La Cassazione conferma la custodia in carcere per soggetto appartenente alla cd ‘ndrina di Siderno (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 17 marzo 2020, n. 10367).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Rel. Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MACRI’ GIUSEPPE nato a SIDERNO il xx/xx/xxxx;

avverso l’ordinanza del 11/10/2019 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giovanni ARIOLLI;

lette/sentite le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Procuratore Generale Dott. Pietro GAETA che conclude per il rigetto del ricorso;

uditi i Difensori L’avvocato BELCASTRO GIUSEPPE insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso;

l’avvocato SPEZIALE ANTONIO insiste per raccoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Giuseppe Macrì, a mezzo dei difensori di fiducia, ricorre per cassazione per l’annullamento dell’ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha confermato la misura della custodia in carcere applicata al ricorrente dal G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria in ordine ai delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. (partecipazione all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta).

I motivi dei ricorsi articolati dai rispettivi difensori possono essere trattati congiuntamente stante la natura comune delle censure.

1.1. Con un motivo di carattere preliminare si censura la violazione dell’art. 121 cod. proc. pen. in relazione all’art. 125 e 292, comnna 1, lett. c) e c bis) cod. proc. pen. per avere omesso l’ordinanza impugnata di fornire una specifica motivazione sui rilievi avanzati dalla difesa in sede di riesame, limitandosi ad un recepimento del contenuto dell’ordinanza genetica, senza una valutazione critica o rielaborazione dei fatti e delle emergenze investigative, così facendo errata applicazione dei principi, pure affermati dalla Corte di legittimità, in tema di motivazione per relationem.

1.2. Quanto alla gravità indiziaria, si denuncia tanto la violazione di legge che il vizio di motivazione (in riferimento agli artt. 125, comma 3, 192, comma 2, 292, comma 1, lett. c) e c-bis, 309, comma 9 e 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., con riguardo all’art. 416-bis cod. pen. ed all’art. 273 cod. proc. pen.).

Inidonea a fondare il giudizio di gravità indiziaria doveva ritenersi il contenuto della sola intercettazione ambientale intervenuta tra il ricorrente ed il Muià Vincenzo classe 1969.

Invero, a prescindere dalla valenza del dichiarato, ritenuto erroneamente espressivo di intraneità da parte del giudice della cautela e in relazione al quale possono muoversi diversi rilievi critici, doveva subito evidenziarsi come la misura restrittiva fosse stata applicata non per “quanto (il ricorrente) ha fatto o ha omesso di fare” ma “non solo per ciò che dice ma prima ancora per il fatto stesso di aver detto qualcosa”.

Si era quindi fatto riferimento ad un modello di partecipe privo di quella necessaria esplicazione dimostrativa che la fattispecie incriminatrice esige sul piano della tipicità, oltre che dell’affectio societatis, in assenza dunque di un visibile ed apprezzabile apporto del singolo alla realizzazione degli ordinari scopi del sodalizio in modo “riconoscibile”, e non meramente teorico, così evitandosi la punibilità di mere adesioni morali al consorzio illecito, prive della necessaria offensività; ciò tanto più, come nel caso in esame, ove la prova del reato era stata desunta dal compendio intercettivo (relativo ad un unico dialogo avvenuto il 13 febbraio 2019) che impone al giudice del merito un rigore interpretativo del significato delle conversazioni.

Per sostenere l’estraneità del ricorrente, il Tribunale del riesame, aveva fatto ricorso ad una motivazione manifestamente illogica muovendo da un “postulato accusatorio” secondo cui se è mafioso uno degli interlocutori lo è anche l’altro.

Peraltro, l’assenza di significative interlocuzioni da parte del ricorrente, essendosi questi limitato a “sostenere” la conversazione ove i commenti non superavano mai la soglia di cortesia, privava di contenuto indiziante la captazione.

Difettava, poi, da parte del Tribunale del riesame il ricorso a regole logiche o a massime di esperienza di comprovata efficacia che potessero avvalorare la ritenuta valenza dimostrativa del dialogo: così l’aver suggerito al Muià di desistere dal proposito di acquisire notizie sulla morte del fratello recandosi in Canada, andava contestualizzata nel dialogo da cui emergeva, anche in ragione di altri elementi (più volte l’indagato nel riferire circostanze fa riferimento a “dice”), come il propalato fosse ascrivibile a una diceria, ad un sentito dire.

Né decisivo era l’utilizzo della seconda persona plurale nel corso della conversazione avendone entrambi i latori fatto un uso aspecifico. In ogni caso, il risultato probatorio non mutava, posto che la mera condivisione di informazioni, seppur riservate, non sono sufficienti ad asseverare l’appartenenza al sodalizio se non sono direttamente rivelatrici di un contributo partecipativo dell’interessato al pactum sceleris.

Inoltre, quanto captato era privo di una coerente pluralità che deve sostenere l’indizio propalativo emerso dal conversato, ex art. 192, comma 2, cod. proc. pen., difettandone altresì l’univocità stante la presenza di altri elementi discordanti con l’ipotesi accusatoria, tanto da rendere la prospettazione posta a fondamento della conversazione da parte del giudice della cautela anche meno plausibile rispetto a quelle alternative che ne era possibile ricavare (mero monologo supino del Muià), in ragione del fatto che: il Muià, intercettato quotidianamente, si era recato una sola volta presso l’esercizio commerciale del ricorrente; il tema del dialogo era patrimonio conoscitivo dell’intera collettività; non erano emersi rapporti tra il ricorrente ed altri soggetti indagati nel presente procedimento, per come emerso anche in sede giudiziaria; lo stesso indagato invece risultava autore di denunce avverso atti di intimidazione ed episodi estorsivi ai suoi danni; era incensurato.

1.3. Infine, si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen. In particolare, premessa l’assenza di una motivazione sul punto con riguardo alla specifica posizione del ricorrente, non si era tenuto conto della mancanza, al di là della captazione intercettata, di altri elementi dimostrativi della ipotizzata partecipazione. Inoltre, con riguardo al contenuto del propalato, manifestamente illogico era il riferimento all’abitualità ed alla professionalità a delinquere in assenza dell’indicazione di specifiche modalità e circostanze della condotta sintomatiche della sua pericolosità. Apparente (rectius autoreferenziale) era, infine, la motivazione anche con riguardo all’adeguatezza della misura custodiale alla luce delle modifiche apportate al regime cautelare dalla I. n. 47/2015.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso va rigettato per essere i motivi infondati e/o manifestamente infondati.

2.1. Inammissibile è il motivo, avente carattere preliminare, relativo all’assenza di motivazione (sub 1.1. a) perché la censura risulta formulata in modo generico, avendo il ricorrente omesso di specificare, in relazione a quali specifici temi difensivi sollevati, il Tribunale del riesame avrebbe omesso di fornire adeguata motivazione, così precludendo alla Corte di legittimità di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.

Peraltro, dalla lettura dell’ordinanza impugnata emerge come il Tribunale del riesame si sia confrontato con le doglianze difensive per confutarne il contenuto.

2.2. Quanto al giudizio di gravità indiziaria, ritiene il Collegio che l’ordinanza impugnata, nell’attribuire al contenuto della conversazione ambientale intercettata in via diretta, una specifica valenza probatoria a carico del ricorrente per il delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, abbia fatto corretta applicazione dei principi affermati in materia da questa Corte, fornendo una congrua motivazione.

Questa Corte ha infatti chiarito che i contenuti informativi provenienti da soggetti intranei all’associazione mafiosa, frutto di un patrimonio conoscitivo condiviso derivante dalla circolazione all’interno del sodalizio di informazioni e notizie relative a fatti di interesse comune degli associati – quale indubbiamente sono i temi affrontati dai conversanti in quanto direttamente attinenti a settori vitali della cosca – sono utilizzabili in modo diretto, e non come mere dichiarazioni de relato soggette a verifica di attendibilità della fonte primaria (Sez. 1 n. 23242 del 6/05/2010, Rv. 247585, e Sez. 5 n. 4977 dell’8/10/2009, Rv. 245579, che hanno affermato, con riguardo alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, un principio che deve ritenersi estensibile, a maggior ragione, alle comunicazioni – di indubbia genuinità – tra soggetti inconsapevoli dell’attività di captazione in corso; vedi da ultimo anche Sez. 1, n. 49270 del 24/2/2016, non mass.; Sez. 2, n. 5979 del 9/10/2017, dep. 2018, non mass.).

Nel caso di specie, la provenienza delle informazioni, tratte dal contenuto di un’intercettazione ambientale, è stato anzitutto ricavato dallo spessore del Muià Vincenzo classe 1969, il quale non occupa affatto un ruolo secondario nel sodalizio criminoso, e, dunque, è portatore di una conoscenza qualificata dei fatti oggetto di conversazione e commento, per come ricavato non solo dalla storia giudiziaria che riguarda la ‘ndrina Muià in seno alla locale di Siderno, ma anche e soprattutto dalla conoscenze delle dinamiche e delle vicende di rilievo criminale che questi mostra di conoscere per come asseverato dalle precise circostanze riferite nel corso della conversazione.

I colloqui, pertanto, non hanno ad oggetto il c.d. “chiacchiericcio” carcerario, o mere confidenze di accadimenti che hanno interessato il territorio di insistenza dei conversanti, ma vertono sulle strategie da adottare in un momento di particolare fibrillazione della cosca, dovuto all’omicidio di Carmelo Muià, il quale ne teneva le redini, assicurando il rispetto degli equilibri nel territorio di riferimento.

Inoltre, riguardano le alleanze da intessere al fine di conservare il dominio sul territorio di appartenenza (e dunque sui traffici illeciti logicamente connessi) ed evitare che altri gruppi criminali possano intaccare il ruolo di primo piano che sta assumendo il Muià Vincenzo classe 1969 e la ‘ndrina di riferimento, alla cui base vi è un interesse diretto ed attuale di entrambi i conversanti che si può logicamente spiegare in ragione del ruolo da ciascuno svolto a favore del sodalizio, in un’ottica finalistica unitaria.

Peraltro, – e trattasi di circostanza che consente di attribuire, sul piano logico, quel particolare rilievo al contenuto del colloquio oggetto di disamina – è che il capo cosca nel riferire al ricorrente in merito alle dinamiche e agli affari relativi alla cosca, non si è limitato a svolgere una funzione meramente informativa avente carattere di “aggiornamento”, ma ha riferito di vicende ed iniziative da assumere in cui entrambi appaiono coinvolti, al fine di assumere le determinazioni e le strategie più opportune nell’interesse della cosca, tra le quali anche quella di individuare ed “eliminare” gli autori dell’omicidio del fratello Muià Carmelo.

Tali elementi di fatto, di carattere convergente, attestano quindi come le circostanze oggetto del colloquio captato siano espressione della personale compartecipazione del ricorrente alle dinamiche criminali della ‘ndrina.

Il fatto che l’indagato, nell’ambito del contesto fattuale di particolare fibrillazione che caratterizza la ‘ndrina Muià, sia reso partecipe dell’intento del Muià Vincenzo di ricercare gli autori dell’omicidio del fratello e che questi possano essere anche rinvenuti “tra le persone più vicine alla stessa cosca” dà pienamente conto sul piano logico del vincolo di appartenenza, in quanto con tale “rivelazione” il Muià sa perfettamente di esporre la propria vita (e la ‘ndrina) ad azioni preventive di ritorsione laddove il suo interlocutore, tradendolo, le rendesse note ad altri soggetti estranei al sodalizio.

Nella stessa direzione milita anche la condivisione di informazioni attinenti ai legami della ‘ndria con i referenti canadesi, le cui vicende, di carattere “extra- territoriale” relative agli equilibri ivi esistenti tra le cosche, sono già conosciute e introdotte dal ricorrente nella conversazione.

In tale ambito quindi la valorizzazione in termini di dimostrata intraneità di pronomi personali o di espressioni di carattere “cumulativo” vicendevolmente utilizzate nel dialogo (tanto da parte del Muià, vedi pag. 8, che dello stesso ricorrente – vedi pag. 9) rafforza sul piano logico la conclusione raggiunta dal giudice della cautela, tenuto conto che i fatti, anche nella parte notoria in cui tali aggettivazioni sono dichiarate, sono evocati nell’ambito della vicenda sottostante con una lettura del tutto continente con le questioni oggetto del colloquio vertenti sugli affari di cosca.

Peraltro, il senso di inclusione riceve definitiva conferma nella parte finale dell’intercettazione riportata dall’ordinanza impugnata, laddove è lo stesso ricorrente che riferisce e si interroga sulle possibili causali dell’omicidio del Carmelo Muià, suggellando il dato di appartenenza mediante un esplicito riferimento al “noi” legato alla matrice mafiosa dell’omicidio, il cui autore è a conoscenza di avere colpito non solo la persona del Carmelo Muià ma la ‘ndirna di riferimento.

Se tale è il contenuto della conversazione intercettata, correttamente il Tribunale del riesame ha escluso una supina interlocuzione ad opera del ricorrente e la natura meramente esemplificativa di quanto da costui riferito, anche considerando il dato costituito dal fornire al Muià Vincenzo consiglio su come determinarsi.

Peraltro, la natura illecita del colloquio rende un fuor d’opera parlare di risposte di mera cortesia o di educazione, a prescindere dalla valenza di merito di tali censure, non proponibili in questa sede.

Né vale a inficiare la tenuta della logicità della motivazione e la valenza gravemente indiziaria del colloquio, la circostanza che il dialogo sarebbe stato occasionale e sganciato da qualsiasi dinamica criminale sottostante. Per come ricostruito dall’ordinanza impugnata e da quella genetica richiamata, tali captazioni si inseriscono nell’ambito di un chiaro disegno portato avanti dal Muià Vincenzo di potenziare il proprio schieramento criminale in previsione di ulteriori attacchi, allestendo nel contempo anche un micidiale arsenale da poter impiegare prontamente all’occorrenza, per come si ricava altresì dalla verifica della disponibilità delle armi pronte all’uso (vicenda che vede coinvolto Archidiacono) e dal coinvolgimento di altri accoliti (vicenda che vede coinvolto Muià Vincenzo classe 1972).

Di conseguenza, il dato fattuale dell’accertata partecipazione non risulta limitarsi al dato formale del richiamo storico di un’avvenuta affiliazione, ma è espressivo di un legame e di una fattiva e concreta disponibilità su cui la cosca può attualmente contare in un periodo di particolare fibrillazione che richiede di agire con immediatezza.

Ciò dà ragionevolmente conto di come la messa a disposizione si accompagni logicamente anche alla concreta ed effettiva possibilità di svolgere i compiti allo stesso affidati e dunque di corrispondere ai desiderata del sodalizio di cui si fa parte, così accrescendone le potenzialità e rendendo la condotta pericolosa per il bene giuridico tutelato.

2.3. Quanto alle esigenze cautelari, sebbene nella parte motiva specificamente dedicata a tale aspetto la motivazione della ordinanza impugnata risulti in parte insufficiente, essendosi per lo più fatto riferimento a canoni aventi carattere generico, va tuttavia evidenziato come gli elementi fattuali nel complesso indicati dai provvedimenti cautelari siano di per sé espressivi dei concreta pericula che la custodia in carcere tende a prevenire.

3. Al riguardo, si è, infatti, richiamato il contesto di carattere dinamico e concretamente volto all’azione che caratterizza la cosca, essendo in itinere l’attività di individuazione dei responsabili dell’omicidio di Muià Carmelo e la predisposizione di iniziative volte a prevenire gli attacchi ad opera di altri gruppi criminali, così rendendo concreto il pericolo anche della commissione di delitti di criminalità organizzata ed adeguata la misura di maggior rigore applicata (sulla possibilità della Corte di legittimità di integrare la motivazione del provvedimento impugnato in caso di insufficienza, vedi Sez. 6, n. 6603 del 26/2/1991, Rv. 187451).

4. Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

5. Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà dell’indagato, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma il 06/03/2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.