La Cassazione, Mesina Graziano deve tornare in carcere per scontare 30 anni (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 10 agosto 2020, n. 23700).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore – Presidente

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Rel. Consigliere

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

ALTEA CORRADO nato a ARBUS il 13/08/1950;

MESINA GRAZIANO nato a ORGOSOLO il 04/04/1942;

MURA EFISIO nato a CAGLIARI il 22/05/1980;

FOIS ENRICO nato a CAGLIARI il 20/09/1942;

avverso la sentenza del 22/05/2018 della CORTE APPELLO di CAGLIARI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCA PICARDI;

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso di Corrado Altea, per l’inammissibilità del ricorso di Mesina Graziano, il rigetto del ricorso di Mura Efisio e l’inammissibilità del ricorso di Fois Enrico.

Per Mesina è presente l’avv. Goddi Beatrice del foro di Cagliari che chiede l’accoglimento del ricorso.

Per Altea Corrado è presente l’avv. Cianferoni Luca del foro di Firenze che chiede l’accoglimento del ricorso.

Per Mura Efisio è presente l’avv. Giovene Ambra del foro di Roma che chiede l’accoglimento del ricorso.

Per la pratica Forense è presente la dott.ssa Tarricone Luciana del foro di Roma.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Cagliari, previa declaratoria di non doversi procedere nei confronti di Luigi Atzori, essendo il reato contestatogli estinto per prescrizione, ha confermato la sentenza del Tribunale di Cagliari, che ha condannato:

Graziano Mesina alla pena di anni 30 di reclusione, qualificati ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 i fatti di cui ai capi 9,10, 14, 15, 16, per i reati di cui ai capi B e C (reati associativi ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, con ruolo di promotore o finanziatore: più precisamente capo B associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, con la partecipazione di Corrado Altea, Antonio Mascia, Alessio Mascia, Kastriot Lukaj, Giovanni Antonio Musina, Vincenzo Sini, Francesco Piras, Guido Brignone, Daniele Brignone, di cui Graziano Mesina era finanziatore;

capo C associazione finalizzata non solo al traffico di sostanze stupefacenti, ma anche al compimento di una serie indeterminata di reati contro il patrimonio e la persona, aggravata dalla disponibilità di armi, di cui Graziano Mesina era promotore e Antonio Musina, Raimondo Crissantu, Giovanni Flindeu, Franco Devias, Salvatore Devias partecipanti), 1, 2, 3, 4, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, esclusa l’aggravante dell’ingente quantità e riconosciuta la continuazione (più precisamente capo 1 acquisto, in data 2 dicembre 2008, da parte di Graziano Mesina, Gigino Milia, Corrado Altea dai trafficanti calabresi operanti in Milano di un’imprecisata, ma rilevante quantità di eroina, custodita da Antonio Mascia e, poi, ritirata da Graziano Mesina e Giovanni Antonio Musina;

capo 2 acquisto, in data 27 dicembre 2008, da parte di Graziano Mesina, Gigino Milia, Corrado Altea dai trafficanti calabresi operanti in Milano, che operavano in concorso con il fornitore albanese Kastriot Lukaj, di un’imprecisata, ma rilevante quantità di eroina, ricevuta da Antonio Mascia a Villafranca e, poi, consegnata a Nuoro a Giovanni Antonio Musina;

capo 3 acquisto, in data 23 maggio 2009, da parte di Graziano Mesina, Gigino Milia, Corrado Altea, da Lukaj Kastriot, con l’intermediazione dei trafficanti calabresi operanti in Milano, di circa 10kg di eroina, affidata in custodia a Antonio Mascia e, poi, ritirata da Graziano Mesina, Francesco Piras e altri;

capo 4 acquisto, in data 19 giugno 2009, da parte di Graziano Mesina, Gigino Milia, Corrado Altea da Lukaj Kastriot, con l’intermediazione dei trafficanti calabresi operanti in Milano, di circa 15kg di eroina, affidata in custodia a Antonio Mascia e, poi, ritirata da Graziano Mesina e altri;

capo 9 vendita, da parte di Graziano Mesina, in concorso con Giovanni Antonio Musina, a Enrico Fois, noto quale Vinicio, Efisio Mura e Luigi Atzori, in data 6 ottobre 2009, di una quantità imprecisata di droga per un valore non inferiore ad euro 20.000,00;

capo 10 vendita, da parte di Graziano Mesina, a Enrico Fois, noto quale Vinicio, tra ottobre 2009 e maggio 2010, di una imprecisata qualità di droga per un valore non inferiore ad euro 8.000,00;

capo 11 estorsione in danno di Fois, costretto a pagare il corrispettivo di una partita di droga, mediante violenza, in particolare tramite la sottrazione un furgone, con la minaccia di restituirglielo solo previo pagamento, fino al 6 luglio 2010;

capo 12 vendita, da parte di Graziano Mesina, di un provino di cocaina e di una quantità imprecisata di cocaina a Vittorio Denanni per il corrispettivo non inferiore ad euro 37.000,00, in epoca posteriore e prossima al 30 ottobre 2009;

capo 13, estorsione in danno di Vittorio Denanni, costretto con le minacce a pagare il corrispettivo di una fornitura di droga, fino al 16 maggio 2012;

capo 14 acquisti dai fratelli Pinna di una quantità imprecisata di marijuana, in data prossima al 23 dicembre 2012 e in data 23 dicembre 2012;

capo 15 acquisto, in concorso con il nipote Giuseppe, dai fratelli Pinna, di una quantità imprecisata di cocaina, divisa in 5 sacchetti, rivenduta a Alessandro Farina per un corrispettivo non inferiore a euro 5.000,00, in data 30 dicembre 2012;

capo 16 vendita a Alessandro Farina di 256 grammi di marijuana, in data 15 gennaio 2013;

capi 17, 18 e 19 detenzione illegale di un fucile mitragliatore, una pistola automatica e fucili automatici, armi portate in luogo pubblico, in data anteriore al 9 aprile 2012 con permanenza successiva sino alla contestazione ed in epoca prossima al 9 maggio 2012);

Corrado Altea, esclusi gli effetti della recidiva, alla pena di 16 anni di reclusione, unitamente all’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici, all’interdizione legale durante l’esecuzione della pena ed all’interdizione dalla professione di avvocato per la durata di anni 4, ed alla misura di sicurezza della libertà vigilata per durata non inferiore a 3 anni, per i reati di cui ai capi B (associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990), 3 (acquisto, in concorso con altri, ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, di circa kg 10 di eroina dall’albanese Kastriot, operazione a cui partecipava traportando il danaro a Milano) e XIV (sostituzione ex art. 648-bis, primo e secondo comma, cod.pen., di una somma pari a circa £ 250.000.000,00, ricevuta da Gigino Milia e proveniente da delitti non colposi, con euro);

Efisio Mura alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 10.000,00 di multa per il reato di cui al capo 9 e Enrico Fois alla pena di anni 5 di reclusione ed euro 14.000,00 di multa per i reati di cui al capo 9 e 10.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo di propri difensori, Corrado Altea, Enrico Fois, Graziano Mesina, Efisio Mura.

3. Corrado Altea ha proposto due distinti ricorsi.

Con il primo (Avv. Barbu) ha dedotto:

1) la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, fondata su un’informazione probatoria parziale, nonostante ipotesi alternative dimostrate, ma del tutto trascurate, in ordine all’affermata responsabilità per i capi 3, 14 e B, rispetto al quale ultimo si è anche lamentata la erronea applicazione dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 per la mancata derubricazione in favoreggiamento reale – in particolare

A) in ordine al capo 3 la Corte territoriale ha omesso ogni valutazione riguardo alla completa assenza di contatti telefonici tra Altea e Kastriot, Scordo e Morabito, al mancato uso di utenze dedicate da parte del ricorrente ed alla trascrizione incompleta dei contatti telefonici Altea/Milia, attribuendo all’incuria della difesa la mancata acquisizione dei tabulati, senza considerare la scadenza dei termini per la relativa richiesta già all’epoca dell’applicazione della misura cautelare; ha riportato un dato non corrispondente al vero a p. 142, affermando che il ricorrente si sarebbe procurato il numero di Alexandrov in occasione della sua trasferta a Milano, mentre ne disponeva già prima; ha superato in modo illogico e del tutto congetturale le allegazioni difensive in ordine all’incontro Altea/Seba ed alla negazione dell’incontro Altea/Morabito; ha ignorato l’uso della terza persona plurale nei dialoghi intercettati del 17 e 18 maggio 2009, che dimostrano che l’acquirente della droga non corrisponde a Milia, ma a terze persone; è pervenuta ad una ricostruzione dei fatti incompatibile con l’eccessività del prezzo pagato per l’eroina, con la circostanza che Milia non è l’acquirente della droga e che Scordo, Morabito e Kastriot sono semplici intermediari, ma non i venditori;

B) in ordine al capo XIV, la Corte è pervenuta alla conclusione dell’illecita provenienza del danaro e della conoscenza di tale dato da parte del ricorrente, usando le dichiarazioni di Milia, il cui impossibile contro-esame avrebbe reso necessaria la verifica dei fatti riferiti tramite la testimonianza della Urcelay e degli altri testi, e ha affermato la titolarità della somma da parte di Milia in modo contraddittorio con tutti gli altri episodi accertati, in quanto Milia, da un lato, non avrebbe avuto bisogno di ricorrere al finanziamento di Mesina laddove avesse avuto la disponibilità di £ 500.000.000,00 e, dall’altro, tenuto conto della data di emissione della banconote – entro il 1997 – e dei suoi lunghi periodi di detenzione, non avrebbe potuto accumulare tale cospicua somma, così come ha affermato, in modo del tutto erroneo, la sussistenza dell’aggravante dell’aver agito nell’esercizio della professione, essendosi il ricorrente limitato a dichiarare, in sede di cambio, di operare quale mandatario di cliente;

C) in ordine al capo B-B.3, la Corte ha confermato la partecipazione all’associazione in base al solo ed insufficiente dato dell’esposizione debitoria di Altea nei confronti di Milia, nonostante il mancato coinvolgimento nei reati fine, eccetto il contestato capo 3, l’archiviazione degli altri procedimenti penali nei confronti di Altea, l’atteggiamento aggressivo e l’astio di Milia nei confronti di Altea, del tutto sottovalutato, la consuetudine nella famiglia Milia dell’uso dell’espressione “avvocato” per riferirsi ad un losco personaggio diverso da Altea e le plausibili deduzioni difensive che hanno ragionevolmente e verosimilmente smentito tutte le asserite condotte partecipative e, cioè, la telefonata a Milia prima della trasferta nel carcere di Voghera per la visita al detenuto Kastriot, giustificata dalla necessità di recuperare le spese, l’impossibilità di desumere dalla consegna a Milia della somma ricevuta da Guido Brognone, la conoscenza dei fatti collegati, l’assenza di contatti ulteriori con l’assistito Antonio Mascia rispetto a quelli collegati all’espletamento del mandato, la sussistenza di leciti rapporti con Sansò e Mancuso, il contenuto del tutto irrilevante della telefonata tra Altea e Milia n. 2254, indicata erroneamente e riportata in modo incompleto, il valore del tutto equivoco dell’avviso dato, da parte del ricorrente, ai calabresi del ritrovamento delle microspie nell’auto di Milia;

2) la manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione relativamente al diniego delle generiche, fondato su precedenti modesti e su rapporti, di cui non risulta dimostrata la solidità, continuità e univocità, con soggetti di straordinaria caratura criminale, senza alcuna valutazione delle vessazioni subite dal ricorrente da parte di Milia e con una ingiustificata disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri co-imputati che hanno optato per il rito abbreviato.

Con il secondo ricorso (Avv. Cianferoni) si sono denunciate:

1) la violazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 in ordine al capo B, essendo stata desunta la partecipazione all’associazione dal mero asserito coinvolgimento in un reato fine, del tutto insufficiente, in assenza della prova del pactum e dell’affectio societatis;

2) la contraddittorietà della motivazione in ordine al capo 3, in quanto

a) non si è spiegata in modo ragionevole l’assenza di contatti diretti (personali o telefonici) tra Altea/Kastriot, Scordo e Morabito,

b) si sono valorizzati i contatti telefonici Altea/Milia riportati in modo incompleto, senza indicazione di dati essenziali (quali l’ubicazione delle celle, l’esito della telefonata), senza l’acquisizione dei tabulati, non attribuibile a negligenza della difesa,

c) si è superata in modo illogico la tesi difensiva diretta a giustificare la trasferta di Altea a Milano in data 14 maggio 2009 per la visita della casa di Via Casarza n. 9, oggetto di trattativa immobiliare, senza svolgere gli approfondimenti richiesti sull’attendibilità del teste Alexandrov, tramite la sua audizione testimoniale e quella del legale rappresentante o dipendente della Blu Agency di G.Caporotundo o dell’Avv. Giuseppe Duminuco, e

d) si è scartata la ricostruzione difensiva di tutta la vicenda, che, al contrario, tiene conto e collega in modo coerente tutti gli elementi probatori (in particolare le successive trasferte a Milano di Milia, che rendono del tutto implausibile, perché non necessaria, la consegna dell’acconto da parte di Altea; le bugie raccontate da Milia ai calabresi circa il coinvolgimento di Altea, al solo fine di assicurarsi l’affare, sfruttando la stima nutrita nei confronti dell’avvocato; la documentazione prodotta in relazione alla trattativa immobiliare e l’estrema difficoltà di conciliare la visita alla casa e l’appuntamento con Morabito; il contenuto delle conversazioni intercettate del 17 e 18 maggio in cui viene usata la terza persona plurale e viene fatto riferimento ad un possibile guadagno di Milia nell’operazione);

3) la violazione dell’art. 648-bis cod.pen. in ordine al capo XIV, di cui mancano sia l’elemento oggettivo, essendo il reato presupposto solo asserito ma non dimostrato, sia l’elemento soggettivo della consapevolezza, da parte di Altea, della illecita provenienza delle somme, che non può essere desunto dalla scelta di riferire in dibattimento e non già in sede di indagini le notizie di cui era a conoscenza, che coincidono, peraltro, con quelle fornite da Milia. In data 18 giugno 2020 è pervenuta ulteriore memoria difensiva.

4. Enrico Fois ha denunciato:

1) l’erronea applicazione dell’art. 192 cod.proc.pen., atteso che manca una valutazione globale degli indizi, limitandosi la motivazione ad elencare gli elementi probatori emersi, senza neppure individuarne il valore, ed attribuendo significato al riferimento al “cagnolino sano”, ritenuto indicare, in modo criptico, la sostanza stupefacente, senza tenere conto, però, che il soggetto che lo ha introdotto nelle conversazioni (Devias) è stato assolto e che, comunque, non è stata rinvenuta la droga nelle perquisizioni effettuate;

2) l’inosservanza dell’art. 56 cod.pen., atteso che le condotte asseritamente dimostrate sono, comunque, lontane dalla consumazione del reato;

3) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, che consiste nel mero rinvio alle argomentazioni del giudice di primo grado, fondate solo su un’interpretazione equivoca delle conversazioni intercettate, senza una puntuale e specifica risposta alle censure dell’appello.

5. Graziano Mesina ha dedotto:

1) la violazione degli artt. 4 e 16 cod.proc.pen. in relazione al rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale, sollevata in favore del Tribunale di Nuoro, nel cui circondario si è verificato il reato più grave di cui al capo C (associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, aggravata dalla circostanza di cui al comma 4), in quanto, ai fini della competenza, deve tenersi conto della circostanza aggravante ad effetto speciale del possesso delle armi, che è erroneamente richiamata negli altri capi, con riferimento ai quali non è stata né descritta né accertata, mentre non possono essere considerate né la recidiva né le altre circostanze;

2) la violazione dell’art. 125 cod.proc.pen. in considerazione dell’omessa motivazione in ordine alla determinazione della pena, non riuscendosi neppure a comprendere quale sia il reato base utilizzato per il calcolo della continuazione e non potendo ritenersi sufficienti le argomentazioni svolte ai fini della individuazione del reato più grave ai sensi dell’art. 4 cod.proc.pen., i cui criteri sono diversi da quelli di cui all’art. 81 cod.pen.;

3) l’illegalità della pena all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019;

4) l’inutilizzabilità delle dichiarazioni del coimputato Gigino Milia, da cui la Corte di appello non ha tratto le effettive conseguenze, in quanto non ha tenuto conto della decisività di tale prova nella valutazione del giudice di primo grado;

5) la violazione di legge (in particolare degli artt. 267, primo e terzo comma, 268, 270 e 271 cod. proc. pen.), anche in considerazione dell’assenza di adeguata motivazione, con riferimento all’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, nei cui provvedimenti di autorizzazione non sono stati indicati i gravi elementi a carico del ricorrente, e con riferimento all’utilizzabilità dell’intercettazione n. 2032 del 15 ottobre 2008, autorizzata e disposta nel corso di altro procedimento;

6) la violazione degli artt. 453, 454, 455 e 178 cod.proc.pen., essendo stato celebrato un giudizio immediato, senza previa udienza preliminare, in assenza dei presupposti – in particolare essendo tardiva la richiesta dell’accusa, formulata oltre il termine dei 180 giorni dall’esecuzione della misura cautelare in data 10 giugno 2013 e dall’iscrizione della notizia di reato, e non ricorrendo il requisito dell’evidenza della prova;

7) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine ai capi A e B, in quanto, da un lato, è stata contestata la circostanza del possesso di armi insussistente (neppure descritta in termini fattuali) e, dall’altro lato, si è pervenuti all’affermazione di responsabilità in base a ipotesi prive di riscontri, con una motivazione illogica e contraddittoria e, comunque, carente, non confrontandosi con le censure di appello svolte da p. 16 in poi;

8) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine ai capi 1 e 2, risultando contraddittoria la motivazione, che attribuisce valore indiziario decisivo ad un telefonata del 30 novembre 2008 in cui si parla di “ritiro del foraggio”, che, tuttavia, viene collegata a trasferte a Milano anteriori e non successive a detta conversazione, e tralascia la pertinenza del linguaggio agli interessi di Mesina, che proviene da un ambiente agropastorale, e le spiegazioni offerte alla conversazione del 27 dicembre 2018, identificando, senza alcun effettivo riscontro, il foraggio o il fieno con la droga;

9) l’illogicità o la carenza motivazionale riguardo ai capi 3 e 4, con riferimento ai quali

a) si adducono incontri a Milano, senza valutare che Mesina si trovava a Torino e Pavia,

b) si valorizzano le conversazioni tra Mesina e Milia avvenute su utenze ufficiali e non dedicate,

c) si ipotizza un pagamento differito a fronte di anticipazione di danaro ad opera di altri, che è del tutto ipotetico,

d) si identifica il soggetto che si appropria di tutta la biada con Mesina senza alcun riscontro,

e) si perviene ad un giudizio di inammissibilità dell’appello, che prescinde dalle doglianze prospettate;

10) la carenza ed illogicità della motivazione in ordine ai capi 9, 10 e 11, in cui, non essendo stata rinvenuta la droga nel corso della perquisizione effettuata, ma solo una somma di danaro, si è prospettato l’acquisto in luogo della vendita della droga, pur dubitandosi seriamente della gravità indiziaria (p. 117), si è tratto un indizio fondamentale da una telefonata in cui Mesina e Devias dicono a Fois che il suo comportamento non è più accettabile, nonostante Devias sia stato assolto dal reato di estorsione per non aver commesso il fatto, con sentenza passata in giudicato, non si è adeguatamente risposto ai motivi di appello formulati a p. 30-35 ed ivi richiamati;

11) l’illogicità e la carenza di motivazione in ordine ai capi 12 e 13, mancando un’adeguata risposta ai motivi di appello formulati a p. 38-43 dell’appello ed ivi richiamati;

12) l’illogicità e la carenza di motivazione in ordine ai capi 14,15,16, in quanto il riferimento alla puntualità dei pagamenti, contenuto nelle conversazioni intercettate, può collegarsi ad un normale rapporto commerciale e non necessariamente a cessioni di droga, così come il riferimento alla pecora ad al vitello sono pertinenti all’attività dell’azienda dei fratelli Pinna, avente ad oggetto l’allevamento del bestiame, essendo del tutto insignificante l’inadeguatezza del mezzo (Porsche) al trasporto della carne;

13) la mancata risposta alle doglianze formulate in appello in ordine all’esistenza di un unico gruppo finalizzato al traffico di droga e non delle due diverse associazioni prospettate nel capo A (associazione cagliaritana) e nel capo C (associazione orgolese), tenuto conto dell’identità delle finalità e dei partecipanti e della mera occasionalità di una serie di reati, non collegati ad alcun programma associativo, oltre che dell’assoluzione dei sodali Crissantu e Filindeu e di quella di Devias per i reati contestatigli;

14) la mancata valorizzazione delle dichiarazioni spontanee di Mesina, che sono state confermate dal Brigadiere Giovanni Maria Vargiu e che giustificano una lettura alternativa e lecita degli spostamenti del ricorrente, riconducibili alla sua attività di intermediazione immobiliare e alle visite ai suoi familiari.

6. Efisio Mura ha proposto due distinti ricorsi.

Con il primo (Avv. Camoglio) ha dedotto:

1) l’erronea applicazione dell’art. 192 cod.proc.pen., mancando una valutazione globale degli indizi elencati, di cui non viene neppure individuata la maggiore o minore gravità, e valorizzandosi il riferimento al cagnolino, ritenuto sinonimo di droga, introdotto da Devias, assolto dalle accuse in esame, senza tener conto dell’esito della perquisizione sul furgone su cui viaggiava il ricorrente, insieme a Fois e ad Atzori, in esito alla quale non è stata rivenuta droga, ma solo una consistente somma di danaro (euro 20.000,00) e sopravvalutandosi l’assenza del cagnolino e la mancata sosta ad Olbia;

2) l’inosservanza dell’art. 56 cod.pen., atteso che le condotte asseritamente dimostrate sono, comunque, lontane dalla consumazione del reato;

3) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, che consiste nel mero rinvio alle argomentazioni del giudice di primo grado, fondate solo su un’interpretazione equivoca delle conversazione intercettate, senza una puntuale e specifica risposta alle censure dell’appello, oltre al travisamento della prova, avendo il giudice di appello richiamato intercettazioni successive ai fatti contestati tra Mesina, Fois e Mura, da cui non emerge alcuna illiceità.

Con il secondo ricorso (Avv.Giovene) si sono denunciati:

1) la mancanza di motivazione e la violazione del principio dell’al di là del ragionevole dubbio in ordine all’affermazione della propria responsabilità in ordine al capo 9, che è stata fondata in entrambe le sentenze di merito su elementi del tutto equivoci, quali il riferimento al termine “cagnolino”, identificato con la droga, il rinvenimento della somma (peraltro non sequestrata perché non collegata ad alcuna operazione illecita) di euro 20.000,00 sul furgone oggetto di perquisizione, su cui il ricorrente viaggiava, i precedenti specifici dei soggetti coinvolti, nonostante la totale incertezza relativamente alla tipologia della sostanza, al prezzo ed alla quantità pattuita, come confermato dalla sentenza di appello, che valorizza circostanze del tutto neutre, come, ad esempio, la ritenuta falsità delle giustificazioni offerte, di per sé inidonee a giustificare l’ipotesi accusatoria, e che spesso attribuisce agli stessi elementi significati opposti (così, in alcuni passaggi il cagnolino è identificato con la droga, in altri con il danaro strumentale all’acquisto);

2) la contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta consumazione del reato, che è stata affermata nonostante l’assoluta incertezza di tutti gli elementi dell’accordo asseritamente concluso (tipo, prezzo, quantità della droga);

3) la contraddittorietà della motivazione in ordine all’esclusa applicabilità del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, che è stata fondata solo sull’entità della somma rinvenuta nel furgone, senza valutare l’assoluta incertezza degli altri elementi e la possibilità che la somma non fosse riferibile a tutti i cagliaritani;

4) la mancanza di motivazione in ordine all’esclusione delle generiche ex art. 62-bis cod. pen., oggetto di specifica censura di appello, rimasta senza risposta, nonostante la richiesta in tal senso della pubblica accusa, non potendo considerarsi sufficiente il rinvio della Corte alla trattazione del capo 10, a cui il ricorrente è estraneo, ed essendo del tutto apparente la giustificazione del primo giudice, collegata – in modo indistinto per tutti gli imputati – alla gravità dei fatti ed ai precedenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi di Corrado Altea possono essere accolti solo in parte.

1.a. Le censure aventi ad oggetto il capo 3 risultano inammissibili, in quanto non denunciano alcuna effettiva lacuna, illogicità o contraddittorietà della motivazione, ma si limitano a riproporre la ricostruzione alternativa della difesa, ripetendo le doglianze già sottoposte alla Corte di appello ed adeguatamente valutate e superate, con una motivazione esaustiva, puntuale e non manifestamente illogica.

In particolare i giudici di merito hanno evidenziato una serie di indizi gravi, precisi e concordanti, che, letti congiuntamente, confermano la partecipazione di Corrado Altea all’operazione avente ad oggetto circa Kg 10 di eroina (più precisamente Corrado Altea si è recato a Milano in data 14 maggio 2009, al fine di consegnare a Giovanni Morabito una somma da parte di Gigino Milia, destinata ad assicurare il buon esito dell’affare) – indizi consistenti, quanto alla riferibilità dell’operazione alla sostanza stupefacente, nell’interpretazione del linguaggio criptico usato nelle conversazioni intercettate tra Milia, i calabresi e l’albanese e nel coinvolgimento di tali soggetti nel narcotraffico; quanto alla partecipazione di Corrado Altea in detta operazione, nei frenetici contatti telefonici tra Altea e Milia nella data del 14 maggio 2009 e nei giorni precedenti e successivi, che sono stati giustificati dalla difesa con il generico riferimento ai rapporti tra le parti ed al debito di Altea nei confronti di Milia; nella sequenza di tali contatti che coincide con i contatti di Milia con gli altri soggetti coinvolti; nella costante allusione, da parte di Milia, nelle sue conversazioni intercettate con i calabresi (Morabito e Scordo) in quei giorni, all’avvocato, alla sua trasferta a Roma e al suo coinvolgimento nell’operazione; nella coincidenza di Corrado Altea con tale “avvocato”, in considerazione non solo della professione svolta, ma anche del suo ruolo di difensore del cognato di Giovanni Morabito (tale Leone Bruzzaniti), per cui noto agli interlocutori proprio in tale veste di professionista; nella trasferta di Altea a Milano proprio il 14 maggio 2009; nell’incontro di Altea con Seda, figliastro di Milia, immediatamente prima della partenza per Milano.

Dal tessuto motivazionale della sentenza d’appello è enucleabile una attenta analisi della regiudicanda, avendo i giudici di secondo grado non solo valorizzato tutti gli elementi indiziari su cui si fonda la condanna, ma anche preso in esame tutte le deduzioni difensive per pervenire alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della correttezza logica e sulla base di apprezzamenti di fatto, che non sono né contraddittori né manifestamente illogici e che, perciò, risultano insindacabili in questa sede.

Nei ricorsi in esame ci si è limitati ad insistere nuovamente sulla asserita lacunosità probatoria, evidenziando la mancata acquisizione di tutto il traffico telefonico di Corrado Altea e la mancata intercettazione delle sue conversazioni, la mancata individuazione della sua posizione, l’omesso uso, da parte di Corrado Altea, di utenze dedicate, l’assenza di contatti diretti tra Altea e gli altri soggetti coinvolti (Kastriot, Scordo e Morabito), così come ci si è limitati a riproporre la tesi difensiva della trasferta di Corrado Altea a Milano in data 14 maggio 2009 in collegamento con una trattativa immobiliare, richiamando la documentazione già valutata non decisiva né particolarmente significativa dai giudici di merito, senza, tuttavia, confrontarsi con le puntuali argomentazioni della Corte territoriale in ordine alla gravità e coerenza degli indizi emersi ed ai mancati riscontri relativi all’asserito appuntamento, in data 14 maggio 2009, presso l’immobile di Via Casarza n. 9 (appuntamento che, da un lato, è smentito dall’inquilino Alexandrov, la cui deposizione è, nei ricorsi in esame, qualificata come falsa e reticente in modo del tutto assertivo, senza alcun cenno agli elementi di inattendibilità del teste, e che, dall’altro lato, è ritenuto dalla Corte di appello, sia pure con argomentazioni sviluppate ad abundantiam, non incompatibile con la consegna del danaro a Morabito, alla luce della possibile ricostruzione degli spostamenti, pure effettuata nella sentenza impugnata, tenendo conto delle distanze, degli orari e delle verosimili condizioni di traffico) e senza, pertanto, individuare alcuna contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

Va, del resto, ribadito che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015 ud., dep. 16/07/2015, rv. 264441).

Del resto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).

1.b. Le stesse considerazioni svolte al punto 1.a. possono ripetersi in ordine alle censure concernenti l’affermata responsabilità per il reato associativo di cui al capo B, che non denunciano alcuna violazione di legge o vizio motivazionale della sentenza impugnata, ma si limitano a riproporre la tesi difensiva valorizzando asseriti elementi indiziari favorevoli ad Altea e sminuendo o contestando la lettura lucida, dettagliata e coerente del quadro probatorio, offerta dai giudici di merito, fondata su una pluralità di significativi e consistenti elementi indiziari tutti convergenti nel dimostrare il pieno coinvolgimento del ricorrente nel sodalizio, di cui condivideva il linguaggio criptico, e la sua assoluta disponibilità ad assecondarne le esigenze, testimoniata, ad esempio, dalle sue trasferte a Milano per contribuire alle operazioni del gruppo (ad esempio, quella di cui al capo 3) o per assecondare le richieste di Milia, al fine di assicurare i contatti con altri associati, anche recandosi in carcere (si pensi alle visite a Mascia al fine di ottenere da lui notizie sul nascondiglio della droga) e, da ultimo, nella sua comunicazione ai calabresi della presenza delle microspie nella macchina di Milia e della impossibilità di quest’ultimo di contattarli con il suo telefono.

1.c. Meritano, invece, accoglimento le censure relative al capo XIV aventi ad oggetto la carente e contraddittoria motivazione sulla prova logica e/o esistenza del reato-presupposto.

Sul punto occorre premettere che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, non è necessaria la ricostruzione del delitto presupposto in tutti gli estremi storici e fattuali, occorrendo, però, che esso sia individuato nella sua tipologia (Sez. 2, n. 29689 del 28/05/2019 Cc. – dep. 08/07/2019, Rv. 277020 – 01; v. anche, con riferimento alla fattispecie analoga dell’art. 648 cod.pen. Sez. 2, n. 26308 del 22/06/2010 cc. – dep. 09/07/2010, Rv. 247742 – 01, secondo cui la fattispecie criminosa di ricettazione è configurabile non già con il riferimento, in contestazione, ad una provenienza delittuosa del bene non meglio identificata, poiché è necessario che il delitto presupposto, se pure non giudizialmente accertato, sia specificato; da ultimo, Sez. 2 n. 42052 del 19/06/2019 cc. – dep. 14/10/2019 – Rv. 277609 – 02, secondo cui, in tema di riciclaggio ed autoriciclaggio, non è necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio o autoriciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza, in mancanza imponendosi l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste).

La necessità di una individuazione, sia pure non dettagliata e precisa, del reato presupposto, quantomeno nei suoi elementi costitutivi, è, del resto, necessaria sia al fine dell’esclusione del concorso nello stesso sia al fine della quantificazione della pena, tenuto conto dell’ultimo comma dell’art. 648-bis cod. pen., ai sensi del quale la pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita le pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Al contrario, nel caso di specie, come evidenziato in entrambi i ricorsi, il giudice di appello, alle pag. 156-162, si è concentrato solo sul superamento delle prospettazioni difensive di Corrado Altea circa la provenienza lecita del danaro, ma non sulla prova del reato presupposto, di cui, già nel capo di imputazione, manca la descrizione.

Né tale lacuna motivazionale è colmata dalla sentenza di primo grado, che si è limitata, a p. 62, ad elencare una serie di indizi relativamente alla generica provenienza illecita della somma da delitto, senza, però, in alcun modo soffermarsi in concreto sul delitto presupposto. Peraltro, nella ricostruzione dei giudici di merito il danaro oggetto del reato proverrebbe dall’attività illecita di Gigino Milia (v. p. 159 sentenza impugnata), identificato come uno degli autori in concorso del reato.

In conclusione, la sentenza sul punto va annullata con rinvio alla Corte di appello per nuova valutazione sulla sussistenza di un delitto non colposo quale fonte del denaro, con conseguente caducazione anche della statuizione della confisca ex art. 648-quater cod. pen.

1.d. Non può, invece, essere accolto il motivo sul diniego delle generiche, contenuto nel ricorso dell’Avv. Barbu, atteso che il giudice di appello ha risposto in modo adeguato alla doglianza del ricorrente sul punto, richiamando i precedenti di Corrado Altea (resistenza a pubblico ufficiale, calunnia, tentata estorsione, appropriazione indebita) e la sua spregiudicatezza.

In proposito va, del resto, ricordato che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione, quali l’esistenza di precedenti (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 Ud., Rv. 271269).

A ciò si aggiunga che il ricorrente non ha neppure evidenziato elementi positivi, già sottoposti all’attenzione della Corte territoriale, che avrebbero potuto giustificare la concessione del beneficio, non potendo reputarsi tali la sua condizione di debitore di Milia e le vessazioni subite da parte di quest’ultimo.

Né può raffrontarsi la decisione adottata nei confronti di Corrado Altea con quella adottata nei confronti di altri co-imputati, che hanno fatto scelte processuali diverse e la cui posizione non si evince, dunque, né dalla sentenza in esame né da quanto trascritto o allegato ai ricorsi di Corrado Altea.

2. I ricorsi di Enrico Fois ed Efisio Mura (Avv. Camoglio) possono essere trattati congiuntamente, considerato che riguardano lo stesso capo di imputazione e che i motivi sono i medesimi.

2.a. Il primo motivo, con cui è censurata la lettura degli elementi indiziari in ordine al capo 9, non può trovare accoglimento, in quanto i giudici di merito hanno, con una motivazione congrua, esaustiva e non illogica, desunto dal quadro probatorio emerso il perfezionamento di un accordo, avente ad oggetto la cessione di un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente per un corrispettivo non inferiore ad euro 20.000,00, da parte di Graziano Mesina a Enrico Fois, Efisio Mura e Luigi Atzori, in data prossima al 6 ottobre 2009.

In particolare i giudici di merito hanno valorizzato i contatti telefonici intervenuti in epoca anteriore, coeva e successiva all’episodio in esame, il contenuto delle conversazioni captate, il traffico di droga in cui gli imputati sono stati coinvolti prima e dopo il fatto, il rinvenimento, al momento del controllo, del furgone su cui viaggiavano Fois, Mura e Atzori della somma di euro 20.000,00, l’assoluta incongruenza delle giustificazioni fornite da questi ultimi, i quali, pur avendo prospettato alle forze dell’ordine, una cena e l’acquisto di pesce, dopo il controllo, sono rientrati senza porre in essere alcuna di queste attività, nonostante il mancato sequestro del danaro.

La coerenza della ricostruzione effettuata nella sentenza impugnata non è inficiata dal diverso significato attribuito al termine “cagnolino”, ritenuto in alcune conversazioni indicare il danaro ed in altre la droga, in quanto la Corte di appello ha inquadrato, alla luce di tutti gli elementi probatori evidenziati, il contesto illecito dell’affare, riconducendolo in modo appropriato al narco-traffico, ed ha così adeguatamente risposto alle censure difensive incentrate esclusivamente sulla pretesa liceità dell’operazione e del trasporto, da parte dei cagliaritani, della somma di danaro, per cui l’esatto significato del termine cagnolino, usato in modo criptico, non risulta neppure decisivo.

Parimenti non si riscontra una lacuna motivazionale in ordine al mancato riferimento all’assoluzione di Devias, che non è un elemento decisivo, anche in considerazione della sua assenza sul veicolo e del suo ruolo meno centrale rispetto a quello di Graziano Mesina.

Del resto, i ricorsi difettano, su tale aspetto, di auto-sufficienza, in quanto non riportano né gli stralci delle conversazioni intercettate in cui Devias introdurrebbe il discorso del “cagnolino” né della motivazione della sentenza di assoluzione, sicché non evidenziano le ragioni per le quali l’assoluzione di Devias sarebbe incompatibile con la ricostruzione della vicenda offerta dai giudici di merito. Infine, per quanto concerne la asserita violazione dell’art. 192 cod.proc.pen., in tema di ricorso per cassazione, l’inosservanza di detta disposizione non può essere dedotta né quale violazione di legge ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod. proc. pen., né ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, sicché può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019 cc. – dep. 30/01/2020, Rv. 278196 – 02).

2.b. La seconda censura, con cui si lamenta la violazione dell’art. 56 cod.pen., è manifestamente infondata, in quanto i giudici di merito hanno, in modo congruo e non illogico, desunto l’avvenuto perfezionamento dell’accordo dall’intervenuta pattuizione del corrispettivo, dimostrata dal trasporto della somma di danaro destinata al pagamento, sul furgone sottoposto al controllo, su cui viaggiavano Fois, Mura e Atzori.

Si è, pertanto, correttamente applicato il principio secondo cui il delitto di acquisto e cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra venditore ed acquirente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce e del pagamento del prezzo (Sez. 2, n. 30374 del 16/05/2019 ud. – dep. 10/07/2019, Rv. 276981 – 01).

Nel caso di specie, difatti, l’incertezza probatoria in ordine a tutti i dettagli dell’accordo concluso non ha escluso l’avvenuta dimostrazione del raggiungimento stesso dell’accordo, secondo la coerente ricostruzione delle sentenze di merito.

2.c. La terza censura, con cui si lamenta il vizio motivazionale ed in particolare la mancata valutazione delle doglianze difensive in ordine all’illogicità dell’acquisto, da parte dei cagliaritani, di droga dagli orgolesi per ovvie ragioni logicistiche e, cioè, per la maggiore praticità ed il minore rischio del rifornimento presso il capoluogo e presso i centri maggiori e non nell’entroterra, per il riferimento di Mesina alla restituzione del cagnolino e non alla traditio dello stesso, per l’assoluta equivocità del linguaggio criptico, è manifestamente infondata, in quanto si limita a riproporre le argomentazioni difensive strumentali ad una diversa interpretazione del quadro probatorio, senza, tuttavia, evidenziare una effettiva manifesta illogicità o contraddittorietà della sentenza e senza considerare una serie di elementi indiziari valorizzati, al contrario, dai giudici di merito del tutto idonei a giustificare in modo non irragionevole la ricostruzione a cui approdano le sentenze di merito (quali i contatti telefonici intervenuti in epoca anteriore, coeva e successiva all’episodio in esame, l’assoluta incongruenza delle giustificazioni fornite da Fois, Mura e Atzori, i quali, pur avendo prospettato alle forze dell’ordine, una cena e l’acquisto di pesce, dopo il controllo, sono rientrati senza porre in essere alcuna di queste attività, nonostante il mancato sequestro del danaro).

Del resto, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, sussiste il vizio di mancanza di motivazione, ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività (Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013 ud. – dep. 22/01/2014, Rv. 257967 – 01), mentre, nel caso di specie, le argomentazioni difensive, proprio in considerazione della loro parziarietà, non risultano determinanti.

Solo per completezza va rilevata l’assoluta genericità del dedotto travisamento della prova (p. 17 dei due ricorsi esaminati), in quanto la doglianza non è auto-sufficiente, non riportando il contenuto delle intercettazioni richiamate dalla Corte territoriale, di cui viene contestata l’interpretazione.

3. Il ricorso di Graziano Mesina non può essere accolto.

3.a. Il giudizio si è correttamente instaurato dinanzi al Tribunale di Cagliari, come ritenuto nell’ordinanza del 6 maggio 2014, in virtù del criterio residuale di cui all’art. 16, primo comma, cod.proc.pen., identificato il primo reato in quello di cui al capo A, atteso che i reati associativi contestati nel presente processo a Graziano Mesina sono di pari gravità, risultando irrilevanti le aggravanti contestate (sia quella del numero delle persone sia quella del possesso di armi) ai sensi della regola generale di cui all’art. 4 cod.proc.pen., visto che non si tratta di circostanze che comportano l’applicazione di una pena di specie diversa né di circostanze ad effetto speciale, per tali dovendosi intendere, alla luce delle definizione di cui all’art. 63, terzo comma, cod.pen., come modificata con la I. n. 400 del 1984, solo quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un 1/3. In proposito va, difatti, rilevato che l’aumento del minimo edittale da 20 a 24 anni di reclusione previsto dall’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, con riferimento all’ipotesi di cui al comma 1 della medesima disposizione, non si traduce in un aumento della pena minima edittale superiore ad un terzo né nell’applicazione di una pena di specie diversa.

In definitiva, l’aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 è una circostanza indipendente, che comporta l’applicazione di una pena il cui calcolo prescinde da quella base, prevista per l’ipotesi non circostanziata.

Pur discutendosi della disciplina applicabile alle circostanze indipendenti ai fini del computo della pena (in particolare della loro assoggettabilità alla regola di cui all’art. 63, terzo comma, cod.proc.pen., anche laddove non comportino un aumento o una diminuzione superiore ad 1/3 della pena base: così, ad esempio, Sez. 3 n. 31293 del 08/05/2019 ud. – dep. 17/07/2019, Rv. 276291 – 01, in tema di circostanze aggravanti, il criterio di calcolo di cui all’art. 63, comma quarto, cod. pen. secondo cui, in caso di concorso tra circostanze ad effetto speciale, non si applica il cumulo materiale, ma la pena per la circostanza più grave aumentata fino ad un terzo, opera anche in caso di concorso tra circostanze aggravanti indipendenti e circostanze ad effetto speciale, diversamente determinandosi un trattamento sanzionatorio non conforme al principio di legalità ed irragionevolmente più grave di quello previsto per il concorso tra circostanze ad effetto speciale; in senso contrario, Sez. 6, n. 52011 del 07/11/2019 ud. – dep. 27/12/2019, Rv. 278055 – 02, riferita propria all’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, secondo cui, in tema di circostanze aggravanti, il principio di cui all’art. 63, comma quarto, cod. pen., secondo cui in caso di concorso tra circostanze ad effetto speciale non si applica il cumulo materiale, ma la pena per la circostanza più grave aumentata fino ad un terzo, non opera in caso di concorso tra circostanze ad effetto speciale ed aggravanti indipendenti, potendo queste ultime essere assimilate a quelle ad effetto speciale solo allorché comportino un aumento superiore ad un terzo), non può negarsi che si tratti di una categoria diversa rispetto alle circostanze ad effetto speciale, irrilevante ai fini della determinazione della competenza, in quanto non espressamente richiamata dall’art. 4 cod.pen., che rinvia solo alle aggravanti che comportano l’applicazione di una pena di specie diversa da quella ordinaria e a quelle ad effetto speciale. D’altronde, i criteri che operano per la quantificazione della pena e che possono indurre, sotto tale profilo, ad assoggettare le circostanze indipendenti alla medesima disciplina di quelle ad effetto speciale, non valgono per l’individuazione del giudice competente.

A ciò si aggiunga che indicazioni in questo senso provengono anche da Sez. U, n. 28953 del 27/04/2017 ud. – dep. 09/06/2017, Rv. 269784 – 01, secondo cui, ai fini della determinazione del tempo necessario per la prescrizione del reato, le circostanze c.d. indipendenti che comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo non rientrano nella categoria delle circostanze ad effetto speciale.

Le Sezioni Unite hanno, difatti, precisato che il legislatore del 1984, nel riformulare il testo del terzo comma dell’art. 64 cod.pen., ha inciso in profondità sulla catalogazione delle circostanze in generale, sicché non può, come in passato, automaticamente equipararsi ogni circostanza indipendente alle circostanze autonome o a effetto speciale.

Difatti, il nuovo testo della disposizione de qua oggi contiene, da un lato, un riferimento specifico solo alle circostanze cd. autonome (che comportano l’applicazione di una pena di specie diversa da quella ordinariamente prevista) e non più, come in passato, a quelle indipendenti, e, dall’altro lato, una definizione espressa delle circostanze ad effetto speciale, come quelle che comportano un aumento ed una diminuzione della pena superiore ad un terzo, mentre esclude ogni menzione delle circostanze indipendenti. Può, del resto, sottolinearsi che la dizione dell’art. 157 cod.pen., di cui le Sezioni Unite hanno offerto la rammentata interpretazione, è identica a quella dell’art. 4 cod.proc.pen. e che, comunque, i criteri che contribuiscono all’individuazione del giudice naturale di cui all’art. 25 Cost. non si prestano ad interpretazioni estensive e ultra-letterali, dovendo privilegiarsi l’esigenza di certezza (v. in questo senso, tra le tante, Sez. 1, n. 25723 del 20/05/2008 cc. – dep. 25/06/2008, Rv. 240462 – 01, il criterio autonomo e originario di attribuzione della competenza, costituito dalla connessione di procedimenti, è regolato da norme di stretta interpretazione, in quanto correlate al principio costituzionale del giudice precostituito per legge, onde le stesse non sono estensibili oltre i casi tassativamente previsti dall’art. 12 cod. proc. pen.).

Deve, pertanto, ritenersi che le circostanze aggravanti indipendenti, che non comportano un aumento della pena superiore ad un terzo, sono irrilevanti ai fini della individuazione del giudice competente, in base alla regola desumibile dall’art. 4 cod.proc.pen.

Solo per completezza va aggiunto che la censura, avente ad oggetto l’eccezione di incompetenza territoriale, risulta generica, non confrontandosi con la prima parte della motivazione della sentenza impugnata, che ha, da un lato, dichiarato inammissibile il motivo di appello per genericità e, dall’altro, condiviso la valutazione del Tribunale di Cagliari, espressa nell’ordinanza del 6 maggio 2014, con cui si è ritenuto correttamente instaurato il giudizio in applicazione alla regola residuale, di cui all’art. 16, primo comma, cod.proc.pen., del reato commesso per primo, individuato nel reato associativo di cui al capo A.

Il presente ricorso si concentra, invece, solo sulle argomentazioni svolte dalla Corte ad abundantiam a p. 96, la cui erroneità non risulta idonea alla caducazione della decisione in punto di competenza. In primo luogo, difatti, rispetto al denunciato error in procendendo, ciò che rileva è la corretta applicazione della legge processuale. Inoltre, va ricordato che le argomentazioni superflue contenute nella motivazione di un provvedimento giurisdizionale non possono condurre alla configurazione di vizi comportanti l’annullamento qualora non abbiano avuto alcuna rilevanza sulla decisione, validamente sorretta da altre autonome considerazioni (Sez. 1, n. 1887 del 26/06/1989 Cc. – dep. 15/07/1989, Rv. 181859 – 01).

3.b. La seconda e la terza censura sulla illegalità e sulla quantificazione della pena possono essere esaminate congiuntamente.

La dedotta illegalità della pena, alla luce della recente sentenza n. 40 del 2019 della Corte costituzionale, è manifestamente infondata, atteso che, in considerazione dell’epoca dei delitti contestati, tutti anteriori al 2014, il minimo edittale coincide con quello conforme ai parametri costituzionali di 6 anni di reclusione e, pertanto, la violazione del minimo edittale è solo asserita, non essendovi nelle sentenze di merito alcun riferimento ad un minimo edittale diverso da quello all’epoca vigente.

Per quanto concerne la dedotta carenza motivazionale sulla quantificazione della pena, va osservato che la pena applicata nel minimo edittale di 24 anni, in considerazione dell’accertata aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 con riferimento al capo C, e l’aumento per la continuazione ex art. 81 cod.pen. nella misura minima edittale di un 1/3, tenuto conto della contestata ed applicata recidiva reiterata e specifica di cui all’art. 99, quarto comma, cod.proc.pen., già di per sé comportano il superamento di 30 anni di reclusione, conseguentemente applicabile in modo automatico (ed in concreto applicato) in virtù dei limiti di cui all’art. 78 cod.pen., sicché non vi è alcun interesse concreto a tale doglianza – interesse che non è stato, comunque, in alcun modo individuato nel ricorso. In proposito può, difatti, osservarsi che la motivazione è funzionale a rendere ostensibile il percorso logico seguito dall’organo giudicante al fine della eventuale correzione del risultato a cui si è pervenuti, sicché laddove la quantificazione della pena avvenga in modo automatico e corretto, come nel caso di specie, non vi è né un obbligo motivazionale né l’interesse all’impugnazione.

3.c. Il quarto motivo, con cui si è lamentata l’omessa valorizzazione della pur riconosciuta inutilizzabilità delle dichiarazioni del coimputato Gigino Milia, non può essere accolto, atteso che nella sentenza impugnata l’affermata responsabilità di Graziano Mesina è stata fondata, in modo logico e coerente, su un solido quadro indiziario, che prescinde del tutto dalle dichiarazioni rese, in sede di esame, da Gigino Milia.

Il ricorso sul punto si presenta del tutto a-specifico, in quanto individua esclusivamente i passaggi motivazionali della sentenza di primo grado fondati sulle dichiarazioni de quibus e non si confronta affatto con la sentenza di secondo grado.

Deve, peraltro, ricordarsi che nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 ud. – dep. 20/02/2017, Rv. 269218 – 01).

Tale principio opera necessariamente anche laddove si lamenti non l’inutilizzabilità di una prova, ma la mancata assoluzione dell’imputato in conseguenza della riconosciuta inutilizzabilità di detta prova. Anche in tale ipotesi, tenuto conto dell’identità delle situazioni, il ricorrente ha l’onere di spiegare, pena l’inammissibilità del motivo per a-specificità, la asserita decisività della prova inutilizzabile, illustrando le ragioni per le quali altri elementi probatori valorizzati dai giudici di merito (nel caso di specie, dal giudice di appello) sono da soli insufficienti.

3.d. La quinta doglianza, con cui si è denunciata la violazione degli artt. 267, primo e terzo comma, 268, 270 e 271 cod.proc.pen., sostenendo l’inutilizzabilità delle intercettazioni in considerazione della mancata indicazione nei provvedimenti autorizzativi degli elementi indiziari a carico di Mesina e della provenienza dell’intercettazione 1300/2008 da altro procedimento penale, è a-specifica, non confrontandosi con la puntuale e corretta motivazione della Corte di appello, che a p. 102-103 (punto 23.2), da un lato, ha evidenziato i gravi indizi di reato, anche nei confronti di Mesina, evidenziati nelle richieste del P.M. e della polizia giudiziaria, fatte proprie dal G.i.p., e, dall’altro lato, ha ritenuto la sussistenza del presupposto di cui all’art. 270 cod.proc.pen., legittimante l’utilizzazione dell’intercettazione svolta in altro procedimento (indispensabilità dell’intercettazione per l’accertamento di un delitto per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza).

VI Va, peraltro, ricordato che la parte che deduce l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ha l’onere di indicare specificamente gli atti sui quali l’eccezione si fonda e di allegare tali atti qualora non facciano parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità (v. Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017 cc. – dep. 24/04/2018, Rv. 273007 – 01; v. per tutte Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009 ud. – dep. 08/10/2009, Rv. 244329 – 01, secondo cui, nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale, perché appartenenti ad altro procedimento o anche – qualora si proceda con le forme del dibattimento – al fascicolo del pubblico ministero, al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale).

Nel caso di specie, il motivo è, dunque, inammissibile anche sotto tale profilo, non essendo stati allegati al ricorso i provvedimenti di autorizzazione delle intercettazioni.

3.e. La sesta censura, con cui si denuncia l’assenza dei presupposti del giudizio immediato, è manifestamente infondata, atteso che, secondo la giurisprudenza consolidata, la decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato non è sindacabile, né revocabile, stante la sua natura endoprocessuale, priva di conseguenze rilevanti ai fini dell’eventuale condanna dell’imputato (da ultimo, Sez. 6, n. 18193 del 21/03/2018 cc. – dep. 24/04/2018, Rv. 272986 – 01).

Il ricorso non si confronta con tale principio correttamente richiamato nella sentenza impugnata.

3.f. Il settimo motivo, con cui si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine ai capi A e B, in quanto, da un lato, è stata contestata la circostanza del possesso di armi insussistente (neppure descritta in termini fattuali) e, dall’altro lato, si è pervenuti all’affermazione di responsabilità in base a ipotesi prive di riscontri, con una motivazione illogica e contraddittoria e, comunque, carente, non confrontandosi con le censure di appello svolte da p. 16 in poi, è inammissibile, in quanto del tutto a-specifico.

In ordine al primo aspetto, deve sottolinearsi che la circostanza di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 risulta contestata e accertata con una congrua motivazione, che non è oggetto di alcuna critica (v. p. 79, punto 4, sentenza di primo grado), solo con riferimento all’associazione di cui al capo C, visto che nella descrizione dell’associazione di cui al capo A (sia in sede di contestazione sia nella parte delle sentenze di merito dedicate a tale reato) non vi è alcun riferimento al possesso di armi, per cui la menzione della relativa disposizione costituisce un mero refuso. In ordine al secondo aspetto, il ricorso è del tutto a-specifico, in quanto, pur asserendo la illogicità e carenza motivazionale, si limita a rinviare, senza trascriverne il contenuto, all’atto di appello ed omette di confrontarsi con i numerosi elementi probatori evidenziati dai giudici di .1. merito (ad esempio, per quanto riguarda l’associazione di cui al capo B, l’uso, da parte di Mesina, di utenze riservate esclusivamente ai contatti con gli associati Milia, Mascia e Lukaj, gli incontri e le trasferte non altrimenti giustificati, il linguaggio criptico, la sequenza di contatti e movimenti registrati nei periodi oggetto di osservazione, v. 66 ss. sentenza di primo grado; per quanto riguarda l’associazione di cui al capo C, i compensi che Mesina soleva erogare ai suoi accoliti, i numerosi reati programmati, di cui si è trovato riscontro tramite le intercettazioni e tramite la documentazione rinvenuta nella valigetta chiusa con serratura a combinazione nel corso delle perquisizione domiciliare a carico di Mesina, v. p. 77 ss. sentenza di primo grado ).

3.g. L’ottava doglianza riferita ai capi 1 e 2 non può essere accolta.

Riguardo al capo 1, la Corte di appello ha spiegato in modo esaustivo e non illogico il perché il riferimento al foraggio nella conversazione intercettata (Mesina-Musina-Milia) del 30 novembre 2008 va collegato ad una partita di droga, evidenziando che non è mai emerso che Milia commerciasse foraggio e che Mesina ne comprasse e che, comunque, sarebbe stato del tutto inverosimile che Mesina si recasse a ritirare il foraggio in data 2 dicembre 2008 con un’auto di lusso (Porsche Cayenne), sobbarcandosi una faticosa ed antieconomica trasferta a Fiumaggiore e, poi, a Villanovafranca. Va, del resto, sottolineato che nel ricorso si collega la telefonata del 30 novembre 2008 alle trasferte anteriori di Mesina da Olbia a Villanovafranca e a Fiumaggiore, in questo modo prospettando l’asserita illogicità della motivazione della sentenza, in cui, invece, si menziona anche la trasferta successiva del 2 dicembre 2008, del tutto ignorata dal ricorrente, che, in modo frammentario e parziale, non si sofferma neppure sull’ulteriore indizio valorizzato al fine di interpretare le conversazioni intercettata (e, cioè, i pregressi affari, collegati al narcotraffico, di Milia e Mesina, che ne hanno determinato la condanna nel 1978 per un auspicato, ma non realizzato acquisto di droga, sfociato in un sequestro di persona a scopo di estorsione).

Con riferimento al capo 2, il ricorrente non si è affatto confrontato con i puntuali passaggi della motivazione che interpretano le conversazioni intercettate alla luce degli spostamenti e delle trasferte a Milano di Mesina e Milia e dei frenetici contatti telefonici tra i soggetti coinvolti, spesso avvenuti con utenze dedicate e con accorgimenti del tutto incompatibili con la coincidenza del “cagnolino” con un animale domestico o un bene lecito.

3.h. La nona doglianza avente ad oggetto i capi 3 e 4 è a-specifica, in quanto si traduce in una mera contestazione di alcuni elementi indiziari, mentre trascura il complesso motivazionale congruo e coerente delle sentenze di merito, che non tralascia alcuna delle doglianze difensive.

In ordine al capo 3, la Corte territoriale ben evidenzia che l’ubicazione di Mesina a Parma o Torino è compatibile con la trattativa telefonica relativa all’operazione di cui al capo 8, e che è irrilevante l’uso per le brevi comunicazioni telefoniche del 15 maggio 2009 di utenze non dedicate, posto che in quella giornata, come confermato dai tabulati dei rispettivi cellulari, Milia e Mesina hanno avuto modo di incontrarsi personalmente.

Non vi è, dunque, alcuna lacuna della motivazione. Piuttosto il ricorso non si confronta con il complessivo quadro probatorio oggetto di analisi da parte dei giudici di merito, che rende del tutto plausibile l’interpretazione attribuita alle conversazioni intercettate e l’identificazione di Mesina con il soggetto, nominato nella conversazione del 12 maggio 2009 tra Milia e Mascia, che prenderà tutta la biada, intesa, in modo non illogico, come sostanza stupefacente.

In ordine al capo 4, il ricorrente continua ad insistere in contestazioni che, come già spiegato in modo congruo dalla Corte territoriale, non sono pertinenti rispetto al quadro probatorio su cui si è fondata la condanna, costituito dai contatti tra Mesina/Milia e Mascia e non dai pedinamenti di Kastriot nelle sue trasferte cagliaritane (visto che Kastriot si rapportava solo con Milia e pochi altri interlocutori sardi, circostanza che non esclude affatto che Mesina, tramite Milia, acquistasse dal fornitore albanese).

3.i. La decima doglianza relativa ai capi 9, 10 e 11 non merita accoglimento.

Le critiche rivolte alla ricostruzione dell’episodio del 6 ottobre 2009 si risolvono in lettura frammentaria e parziale del quadro indiziario e non individuano alcuna evidente o manifesta illogicità della motivazione delle sentenze di merito, che, al contrario, collegano insieme tutti gli elementi indiziari (ivi compresa la mancata utilizzazione del danaro non sequestrato per la finalità indicata e, cioè, per l’asserito acquisto del pesce), così giungendo a ritenere dimostrato il perfezionamento dell’accordo su tutti gli elementi della transazione, desunto dall’avvenuta pattuizione del corrispettivo (identificato nella somma rinvenuta nel veicolo perquisito).

Le censure relative ai capi 10 e 11 sono del tutto generiche, risolvendosi nel rinvio alle p. 30 ss. dell’appello, il cui contenuto non è stato neppure trascritto, nella mera contestazione della interpretazione affatto illogica di taluni elementi indiziari, effettuata dai giudici di merito, e nella valorizzazione dell’assoluzione, in altro processo, di Devias dal reato di estorsione nei confronti di Fois (assoluzione “per non aver commesso il fatto”), senza neppure illustrare le ragioni dell’incompatibilità di tale assoluzione con la condanna di Graziano Mesina.

3.l. L’undicesimo motivo è inammissibile, in quanto si limita a lamentare l’omessa valutazione, da parte del giudice d’appello, delle censure articolate in relazione ai capi 12 e 13, con l’atto di gravame a p. 38-43, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne specificamente, sia pure in modo sommario, il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità.

Va, difatti, ribadito che l’atto di ricorso deve essere autosufficiente, e cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (v., per tutte, Sez. 6, n. 21858 del 19/12/2006 ud. – dep. 05/06/2007, Rv. 236689 – 01; da ultimo, Sez. 3 n. 8065 del 21/09/2018 ud. – dep. 25/02/2019, Rv. 275853 – 02, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell’appello dei motivi articolati con l’atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell’impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica).

3.m. Neppure il dodicesimo motivo, avente ad oggetto i capi 14, 15 e 16 (acquisto di marijuana dai fratelli Pinna e rivendita ad Alessandro Farina), merita accoglimento, attesa la sua a-specificità.

Il ricorrente si limita, difatti, a contestare il valore attribuito ad alcuni elementi probatori, negando la ritenuta cripticità del linguaggio (in particolare al contenuto della conversazione intercettata tra Graziano Mesina e Aldo Catgiu, in cui si allude alla regolarità dei pagamenti da parte di Graziano Mesina ed alla fiducia conquistata da parte dei fratelli Pinna, ed a quella tra Mesina, il nipote Giuseppe e uno dei fratelli Pinna, in cui si parla della consegna di una pecora e di una coscia di vitello), mentre non si confronta con l’intero quadro probatorio evidenziato nella sentenza impugnata, che analizza i numerosi e significativi indizi gli uni alla luce degli altri, in modo complessivo, unitario e non manifestamente illogico, tenuto conto dell’arresto di Alessandro Farina, in data 15 gennaio 2013, perché trovato in possesso di 256 grammi di marijuana proprio al rientro di un incontro con Graziano Mesina.

3.n. La tredicesima doglianza, avente ad oggetto l’identità delle due associazioni contestate e la violazione del ne bis in idem, costituisce una mera ripetizione della censura già proposta in appello.

Il ricorrente si è sostanzialmente limitato a un copia-incolla della doglianza formulata in sede di gravame davanti alla Corte territoriale, aggiungendo solo che l’asserita posizione, attribuita a Mesina con riferimento al capo C, sarebbe indimostrata e che nella sentenza impugnata non si tiene in debito conto dell’assoluzione dei sodali Crissantu e Filendu dal reato associativo orgolese e di quella di Devias dai reati di cui ai capi 10 e 11, senza neppure spiegare le ragioni in base alle quali a tali pronunce dovrebbe essere attribuito valore decisivo al fine di escludere l’autonomia delle due associazioni.

Nessuna analisi viene, invece, svolta in ordine alla dettagliata motivazione che si sofferma sulle differenze temporali e strutturali (sia oggettive sia soggettive) dei due gruppi criminali, di cui, peraltro, lo stesso ricorrente, riportando lo stralcio dell’appello, asserisce una identità solo parziale.

Né viene prospettata alcuna effettiva violazione di legge. Va ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l’aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013 ud., dep. 21/02/2013, rv. 254584; v. anche Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016 ud., dep. 14/09/2016, rv. 267611 che precisa che i motivi di ricorso per cassazione possono riprodurre totalmente o parzialmente quelli di appello ma solo entro i limiti in cui ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma, specifica ed esaustiva argomentazione che si riferisca al provvedimento impugnato e si confronti con la sua motivazione).

3.o. Il quattordicesimo motivo, con cui si lamenta la mancata valorizzazione delle dichiarazioni spontanee di Graziano Mesina ai fini della dimostrazione di una possibile e alternativa chiave di lettura delle vicende oggetto del procedimento, è inammissibile, in quanto non è riconducibile a nessuna delle censure consentite, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., con il ricorso per cassazione.

Non si è, difatti, dedotta né la inosservanza o erronea applicazione di una norma sostanziale o processuale né la mancata assunzione di una prova decisiva né un vizio di motivazione.

4. Neppure può trovare accoglimento il ricorso dell’avv. A. Giovene, presentato nell’interesse di Efisio Mura.

4.a. La prima censura di tale ricorso, con cui si lamenta la mancanza di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità di Efisio Mura per il capo 9 e la violazione del principio dell’al di là del ragionevole dubbio, costituisce una mera ripetizione del primo motivo dei ricorsi dell’avv. T. Camogllio, per cui possono essere ripetute le considerazioni già svolte al punto 2.a. (in particolare può ribadirsi che i giudici di merito hanno, con una motivazione congrua, esaustiva e non illogica, desunto dal quadro probatorio emerso il perfezionamento di un accordo, avente ad oggetto la cessione di un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente per un corrispettivo non inferiore ad euro 20.000,00, da parte di Graziano Mesina a Enrico Fois, Efisio Mura e Luigi Atzori, in data prossima al 6 ottobre 2009).

In particolare i giudici di merito hanno valorizzato i contatti telefonici intervenuti in epoca anteriore, coeva e successiva all’episodio in esame, il contenuto delle conversazioni captate, il traffico di droga in cui gli imputati sono stati coinvolti prima e dopo il fatto, il rinvenimento, al momento del controllo, del furgone su cui viaggiavano Fois, Mura e Atzori della somma di euro 20.000,00, l’assoluta incongruenza delle giustificazioni fornite da questi ultimi, i quali, pur avendo prospettato alle forze dell’ordine, una cena e l’acquisto di pesce, dopo il controllo, sono rientrati senza porre in essere alcuna di queste attività, nonostante il mancato sequestro del danaro).

Solo per completezza va aggiunto che nessuna delle argomentazioni difensive risulta idonea a dimostrare l’asserita illogicità della ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito.

In particolare sono del tutto neutre le circostanze evidenziate dalla difesa, quali, ad esempio, l’originaria diversa ricostruzione della polizia, che aveva ipotizzato la cessione dai cagliaritani agli orgolesi e non viceversa, o il mancato sequestro della somma rinvenuta nel furgone, giustificata proprio dalla strategia investigativa.

Deve, infine, ricordarsi che la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017 ud. – dep. 09/06/2017, Rv. 270108 – 01).

4.b. Parimenti per la seconda censura, avente ad oggetto la violazione dell’art. 56 cod.pen., può rinviarsi al punto 2.b.

I giudici di merito hanno, in modo congruo e non illogico, desunto l’avvenuto perfezionamento dell’accordo dall’intervenuta pattuizione del corrispettivo, dimostrata dal trasporto della somma di danaro destinata al pagamento, sul furgone sottoposto al controllo, su cui viaggiavano Fois, Mura e Atzori.

Si è, pertanto, correttamente applicato il principio secondo cui il delitto di acquisto e cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra venditore ed acquirente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce e del pagamento del prezzo (Sez. 2, n. 30374 del 16/05/2019 ud. – dep. 10/07/2019, Rv. 276981 – 01).

Nel caso di specie, difatti, l’incertezza probatoria in ordine a tutti i dettagli dell’accordo concluso non esclude l’avvenuta dimostrazione del raggiungimento stesso dell’accordo, secondo la coerente ricostruzione delle sentenze di merito.

4.c. La terza doglianza, con cui si lamenta la contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata applicazione del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, va rigettata, atteso che le argomentazioni dei giudici di merito, che hanno desunto dalla cospicua somma rinvenuta nel furgone l’elevato quantitativo di sostanza stupefacente oggetto di cessione, tale da escludere l’inquadramento del fatto nella fattispecie di lieve entità, è del tutto coerente.

La doglianza formulata tende, piuttosto, a contestare la ricostruzione dei fatti operata e più precisamente la riferibilità del danaro a tutti i cagliaritani e la destinazione della somma (o dell’intera somma) alla droga.

Tuttavia, come già evidenziato, è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015 ud., dep. 16/07/2015, rv. 264441).

4.d. L’ultimo motivo, con cui si è denunciata l’omessa motivazione in ordine al diniego delle generiche, non si confronta con le argomentazioni di p. 124 e 125 della sentenza impugnata, che sebbene contenute nella parte dedicata al capo 10, sono riferite alla conferma della recidiva ed al diniego delle generiche, con specifico riguardo a Mura e a Fois, tenendo conto della contestazione al primo del solo capo 9.

Ad avviso della Corte territoriale, valutati i gravi, reiterati e specifici precedenti di Mura e la serietà del fatto, che ha comportato contatti con uno dei più famosi criminali sardi (Mesina), le generiche non possono essere concesse.

In proposito va ricordato che il giudice può negare la concessione delle attenuanti generiche e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, in quanto il principio del “ne bis in idem” sostanziale non preclude la possibilità di utilizzare più volte lo stesso fattore per giustificare scelte relative ad istituti giuridici diversi (Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018 ud. – dep. 19/12/2018, Rv. 274783 – 01).

Peraltro, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione, quali l’esistenza di precedenti (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 Ud., Rv. 271269).

Ne consegue che il giudice di merito non è tenuto ad esaminare e valutare tutte le circostanze prospettate o prospettabili dalla difesa, e neppure è tenuto a prendere in considerazione tutti i criteri indicati nell’art. 133 cod. pen.; ma è sufficiente che indichi i motivi per i quali non ritiene di esercitare il potere discrezionale attribuitogli dall’art. 62 bis cod. peri. (Sez. 1, n. 1666 del 11/12/1996 ud.- dep. 21/02/1997, Rv. 206936).

5. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata nei confronti di Altea Corrado limitatamente alla condanna avente ad oggetto il capo XIV ed alla conseguenziale confisca, rigettato il suo ricorso nel resto.

Devono, invece, essere integralmente rigettati i ricorsi di Mesina Graziano, Mura Efisio e Fois Enrico, che vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugna nei confronti di Altea Corrado, limitatamente al reato sub XIV della rubrica alla conseguenziale confisca, e rinvia alla Corte di appello di Cagliari per nuovo esame sul punto; rigetta nel resto il ricorso.

Rigetta i ricorsi di Mesina Graziano, Mura Efisio e Fois Enrico e li condanna al pagamento delle spese processuali.

Visto l’art. 624 cod. proc. pen. dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità di Altea Corrado relativamente ai capi b) e 3) della rubrica.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.