La Cassazione conferma la sanzione disciplinare a boss che sta troppo in doccia, per affermare gerarchia mafiosa (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 8 giugno 2021, n. 22381).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. SIANI Vincenzo – Rel. Consigliere

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) GIOACCHINO nato a (OMISSIS) il 16/03/19xx;

avverso l’ordinanza del 10/12/2019 del TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Vincenzo SIANI;

lette le conclusioni del PG, Dott. Marco DALL’OLIO, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con le conseguenze di legge.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, reso il 10 dicembre 2019, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha rigettato il reclamo proposto, ex art. 35-bis Ord. pen., da Gioacchino (OMISSIS), detenuto nella Casa circondariale di Novara, avverso l’ordinanza emessa il 5 febbraio 2019 dal Magistrato di sorveglianza di Novara con cui era stato respinto il reclamo del detenuto avverso l’applicazione della sanzione disciplinare dell’esclusione per dieci giorni dalle attività comuni irrogatagli con delibera del Consiglio di disciplina del 2 gennaio 2018.

1.1. Il Tribunale ha puntualizzato che:

– (OMISSIS) era stato raggiunto da due rapporti disciplinari, il primo del 22 dicembre 2017, per inosservanza di ordini, essendosi trattenuto sotto la doccia ben oltre il tempo consentito non rispettando i ripetuti richiami dell’agente di custodia, il secondo del 25 dicembre 2017, ancora per inosservanza di ordini, avendo passato un sacchetto di plastica con alimenti ad altro detenuto;

– egli era stato sanzionato con il provvedimento del Consiglio di disciplina suindicato, reclamato tempestivamente ma con la sola contestazione della fondatezza del rapporto in data 22 dicembre 2017, con riguardo al quale aveva sostenuto di essersi intrattenuto sotto la doccia per soli 20 minuti, e non 25 minuti, laddove non era previsto un tempo limite per tale incombente igienico, senza che fosse stato sollecitato ad uscire dall’agente di custodia e comunque senza cagionare alcun servizio, soltanto 15 minuti dopo la sua uscita essendo arrivato un altro detenuto del suo gruppo di socialità per utilizzare la doccia stessa;

– il Magistrato di sorveglianza, osservato che per l’altro rapporto non si era avuta doglianza, con l’effetto che già solo il fatto grave alla sua base giustificava la sanzione irrogata, aveva comunque disatteso le ragioni prospettate dal detenuto con riferimento al fatto del 22 dicembre 2017, essendo stato accertato che (OMISSIS) aveva inosservato le regole interne e le esigenze dei compagni attenendosi oltre il limite dell’utilizzo della doccia per imporre la propria leadership nell’ambito del gruppo di socialità e dell’intera sezione.

Analizzate le deduzioni del reclamante, il Tribunale ha aderito all’impostazione del primo provvedimento e ha confermato la valutazione della gravità delle violazioni rilevate e dell’adeguatezza della sanzione irrogata.

1.2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore di (OMISSIS) chiedendone l’annullamento sulla scorta di un unico motivo con cui lamenta la violazione degli artt. 38 Ord. pen. e 81 d.P.R. n. 230 del 2000 e il corrispondente vizio di motivazione.

Sulla premessa che le norme indicate regolano – sulla base di principi fondamentali di garanzia – il procedimento di irrogazione delle sanzioni disciplinari in materia penitenziaria, con la contestazione dell’addebito fatta dal direttore dell’istituto entro il termine di 10 giorni dalla ricezione del rapporto e con la susseguente convocazione dell’incolpato, innanzi a sé o innanzi al consiglio di disciplina a seconda dei casi, affinché lo stesso possa esternare le proprie discolpe, prima dell’adozione della decisione, il ricorrente osserva che tale presidio normativo obbliga l’Amministrazione penitenziaria alla contestazione del fatto addebitato in forma chiara e precisa, in funzione della piena esplicazione dei diritti difensivi dell’interessato, e considera essenziale il collegamento tra le regole del procedimento disciplinare e l’esplicazione della difesa dell’incolpato, per cui è necessario che – in armonia con l’art. 59 delle Regole penitenziarie europee – sussista un ragionevole lasso di tempo tra la contestazione e l’udienza disciplinare affinché l’accusato possa esporre le proprie giustificazioni.

Inoltre – ha evidenziato la difesa – nell’applicazione delle sanzioni si deve tener conto, oltre che della natura e della gravità del fatto, anche del comportamento e delle condizioni personali del soggetto: l’aver ricondotto la gravità del comportamento al rispetto della natura e alla critica dello spreco di acqua e l’aver considerato la condotta censurata come idonea a dimostrare la predominanza malavitosa sarebbero argomenti incongrui avulsi dalla realtà.

1.3. Il Procuratore generale ha prospettato l’inammissibilità dell’impugnazione in quanto l’excursus ricostruttivo del provvedimento impugnato scandisce la regolarità della procedura seguita e la violazione del diritto di difesa viene denunciata in modo generico, essendo evidente che il detenuto aveva contestato solo il rapporto relativo al fatto del 22 dicembre 2017, mentre poi, circa la valutazione di gravità, le considerazioni dei giudici di merito vengono reputate congrue e confutate con argomentazioni generiche.

2. Il complessivo motivo che sostanzia l’impugnazione si rivela aspecifico e, pertanto, impone la declaratoria della sua inammissibilità.

2.1. Le censure poste a base del reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza avevano fatto leva sulla buona fede di (OMISSIS) nell’utilizzo del servizio doccia e comunque sull’inidoneità del fatto a giustificare la sanzione irrogata, nonché sul rilievo di avvenuta proposizione del reclamo anche avverso la valutazione del secondo rapporto disciplinare.

Il Tribunale, in senso contrario, ha, in primo luogo, ribadito l’assenza di qualsiasi motivo o contestazione in ordine all’infrazione rilevata il 25 dicembre 2017, in sé oggettivamente grave, a fronte della quale le giustificazioni date innanzi al Consiglio di disciplina si erano rivelate comunque non credibili.

In ordine, poi, all’episodio del 22 dicembre 2017, il fatto è stato considerato correttamente inquadrato nel provvedimento impugnato, non essendo trascurabile l’atteggiamento di indifferenza palesato dal detenuto verso i richiami dell’agente di custodia a non utilizzare il servizio per un tempo contrario alla regole e inaccettabile, l’attardarsi oltre ogni limite nell’utilizzazione della doccia essendo irriguardoso verso i compagni di detenzione, i quali attendevano di accedervi dopo di lui, congruamente essendo stato valutato questo contegno come teso all’affermazione dell’alto livello del protagonista nella gerarchia mafiosa presente nell’istituto.

2.2. A fronte di tale assetto giustificativo, il ricorrente, nella prima parte dell’impugnazione, per quanto concerne tale questione, ha svolto un’illustrazione dei principi operanti in materia, ma non ha affatto chiarito se e in qual misura i principi esposti siano stati violati nel procedimento oggetto di esame.

D’altro canto, innanzi al Tribunale, così come innanzi al Magistrato di sorveglianza, (OMISSIS) non aveva sollevato questioni di questa natura.

In questo caso non viene, dunque, in rilievo la – indiscutibile – necessità della salvaguardia delle garanzie in tema di procedimento disciplinare, sia con riferimento al fatto che l’applicazione di una sanzione disciplinare deve essere preceduta dalla contestazione della violazione, pena la lesione di principi fondamentali di garanzia e la conseguente l’illegittimità della decisione adottata, in tal senso sindacabile dal giudice (Sez. 1, n. 42420 del 16/09/2013, Barretta, Rv. 256981 – 01), sia con riferimento alla congrua ragionevolezza del tempo da riservarsi all’esplicazione delle difese (Sez. 1, n. 16914 del 21/12/2017, dep. 2018, Palumbo, Rv. 272786 – 01).

Oltre alla – già dirimente – aspecificità del rilievo svolto nel ricorso, anche la carenza di deduzioni sul punto nei pregressi gradi preclude, quindi, l’ammissibile delibazione della suddetta censura in questa sede (per la necessità, in tema di procedimenti disciplinari dell’amministrazione penitenziaria, che, in caso di contestazione dell’infrazione davanti al consiglio di disciplina, la violazione del diritto di difesa del detenuto sia eccepita, a pena di decadenza, al momento dell’apertura dell’udienza stessa, Sez. 1, n. 30038 del 22/09/2020, Corso, Rv. 279733 – 01; Sez. 1, n. 13085 del 06/03/2020, Dell’Aquila, Rv. 278894 – 01; v. anche Sez. 1, n. 33145 del 18/04/2019, Pagano, Rv. 276722 – 01).

2.3. Riguardo all’addebito inerente al fatto del 22 dicembre 2017, si osserva che il Tribunale ha sottolineato specificamente che (OMISSIS), avendo a disposizione l’adeguato tempo di 10 minuti per utilizzare la doccia, era stato richiamato dall’agente di custodia allo scadere dei 15 minuti, ma – anziché affrettarsi – si era pervicacemente trattenuto nell’utilizzo dell’impianto fino a 25 minuti fingendo di non aver udito: egli, dunque, si era trattenuto nell’uso dell’impianto per un tempo inaccettabile e lo aveva fatto con un comportamento irriguardoso per l’intera comunità penitenziaria.

La valutazione della volontaria, consapevole e pervicace condotta del detenuto volta a violare la regola di impiego dell’impianto è retta da una spiegazione adeguata de coerente, non superata dall’asserto meramente contestativo opposto dal ricorrente.

La motivazione, pertanto, si profila del tutto congrua e – certo – non risulta infirmata dalla susseguente considerazione, ispirata al corretto vivere civile, secondo cui la condotta censurata, oltre a collidere con le regole penitenziarie, si è posta in contrasto anche con la comune necessità di evitare lo spreco di acqua.

2.4. In ordine, infine, all’avvenuta contestazione con il reclamo anche dell’addebito riferito al fatto del 25 dicembre 2017, alla risposta – netta – data dal Tribunale circa l’esattezza del rilievo dell’assenza di reclamo sul punto non è seguita una critica effettiva e specifica con l’impugnazione.

2.5. Discende da tali considerazioni l’inammissibilità del mezzo, a cui segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) – di una somma alla cassa delle ammende in misura che, per il contenuto dei motivi dedotti, si fissa equamente in euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 15 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria l’8 giugno 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.