La condotta imprudente del pedone non esclude la responsabilità del vettore negligente (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 29 luglio 2022, n. 30052).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente –

Dott. VIGANLE Lucia – Consigliere –

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Rel. Consigliere –

Dott. DAWAN Daniela – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) CARMELO nato a LICATA il 16/01/19xx;

avverso la sentenza del 18/05/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;

lette le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla I. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 dl. 228/21 conv. con modif. dalla 1.15/22), del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott.ssa Lidia Giorgi, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Palermo, pronunciando nei confronti dell’odierno ri- corrente Carmelo (OMISSIS), con sentenza del 18/5/2021 confermava la sentenza con cui il Tribunale di Agrigento in composizione monocratica in data 1/7/2020, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, in quanto ritenuto responsabile del reato previsto e punito dall’art. 590bis cod. pen. perché per colpa consistita nella violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale (art. 141 co. 1 cod. strada), in particolare mentre percorreva alla guida della sua autovettura Fiat Panda 4×4 targata E(OMISSIS)H il centro cittadino giunto all’altezza dell’incrocio tra via Firenze e via Quarto non prestando la dovuta attenzione alla presenza del pedone (OMISSIS) Ionut che stava attraversando la strada, investendolo con la propria autovettura, gli cagionava lesioni personali consistite in ematoma epidurale frontale sinistro post traumatico con associata frattura del seno frontale del tette della parete mediale e posteriore dell’orbita di sinistra frattura del seno mascellare di sinistra e stessa sino alla parete laterale frattura del primo secondo e terzo metatarso del piede sinistre giudicate guaribili in giorni 30 s.c. In Campobello di Licata il 18/1/2018.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.

Con un primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, nullità della sentenza per vizio assoluto di motivazione ex artt. 546 e 125 comma cod. proc. pen. anche in relazione alla violazione dei criteri di verifica della prova ex art. 192 co. 2, lett. b cod. proc. pen.

Ci si duole della violazione dei principi in tema di valutazione della prova e della manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorrente assume che la motivazione dell’impugnato provvedimento sia frutto di un manifesto travisamento della prova con l’affermazione, inesistente nel procedimento, che la persona offesa non abbia posto in essere una condotta in violazione delle norme cautelari.

La Corte palermitana – ci si duole- ha omesso di valutare le dichiarazioni della persona offesa, confermate in sede di escussione, che durante l’attraversamento stava parlando al cellulare e si trovava in una strada ad angolo, nonché le dichiarazioni del teste (OMISSIS) Savio sul punto di impatto, avvenuto all’incrocio tra via Firenze e via Quarto dove non vi erano strisce.

Tale omissione avrebbe viziato l’intera motivazione determinando gravi incongruità e contraddizioni.

Si lamenta che nella ricostruzione del fatto storico, la sentenza impugnata, travisando le dichiarazioni della parte lesa ha ritenuto sussistente la condotta ascritta al (OMISSIS) sottolineando che nessuna condotta cautelare era stata violata dal pedone, nonostante fosse emerso che lo stesso era al telefono durante l’attraversamento.

Il ricorrente ritiene che la Corte distrettuale, piuttosto che evidenziare le lesioni riporte dalla vittima, avrebbe dovuto verificare se l’incidente fosse stato de- terminato da una condotta imprudente e imprevedibile della parte lesa, come sarebbe effettivamente emerso dagli elementi poi travisati.

Si lamenta la mancata valutazione della versione alternativa fornita dalla difesa, che avrebbe dovuto determinare l’assoluzione dell’imputato in applicazione del principio del “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Le stesse dichiarazioni rese dalla persona offesa minerebbero il quadro probatorio a carico del ricorrente.

Si sottolinea la mancanza nella motivazione del provvedimento impugnato della valutazione sulla prevedibilità ed evitabilità dell’evento.

Ci si duole, inoltre, che la Corte distrettuale dapprima sottolinei l’importanza del rispetto delle regole cautelari da parte di tutti gli utenti della strada, compresi i pedoni, e poi non esamini la condotta della persona offesa, incurante delle regole cautelari come ammesso dalla stessa e comunque emerso dall’istruttoria dibattimentale.

Si riportano le dichiarazioni rese dalla persona offesa per evidenziare l’errata valutazione della prova, operata dalla corte di appello, omettendo, tra l’altro, di indicare le massime di esperienza utilizzate e il ragionamento seguito nella propria decisione.

Tale omissione determina l’impossibilità di controllare la coerenza logica della motivazione.

Si evidenzia la rilevanza della condotta della persona offesa rispetto al prodursi dell’evento e la mancata valutazione, da parte dei giudici, degli elementi emersi nel corso dell’istruttoria.

Nessuna manovra di emergenza poteva esigersi dall’imputato alla luce della condotta colposa tenuta dalla vittima che attraversava la strada in un tratto privo di strisce pedonali e conversando con il cellulare all’orecchio senza prestare la dovuta attenzione.

Con un secondo motivo si deduce violazione e vizio di motivazione in relazione agli artt. 163 e 164 cod. pen. ed ai criteri di determinazione della pena.

Ci si duole che la motivazione sul rigetto delle circostanze attenuanti generiche sia costituita da una mera clausola di stile senza alcuna specifica valutazione, mentre avrebbe dovuto essere oggetto di considerazione il comportamento dell’imputato.

La motivazione offerta viene definita incongrua rispetto alle censure difensive, priva di valutazioni sulla personalità dell’appellante.

Si lamenta la totale assenza di motivazione sulla determinazione della pena, che pur costituendo una valutazione discrezionale del giudice di merito non può essere frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.

Si ritiene che i giudici del gravame del merito avrebbero dovuto irrogare il minimo della pena, con la massima diminuzione concedibile sui minimi edittali con il beneficio della sospensione condizionale.

Si lamenta, ancora, l’indicazione nell’impugnata motivazione di un precedente ormai estinto per un giudizio prognostico negativo sulla commissione di nuovi reati in futuro.

Il ricorrente sottolinea che, nella concessione del beneficio previsto dall’art.163 cod. pen.

il giudice nell’esercizio del proprio potere discrezionale deve valutare le circostanze di cui all’art. 133 cod. pen. motivando il proprio giudizio.

Si rileva che il comportamento tenuto dall’imputato nell’immediatezza dei fatti doveva determinare un giudizio prognostico positivo sulla possibile commissione di nuovi reati.

Inoltre, si rileva che il precedente non era ostativo alla concessione del beneficio in quanto il cumulo delle due condanne non comportava il superamento del limite previsto dall’art. 163 cod. pen.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla I. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. con modif. dalla 1.15/22), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene il Collegio che i motivi proposti siano inammissibili in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione.

Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 co. 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693).

E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).

2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.

Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.

Il ricorrente insiste sulla circostanza secondo cui risulterebbe provato che, allorquando stava attraversando la strada, la persona offesa era intenta a parlare al telefono e, ripropone, parzialmente, le dichiarazioni rese in dibattimento da (OMISSIS) Ionut, allorquando, a domanda del Pubblico Ministero (“Quindi lei mentre stava attraversando la strada stava parlando a telefono?”), il (OMISSIS) aveva risposto “SI, SI”.

Con quelle dichiarazioni, tuttavia, la Corte territoriale si è confrontata in sentenza rimarcando che dalle successive dichiarazioni rese dalla stessa vittima dell’incidente, all’udienza del 19/2/2020, emerge chiaramente come questi stesse parlando al telefono qualche istante prima di attraversare la strada, e come egli abbia chiuso il telefono proprio nel momento in cui si accingeva ad attraversarla ((OMISSIS): “…No, ci traversavo… lasciau ‘u telefono, attraversavu la strada, poi, non lo so veramente com’è successo, perchè già ho trovato la macchina, ca mi… mi sbattiva e poi finivu ‘n terra, e poi non mi ricordo più niente…”).

Dunque, secondo i giudici palermitani non risulta che il pedone abbia violato l’art. 190 cod. strada per avere attraversato la strada senza la necessaria attenzione, essendosi il (OMISSIS) premurato di chiudere il telefono prima di attraversare la strada.

D’altronde, si dà atto in sentenza che non risultano acquisite emergenze probatorie di segno contrario alle dichiarazioni del (OMISSIS), atteso che l’altro testimone diretto dell’incidente e, cioè, l’odierno imputato, che aveva tutto l’interesse a rimarcare i profili di colpevolezza del (OMISSIS), non ha mai reso dichiarazioni in tal senso e non è stato neppure invitato a rendere l’esame da alcuna delle parti.

Il primo motivo di doglianza oggi riproposto tout court in questa sede di legittimità si basa, dunque, secondo la logica conclusione dei giudici del gravame del merito, su una “intuitiva” allegazione della difesa destituita di ogni fondamento di prova e smentita pure dalle precisazioni rese in udienza dal teste persona offesa.

In altri termini, confrontando il tenore complessivo delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in merito al particolare dell’uso del telefono al momento di iniziare l’attraversamento della strada non ci è prova di alcuna violazione da parte dello (OMISSIS) dell’art. 190 cod. strada.

3. Non sussiste pertanto il dedotto travisamento della prova.

Sul punto, peraltro, gioverà ricordare che questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui , sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Capuzzi ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. il 2017, La Gumina ed altro, Rv. 269217).

Il vizio di travisamento della prova, dunque, in caso di c.d. doppia conforme, secondo l’insegnamento della Corte di legittimità, può essere dedotto con il ricorso per cassazione sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (così, tra le altre anche la recente Sez. 2 n. 32113 del 2/7/2021).

E si è ulteriormente precisato che il travisamento della prova consiste nella palese e non controvertibile difformità tra il senso della dichiarazione e quello tratto dal giudice (vedasi anche questa Sez. 4 n. 30277/2020).

Nel caso dì specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato Io stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati.

E nel caso di specie dalla deposizione della persona offesa, valutata congruamente e nella sua unitarietà nel provvedimento impugnato, non emerge in termini equivocabili la negazione della circostanza che (OMISSIS) Ionut stesse parlando al telefono durante la fase dell’attraversamento, violando il dovere di dare precedenza al conducente previsto dall’art. 190 cod. strada (pag. 2 della sentenza impugnata).

4. Parimenti inammissibile è il secondo motivo, avente ad oggetto l’asserita omessa valutazione, oltre che del dato di cui sopra desumibile dalla deposizione della vittima, anche delle caratteristiche della strada luogo del fatto.

Infatti, nel provvedimento impugnato (cfr. pagg. 2 e 3) si evidenzia che il pedone si trovava non su strada caratterizzata da strisce pedonali e in corrispondenza di “un angolo”, senza una buona visuale del tratto di strada per il conducente: il che -diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente- correttamente secondo il provvedimento impugnato avrebbe dovuto determinare l’obbligo di procedere a bassa velocità e i connessi obblighi ex art. 141 cod. strada come da contestazione; in modo da evitare l’impatto.

Secondo la logica e congrua motivazione del provvedimento impugnato, chiaramente dall’istruttoria dibattimentale del primo grado di giudizio che l’incidente è avvenuto in una piccola strada di paese, in un luogo di intersezione con altra strada in salita, e precisamente in un angolo in cui non vi erano, né il marciapiede, né le strisce pedonali.

Il (OMISSIS) ha dunque prestato la necessaria attenzione chiudendo il cellulare e assicurandosi che dalla sua sinistra non venissero automobili, ma d’un tratto proprio nel momento in cui stava per attraversare la strada è avvenuto l’impatto con l’auto del (OMISSIS) che invece gli si è presentata a destra investendolo.

Risulta pertanto evidente, secondo i giudici del gravame del merito, che il (OMISSIS) non ha prestato la dovuta attenzione e diligenza, essendo giunto in prossimità di una strada ad angolo e, dunque senza una buona visuale del tratto di strada immediatamente successivo, senza suonare ed, evidentemente, senza neppure procedere a bassa velocità, come la situazione dei luoghi avrebbe richiesto, atteso che sarebbero bastate queste due elementari regole di prudenza ad evitare il sinistro.

La responsabilità colposa dell’imputato, dunque, è stata correttamente fatta derivare dal fatto che il (OMISSIS) avrebbe dovuto regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, avrebbe consentito di evitare ogni pericolo per la sicurezza della persona offesa che transitava sul giusto lato a margine della carreggiata ed è stata impattata dalla parte anteriore del veicolo del (OMISSIS).

L’imputato non ha infatti conservato il controllo del proprio veicolo né ha compiuto le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile soprattutto nell’approssimarsi di una curva.

Se ne desume anche la corretta applicazione dei principi in materia di apprezzamento del comportamento del pedone e della rilevanza causale di eventuali imprudenze degli stessi (nel caso di specie, in base alla sentenza, comunque non ipotizzabili), potendosi anche nel caso di specie mutuare la precisazione fatta da questa Sez. 4 24837/2021, in conformità con la giurisprudenza consolidata: e cioè che “una siffatta ricostruzione dei fatti porta alla logica conclusione che non si sia di fronte al caso di un conducente del veicolo investitore che si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di “avvistare” il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile, potendo solo in tal caso, invero, l’incidente ricondursi eziologicamente proprio esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima” (conferente in tal senso è il richiamo a Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, Rv. 255288).

La sentenza impugnata opera anche un buon governo del costante orientamento di questa Corte di legittimità in punto di temperamento del principio di affidamento in tema di circolazione stradale, laddove si è affermato che il principio di affidamento, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità (cfr. ex multis le recenti Sez. 4 n. 51747 del 27/11/2019, Ripepi e 10062 del 14/2/2019, Nostrani, non massimate e le conformi Sez. 4, n. 27513 del 10/05/2017, Mulas, Rv. 269997 (alla cui articolata e condivisibile motivazione si rimanda, in un caso in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza con la quale era stata ritenuta la responsabilità per lesioni del conducente di un ciclomotore che aveva investito un pedone mentre attraversava al di fuori delle strisce pedonali, in un tratto rettilineo ed in condizioni di piena visibilità, per la condotta di guida non idonea a prevenire la situazione di pericolo derivante dal comportamento scorretto del pedone, rischio tipico e ragionevolmente prevedibile della circolazione stradale) e Sez. 4, n. 5691 del 2/2/2016, Tettamanti, Rv. 265981)”.

5. Manifestamente infondate appaiono, infine, le doglianze in punto di dosimetria della pena e di mancata concessione del beneficio della sospensione della pena, avendo i giudici della Corte di Appello considerato le circostanze addotte dalla difesa mediante l’appello, ritenendo decisive, ai fini del complessivo trattamento sanzionatorio, sia le peculiarità del fatto (intensità della colpa ed entità dei danni causati alla vittima) sia il precedente per omicidio colposo.

In particolare, il minimo della pena richiesto dalla difesa è stato ritenuto non essere proporzionato alla concreta del fatto, che ha cagionato alla persona offesa lesioni personali di una indiscutibile gravità (segnatamente “ematoma epidurale frontale sinistro post traumatico con associata frattura del seno frontale del tette della parete mediale e posteriore dell’orbita di sinistra frattura del seno mascellare di sinistra e stessa sino alla parete laterale frattura del primo secondo e terzo metatarso del piede sinistre giudicate guaribili in giorni 30 s.c.”).

E quanto al beneficio della sospensione condizionale la Corte territoriale ha motivatamente condiviso la valutazione del primo giudice in ordine alla non concedibilità dello stesso per la presenza di un precedente (di omicidio colposo: cfr. certificato penale, in atti) che, unitamente alle lesioni colpose in ordine alle quali si procede, inducono a ritenere l’imputato particolarmente incline alla violazione delle regole di prudenza e diligenza, lasciando supporre che lo stesso non si asterrà in futuro dal commettere altri reati della stessa specie.

In proposito, va ricordato che, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (cfr. sez. 3, n. 30562 del 19.3.2014, Avveduto ed altri, rv. 260136; conf. sez. 2, n. 19298 del 15.4.2015, Di Domenico, rv. 263534; sez. 3, n. 6641 del 17.11.2009 dep. il 2010, Miranda, rv. 246184, in un caso in cui la Corte ha ritenuto esaustiva la motivazione della esclusione del beneficio fondata sul riferimento ai precedenti penali dell’imputato).

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 7 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria, addì 29 luglio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.