REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMO Maurizio – Presidente –
Dott. SCORDAMIGLIA Irene – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
BERIZZI PAOLO nato a BERGAMO il 11/08/19xx
(OMISSIS) MARCO nato a ROMA il 07/08/19xx;
(OMISSIS) EZIO nato a DRONERO il 24/10/19xx;
avverso la sentenza del 12/05/2017 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa IRENE SCORDAMAGLIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. LUIGI ORSI che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità
udito il difensore Il difensore presente conclude per l’accoglimento del ricorso. In subordine, per la declaratoria di prescrizione del reato
RITENUTO IN FATTO
1. Con un unico atto di impugnativa Berizzi Paolo, (omissis) Marco e (omissis) Ezio ricorrono avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, in data 12 maggio 2017, di conferma di quella del Tribunale della stessa città in data 12 novembre 2012, che li aveva riconosciuti colpevoli, i primi due, del delitto di diffamazione a mezzo stampa aggravato dall’attribuzione di un fatto determinato e, il terzo, di quello di omesso controllo sul contenuto della pubblicazione periodica e, per l’effetto, li aveva condannati alla pena di giustizia, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante.
2. Deducono un unico motivo, con il quale, dopo avere genericamente dichiarato di volere impugnare la sentenza in epigrafe in relazione <<a tutti i capi>> della medesima e in relazione a <<tutti i punti delle correlative decisioni (la sussistenza dell’offesa alla CET, che il direttore della pubblicazione periodica avrebbe dovuto impedire con il proprio controllo; l’aggravante del fatto determinato; la scriminante del diritto di manifestazione del pensiero; il dolo di diffamazione e la colpa per l’omesso controllo addebitato al direttore; la commisurazione della pena)>>, denunciano specificamente il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 592, comma 2, cod.pen. e 13 I. n. 47/1948, e il vizio argomentativo.
Rilevano come la motivazione posta a corredo del provvedimento impugnato sia caratterizzata da un errar iuris, laddove il giudice censurato non ha dato conto di specifici comportamenti, attribuiti, nella pubblicazione al vaglio, dai giornalisti imputati agli organi rappresentativi della CET Srl., suscettibili di essere valutati in termini riprovevoli da parte dell’opinione pubblica, e da una manifesta illogicità o contraddittorietà, poiché la determinatezza del fatto, quale connotato del maggior disvalore dell’azione oggetto di addebito, non è compatibile con le suggestioni, le insinuazioni e le allusioni che caratterizzavano il contesto espressivo della pubblicazione incriminata. Donde chiedono l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame al giudice di merito per la rideterminazione da operarsi sulla pena a seguito della eliminazione della aggravante del fatto determinato.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Premesso che la dichiarazione di impugnazione riferita a <<a tutti i capi>> della sentenza di appello e a <<tutti i punti delle correlative decisioni>> non è idonea ad integrare una valida impugnazione, posto che in relazione ai temi elencati nella parte descrittiva del presente provvedimento – fatta eccezione per l’aggravante del fatto determinato – non sono state indicate le ragioni poste a sostegno degli enunciati rilievi, che, pertanto, vanno qualificati come generici (Sez. 1, n. 4521 del 20/01/2005, Orru’, Rv. 230751; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997 – dep. 13/01/1998, Ahmetovic, Rv.210157), va dato atto che non si ravvisa, nel caso concreto, l’interesse da parte dei ricorrenti alla pronuncia richiesta, considerato che il giudizio di subvalenza della circostanza aggravante dell’attribuzione di un fatto determinato di cui all’art. 13 I. n. 47/1948 non ha comportato alcun effetto in termini di quantificazione della pena.
2. Esiste, invero, un contrasto di orientamenti interpretativi sulla questione dell’interesse dell’imputato a proporre un’impugnazione volta esclusivamente ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante, quando la stessa sia già stata ritenuta subvalente rispetto alle circostanze attenuanti In effetti, la prevalente e più recente giurisprudenza di vertice si è espressa nel senso di ritenere inammissibile per carenza di interesse l’impugnazione dell’imputato volta esclusivamente ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante, quando la stessa sia già stata ritenuta subvalente rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti e i fatti posti a suo fondamento non siano stati in alcun modo valutati dal giudice in un’ottica di maggiore gravità dell’addebito, dovendo escludersi qualsiasi possibilità di effetti pregiudizievoli per l’imputato (Sez. 1, n. 39215 del 03/07/2017, Marrone, Rv. 270957; Sez. 4, n. 20328 del 11/01/2017, B, Rv. 269942; Sez. 4, n. 27101 del 21/04/2016, Debilio, Rv. 267442; Sez. 5, n. 2311 del 13/10/2015 – dep. 20/01/2016, Cicala, Rv. 266056; Sez. 2, n. 38967 del 24/06/2015, Ndiaye, Rv. 264803; Sez. 3, n. 3214 del 22/10/2014 – dep. 23/01/2015, A, Rv. 262022; Sez. 3, n. 16717 del 09/03/2011, Khadim, Rv. 250000; Sez. 1, n. 16398 del 14/01/2008, Civita e altro, Rv. 239579).
A fondamento di tale presa di posizione è stato posto il principio secondo il quale, per proporre impugnazione occorre, a pena di inammissibilità, avervi interesse, e detto interesse dev’essere attuale e concreto, con la conseguenza che un’impugnazione finalizzata ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante, nell’ipotesi in cui nei precedenti gradi di giudizio sia stata ritenuta la prevalenza di circostanze attenuanti rispetto a quelle aggravanti, deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse in quanto l’imputato, in caso di accoglimento del gravame su tale punto, non vedrebbe concretamente mutare in senso a lui favorevole la situazione sanzionatoria (Sez. 1, n. 716 del 20/11/1997 – dep. 21/01/1998, Di Fini, Rv. 209444).
A tale affermazione si è pervenuti, del resto, sviluppando la regula iuris enunciata dalle Sezioni Unite Serafino, n. 10372 del 27/09/1995 (Rv. 202269), per cui: <<La facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso.
Ne consegue che la legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto>> e quella enunciata dalle Sezioni Unite Boido e altro, n. 9616 del 24/03/1995 (Rv. 202018), per cui: <<II Pubblico Ministero, avuto riguardo alla natura di parte pubblica che lo caratterizza ed alla fondamentale funzione di vigilanza sull’osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia che gli è assegnata dall’art. 73 dell’ordinamento giudiziario, deve ritenersi titolare di un interesse ad impugnare ogni qual volta ravvisi la violazione o l’erronea applicazione di una norma giuridica, sempre che tale interesse presenti i caratteri della concretezza e dell’attualità, e cioè che con il proposto gravame si intenda perseguire un risultato non soltanto teoricamente corretto ma anche praticamente favorevole>>.
La giurisprudenza minoritaria, invece, ravvisa, comunque, un interesse dell’imputato a proporre appello al fine di ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante anche quando con il provvedimento impugnato gli siano state concesse circostanze attenuanti con giudizio di prevalenza su tale aggravante, poiché costituisce suo diritto vedersi riconoscere colpevole di una condotta meno grave di quella contestatagli (Sez. 1, n. 35429 del 24/06/2014, Mileti, Rv. 261453; Sez. 1, n. 27826 del 13/06/2013, Bisogno e altri, Rv. 255991): tanto perché non si potrebbe negare l’interesse dell’imputato a vedere rimossa dalla pronuncia di condanna l’attribuzione di un’aggravante insussistente o, per qualsiasi altra ragione, concretamente inapplicabile, posto che la qualificazione del fatto in termini di maggiore gravità potrebbe, comunque, avere influenza sulla determinazione della pena ex art. 133 cod.pen. (Sez. 6, n. 3174 del 11/01/2012, Merlo, Rv. 251575).
In particolare, non varrebbe ad escludere tale interesse la neutralizzazione degli effetti dell’aggravante in virtù del giudizio di prevalenza, o di equivalenza, delle attenuanti generiche, in quanto il giudizio di comparazione spiega i suoi effetti soltanto in ordine alla determinazione della pena, mentre lascia inalterata la valutazione deteriore dell’azione e della personalità dell’imputato, che è fonte di pregiudizio anche al di fuori della misura della pena (Sez. 6, n. 19188, del 10/01/2013, P., Rv. 255071; Sez. 4, n. 45353 del 23/11/2010, Chiesa e altro, Rv. 249070; Sez. 4, 27 dicembre 2010, n. 45353, Chiesa Sez. 5, n. 37095 del 22/04/2009, G., Rv. 246580; Sez. 6, n. 2261 del 07/01/2000, Norice, Rv. 215637).
3. Rileva il Collegio che il principio di diritto affermato dall’orientamento maggioritario risulta più convincente, perché valorizza il profilo dell’attualità e della concretezza che, a mente dell’art. 568, comma 4, proc. pen., deve caratterizzare l’interesse ad impugnare e per queste ragioni deve essere ribadito. Nel caso di specie, peraltro, la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13 I. n. 47/1948 non ha dispiegato alcun effetto neppure sui termini di prescrizione, ai sensi dell’art. 157, comma 2, cod. pen., posto che la sua esclusione determinerebbe il venire in considerazione della fattispecie di cui all’art. 595, comma 3, cod. pen., il cui termine massimo di prescrizione è, comunque, equivalente a quello previsto per la fattispecie aggravata ai sensi dell’art. 13 l.n. 47/1948.
4. Le suesposte considerazioni di tipo processuale, che in ragione del loro carattere assorbente precludono l’esame del merito, impongono la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi cui consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22/05/2018.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2018.