La compiuta giacenza si perfeziona decorsi 10 giorni dall’invio della raccomandata e non dalla data di ricezione.

(Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 ottobre 2017, n. 48191)

…, omissis …

Ritenuto in fatto

1. M.G. ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, avverso l’ordinanza del 23/11/2016 con cui il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Pisa ha dichiarato inammissibile l’opposizione presentata avverso il decreto penale di condanna n. 113/2016, con il quale il M. era stato condannato, alla pena di Euro 7.500,00 di ammenda, per il reato di cui all’art. 29 quattuordecies comma 3 lett. a) del d.lgs n. 152 del 2006, perché tardiva.

2. Premette il ricorrente che il decreto penale gli è stato notificato a mezzo postale e che, stante l’assenza del destinatario, gli è stato dato avviso mediante invio di lettera raccomandata, ai sensi dell’art. 8 comma 3 della legge n. 890 del 1982, non ritirata dal destinatario, e con perfezionamento della compiuta giacenza all’11/07/2016, tenuto conto del disposto di cui al comma 4 del medesimo articolo secondo cui la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata.

In tale contesto fattuale, il ricorrente deduce la violazione della legge penale processuale di cui all’art. 170 cod.proc.pen. e art. 8 della legge n. 890 del 1982 e il vizio di motivazione.

Argomenta il ricorrente che dall’avviso di ricevimento della raccomandata inviata al medesimo risulterebbe del tutto incerta la data di spedizione della comunicazione di avviso di deposito di cui all’art. 8 comma 2 della legge n. 890 del 1982, sicché dinnanzi a tale incertezza il Giudice avrebbe omesso di verificare la data delle esperite formalità da parte dell’agente notificatore, avendo solo verificato il decorso di quindici giorni per proporre l’opposizione al decreto penale, decorrente dalla data della compiuta giacenza indicata nell’11/07/2016.

Di fronte all’incertezza della spedizione il Giudice avrebbe dovuto considerare quale dies a quo, da cui far decorrere il termine per proporre l’opposizione, dal primo fatto noto successivo ovvero dalla data di ricevimento dell’avviso spedito con lettera raccomandata (in luogo della data di spedizione come previsto dal comma 4 della legge n. 890 del 1982), avviso ricevuto in data 04/07/2016, da cui la tempestività dell’opposizione depositata in data 27/07/2016.

Diversamente argomentando, prosegue il ricorrente, si prospetterebbe una questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 comma 4 della legge 890 del 1982, in combinato disposto con l’art. 170 cod.proc.pen. per contrasto con l’art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede, come dispone l’art. 157 comma 8 cod.proc.pen. per il caso di notificazione a mezzo dell’ufficiale giudiziario, che gli effetti della notificazione decorrano dal ricevimento della raccomandata e non dalla spedizione e ciò per irragionevole disparità di trattamento delle due situazioni.

3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è inammissibile per la proposizione di motivi, sia sotto il diverso profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione, manifestamente infondati.

Manifestamente infondata è la censura di violazione di legge in relazione all’art. 170 cod.proc.pen. e art. 8 della legge n. 890 del 1982.

5. Risulta dagli atti, a cui questa Corte ha accesso in presenza di una questione processuale, che la notificazione all’imputato, a mezzo del servizio postale, si è perfezionata in data 11/07/206, tenuto conto della mancata consegna, attestata al 01/07/2016, come è chiaramente evincibile dalla lettura degli originali delle cartoline in atti; in tale situazione l’opposizione a decreto penale, depositata in data 27/07/2016 è tardiva per decorso del termine di quindici giorni, ex art. 461 cod.proc.pen., decorrente dalla compiuta giacenza, come risulta dal timbro postale, all’11/0/2016.

5.1. È noto che, come affermato da consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in caso di notifica a mezzo del servizio postale, la decorrenza del termine di dieci giorni trascorsi i quali la notifica si ha per avvenuta è fissata non con riguardo alla ricezione della raccomandata, con la quale il destinatario viene informato delle attività svolte dall’agente postale, bensì con riferimento alla data dell’invio di detta lettera raccomandata (Sez. 3, n. 11938 del 10/11/2016, Pietrobon, Rv. 270306, Sez. 3, n. 7276 del 11/11/2014, Buttaccio, Rv. 262619; Sez. 3, n. 32119 del 11/06/2013, Busetto, Rv. 257052).

5.2. A tali condivisibili principi si è attenuto il giudice che ha ritenuto tardiva l’opposizione, presentata solo in data 27/07/2016 e, dunque, oltre il termine di giorni quindici a decorrere dall’ 11/07/2016, data della compiuta giacenza.

5.2.1. Infatti, notificato il decreto penale a mezzo del servizio postale, risulta dagli atti che, nella specie, risultato assente il destinatario, l’agente notificatore aveva inviato avviso di ricevimento al 01/07/2016, e non ritirato, sicché aveva indicato, al termine delle operazioni compiute, all’li luglio 2016, la data della compiuta giacenza.

5.3. È stato, dunque, osservato l’adempimento prescritto dalla legge n. 890 del 1982, art. 8 comma 2, come modificato dalla legge n. 248 del 2007, per il caso di mancata consegna dell’atto. Di qui l’avvenuto perfezionamento della notifica all’interessato in data 11/07/2016, ovvero decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata ex art. 8, comma 4 legge cit.

5.4. In tale contesto del tutto infondata è la doglianza mossa dal ricorrente secondo cui il giudice avrebbe omesso il controllo sulla data di spedizione, la cui incertezza (peraltro da escludersi dalla visione dell’originale della raccomandata in cui risulta l’invio in data 1 luglio 2016) avrebbe dovuto condurre a dare rilievo alla successiva data di consegna dell’avviso, in quanto ciò che fa fede, e non viene per nulla messo in discussione dal ricorrente, è la data attestata dall’agente notificatore dell’avvenuta compiuta giacenza all’11/07/2016, ovvero l’attestazione che il plico è stato giacente per dieci giorni decorrenti dalla spedizione secondo il disposto normativo.

5.5. L’art. 8, comma 4, legge cit. prevede appunto, senza eccezioni, che la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2, ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore, conseguentemente, alcun accertamento doveva essere compiuto dal Giudice a fronte dell’attestazione della compiuta giacenza indicata dall’agente notificatore e non contestata dal ricorrente.

6. Manifestamente infondata è anche la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 comma 4 della legge n. 890 del 1982 in relazione all’art. 3 Cost. per disparità di trattamento con la disciplina dell’art. 157 comma 8 cod.proc.pen., con riferimento alla decorrenza degli effetti della notificazione dal momento di ricevimento della raccomandata e non dall’invio.

6.1. In virtù del carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, il giudice a quo deve, in primo luogo, verificare che il giudizio alla sua attenzione “non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale” (c.d. “rilevanza”), vale a dire, che la disposizione della cui costituzionalità si dubita dovrà essere applicata nel giudizio a quo e, quindi, che quel medesimo giudizio non potrà essere definito se prima non viene risolto il dubbio di legittimità costituzionale che ha investito la relativa disposizione.

6.2. Il presupposto della rilevanza della questione nel giudizio a quo deriva dal disposto dell’art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, secondo cui la questione di legittimità costituzionale può essere proposta solo quando “il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della suddetta questione di costituzionalità”.

7. Occorre, dunque, stabilire in primo luogo se la norma della cui legittimità costituzionale si dubita dovrà essere necessariamente applicata nel presente giudizio. Tale giudizio è positivo giacché, la norma di cui si dubita della legittimità costituzionale deve essere applicata al caso concreto.

7.1. Con riguardo all’ulteriore profilo della non manifesta infondatezza, ritiene il Collegio che la questione sia manifestamente infondata in quanto tesa ad investire la Corte costituzionale di una questione che rientra nell’ambito che si deve ritenere riservato alla discrezionalità del legislatore.

8. La Corte costituzionale ha infatti ripetutamente avvertito che – ove questa sia investita di questioni che sollecitano l’emissione di pronunce manipolative – la decisione deve essere “a rime obbligate”, ossia trovare la propria necessità costituzionale già nel tessuto normativo esistente; solo una manipolazione del testo a rime costituzionalmente obbligate consente di ritenere che la Corte costituzionale eserciti una propria prerogativa interpretativa, senza appropriarsi di prerogative di scelta riservate al legislatore.

Nel caso qui in esame non si ravvisa l’esistenza di una risposta “a rime obbligate”.

9. In presenza di procedimenti notificatori diversi (quello a mezzo ufficiale giudiziario e quello a mezzo posta) nel confronto tra le due normative in relazione alla diversa decorrenza degli effetti della stessa, non vi è spazio per una pronuncia a “rime obbligate”, tenuto conto che è la stessa Corte Costituzionale (sent. n. 346 del 1998) ad aver affermato che, nella disciplina delle modalità delle notificazioni il legislatore non incontra limiti, salvo quelli derivanti dal fondamentale diritto del destinatario dell’atto di essere posto in condizione di conoscere il contenuto di esso e il procedimento al quale si riferisce, diritto alla conoscenza dell’atto che non può dirsi osservato, come vorrebbe il ricorrente, solo dalla “necessaria” estensione della disciplina prevista per gli effetti delle notifiche a mezzo ufficiale giudiziario a quelle a mezzo posta. Non c’è in altri termini spazio per una pronuncia a “rime obbligate”.

Peraltro, deve osservarsi quanto al profilo della conoscenza dell’atto, ossia la piena conoscenza del decreto penale da parte del ricorrente che questi aveva rilasciato procura speciale per l’opposizione, sicché la questione sarebbe priva di rilevanza concreta secondo i canoni indicati dai Giudici delle leggi.

10. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.

10.1. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M. 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.