LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
LUCIA TRIA – Presidente –
ROBERTO BELLÉ – Consigliere –
MARIA LAVINIA BUCONI – Consigliere –
FEDERICO ROLFI – Consigliere – Relatore –
DARIO CAVALLARI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11823/2019R.G. proposto da
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS);
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (quali eredi di (OMISSIS) (OMISSIS))
(OMISSIS) (OMISSIS) (quale amministratore di sostegno di (OMISSIS) (OMISSIS)), domicilio digitale eletto presso PEC (OMISSIS)ordineavvocaticatania.it, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS);
–ricorrenti–
contro
ISTITUTO INCREMENTO IPPICO PER LA SICILIA, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS);
–controricorrente–
nonché contro
ASSESSORATO ALL’AGRICOLTURA REGIONE SICILIA
–intimato–
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 988/2018 depositata il 23/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 04/06/2024 dal Consigliere Dott. Federico Rolfi;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 988/2018, pubblicata in data 23 novembre 2018, la Corte d’appello di Catania, decidendo sull’appello principale dell’ISTITUTO PER L’INCREMENTO IPPICO e sull’appello incidentale di un gruppo di dipendenti del medesimo ISTITUTO – tutti “agenti tecnici” incaricati della cura e del governo dei cavalli –ha accolto solo in parte l’appello incidentale, dichiarando la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinari o in ordine alla sola domanda dei lavoratori avente ad oggetto il pagamento dell’indennità di rischio a far tempo dal gennaio 1992.
2. I lavoratori avevano adito con separati ricorsi il Tribunale di Catania, chiedendo la condanna dell’ISTITUTO PER L’INCREMENTO IPPICO alla corresponsione sia dell’indennità di rischio sia di una serie di voci retributive e risarcitorie (maggiorazione per il lavoro straordinario diurno e festivo; risarcimento del danno da usura psicofisica derivante dal prolungamento del lavoro oltre l’orario di lavoro e dalla mancata fruizione del riposo settimanale per lavoro festivo; retribuzione giornaliera per gli anni dal 1997 al 1999 ) correlate alle mansioni espletate dai ricorrenti nel corso delle campagne di fecondazione presso le stazioni di monta gestite dall’ISTITUTO.
3. Il Tribunale di Catania, riuniti i ricorsi ed affermata la natura pubblicistica dei rapporti di lavoro, aveva esaminato le domande dei lavoratori unicamente in relazione al periodo dal 1° luglio 1998 al 13 settembre 2004, ritenendo invece che, per il periodo anteriore sussistesse la giurisdizione del giudice amministrativo.
Il Tribunale, poi, aveva condannato l’ISTITUTO PER L’INCREMENTO IPPICO a corrispondere solo ad alcuni dei lavoratori – ed in relazione alla sola campagna di fecondazione del 1999 –alcune delle voci retributive e risarcitorie originariamente azionate.
4. Nel decidere gli appelli – principale ed incidentale – la Corte territoriale ha accolto unicamente:
− in parte il primo motivo di appello incidentale con il quale era impugnata la statuizione declinatoria di giurisdizione, ritenendo il gravame fondato in relazione alla sola domanda di corresponsione dell’indennità di rischio – essendo ravvisabile un inadempimento unitario – e non anche in relazione alle ulteriori pretese retributive e risarcitorie – in quanto non riconducibili ad un inadempimento unitario – e dando comunque atto che alcuni degli originari ricorrenti, dopo la decisione di prime cure, avevano adito il TAR Sicilia, ottenendo pronuncia favorevole;
− il primo motivo di appello principale, escludendo la debenza dell’indennità di rischio in quanto l’art. 18, lett . d), d.P.R. Sicilia 20 gennaio 1995 n. 11 e l’Accordo quadro allegato C, rimettevano alla contrattazione decentrata l’individuazione in concreto dei “trattamenti retributivi accessori” (tra questi l’indennità di rischio) da corrispondersi nell’ambito del “fondo efficienza servizi” (cd. F.E.S.) ma tale individuazione non era in concreto avvenuta, non potendosi riconoscere il valore di contrattazione decentrata ad un verbale di riunione sindacale del 24 novembre 1995, in quanto siglato dal direttore generale dell’ISTITUTO PER L’INCREMENTO IPPICO, privo del potere di rappresentanza dell’Istituto, riservato al presidente del Consiglio di amministrazione, e non emergendo la fondatezza della pretesa neppure dal d.P.R. n. 146/1975 o dal CCRL 2000-2001 recepito dal d.P.R. Sicilia n. 10/2001.
5. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catania, ricorrono ora i lavoratori in epigrafe.
Resiste con controricorso l’ISTITUTO PER L’INCREMENTO IPPICO.
È rimasto intimato ASSESSORATO ALL’AGRICOLTURA REGIONE SICILIA
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 1 e 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 69, D. Lgs. n. 165/2001; 102, commi primo e secondo; 113, comma terzo, e 111 Cost.
I ricorrenti impugnano la decisione della Corte di Catania, nella parte in cui la stessa ha escluso la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle domande retributive e risarcitorie riferite al periodo anteriore al 1° luglio 1998, affermando il carattere unitario – e non frazionato, come invece ritenuto dalla Corte territoriale – dell’inadempimento del datore di lavoro.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8, 9, d.P.R. n. 1378/1959; 8, lett. e), 18, comma 1, lett. d), e comma 1- quinques, d.P.R. Sicilia n. 11/1995; 11, L.R. Sicilia n. 145/1980; 11, L.R. Sicilia n. 14/1968; 2, L.R. Sicilia, n. 10/2000; 27, Cost.
I ricorrenti censurano la decisione della Corte d’appello per avere la stessa negato la spettanza dell’indennità di rischio, argomentando – in sintesi – che:
− alla luce delle previsioni dello statuto dell’ISTITUTO (approvato con d.P.R. n. 1378/1959), della L.R. Sicilia n. 14/1968 e del d.P.R.S. n. 11/1995, è da ritenersi che l’ammontare delle somme destinate all’indennità di rischio non sia rimesso al potere di spesa del Presidente ovvero del Consiglio di amministrazione dell’ISTITUTO – come opinato dalla Corte di Appello di Catania – bensì alla contribuzione della Regione, che ne esegue la dotazione attraverso il Fondo Efficienza Servizi;
− in ogni caso, pur non occorrendo alcuna determinazione in sede di contrattazione decentrata, il riconoscimento della spettanza dell’indennità di rischio è avvenuto nella riunione sindacale del 24 novembre 1995, erronea essendo l’affermazione della Corte territoriale circa l’assenza di poteri di rappresentanza esterna del Direttore generale, e ciò alla luce delle previsioni dello statuto dell’ISTITUTO di cui al d.P.R. n. 1378/1959, affermazione che si porrebbe in contrasto anche con l’art. 2, L.R. Sicilia n. 10/2000;
− risulta violato anche il d.P.R. Sicilia n. 11/1995 che disciplinava il rapporto di lavoro dei dipendenti dell’Amministrazione regionale per il triennio 1994 –1996.
2. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione del controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse ad agire.
L’eccezione, infatti, risulta essa stessa inammissibile, difettando radicalmente della specificità richiesta dall’art. 366 c.p.c., in quanto si limita a dedurre genericamente che i ricorrenti avrebbero adito separatamente il giudice amministrativo senza tuttavia in alcun modo riprodurre, o quanto meno localizzare, gli atti dai quali dovrebbe emergere la fondatezza di tali deduzioni.
Né tale carenza può essere colmata dal riferimento – invero anch’esso generico – contenuto anche nella decisione impugnata a detta circostanza (pag. 9), attesa la genericità dell’osservazione svolta dalla Corte d’appello, peraltro riferita ad “una parte dei lavoratori odierni appellanti”, risultando radicalmente impossibile stabilire concretamente se gli odierni ricorrenti – o quali di essi – abbiano effettivamente adito il giudice amministrativo.
3. Appare opportuno, sempre preliminarmente, individuare il residuo ambito della materia del contendere del presente giudizio, in quanto tale ambito risulta essere stato ridefinito dalle precedenti pronunce dei giudici di merito.
Come già accennato, gli odierni ricorrenti hanno originariamente agito per il riconoscimento, da un lato, dell’indennità di rischio e, dall’altro lato, di una serie di voci retributive e risarcitorie per un periodo che risulta andare dal 1992 al 2004, stando alla sintesi offerta dalla decisione impugnata.
Quanto all’indennità di rischio, non essendo stato proposto ricorso incidentale – neppure in relazione all’art. 353 c.p.c. – avverso la decisione della Corte d’appello di Catania che ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario in ordine a tale domanda per tutto il periodo azionato dai ricorrenti – e quindi anche per il periodo anteriore al 1° luglio 1998 – tale giurisdizione risulta affermata in via definitiva, mentre è ancora in contestazione la debenza in sé dell’indennità per l’intero periodo azionato , debenza esclusa dalla Corte territoriale ma riaffermata dai ricorrenti con il secondo motivo di ricorso.
Quanto alle voci retributive e risarcitorie, risulta ancora oggetto del contendere la sussistenza o meno della giurisdizione per tali voci in relazione al periodo ante 1° luglio 1998 – profilo oggetto del primo motivo di ricorso – mentre sulla porzione di domanda dei ricorrenti che riguarda invece il periodo successivo, il rigetto dell’appello proposto dall’ISTITUTO PER L’INCREMENTO IPPICO avverso la decisione di prime cure – che aveva accolto le domande – e l’assenza di ricorso incidentale nei confronti di tale statuizione di rigetto hanno determinato il formarsi di un giudicato.
3. Il primo motivo di ricorso è fondato.
3.1. In via preliminare va precisato che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione posta con il ricorso in virtù del decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018, in quanto essa rientra, nell’ambito delle materie di competenza della sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte.
3.2. Ripetutamente questa Corte (a partire da Cass. SU 1° marzo 2012, n. 3183 e da Cass. SU 23 novembre 2012, n. 20726, cui si è uniformata la successiva giurisprudenza, vedi, per tutte: Cass. 24 febbraio 2014, n. 4312 e n. 4313; Cass. 10 giugno 2014, n. 13062; Cass. 7 luglio 2014, n. 15450; Cass. 10 settembre 2014, n. 19117; Cass. 30 ottobre 2015, n. 22269) ha affermato che, nel regime transitorio del passaggio dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alla giurisdizione del giudice ordinario quanto alle controversie di cui all’art. 63, D.Lgs. n. 165/2001, il disposto dell’art. 69, comma 7, medesimo D. Lgs. – secondo cui sono attribuite al giudice ordinario le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, mentre le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – esprime, come regola, la generale giurisdizione del giudice ordinario in ordine ad ogni questione sia che riguardi il periodo del rapporto di impiego successivo al 30 giugno 1998, sia che investa in parte anche un periodo precedente a tale data ove risulti essere unitaria la fattispecie devoluta alla cognizione del giudice; e reca, come eccezione, la previsione della residuale giurisdizione del giudice amministrativo in ordine ad ogni questione che riguardi solo ed unicamente un periodo del rapporto fino alla data suddetta.
È stato quindi affermato che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, la sopravvivenza della giurisdizione del giudice amministrativo, regolata dall’art. 69, comma 7, D. Lgs. n. 165/2001, costituisce, nelle intenzioni del legislatore, ipotesi assolutamente eccezionale, sicché, per evitare il frazionamento della tutela giurisdizionale, quando il lavoratore deduce un inadempimento unitario dell’amministrazione, la protrazione della fattispecie oltre il discrimine temporale del 30 giugno 1998 radica la giurisdizione presso il giudice ordinario anche per il periodo anteriore a tale data, non essendo ammissibile che sul medesimo rapporto abbiano a pronunciarsi due giudici diversi, con possibilità di differenti risposte ad una stessa istanza di giustizia (a partire da Cass. Sez. U, Sentenza n. 3183 del 01/03/2012, per giungere alle più recenti Cass. Sez. U – Sentenza n. 7305 del 22/03/2017; Cass. Sez. U -Ordinanza n. 18671 del 11/07/2019; Cass. Sez. U – Sentenza n. 25207 del 10/11/2020), rispondendo tale distribuzione della giurisdizione a quell’esigenza di evitare il frazionamento della tutela giurisdizionale che costituisce la stessa ratio della disposizione appena richiamata.
Si è, in particolare, osservato che, con specifico riferimento alle domande concernenti differenze retributive, deve ritenersi che ogni questione che riguardi, anche parzialmente, il periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, risulta riservata alla giurisdizione del giudice ordinario ove risulti essere sostanzialmente unitaria la fattispecie dedotta in giudizio , residuando solo come eccezione la giurisdizione del giudice amministrativo per le sole questioni che riguardino unicamente il periodo compreso entro la data suddetta(Cass. Sez. U – Ordinanza n. 18671 del 11/07/2019 ).
Pertanto, qualora la domanda concernente il pagamento di differenze retributive o di istituti contrattuali – pur concernendo un periodo che si pone a cavallo del 30 giugno 1998 – trovi il proprio fatto costitutivo in circostanze – quali l’inadempimento del datore di lavoro – la cui efficacia permane e si protrae nel tempo, i principi enunciati da questa Corte e desunti dall’art. 69, D. Lgs. n. 165/2001 conducono inevitabilmente all’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario.
3.3. Tornando al caso in esame, allora, si deve ritenere che la decisione della Corte territoriale, nel negare la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle domande dei ricorrenti concernenti voci retributive e risarcitorie per il periodo anteriore al 1° luglio 1998 non si sia adeguatamente conformata alle indicazioni reiteratamente fornite da questa Corte.
Richiamato, infatti, il principio per cui la regola di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo non si basa sul criterio del petitum formale – individuato in base all’oggetto del dispositivo che si invoca- bensì su quello del petitum sostanziale, da individuarsi con riguardo alla causa petendi ed al rapporto dedotto in giudizio, oggetto di accertamento giurisdizionale (Cass. Sez. U – Ordinanza n. 2368 del 24/01/2024), la Corte territoriale avrebbe dovuto constatare l’unitarietà della fattispecie di inadempimento contrattuale – sia nella forma del mancato riconoscimento di istituti contrattuali sia nella forma della violazione delle previsioni in tema di salute dei lavoratori – dedotta dai ricorrenti a fondamento della propria domanda, ed avrebbe dovuto, quindi, concludere nel senso della sussistenza della giurisdizione ordinaria in relazione all’intera domanda, dando peraltro applicazione – si osserva per completezza – all’art. 353 c.p.c.
La decisione delle Corte territoriale, invece, si è tradotta in una ingiustificata frammentazione della domanda, peraltro omettendo di considerare il carattere eccezionale dell’art. 69, comma 7, D. Lgs. n. 165/2001 e dando invece luogo a quell’esito che questa Corte ha reiteratamente stigmatizzato sic come disfunzionale, e cioè la rimessione del medesimo rapporto a due giudici diversi, con potenziale formazione di giudicati contrastanti.
4. Il secondo motivo di ricorso è, invece, infondato.
4.1. Le argomentazioni svolte dai ricorrenti vengono a muoversi su un duplice piano, in quanto, da un lato, si contesta che il riconoscimento dell’indennità di rischio fosse subordinato all’adozione di una specifica disciplina in sede contrattazione integrativa e, dall’altro lato, si sostiene che, in ogni caso, il verbale della riunione del 24 novembre 1995 verrebbe ad integrare gli estremi della contrattazione decentrata idonea al riconoscimento dell’indennità, essendo stato detto verbale sottoscritto dal Direttore generale dell’ISTITUTO PER L’INCREMENTO IPPICO, dotato di potere di rappresentanza.
4.2. Quanto al primo profilo, tuttavia, si deve richiamare la previsione di cui all’art. 18, lett. d), d.P.R.S. n. 11/1995 , la quale stabilisce, testualmente, che: “d) trattamenti retributivi accessori (art. 8, lett. e accordo).
Al riguardo si rinvia all’accordo quadro allegato c) al presente accordo”.
Tale accordo-quadro, a propria volta, si limitava comprendere l’indennità di rischio tra gli istituti per i quali venivano indicate “linee quadro” “ entro i cui ambiti e limiti deve svolgersi la contrattazione decentrata a livello assessoriale e territoriale periferico”, rinviando quindi specificamente a tale contrattazione.
Si deve osservare, a questo punto, che la decisione impugnata non fa menzione del principio per cui la legge statale riserva alla contrattazione collettiva la regolamentazione dei rapporti di pubblico impiego con riguardo al trattamento economico e alla classificazione del personale, allo scopo di garantire la necessaria uniformità della relativa disciplina sul territorio nazionale, e fissa così un tipico limite di diritto privato, destinato a imporsi anche alle autonomie speciali, con la conseguenza che è precluso alle Regioni adottare una normativa che incida su un rapporto di lavoro già sorto e, nel regolarne il trattamento giuridico ed economico, si sostituisca alla contrattazione collettiva nazionale, fonte imprescindibile di disciplina, come peraltro desumibile dall’art. 45, comma 1, D. Lgs. n. 165/2001 (cfr. Cass. Sez. L, Ordinanza n. 5748 del 2024 ; Cass. Sez. L – Sentenza n. 11566 del 03/05/2021; Cass. Sez. L -Sentenza n. 28150 del 05/11/2018, nonché, tra le altre, Corte cost., 04/05/2023, n. 84; Corte cost., 20/12/2022, n. 255; Corte cost., 25/07/2022, n. 190; Corte cost., 20/06/2022, n. 155; Corte cost., 26/05/2021, n. 153), trattandosi peraltro di questioni che rientra no nella competenza esclusiva statale in materia di “ordinamento civile”, come reiteratamente affermato dalla Corte costituzionale.
Da ciò discende la constatazione che la decisione impugnata non è venuta a porsi il problema –che pure doveva essere affrontato in relazione a tutte le domande dei ricorrenti – in ordine alla compatibilità delle previsioni di contrattazione collettiva regionale con quelle della contrattazione collettiva nazionale in tema di trattamento giuridico ed economico.
Svolta tale osservazione, in ogni caso, merita condivisione l’approdo interpretativo cui la Corte territoriale è pervenuta, nel momento in cui ha concluso che il riconoscimento dell’indennità di rischio postulava comunque la sua previa regolamentazione mediante la contrattazione decentrata mentre risultano non pertinenti le deduzioni svolte dai ricorrenti in ordine all’autonomia che caratterizzerebbe l’odierno controricorrente nonché al carattere regionale delle sue fonti di finanziamento, essendo sufficiente osservare che tali deduzioni mirano ad operare una ingiustificata scissione delle previsioni del d.P.R.S. n. 11/1995, riconducendo a quest’ultimo il riconoscimento dell’istituto dell’indennità di rischio, ma escludendo la condizione che la medesima fonte viene chiaramente a fissare ai fini della concreta attribuzione dell’indennità.
Tale interpretazione, anzi, si pone in netto contrasto con l’assetto che alla materia è stato dato dalla disciplina nazionale, dapprima con il d.P.R. n. 146/1975 e poi con la contrattazione collettiva nazionale di comparto, avendo entrambe tali fonti rimesso la disciplina specifica dell’indennità di rischio, dapprima ad un Decreto ministeriale (così gli artt. 1 e 8, d.P.R. n. 146/1975, per il periodo anteriore alla contrattualizzazione del pubblico impiego) e poi alla contrattazione integrativa decentrata (così l’art. 37, CCNL 14 settembre 2000, dopo la c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego).
Proprio l’esame di queste fonti, invero, vale ad evidenziare anche a livello sistematico il carattere di imprescindibilità della fonte secondaria o decentrata ai fini del concreto riconoscimento dell’indennità di rischio, corroborando la tesi fatta propria dalla Corte territoriale.
4.3. Quanto al secondo profilo, comunque assorbito dalle considerazioni appena svolte, l’infondatezza dello stesso deriva, ancora una volta, dalla non pertinenza delle previsioni invocate dai ricorrenti (art. 11, L.R. Sicilia n. 14/1968 ; a rt. 2, L . R . Sicilia n. 10/2000 -riguardante l’organizzazione della Regione Sicilia e dei suoi dirigenti – art. 11 , L . R . Sicilia n. 145/1980 , sempre relativa all’ordinamento degli uffici e del personale della Amministrazione regionale) per affermare la valenza di contrattazione decentrata del verbale di riunione sindacale del 24 novembre 1995.
Risolutive per la soluzione del problema risultano, invero, le previsioni del d.P.R. n. 1378/1959 (cioè, lo Statuto dell’ISTITUTO PER L’INCREMENTO IPPICO), i cui artt. 6 segg. sono stati correttamente intesi dalla decisione impugnata nel senso di escludere un potere di rappresentanza esterna al Direttore generale, risultando la legale rappresentanza conferita invece al P residente del Consiglio di amministrazione.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve trovare accoglimento il primo motivo di ricorso, respinto il secondo.
Per l’effetto, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle domande dei ricorrenti concernenti voci retributive e risarcitorie in relazione al periodo ante 1° luglio 1998 e, in applicazione del disposto di cui all’art. 38 3 c.p.c., la decisione della Corte catanese deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Catania (Cass. Sez. L, Sentenza n. 20098 del 07/10/2015; Cass. Sez. U, Sentenza n. 1316 del 01/03/1979) cui il giudice di appello – ove avesse fatto corretta applicazione dei principi in tema di giurisdizione –avrebbe dovuto a propria volta rimettere la controversia ex art. 353 c.p.c., senza che in ciò possa ravvisarsi una lesione della ragionevole durata del processo, assumendo rilevanza la tutela del principio del doppio grado di giurisdizione (Cass. Sez. U – Ordinanza n. 29592 del 11/10/2022; Cass. Sez. U -Sentenza n. 13722 del 31/05/2017).
Il giudice di rinvio, nel valutare la domanda degli odierni ricorrenti anche alla luce dei principi prima richiamati in materia di competenza statale in materia di trattamento giuridico ed economico del personale nel pubblico impiego, provvederà, altresì, a regolamentare le spese dell’intero giudizio, comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, respinto il secondo; cassa l’impugnata sentenza e, dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle domande dei ricorrenti concernenti voci retributive e risarcitorie anche in relazione al periodo anteriore al 30 giugno 1998, rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Catania.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione IV Civile della Corte di Cassazione, il giorno 4 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2024.