv. 285347 – 0lSez. 2 n. 45287 del 17/10/2023 -Rv. 285347 – 01) secondo cui «In tema di concordato con rinuncia ai motivi in appello, non e affetta da nullità la sentenza pronunciata immediatamente dopo il rigetto dell’accordo, senza che il giudice abbia disposto la prosecuzione del dibattimento, qualora l’appellante, all’udienza di discussione, abbia concluso anche nel merito, riportandosi ai motivi di gravame per il caso di mancato accoglimento della proposta sulla pena, posto che il predetto ha, in tal modo, rinunziato implicitamente alla proposizione di un nuovo accordo».
Si osserva infatti che secondo i commi 3 e 3-bis dell’art. 599-bis, cod. proc. pen., «Quando procede nelle forme di cui all’articolo 598-bis, la corte, se ritiene di non pater accogliere la richiesta concordata tra le parti, dispone che l’udienza si svolga con la partecipazione di queste e indica se l’appello sarà deciso a seguito di udienza pubblica o in camera di consiglio, con le forme previste dall’articolo 127. II provvedimento é comunicato al procuratore generale e notificato alle altre parti.
In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte in udienza. Quando precede con udienza pubblica o in camera di Consiglio con la partecipazione delle parti, la corte, se ritiene di non poter accogliere la richiesta concordata tra le parti, dispone la prosecuzione del giudizio».
La nuova disciplina prevede dunque, con due alternative modalità a seconda che il giudizio sia svolto nelle forme camerali non partecipate ovvero con udienza con la partecipazione delle parti, la possibilità di riproporre il concordato non accolto.
In tal senso già il precedente orientamento giurisprudenziale sul punto – maturato nella vigenza del comma 3 dell’art. 599-bis, nella precedente formulazione, e dei commi 1-bis e 2 dell’art. 602 cod. proc. pen., oggi abrogati nell’ambito del complessivo riassetto dell’istituto – a mente del quale era nulla, ai sensi degli artt. 178, lett. b) e c), e 180 cod. proc. pen., la sentenza pronunciata immediatamente dopa ii rigetto dell’accordo proposto dalle parti, senza che il giudice avesse disposto la prosecuzione del dibattimento, come previsto dall’art. 602, comma 1- bis, cod. proc. pen., atteso che, in tal modo, risulta impedita alle parti la discussione e la formulazione delle conclusioni nel merito (Sez. 6, n. 17875 del 22/04/2022, M., Rv. 283464, in motivazione; Sez. 5, n. 47574 del 02/07/2019, P., Rv. 277546).
Non é quindi revocabile in dubbio che, anche nell’attuale formulazione, al rigetto della proposta di concordato sulla pena, debba seguire la discussione nel merito ovvero, eventualmente, la riproposizione di una nuova e diversa richiesta ex art. 599-bis cod. proc. pen., avuto riguardo alla chiara ratio legis di incentivare la definizione anticipata del giudizio di appello, rafforzando gli spazi di negozialità.
Nel caso di specie, tuttavia, risulta evidente l’assenza di violazioni dell’interesse dell’imputato ad accedere ad un trattamento sanzionatorio di favore e comunque a dispiegare nella maniera più ampia il proprio diritto di difesa (e dunque, l’impossibilita di ravvisare una nullità assoluta), dal momento che risulta che l’udienza sia stata celebrata in presenza, che i difensori, durante l’udienza di discussione, hanno concluso anche nel merito, riportandosi ai motivi di appello, deve intendersi in caso di mancato accoglimento della proposta o, con ogni probabilità, atteso il tenore della sentenza impugnata a pag 17 (« All’odierna udienza ii procuratore generale ha concluso chiedendo la conferma della sentenza impugnata. I difensori degli imputati si riportavano alle doglianze svolte nei rispettivi atti di impugnazione. Le parti inoltre, in via preliminare, si riportavano alla richiesta di definizione del procedimento ex art. 599-bis c.p.p.») dopa ii rigetto delle stesse. Queste richieste, quand’anche in via subordinata, risultano, d’altronde, altresì tali da escludere – implicitamente, ma chiaramente – qualsiasi volontà di presentare un ulteriore concordato, qualora ii primo non avesse sortito esito positivo.
Ne consegue ulteriore ragione di inammissibilità del motivo spiegato dal (omissis) (omissis).
Da ultimo, val la pena di significare che in ogni caso si tratta di doglianza infondata, atteso il corretto respingimento dell’accordo sul motivo della non accoglibilità della eliminazione della confisca.
6. II ricorso e complessivamente manifestamente infondato. Ne consegue la inammissibilità con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuta conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerate che non vi e ragione di ritenere che ii ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ii ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 31 maggio 2024
Il Consigliere estensore Il Presidente
Cinzia Vergine Giulio Sarno
Depositato in Cancelleria, oggi 1° ottobre 2024.