Istigazione pubblica a commettere il reato di coltivazione di sostanza stupefacente (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 17 settembre 2020, n. 26157).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente –

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere –

Dott. CAPPELLO Gabriella – Rel. Consigliere –

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere –

Dott. TANGA Antonio Leonardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

MOLLI MATTEO nato a ROMA il 08/09/1976;

CONTE MARCO nato negli USA il 10/02/1975;

avverso l’ordinanza del 16/10/2018 del TRIB. LIBERTA di FIRENZE;

svolta la relazione dal Consigliere Dott. GABRIELLA CAPPELLO;

il Procuratore generale, in persona del sostituto Dott. Lucia Odello, ha concluso con atto scritto, a norma dell’art. 83 comma 12-ter, dl. n. 18 del 17/3/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 24/4/2020, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., il Tribunale di Firenze ha respinto il ricorso promosso da Marco CONTE e Matteo MOLLI avverso il decreto di convalida di perquisizione e sequestro probatorio del pubblico ministero presso il Tribunale di Firenze, ritenendo sussistere entrambi i requisiti giustificativi della misura in atto, con riferimento al procedimento penale avente ad oggetto i reati di cui agli artt. 81 cpv, 110 e 414 comma 1 cp [capo A), istigazione pubblica a commettere il reato di coltivazione di marijuana, in specie di commercializzazione caratterizzata e accompagnata dalla fornitura di istruzioni precise e specifiche su come coltivare e produrre marijuana, con consegna di appositi manuali contenenti indicazioni per sottrarsi a controlli];

e agli artt. 1 10, 81 cpv cp e 73 comma 5 dpr 309/90 (capo B), in ordine ai quali sono stati posti sotto sequestro rispettivamente numerosi semi di cannabis e stecche di sigarette contenenti sostanza stupefacente del tipo marijuana.

2. Quanto alla vicenda che fa da sfondo al presente procedimento, emerge dall’ordinanza impugnata che la PG operante aveva scoperto – in ben quattro occasioni, culminate con arresti in flagranza – considerevoli coltivazioni di marijuana, effettuate con l’uso di forniture e prodotti provenienti dai due negozi gestiti dagli odierni ricorrenti e rinvenuto – in detti esercizi commerciali migliaia di semi di cannabis importati dall’estero.

I semi, non ricompresi nella nozione di sostanza stupefacente, venivano tuttavia posti in commercio in confezioni recanti l’indicazione del tempo necessario alla fioritura, della percentuale di THC ricavabile e del quantitativo di marijuana ottenibile per ogni pianta giunta a maturazione.

In entrambi i negozi perquisiti erano anche disponibili alcuni manuali recanti precise istruzioni inerenti varie tecniche per la coltivazione della cannabis finalizzate alla produzione di marijuana, tra cui un manuale denominato “La bibbia del coltivatore medico indoor e outdoor” (contenente istruzioni con fotografie a colori utili, per esempio, all’isolamento termico delle grow-rooms, per evitare che venissero individuate con rilevatori termici).

Lo stesso manuale fu rinvenuto nell’abitazione degli arrestati nell’operazione di polizia del 11/5/2018 che portò all’arresto di un cittadino boliviano e di un cittadino italiano.

3. Gli indagati hanno proposto ricorsi, con unico difensore e medesimo atto, formulando tre motivi.

3.1. Con il primo, hanno dedotto violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 81 cpv, 110 e 414 co. 1 cod. pen., assumendo la falsità e erroneità dell’interpretazione delle norme in materia di istigazione e contestando i criteri utilizzati per la decisione.

In particolare, il difensore ha rilevato che il Tribunale di Firenze avrebbe omesso di considerare e accertare in concreto la effettiva natura dei semi di canapa posti in vendita nei negozi dei due indagati, omissione rilevante, siccome relativa a circostanza di fatto che ha ricadute in punto di diritto.

Ha, inoltre, sostenuto che il Tribunale non avrebbe debitamente considerato la prova documentale a difesa, idonea, secondo la difesa, a smentire l’ipotesi accusatoria che sarebbe fondata su presunzioni degli inquirenti, e ha contestato la valutazione giudiziale relativa alla autenticità dei documenti, osservando come fosse agevole la comparazione fra quanto riportato nel verbale di sequestro e le etichette prodotte dalla difesa.

La difesa ha, poi, rilevato che nella documentazione finalizzata alla commercializzazione dei prodotti vi erano anche avvertenze agli acquirenti sulla circostanza che la coltivazione di sementi non certificate in vari ordinamenti (tra i quali quello italiano) era sanzionata, cosicché sarebbe emerso, secondo la prospettazione difensiva, che i semi erano deliberatamente ed esclusivamente commercializzati non a fini di coltivazione illecita, quanto piuttosto allo scopo di coltivazione, ai sensi della I. 242/2016, richiamando sul punto la sentenza delle Sez. Unite 18/10/2012, n. 47604 (Rv. 253531) che ha stabilito “steccati ermeneutici” assai precisi per la configurazione del reato di cui all’art. 414 c.p. in relazione all’art. 73 d.P.R. 309/90.

Sotto altro profilo, la difesa ha contestato la ravvisabilità astratta di un nesso ideologico e programmatico che attribuisca in modo inequivoco, in capo al medesimo soggetto, la attività di commercializzazione di semi e la presunta, coeva, esternalizzazione di un messaggio indirizzato agli acquirenti del prodotto, in termini di istigazione alla commissione di illeciti.

In particolare, assume che il Tribunale avrebbe valorizzato il collegamento funzionale, di asserita natura illecita, tra i reperti e la documentazione rinvenuta, della quale è stata accettata una lettura formalistica, fondata sull’assunto aprioristico che i semi in questione non appartenessero ad una delle 64 categorie tabellate dalla direttiva UE n. 53/2002 (art. 17), utilizzabili per le coltivazioni di canapa ai sensi della I. 242/2016 e che sulle confezioni fossero realmente riportate indicazioni per l’ottenimento dello stupefacente e non indicazioni tecniche di natura generale, neppure valutando il fatto che la vendita di semi di cannabis concretizza un momento antecedente che non può essere confuso con la attività di coltivazione, condotta del tutto eventuale e ipotetica.

Poiché la vendita dei semi non è idonea a ledere il bene giuridico protetto, nell’ottica difensiva sarebbe fondamentale l’esame della causale- che sottende alla vendita che, nella specie, non sarebbe stata dimostrata, il Tribunale avendo fondato il suo giudizio sulla presunzione, secondo cui la vendita di semi di canapa non solo sarebbe stata esclusivamente strumentale alla successiva coltivazione, ma sarebbe stata svolta dal commerciante con piena consapevolezza di tale destinazione d’uso. In tal modo, si sarebbe presuntivamente ritenuta la sussistenza – in capo al commerciante – di un elemento psicologico (la coscienza e volontà di suscitare e rafforzare un’altrui volontà illecita) che – al contrario – avrebbe dovuto formare oggetto di investigazione e debita dimostrazione.

Infine, si è contestata la validità dimostrativa dell’argomento che fa leva sul fatto che quattro persone occupate in alcuni negozi siano state trovate in possesso di stupefacenti, poiché, così facendo, si sarebbe creata una sorta di responsabilità oggettiva presunta a carico degli indagati, in relazione a condotte illecite indipendenti e totalmente ascrivibili a soggetti terzi, neppure legati da vincolo di lavoro subordinato con la PLAYER Srl – di cui gli indagati sono legali rappresentanti – costoro svolgendo attività lavorativa quali dipendenti di una società (MULTISERVIZI Srl) che appalta i propri servizi di manodopera.

3.2. Con il secondo motivo, la difesa ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, questa volta con riferimento al reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, assumendo l’assertività del giudizio formulato dal Tribunale fiorentino, basato su una inammissibile inversione dell’onere della prova.

Quel giudice avrebbe apoditticamente svalutato – anche con riferimento al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 – il valore degli elementi offerti a difesa, la dichiarazione prodotta attestando, secondo la difesa, il rispetto del limite concernente il livello di THC contenuto nel prodotto commercializzato, ma anche il difetto dell’elemento psicologico in capo al commerciante.

Sotto diverso profilo, si è contestata la esclusione dei reperti dal novero dei prodotti commercializzabili ai sensi dell’art. 2 L. 242/2016, rilevandosi che il Tribunale avrebbe dovuto individuare ed enunciare le effettive risultanze investigative alla stregua delle quali è stato formulato detto giudizio, reputandosi insufficiente un richiamo generico ad atti del procedimento e denunciandosi un “doppio binario usato sul piano probatorio”, oltremodo severo nella valutazione delle prove offerte dalla difesa e assai indulgente verso la pubblica accusa, le cui presunzioni avrebbero trovato adesione nell’ordinanza impugnata.

3.3. Con il terzo, infine, la difesa ha dedotto analoghi vizi in relazione ai criteri utilizzati per qualificare la funzione probatoria del sequestro. In particolare, sono stati contestati sia le ragioni di finalità probatoria ritenute dal Tribunale, intese a verificare compiutamente la tipologia dei semi e l’effettivo principio drogante contenuto nelle sigarette, ma anche il grado di efficacia e l’eventuale eccedenza rispetto alle soglie stabilite dalla L. 242/2016, assumendo la genericità della prima e la inutilità del secondo, una volta ritenuta la natura illecita ex se di tali prodotti e osservando la sufficienza di un’attività di preventivo campionamento di alcuni reperti, con relativa analisi.

4. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Dott. Lucia Odello, ha concluso con atto scritto, a norma dell’art. 83 comma 12-ter d.l. n. 18 del 17/3/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 24/4/2020, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

5. La difesa ha depositato memoria, con la quale ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale, ribadendo le proprie argomentazioni.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Il Tribunale di Firenze ha valorizzato ai fini della conferma del fumus commissi delicti il rinvenimento del manuale in entrambe le sedi perquisite e gestite dai prevenuti, addirittura in due copie in una di esse, ritenendo tale elemento fattuale indice di una prassi preordinata, reputando non credibile l’assunto secondo cui la presenza di due copie avrebbe dovuto rispondere alla necessità di istruire il personale.

Allo stesso modo, ha svalutato la circostanza che i manuali fossero custoditi in cassetti dietro al banco, inaccessibili ai clienti, trattandosi al più di una cautela nella custodia degli stessi – nella consapevolezza dell’illiceità della prassi istigatoria adottata – che certo non ne impediva la diffusione alla clientela, come effettivamente avveniva.

Ha, poi, richiamato la circostanza che le confezioni in cui erano contenuti i semi recavano indicazioni su come ottenere le sostanze stupefacenti, svalutando, allo stato, le allegazioni difensive intese a dimostrare tale assunto: trattavasi invero di fotocopie da verificare nella loro autenticità e riferibilità ai semi in sequestro.

Sul punto, peraltro, nell’ordinanza impugnata si fa riferimento anche ad altre evidenze fattuali: dalle dichiarazioni dei dipendenti e dall’analisi delle conversazioni sul programma di messaggistica Whatsapp presenti sui loro telefoni cellulari era emerso che le direttive relative ai prodotti da porre in commercio provenivano dagli odierni ricorrenti, unici titolari di potere decisionale all’interno della società; in occasione delle perquisizioni ai due negozi, successivi accertamenti fatti nell’immediatezza dei fatti avevano consentito il rinvenimento di ben quattro dipendenti dei suddetti negozi nel possesso di sostanza stupefacente, soprattutto nelle loro abitazioni, uno dei quali, tale ORLANDINI, arrestato in flagranza.

Da ciò, il Tribunale ha tratto la conclusione che, nella specie, non si trattava di mancanza in capo al venditore di un obbligo di accertare quale effettivo uso dei semi possa fare un eventuale acquirente, bensì di una condotta positiva, posta in essere dai commercianti, di supporto cioè degli acquirenti mediante dettagliate indicazioni sulle modalità di coltivazione dei semi di cannabis per ottenere piante idonee a produrre sostanze stupefacenti e persino evitare controlli.

Quanto al delitto di cui al capo B), il Tribunale ha richiamato gli accertamenti posti in essere dalla Guardia di Finanza, esitati nel rinvenimento di confezioni di sigarette contenenti sostanza stupefacente del tipo marijuana (presumibilmente a basso tenore di THC) recanti l’indicazione “Prodotto e distribuito da Green House Farm Italia – via Dario Niccodemi, 36, Roma”, articoli sottoposti a sequestro probatorio per violazione dell’art. 73 D.P.R. 309/1990 a carico dei legali rappresentanti della “Player Società a responsabilità limitata”, in quanto commercializzati come prodotti da combustione e, pertanto, non ricompresi nell’ambito di applicazione della legge 242/2016.

Quel giudice, peraltro, non ha accreditato la tesi difensiva secondo cui si sarebbe trattato di materiale promozionale di sigarette non in vendita, ciò sia per mancanza di un riscontro, ma anche perché ha ritenuto la spiegazione non coerente con il quantitativo della merce: ossia 360 sigarette contenenti marijuana suddivise in due stecche del peso di 1.980 grammi ciascuna.

Sotto altro profilo, quel giudice ha pure osservato che, ai fini del sequestro probatorio, per la configurabilità del fumus – oltre alla astratta configurabilità del reato – sono sufficienti elementi concreti conferenti, non occorrendo la sussistenza di indizi di colpevolezza o la loro gravità.

Infine, quanto alla finalità probatoria, il Tribunale l’ha ritenuta adeguatamente evidenziata nel decreto impugnato, derivando essa dalla necessità di compiere eventuali accertamenti, anche peritali, sia sui semi che sulle sigarette: sui primi, per verificarne compiutamente la tipologia, nonché la capacità ed efficacia a produrre sostanza stupefacente; sulle seconde, per verificare l’effettivo principio drogante in esse eventualmente contenuto, nonché il grado di efficacia e l’eventuale eccedenza di THC rispetto alle soglie stabilite dalla legge 242/2016.

3. I motivi sono manifestamente infondati.

3.1. Questa Corte ha più volte affermato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr. sez. 2 n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656; Sez. U. n. 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv. 239692; conf. Sez. U. n. 25933 del 29/5/2008, Malgioglio, non massimata sul punto).

Inoltre, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al “fumus” del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, cosicché egli può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché lo stesso emerga “ictu oculi” (cfr. sez. 4 n. 23944 del 21/05/2008, Rv. 240521).

Nel concetto di violazione di legge, pertanto, non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste dall’art. 606, lett. e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. e) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c) [cfr. Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevi/acqua, Rv. 226710; cfr. Sez. 6 n. 7472 del 21/01/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916].

Sul punto, si è pure successivamente precisato che il “fumus” può essere escluso in sede di controllo cautelare solo quando vi siano motivi evidenti per ritenere l’interruzione del legame tra il fatto storico e la norma asseritamente violata, che non può dirsi escluso sulla base di valutazioni di carattere dubitativo che sono proprie della fase del merito (cfr. sez. 3 n. 15222 del 25/02/2010, Rv. 246961).

Quanto alla verifica in ordine alle condizioni di legittimità della misura cautelare, la stessa è necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformità tra fattispecie legale e caso concreto possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi (cfr., ex multis: Sez. U, n. 6 del 27/03/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. U, n. 7 del 23/02/2000, Mariano, Rv. 215840).

La delibazione non può, quindi, estendersi alla ricostruzione in concreto delle possibili e prevedibili modalità con le quali la condotta contestata si sarebbe dovuta manifestare, non essendo possibile che il controllo di cassazione si traduca in un controllo che investe, sia pure in maniera incidentale, il merito dell’impugnazione.

3.2. Tali principi vanno letti alla stregua di quanto ulteriormente precisato dal giudice di legittimità con specifico riferimento al decreto di sequestro a fini di prova: esso, infatti, deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione sia in ordine alla rilevanza probatoria del bene assoggettato a sequestro, sia con riguardo al nesso di pertinenzialità fra “res” e reato (cfr. sez. 6 n. 11817 del 26/1/2017, Berardinelli, RV. 269664; sez. 4 n. 54827 del 19/9/2017, Gigante, Rv. 27579, in cui si è precisato che, in caso di radicale mancanza della motivazione, in ordine alla necessaria sussistenza della concreta finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti, del decreto di sequestro di cose qualificate come corpo di reato, che, sebbene non integrato sul punto dal pubblico ministero neppure all’udienza di riesame, sia stato confermato dall’ordinanza emessa all’esito di questa procedura, la Corte di cassazione deve pronunziare sentenza di annullamento senza rinvio di entrambi i provvedimenti; sez. 2 n. 49536 del 22711/2019, Va/lese Alberto, Rv. 277989).

3.3. Inoltre, va sin da subito chiarito che – in tema di stupefacenti – la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge 2 dicembre 2016, n. 242, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività (cfr. Sez. U. n. 30475 del 30/5/2019, Pmt c/Castignani Lorenzo, in cui, in motivazione, la Corte ha precisato che la legge 2 dicembre 2016, n. 242, qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, per le finalità tassativamente indicate dall’art. 2 della predetta legge).

4. Così definito il perimetro del sindacato di questa Corte in materia di provvedimenti di cautela reale, in uno con i principi direttamente riferibili alla natura del reato in contestazione, è evidente come, nel caso in esame, la denunciata violazione di legge non sussista: la difesa ha opposto, in realtà, una diversa lettura del dato probatorio sin qui raccolto, senza tuttavia considerare le ragioni della decisione, con le quali il Tribunale ha esaminato tutte le doglianze difensive e adeguatamente argomentato in ordine alla ritenuta infondatezza delle spiegazioni offerte a discarico, sia in punto fumus commissi delicti, che avuto riguardo alla finalità probatoria indicata dall’autorità inquirente.

Anche quanto a questo ultimo profilo, peraltro, è sufficiente un rinvio ai principi affermati da questa Corte di legittimità: la motivazione del provvedimento impositivo del vincolo reale, infatti, deve essere modulata in relazione al caso concreto e dovrà, in particolare, essere rafforzata ogni qual volta il nesso tra il bene e il reato per cui si procede sia indiretto, mentre potrà farsi ricorso ad una formula sintetica nei casi in cui la funzione probatoria del sequestro sia di immediata evidenza (cfr. sez. 2 n. 11325 del 11/2/2015, Caruso, Rv. 263130).

Pertanto, se è vero che il decreto di sequestro probatorio – così come il decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (cfr. Sez. U. n. 36072 del 19/4/2018, PM in proc. Botticelli e altri, Rv. 273548), è altrettanto evidente come, nel caso all’esame, il Tribunale abbia dato conto della finalità perseguita dagli inquirenti, apparendo del tutto coerente con la natura dei reperti la loro sottoposizione a esami di natura tecnica in grado di specificarne la potenzialità offensiva.

5. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero (cfr. C. Cost. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.