La Cassazione torna sull’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva del coobbligato (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 26 luglio 2024, n. 20935).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. France DE STEFANO                 – Presidente –

Dott. Marco ROSSETTI                       – Rel. Consigliere –

Dott. Cristiano VALLE                         – Consigliere –

Dott. Anna MOSCARINI                      – Consigliere –

Dott. Stefano Giaime GUIZZI            – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

O R D I N A N Z A

sul ricorso n. 16609/20 proposto da:

-) Zurich Insurance PLC, AXA Assicurazioni s.p.a.; Società Reale Mutua di Assicurazioni; Generali Italia s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difesi dagli avvocati (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) di (omissis);

-ricorrenti-

e da

-) UnipolSai Assicurazioni s.p.a. e ITAS Mutua, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difesi dagli avvocati (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) di (omissis);

-ricorrenti incidentali-

contro

-) Distilleria (omissis) ditta (omissis) (omissis) di (omissis), (omissis) e (omissis) (omissis) s.a.s., in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato (omissis) (omissis);

-controricorrente-

nonché

-) RSA – Sun Insurance OfficeLtd.; BCC Assicurazioni s.p.a. (olim, CIRA – Compagnia Italiana Rischi Azienda s.p.a.); SIAT – Società Italiana Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a.;

-intimati-

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna 13 febbraio 2020 n. 651;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 giugno 2024 dal Consigliere relatore dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. L’antefatto.

Nel 1997 la società “Distilleria (omissis) di (omissis), (omissis) e (omissis) (omissis) s.a.s.” (d’ora innanzi, “la Distilleria”) subì il furto di un ingente quantità di alcol.

La società aveva stipulato, per il tramite dell’associazione di categoria, una coassicurazione contro il furto. In virtù di tale polizza i coassicuratori indennizzarono la società versandole l’importo di euro 524.526,48.

1.1. Il 16.6.1997 l’Ufficio Tecnico di Finanza (UTF) di Lecce notificò alla Distilleria un avviso di pagamento dell’accisa sull’alcol rubato, “per un valore di imposta pari ad euro 524.526,48” (così la sentenza impugnata, p. 3).

La Distilleria impugnò il suddetto avviso dinanzi al giudice tributario, ma la sua domanda fu rigettata con sentenza divenuta definitiva per effetto del rigetto del ricorso per cassazione proposta dalla Distilleria, pronunciato da questa Corte con sentenza 28.5.2007 n. 12428.

1.2. Pendente il giudizio di cassazione l’erario notificò alla Distilleria in data 31.10.2006 la cartella esattoriale, che venne pagata dalla Distilleria versando l’importo di euro 756.334,84.

2. I fatti di causa.

Nel 2008 la Distilleria convenne dinanzi al Tribunale di Ravenna, sezione di Faenza, i dieci coassicuratori coi quali aveva stipulato l’assicurazione contro il furto della merce (Zurich Italia, Royal e Sunalliance s.p.a.; RSA Sun Insurance Office Ltd.; SAI, Toro, Reale Mutua, CIRA, AXA, Fondiaria, UAP, SIAT), chiedendone la condanna al pagamento dell’indennizzo che assumeva dovuto a titolo di ristoro del danno rappresentato dall’aver dovuto versare l’imposta di fabbricazione sull’alcol rubato.

3. I coassicuratori costituitisi (né la sentenza, né il ricorso indicano quali di essi si costituirono in primo grado) contrastarono la domanda deducendo l’inoperatività della polizza.

Sostennero che per espressa previsione di polizza (art. 2 della “Convenzione”) l’indennizzabilità degli importi pagati a titolo di imposta sul prodotto andato perduto fosse esclusa nel caso di colpa grave dell’assicurato o dei suoi dipendenti.

4. Con sentenza 9.3.2012 n. 41 il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo che il furto non fosse indennizzabile per essere stato agevolato con grave colpa dalla società assicurata.

La sentenza fu appellata dalla soccombente.

5. Con sentenza 13.2.2020 n. 651 la Corte d’appello di Bologna accolse il gravame e condannò i coassicuratori in solido al pagamento in favore della Distilleria della somma di euro 756.334,84.

La Corte felsinea motivò la propria decisione in modo riassumibile come segue:

-) le condizioni di polizza erano distinte in due parti: una parte generale (la “convenzione”), e le “Condizioni particolari”;

-) l’esclusione del diritto all’indennizzo per l’ipotesi di colpa grave dell’assicurato era prevista dall’art. 2 della parte generale, con riferimento ai danni da furto;

-) l’indennizzabilità dei danni consistiti nel versamento delle accise sul prodotto rubato era invece prevista dall’art. 1 delle Condizioni Particolari, che non prevedeva alcuna esclusione per il caso di colpa grave dell’assicurato.

6. La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione in via principale da quattro coassicuratori: Zurich, AXA, Reale Mutua e Generali Italia, con ricorso fondato su otto motivi.

Successivamente la medesima sentenza è stata impugnata con ricorso definito “incidentale adesivo” da altri due coassicuratori: UnipolSai e ITAS Mutua, anch’esso fondato su otto motivi e identico al primo.

7. Per l’intelligenza delle varie posizioni, riferiscono le ricorrenti principali (p. 12 del ricorso principale) che:

-) Zurich Insurance PLC è cessionaria del portafoglio della Zurich International Italia s.p.a.;

-) ITAS Mutua è cessionaria del portafoglio della Royal Sun Alliance s.p.a.;

-) UnipolSai s.p.a. è incorporante della Fondiaria-SAI s.p.a.;

-) Generali Italia s.p.a. è incorporante della Toro s.p.a.;

-) BCC Assicurazioni s.p.a. è incorporante della CIRA;

-) AXA è incorporante della UAP.

8. La Distilleria ha resistito con controricorso.

Tutte le parti costituite hanno depositato memoria.

Il Collegio ha disposto il deposito della motivazione nel termine di cui all’art. 380 bis, secondo comma, c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questione preliminare.

Le due società ricorrenti in via successiva (UnipolSai e ITAS Mutua) hanno notificato il proprio ricorso incidentale adesivo in data 16.7.2020. Esse tuttavia riferiscono nell’epigrafe del ricorso che la sentenza impugnata è stata ad esse notificata il 20.2.2020. Il termine di cui all’art. 325 c.p.c. sarebbe dunque per esse formalmente spirato (tenendo conto della sospensione di 64 giorni disposta dal d.l. 18/20 e successive modificazioni) il 23.6.2020.

1.1. Ritiene tuttavia il collegio che il ricorso delle due società suddette sia ammissibile in virtù della norma che consente l’impugnazione incidentale tardiva (art. 334 c.p.c.).

Questa è infatti consentita:

a) ai litisconsorti ex art. 331 c.p.c., sia contro l’impugnate principale che contro altre parti;

b) al destinatario dell’impugnazione principale, contro l’impugnante principale (Sez. U, Sentenza n. 4640 del 07/11/1989, Rv. 464074 – 01);

c) al destinatario dell’impugnazione principale, contro parti diverse dall’impugnante principale, se l’accoglimento dell’impugnazione principale sia suscettibile di pregiudicare un giuridico interesse dell’impugnate incidentale (Sez. U- , Sentenza n. 8486 del 28/03/2024, Rv. 670662 – 01).

1.2. In teoria, la posizione del coassicuratore ex art. 1911 c.c., che intenda impugnare la statuizione per esso sfavorevole aderendo all’impugnazione proposta da altro coassicuratore, non rientra in alcuna delle suddette ipotesi.

L’obbligazione dei coassicuratori è infatti parziaria e non solidale, né l’interesse del coassicuratore ad impugnare in via incidentale può dirsi sorto dall’impugnazione dell’altro coassicuratore. Tuttavia la peculiarità del caso di specie consiste nel fatto che la Corte d’appello ha ritenuto di condannare tutti i coassicuratori “in solido”.

La qualificazione dell’obbligazione dei coassicuratori come “solidale”, compiuta dalla Corte d’appello, rende applicabili al caso di specie i princìpi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di impugnazione incidentale tardiva del condebitore, adesiva rispetto all’impugnazione principale di altro coobbligato: impugnazione che si è ritenuta ammissibile ex art. 334 c.p.c., sul presupposto che l’impugnazione del condebitore, essendo potenzialmente idonea ad incidere sul diritto di regresso degli altri coobbligati verso il condebitore vittorioso all’esito dell’impugnazione, legittimi i primi ad aderire tardivamente all’impugnazione proposta dal secondo (Sez. U- , Sentenza n. 8486 del 28/03/2024, in motivazione).

Né rileva che – come si dirà – la suddetta condanna in via solidale sia manifestamente illegittima: infatti l’interesse che legittima l’impugnazione incidentale tardiva nei confronti di soggetto diverso dall’impugnante principale va valutato in concreto ed alla luce delle statuizioni contenute nella sentenza impugnata, per quanto erronee, e non in astratto.

1.3. Il ricorso incidentale tardivo proposto dalla UnipolSai e dalla ITAS va quindi dichiarato ammissibile alla luce del seguente principio di diritto: “L’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva rivolta contro parti diverse dall’impugnante principale va valutata in concreto e non in astratto, in base al contenuto della sentenza impugnata. Pertanto, se quest’ultima abbia erroneamente qualificato come solidale una obbligazione in realtà parziaria, dovranno applicarsi i princìpi stabiliti da questa Corte in tema di solidarietà: e dunque ammettersi l’impugnazione incidentale tardiva proposta da uno dei condebitori solidali nei confronti del creditore, ed adesiva all’impugnazione principale proposta da altro condebitore nei confronti del medesimo creditore”.

2. Il primo motivo di ricorso.

Poiché il ricorso principale e quello incidentale adesivo hanno identico contenuto, nei §§ che seguono quando non diversamente indicato l’aggettivo numerale ordinale riferito ai motivi del ricorso principale varrà anche per i motivi del ricorso incidentale adesivo.

2.1. Col primo motivo le ricorrenti sostengono che l’appello proposto dalla Distilleria si sarebbe dovuto dichiarare inammissibile per difetto di procura.

L’azione proposta dalla Distilleria, infatti, costituiva un atto di straordinaria amministrazione, e per gli atti di straordinaria amministrazione lo statuto della Distilleria attribuiva il potere gestorio congiuntamente ai due soci accomandatari. La procura ad impugnare, tuttavia, era stata conferita da uno solo di essi.

Deducono di avere sollevato la relativa eccezione in grado di appello e lamentano che essa non fu “né esaminata, né delibata, dalla Corte bolognese”.

2.2. Il motivo è inammissibile per difetto di decisività.

Le ricorrenti sono nel vero allorché si dolgono dell’omesso esame, da parte della Corte d’appello, del motivo di gravame inteso a contestare la legittimazione ad impugnare d’uno solo dei due soci accomandatari della Distilleria.

Tuttavia l’omesso esame d’una domanda o d’una eccezione da parte del giudice d’appello non può condurre alla cassazione della sentenza impugnata, quando il dispositivo sia conforme a diritto (Sez. U – , Sentenza n. 2731 del 02/02/2017, Rv. 642269 -01).

Tale principio trova applicazione sia nel caso in cui il giudice d’appello incorra in errores in iudicando, sia nel caso in cui incorra in errores in procedendo di qualunque sorta, ivi compresa l’omessa pronuncia (Sez. 3-, Ordinanza n. 17416 del 16/06/2023, Rv. 668197 -01).

Se, dunque, la Corte d’appello omettesse di pronunciarsi su una eccezione manifestamente infondata in iure, tale errore non sarebbe decisivo, questa Corte dovrebbe limitarsi ad emendare od integrare la motivazione carente.

2.3. L’applicazione di questi princìpi al caso di specie rende irrilevante il primo motivo di ricorso, perché l’eccezione del cui mancato esame le ricorrenti si dolgono era infondata in punto di diritto.

Infatti la proposizione d’un appello rivolto a finalità meramente conservative del patrimonio dell’ente non è atto di straordinaria amministrazione (così già Sez. 1, Sentenza n. 187 del 21/01/1985, Rv. 438408 – 01, in fattispecie analoga).

Per le società commerciali sono atti di straordinaria amministrazione solo quelli che modificano la struttura economico-organizzativa dell’impresa, mutandone l’oggetto sociale (ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 25952 del 05/12/2011, Rv. 620803 -01).

Ma pretendere l’indennizzo dall’assicuratore contro i danni è atto che non muta l’oggetto sociale; pertiene all’attività d’impresa; ha finalità di conservazione del patrimonio e non di investimento.

Sotto qualsiasi profilo, pertanto, non è atto di straordinaria amministrazione, e legittimamente poteva essere compiuto anche da uno solo dei soci accomandatari.

3. Il secondo motivo di ricorso.

Anche col secondo motivo le ricorrenti denunciano l’omesso esame d’una eccezione processuale, intesa a far valere la tardività del gravame proposto dalla Distilleria.

Formulano a tal riguardo una tesi così riassumibile:

-) la notifica dell’atto d’appello fu compiuta dal difensore della Distilleria a mezzo posta ai sensi della l. 53/1994;

-) l’avvocato notificante tuttavia era iscritto nell’Ordine di Lecce, mentre l’appello fu proposto dinanzi alla Corte d’appello di Bologna;

-) la l. 53/94 non consente all’avvocato di notificare in proprio atti giudiziari extra districtum.

3.1. Anche questo motivo è inammissibile per difetto di decisività, alla luce dei princìpi già esposti nei §§ precedenti.

L’eccezione di tardività dell’appello, infatti, se fosse stata esaminata la si sarebbe dovuta dichiarare infondata, alla luce del consolidato principio per cui “in tema di notificazione eseguita dall’avvocato ai sensi della legge n. 53 del 1994 non può configurarsi alcuna questione di competenza per territorio, in quanto detta legge non pone limiti territoriali alla potestà notificatoria in essa contemplata” (Sez. 3, Sentenza n. 12290 del 15/06/2016, Rv. 640300 -01).

4. Il terzo motivo di ricorso.

Col terzo motivo le ricorrenti denunciano – nell’epigrafe – la violazione “ di norme di diritto in relazione alle previsioni della polizza” (senza ulteriori precisazioni).

Nella illustrazione del motivo, dopo avere premesso che la “convenzione prodotta dalla originaria parte attrice (n. 063/R/0204) non è quella cui ci si deve riferire, come risulta dall’attenta lettura del certificato di assicurazione prodotto dalle ricorrenti sub 2 (n. 063/R1270)”, le ricorrenti proseguono deducendo che la condanna pronunciata dalla Corte d’appello eccede il valore massimo assicurato; che la polizza prevedeva infatti per il caso di furto un limite di indennizzo pari ad euro 415.288,86, al lordo della scoperto del 10%; che, per contro, la somma della condanna pronunciata dalla Corte d’appello e dell’indennizzo spontaneamente pagato dai coassicuratori ascendeva ad un importo triplo rispetto al suddetto limite di indennizzo; che la questione concernente il limite di indennizzabilità “aveva formato oggetto di specifica doglianza in sede di appello, per la quale non è intervenuta pronuncia alcuna”.

4.1. Il motivo è inammissibile per due indipendenti ragioni.

La prima ragione è quella prevista dall’art. 366, primo comma, n. 4, secondo periodo, c.p.c.: ovvero l’omessa indicazione “ delle norme di diritto su cui il motivo si fonda”.

Nell’intera illustrazione del motivo, infatti (pp. 11-15), non vengono mai indicate le norme di legge che si assumono violate. Né può soccorrere, per ritenere ammissibile un motivo di ricorso così concepito, il principio jura novit curia.

Questa Corte ha ripetutamente affermato (a partire da Sez. 3, Sentenza n. 4741 del 04/03/2005, Rv. 581594 – 01, sino a Sez. un., Sentenza n. 7074 del 20/03/2017) che il ricorso per cassazione è un atto nel quale si richiede al ricorrente di articolare un ragionamento sillogistico così scandito:

(a) quale sia stata la decisione di merito;

(b) quale sarebbe dovuta essere la decisione di merito;

(c) quale regola o principio sia stato violato, per effetto dello scarto tra decisione pronunciata e decisione attesa.

Questa Corte, infatti, può conoscere solo degli errori correttamente censurati, ma non può rilevarne d’ufficio, né può pretendersi che essa intuisca quale tipo di censura abbia inteso proporre il ricorrente, quando questi esponga le sue doglianze con tecnica scrittoria ambigua o polisemica (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Ordinanza n. 16593 del 13.6.2024; Sez. 3, Sentenza n. 21861 del 30.8.2019; Sez. 3, Ordinanza n. 11255 del 10.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 10586 del 4.5.2018; Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036).

Dire, pertanto, che una sentenza è erronea perché non tiene conto dei patti contrattuali è censura che non consente a questa Corte di stabilire se, con essa, si sia inteso censurare la violazione delle regole sull’interpretazione dei contratti; oppure la violazione dell’art. 1374 c.c. e del principio pacta servanda; od ancora la violazione delle regole particolari dettate per il contratto di assicurazione ed il principio indennitario.

4.2. La seconda ed indipendente ragione di inammissibilità del terzo motivo di ricorso è quella prevista dall’art. 366, primo comma, n. 6. c.p.c..

Le ricorrenti, infatti, pur dichiarando di avere sollevato la questione da esse (confusamente) proposta già in grado di appello, non indicano con esattezza in quale atto ed in quali termini tale prospettazione sia avvenuta, né se fu tempestivamente formulata anche nel primo grado di giudizio.

Ma il sostenere che una certa questione non sia stata esaminata dal giudice d’appello è un motivo di ricorso che si fonda sull’atto processuale contenente l’eccezione che si assume trascurata. Quando il ricorso si fonda su atti processuali, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c.).

“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011). Di questi tre oneri, le ricorrenti non ne hanno assolto alcuno.

5. Il quarto motivo di ricorso.

Anche col quarto motivo è denunciata la “violazione di norme di diritto in relazione alle previsioni della polizza”.

Nella illustrazione del motivo si deduce che la sentenza d’appello avrebbe erroneamente ritenuto coperto dall’assicurazione il rischio di pagamento dell’imposta sull’alcol trafugato e che la decisione d’appello “ non trova giustificazione alcuna nell’àmbito delle previsioni di polizza”.

Le ricorrenti proseguono formulando una tesi così riassumibile:

-) il contratto assicurava il rischio di furto, e ne stabiliva le condizioni;

-) al rischio di furto erano affiancate, nelle “Condizioni Particolari”, varie garanzie aggiuntive; tra queste, quella che prevedeva il rimborso delle accise in caso di furto;

-) il patto di rimborso delle accise in caso di furto si aggiungeva dunque alla garanzia “furto” e ne mutuava le condizioni.

Sicché, se per qualsivoglia ragione non fosse stato indennizzabile quest’ultimo, non indennizzabile sarebbe stato anche il rischio di pagamento dell’imposta sulla merce rubata.

5.1. Anche questo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 4, secondo periodo, c.p.c..

Le ricorrenti, infatti, sostengono che la Corte d’appello avrebbe male interpretato il contratto. Tuttavia non prospettano la violazione di neanche una, tra le varie regole legali di ermeneutica di cui agli artt. 1362-1371 c.c..

È noto che questa Corte non può sindacare il modo in cui il giudice di merito ha interpretato il contratto, né stabilire quale, tra le varie interpretazioni astrattamente possibili, sia corretta.

Queste valutazioni costituiscono infatti apprezzamenti di fatto, riservati al giudice di merito ( ex multis , in tal senso, Sez. 3 -, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 – 01; Sez. 1 -, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017; Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014; Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012; Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006, Rv. 589465 –01).

Questa Corte può sindacare soltanto il rispetto, da parte del giudice di merito, dei criteri legali dettati per l’interpretazione dei contratti: ma va da sé che essendo tali criteri molteplici e diversi, basati su criteri soggettivi (artt. 1362- 1365) e oggettivi (art. 1366-1371), è onere del ricorrente prospettare quale, tra questi criteri, sia stato violato dal giudice di merito.

Se così non fosse, si perverrebbe all’assurdo che qualunque ricorrente potrebbe limitarsi a dedurre “l’interpretazione di questo contratto è sbagliata, trovi la Corte quella corretta”, e ne resterebbero svisati il fondamento stesso e lo scopo del giudizio di legittimità.

6. Il quinto motivo di ricorso.

Col quinto motivo le ricorrenti sostengono – in sintesi – che il rimborso dell’imposta di fabbricazione non sarebbe dovuto, perché non dovuta era l’imposta.

6.1. Il motivo è manifestamente infondato.

L’assicurata ha versato l’imposta in esecuzione di una cartella esattoriale coperta da giudicato, e non è mestieri in questa sede discorrere se quell’imposta fosse davvero dovuta o meno.

7. Il sesto motivo di ricorso.

Col sesto motivo le ricorrenti deducono che il contratto garantiva all’assicurato il rimborso dell’imposta di fabbricazione dovuta sulla merce rubata, e che nella specie l’imposta era di 524.526,48 euro. I circa 230.000 euro pagati in più dall’assicurato furono versati all’erario a titolo di “accessori”, per i quali non vi era copertura.

7.1. Va premesso che anche il motivo in esame, sia nell’epigrafe che nell’illustrazione, si limita a denunciare la violazione di “norme di diritto in relazione alle previsioni di polizza”, senza ulteriori precisazioni.

In questo caso però tale omissione non rende il motivo inammissibile.

L’illustrazione del motivo, infatti, non presenta alcun margine di ambiguità, ed il vizio denunciato (condanna dell’assicuratore alla copertura d’un rischio non incluso), al contrario delle censure prospettate col terzo e col quarto motivo di ricorso, emerge ex actis dalla stessa sentenza impugnata.

Né rileva, con riferimento a questo motivo di ricorso, il tema della novità della questione con esso prospettata: il rischio escluso infatti – al contrario del valore assicurato – è questione rilevabile d’ufficio (Sez. 3 – , Ordinanza n. 1558 del 23/01/2018, in motivazione).

7.2. Nel merito, il motivo è fondato.

La Corte d’appello ha accertato in punto di fatto che l’imposta pretesa dall’UTF con l’avviso di pagamento del 2006 ascendeva ad euro 524.526,48.

Ha, altresì ritenuto in punto di fatto che il contratto oggetto del contendere garantisse il rischio che l’assicurato fosse costretto ad assolvere l’imposta di fabbricazione sull’alcool trafugato. Ha qualificato dunque il contratto come “assicurazione contro i danni”.

Tuttavia, dopo avere accertato ciò in facto, la Corte territoriale ha ritenuto in iure che l’assicuratore contro i danni avesse l’obbligo di tenere indenne l’assicurato non solo delle somme versate all’erario a titolo di imposta, ma anche degli “accessori”: scilicet, gli interessi e le sanzioni.

Tuttavia:

a) la possibilità di assicurare il rischio di dover pagare sanzioni di qualsiasi sorta è esclusa dall’art. 12, comma primo, cod. ass., a pena di nullità;

b) l’obbligazione di interessi non è una obbligazione tributaria, ma una obbligazione che nasce dall’inadempimento dell’obbligazione tributaria.

Essa dunque, per il modo in cui la stessa Corte d’appello ha interpretato il contratto, era esclusa dal rischio assicurato.

8. Il settimo motivo di ricorso.

Col settimo motivo le ricorrenti lamentano che il danno da mora sia stato liquidato con i criteri stabiliti dalla giurisprudenza per le obbligazioni di valore, invece che ai sensi dell’art. 1224 c.c..

8.1. Il motivo è infondato: il debito indennitario dell’assicuratore contro i danni è obbligazione di valore, non di valuta (Sez. 3 -, Sentenza n. 31345 del 24/10/2022, Rv. 666079 -02; Sez. 3, Sentenza n. 10488 del 07/05/2009, Rv. 608089 – 01), eccezion fatta per l’ipotesi in cui vi sia assicurazione a valore pieno o sottoassicurazione a fronte d’un danno eccedentario rispetto al valore assicurato. In questi casi, infatti, il rischio avverato assorbe interamente il valore assicurato, e rende l’obbligazione indennitaria certa e liquida.

9. L’ottavo motivo di ricorso.

L’ottavo motivo lamenta la violazione dell’art. 1911 c.c., per avere la Corte d’appello condannato tutti i coassicuratori in solido.

9.1. Il motivo è manifestamente fondato: l’obbligazione dei coassicuratori del medesimo rischio è infatti parziaria per espressa previsione di legge, e non mai solidale.

10. La fondatezza dei motivi sesto e ottavo dei ricorsi principale e incidentale – e quindi da ritenersi ellitticamente gli altri motivi rigettati, infondati o inammissibili – impongono la cassazione, in relazione alle censure accolte, della gravata sentenza, con rinvio alla medesima Corte territoriale che la ha emessa, ma in diversa composizione. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.q.m.

(-) accoglie il sesto e l’ottavo motivo del ricorso principale e di quello incidentale; rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, il giorno 26 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.