REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Luigi AGOSTINACCHIO – Presidente –
Dott. Lucia AIELLI – Consigliere –
Dott. Sandra RECCHIONE – Consigliere –
Dott. Emanuele CERSOSIMO – Rel. Consigliere –
Dott. Antonio SARACO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
suI ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso l’ordinanza del 28/09/2022 del Tribunale di Palermo
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Emanuele CERSOSIMO;
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Lidia GIORGIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) (OMISSIS) mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Palermo, in data 28 settembre 2022, ha rigettato l’istanza di riesame avverso il decreto del 30 agosto 2022 con il quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha disposto il sequestro preventivo della somma di euro 75.000,00 nella disponibilità del (OMISSIS) indagato del reato di cui all’art. 493-ter cod. pen.
2. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo di impugnazione, violazione di legge, mancanza e contraddi orietà della motivazione in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora.
2.1. Il (OMISSIS), nel periodo in cui si prendeva cura del fratello (OMISSIS) ricoverato in ospedale per la cura di un tumore al cervello, avrebbe effettuato i bonifici mediante le carte di debito intestate, al in quanto era stato da questi autorizzato con apposita delega scritta, a compiere tutte le operazioni finanziarie ritenute più opportune a tutelarne il patrimonio con conseguenza insussistenza del reato ipotizzato.
La difesa ha, peraltro, evidenziato che (OMISSIS) (OMISSIS) riceveva, sul suo telefono cellulare, gli sms di allerta inviati dall’istituto di credito in occasione di ogni operazione effettuata con la carta di debito a lui intestata e che lo stesso non ha eccepito nulla nei due mesi intercorsi tra l’effettuazione dei bonifici ed il suo decesso.
Il ricorrente segnala, inoltre, l’insussistenza di elementi da cui desumere che (OMISSIS) (OMISSIS), fosse incapace di intendere e di volere al momento dell’effettuazione dei contestati prelievi e che l’indagato, all’epoca dei fatti, non era a conoscenza del testamento redatto dal fratello in favore della (omissis) (omissis) (omissis) d era, quindi, convinto di esser l’unico erede vivente del (OMISSIS) (OMISSIS).
2.2. I giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto inattendibile la delega prodotta dalla difesa in quanto la sottoscrizione del defunto sarebbe priva di autenticazione, senza tenere conto del fatto che il T.U. Bancario non prevede che la delega ad utilizzare una carta di debito sia formalizzata in un atto scritto con firma autenticata del titolare.
La motivazione sarebbe illogica ed apodittica nella parte in cui le dichiarazioni rese dalla moglie dell’indagato sono state ritenute inattendibili in quanto generiche ed imprecise.
2.3. La difesa ha rimarcato che le somme prelevate mediante bonifico erano conservate nel conto corrente intestato all’indagato unitamente alle somme percepite per l’attività di commercialista svolta da quest’ultimo e che tale conto non è mai andato in negativo nel periodo in esame con conseguente insussistenza del periculum in mora.
Il Tribunale avrebbe erroneamente affermato che l’indagato ha di frequente commesso illeciti della stessa specie, circostanza che sarebbe stata smentita dalla lettura del certificato del casellario giudiziale.
3. Il ricorrente lamenta, con il secondo motivo di impugnazione, violazione di legge conseguente al sequestro di somme di denaro presenti sul conto corrente intestato all’indagato.
Il denaro in questione non poteva essere sottoposto a sequestro in quanto, secondo la ricostruzione difensiva, costituirebbe provento dell’attività professionale del (OMISSIS) mentre i 75.000 euro provenienti dal conto corrente intestato al fratello sarebbero stati in precedenza utilizzati per le esigenze finanziarie del defunto (OMISSIS) (OMISSIS).
La difesa ha affermato l’insussistenza di un rapporto di pertinenzialità tra denaro sequestrato all’indagato e profitto del reato rubricato e, quindi, la carenza di prova che le somme sottoposte a sequestro fossero di derivazione delittuosa.
- Il ricorrente lamenta, con il terzo motivo di impugnazione, l’inosservanza e l’erronea interpretazione della legge.
La (OMISSIS) (OMISSIS) non avrebbe alcun diritto alla restituzione delle somme sottoposte a sequestro in quanto le stesse erano uscite dal patrimonio del defunto in data anteriore al suo decesso e, quindi, mai entrate nell’asse ereditario.
(OMISSIS) (OMISSIS) secondo il ricorrente, avrebbe lasciato alla (OMISSIS) (OMISSIS) esclusivamente i beni relitti al momento della sua morte con conseguente carenza di legittimazione a denunciare l’indebita condotta dell’indagato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.
2. Il primo motivo di ricorso è dedotto per doglianze non consentite dalla legge.
2.1. Appare necessario, preliminarmente, ricordare che avverso le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, il ricorso in Cassazione è ammesso solo per violazione di legge, per censurare, cioè, errores in iudicando o errores in procedendo commessi dal giudice di merito, la cui decisione risulti di conseguenza radicalmente
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, peraltro, il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dall’organo investito del procedimento (vedi Sez. U., n. 5876 del 13.2.2004, Bevilacqua, Rv. 226710-01; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119-01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01; da ultimo Sez. 2, n. 3543 del 16/11/2022, dep. 2023 Broghiero, non massimata), inidoneità non ravvisabile nel caso oggetto di scrutino.
2.2. Ciò posto, occorre prendere atto che il ricorrente, pur lamentando formalmente violazione di legge e motivazione apparente, contesta in realtà la concreta ricostruzione della vicenda resa dal Tribunale.
Le doglianze difensive sono, ictu oculi, riferibili ad una motivazione, non già meramente apparente, ma illogica e non condivisa dal ricorrente e, quindi, dedotte per ragioni escluse dal sindacato della Corte di Cassazione in materia di misure cautelari reali.
Il Tribunale ha ritenuto, con motivazione approfondita, coerente con le emergenze investigative e scevra da vizi logici, la sussistenza del fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 493-ter cod. pen. in considerazione degli accertamenti posti in essere dagli inquirenti a seguito della querela sporta dalla (OMISSIS) (OMISSIS) attestanti l’indebito utilizzo delle carte di debito intestate al fratello (OMISSIS) nonché la necessità dell’immediata applicazione del vincolo cautelare in attesa della confisca del profitto del reato rubricato, confutando con percorso argomentativo esente da illogicità tutte le doglianze contenute nell’atto di riesame e riproposte in sede di legittimità (vedi pagg. 2, 3 e 4 dell’ordinanza impugnata).
2.3. Il provvedimento impugnato non appare, di conseguenza, affetto da violazione di legge, neanche sub specie carenza assoluta di motivazione nei termini sopra precisati; la motivazione del provvedimento impugnato risulta scevra da vizi logici manifesti e non è riconducibile né all’area semantica della motivazione “assente” né a quella della motivazione “apparente”.
3. Il secondo motivo di ricorso, oltre a non essere consentito, avendo ad oggetto una doglianza non dedotta in sede di riesame, come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nell’ordinanza impugnata, che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente se incompleto o comunque non corretto, è manifestamente infondato.
3.1. Il ricorrente prospetta, infatti, l’assenza di nesso di pertinenzialità del denaro con il delitto in accertamento, affermando che le somme sequestrate sarebbero relative ad attività lecite dell’indagato, successive alla commissione del reato.
La doglianza non tiene conto del principio di diritto di recente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui: «La confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione» (vedi Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037 – 01).
Con la predetta decisione è stato messo in evidenza come il denaro sia bene <<ontologicamente» diverso da qualunque altra utilità e che la peculiare natura del denaro si riflette anche sulla confisca, dovendosi ritenere che nel caso in cui il profitto od il prezzo del reato sia consistito in denaro, è «irrilevante che il numerano conseguito dall’autore – perciò stesso confuso nel suo patrimonio, al pari, del resto, di eventuali altre acquisizioni monetarie lecite sia materialmente corrispondente a quello sottoposto a confisca».
La somma di denaro che ha costituito il prezzo o il profitto del reato non va dunque considerata, ai fini che ci occupano, nella sua fisica consistenza, ma nella sua ontologica essenza di bene fungibile e paradigma di valore. Se il prezzo o il profitto del reato è rappresentato da una somma di denaro, essa si confonde con altre componenti del patrimonio del reo e perde perciò stesso ogni giuridico rilievo la sua identificabilità fisica.
In definitiva, secondo te Sezioni Unite, il rapporto di pertinenzialità va individuato tra il reato e l’incremento monetario che ne è conseguito; ne consegue che la materiale composizione della disponibilità del denaro depositato su conto corrente bancario diviene irrilevante, posto che oggetto della confisca sarà pur sempre una somma di valore pari a quella ottenuta dalla commissione del reato.
3.2. Il sequestro finalizzato alla confisca del denaro quale profitto o prezzo del reato, operando allo stesso modo della confisca per equivalente per il carattere di bene fungibile proprio del denaro, genera in ogni caso un vincolo permanente di valore sulle consistenze pecuniarie anche future del soggetto ad esso sottoposto.
Lo scopo della misura ablativa non è, infatti, di ritrovare sul conto corrente del reo le stesse banconote ab origine costituenti il prezzo o il profitto del reato, ma di realizzare l’ablazione della somma che sia già entrata nel patrimonio dell’autore a causa della commissione dell’illecito ed ivi sia ancora rinvenibile, poiché il pregiudizio è comunque correlato al carattere permanente dello stesso ed alla sua operatività slegata da una precisa e predefinita delimitazione temporale (da ultimo vedi Sez. 2, n. 43569 del 14/09/2022, Leo, non massimata; Sez. 2, n. 41997 del 13/10/2022, Di Mariano, non massimata).
4. Il terzo motivo di ricorso, oltre a non essere consentito avendo ad oggetto una doglianza non prospettata in sede di riesame, è dedotto in carenza di interesse in considerazione del fatto che il reato contestato a (OMISSIS) è procedibile di ufficio e, quindi, prescinde da un interesse alla sottoposizione a sequestro del profitto del reato da parte di eventuali persone offese e danneggiati civilmente.
5. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 23 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2023.