La garanzia per vizi copre anche l’incendio dell’auto usata, appena acquistata in concessionaria? (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 4 luglio 2022, n. 21084)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BELLINI Ubaldo – Presidente –

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere –

Dott. CAPONI Remo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 27326/2017) proposto da:

(OMISSIS) Battista (C.F.: P(OMISSIS)B), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dagli Avv.ti Antonino (OMISSIS) e Daniele (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) Auto S.p.A. a socio unico (C.F.: 02(OMISSIS)7), in persona del suo legale rappresentante pro – tempore, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso, dall’Avv. Enrico (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma, via (OMISSIS) n. 204, presso lo studio dell’Avv. Ludovica (OMISSIS);

– controricorrente –

e

(OMISSIS) Motori di (OMISSIS) e (OMISSIS) S.n.c. (P.IVA: 08(OMISSIS)54), in persona del suo legale rappresentante pro – tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 591/2017, pubblicata il 27 aprile 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1° giugno 2022 dal Consigliere relatore dott. Cesare Trapuzzano;

lette le memorie depositate nell’interesse del ricorrente e del controricorrente ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.

FATTI DI CAUSA

1.- Con citazione notificata il 5 settembre 2006, (OMISSIS) Battista conveniva, davanti al Tribunale di Brescia, la concessionaria (OMISSIS) Auto S.r.l., chiedendo che fosse pronunciata la risoluzione del contratto di compravendita dell’autovettura Mercedes C270, targata BxxxxxG, con la condanna della società convenuta alla restituzione della somma di euro 20.000,00, corrisposta a titolo di prezzo, oltre accessori, nonché alla rimozione, a spese della stessa convenuta, del relitto della vettura incendiata, ubicato nel cortile della sua abitazione.

Esponeva, al riguardo, l’attore:

che in data 29 dicembre 2005 aveva acquistato, presso la suddetta concessionaria, l’autovettura usata innanzi emarginata, immatricolata per la prima volta in data 8 aprile 2002, per il prezzo di euro 20.000,00;

che era stata prevista la garanzia di dodici mesi per i vizi, a decorrere dalla data di consegna;

che nell’autovettura, parcheggiata – come di consueto – nel cortile della propria abitazione, nella notte tra il 26 e il 27 febbraio 2006, si sviluppava un grosso incendio, che la distruggeva completamente nella sua parte anteriore;

che i Vigili del Fuoco di Brescia, chiamati prontamente e intervenuti per spegnere l’incendio, riportavano nel verbale redatto la dicitura ‘natura elettrica, corto circuito“.

Si costituiva in giudizio la (OMISSIS) Auto S.r.l., la quale resisteva alla domanda, contestando ogni sua responsabilità.

Chiedeva, poi, che fosse autorizzata a chiamare in garanzia la (OMISSIS) Motori di (OMISSIS) e (OMISSIS) S.n.c., dalla quale aveva acquistato la succitata Mercedes il 27 giugno 2005, affinché la terza chiamata la tenesse indenne di quanto la società convenuta fosse stata eventualmente condannata a corrispondere all’attore per il titolo indicato.

All’esito dell’autorizzazione della chiamata del terzo, si costituiva in giudizio la (OMISSIS) Motori di (OMISSIS) e (OMISSIS) S.n.c., la quale contestava integralmente, in fatto e in diritto, la tesi dell’attore e della convenuta, chiedendo, a sua volta, l’autorizzazione a chiamare in causa la (OMISSIS) Diesel S.p.A., quale rivenditrice della suddetta Mercedes in data 6 giugno 2005, per essere manlevata da ogni e qualsiasi somma da corrispondersi alla (OMISSIS).

Nel corso del giudizio era espletata consulenza tecnica d’ufficio.

Era altresì dichiarata l’estinzione del giudizio tra (OMISSIS) Motori S.n.c. e (OMISSIS) Diesel S.p.A., in ragione della transazione intervenuta tra tali parti, all’esito della quale la (OMISSIS) dichiarava di rinunciare agli atti e alla domanda nei confronti di (OMISSIS), con compensazione delle spese.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 41/2012, depositata il 2 gennaio 2012, rigettava le domande proposte dall’attore, condannandolo al pagamento delle spese di lite, sia nei confronti della convenuta, sia nei confronti della terza chiamata.

All’uopo, deduceva che, in forza dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio, la causa dell’incendio che aveva interessato l’autovettura non doveva ricondursi a deficit dell’impianto elettrico, ma ad un sinistro subito dal mezzo oppure ad un evento doloso successivo.

2.- Sul gravame interposto da (OMISSIS) Battista, con citazione notificata il 17 febbraio 2012, la Corte d’appello di Brescia, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello e confermava la pronuncia impugnata.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava:

a) che l’attore-appellante, sul quale gravava il corrispondente onere probatorio, non aveva fornito adeguato riscontro, né sulle reali cause dell’incendio, né soprattutto sull’esistenza di eventuali responsabilità in capo alle società convenute;

b) che l’accertamento dei Vigili del Fuoco aveva valore probatorio privilegiato limitatamente ai fatti descritti, ma non in relazione alle valutazioni soggettive degli agenti accertatori, che peraltro, nel caso in esame, sembravano assolutamente apodittiche e non adeguatamente supportate dagli esiti delle indagini eventualmente effettuate;

c) che non era, infatti, dato comprendere quali fossero stati gli elementi che avevano indotto i Vigili del Fuoco ad attribuire l’insorgenza dell’incendio ad un corto circuito;

d) che anche le indagini effettuate dal consulente tecnico d’ufficio erano state lacunose e poco attendibili, poiché di fatto si erano concentrate su due ipotesi – urto o evento doloso – prive di decisivi riscontri e certamente condizionate dall’ampio lasso di tempo (circa tre anni) decorso tra l’incendio e l’accertamento peritale;

e) che, anche ove si fosse condivisa la tesi dell’appellante in merito alla causa dell’incendio, in ogni caso, questi non aveva fornito alcuna prova idonea a dimostrare che il corto circuito fosse stato imputabile ad un guasto o ad un malfunzionamento intrinseco all’autovettura o piuttosto ad altre cause non ascrivibili al venditore, come – ad esempio – carenze di vario tipo nella manutenzione ordinaria del veicolo;

f) che, per l’effetto, l’eventuale verificazione di un corto circuito non poteva necessariamente essere attribuita ad un difetto di fabbricazione dell’autovettura, anche in considerazione del fatto che l’appellante non aveva mai fornito alcun riscontro sul punto, come – ad esempio – l’esistenza di un’eventuale azione di richiamo da parte della casa automobilistica Mercedes;

g) che la condanna alla refusione delle spese di lite, da parte dell’attore, nei confronti sia della convenuta sia della terza chiamata, doveva essere confermata, escludendosi la natura pretestuosa della chiamata, in quanto l’autovettura in questione era stata acquistata dalla (OMISSIS) Auto verso la (OMISSIS) Motori il 27 giugno 2005 e pochi mesi dopo era stata venduta all’appellante, cosicché il breve lasso di tempo intercorso tra le due vendite, in assenza di utilizzazione dell’autovettura, avrebbe potuto legittimamente indurre l’appellata (OMISSIS) a ritenere la responsabilità di (OMISSIS) Motori per eventuali guasti prodottisi nel veicolo.

3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, (OMISSIS) Battista.

Ha resistito con controricorso l’intimata (OMISSIS) Auto S.p.A.

È rimasta intimata la (OMISSIS) Motori di (OMISSIS) e (OMISSIS) s.n.c.

4.- Il ricorrente e la controricorrente hanno presentato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in materia di ripartizione dell’onere della prova, per avere la Corte d’appello, a fronte di un incendio che aveva provocato la distruzione della autovettura Mercedes, acquistata poco meno di due mesi prima, addossato sull’attore stesso l’onere di dimostrare le cause dell’incendio e la sussistenza di eventuali responsabilità in capo alle convenute, così disattendendo il principio secondo cui, all’esito dell’allegazione da parte del creditore dell’inadempimento, la prova dell’adempimento sarebbe dovuta ricadere sul convenuto.

Secondo l’istante, in conseguenza della tempestiva denuncia del vizio, quale prima anomalia manifestata dalla vettura sin dal suo acquisto, ai fini di far valere la garanzia, non poteva ricadere sull’acquirente garantito il difetto di prova idonea a dimostrare che il corto circuito fosse imputabile ad un guasto o ad un malfunzionamento intrinseco all’autovettura o piuttosto ad altre cause non ascrivibili al venditore, come invece aveva ritenuto la sentenza impugnata.

1.1.- La doglianza è infondata.

1.2.- In ordine alla ricostruzione del fatto, da cui è opportuno muovere in via preliminare, il Giudice del gravame ha disatteso la domanda di risoluzione per inadempimento del venditore (quale azione redibitoria ex art. 1492 c.c., proposta nell’ambito delle azioni edilizie spettanti all’acquirente in ordine alla garanzia dei vizi della cosa venduta), ritenendo che non fosse stata dimostrata, a cura dell’acquirente, la ricorrenza del vizio dell’autovettura, sicché il difetto di tale prova sarebbe ricaduto sull’acquirente stesso.

All’uopo, è stata considerata insufficiente la mera deduzione circa l’avvenuto incendio che ha distrutto l’autovettura, quale evento lesivo finale che avrebbe potuto essere imputato ad un vizio o a un difetto di conformità del mezzo, ma anche a cause estranee.

Ed, in merito, né le risultanze dell’accertamento effettuato dai Vigili del Fuoco – che avevano riferito di un corto circuito risalente all’impianto elettrico – né le risultanze dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio nel giudizio di prime cure – che avevano ricondotto l’incendio ad un pregresso urto del mezzo o ad un fatto doloso di terzi, il quale aveva gravemente danneggiato la sua parte anteriore – avrebbero avuto un peso decisivo nella ricostruzione della causa dell’incendio.

E quand’anche si fosse stimato, come è riportato nel verbale dei Vigili del Fuoco, che l’incendio si fosse sviluppato quale conseguenza di un corto circuito relativo all’impianto elettrico dell’autovettura, tale circostanza – ad avviso della Corte di merito – non sarebbe stata comunque necessariamente riconducibile ad un vizio o a un difetto di conformità del mezzo, in mancanza di alcuna allegazione e dimostrazione della sua ascrizione a simili causali.

In conclusione, in difetto di alcuna dimostrazione di vizi del mezzo, la pretesa garanzia per i vizi della cosa venduta ex art. 1490 e ss. c.c. è stata disattesa, addebitandosi all’acquirente la carenza probatoria denunciata.

1.3.- Tanto premesso, la Corte territoriale ha correttamente applicato il principio sulla ripartizione dell’onere probatorio nell’azione generale di garanzia per i vizi, spettante in ragione della conclusione di un contratto di vendita.

Ora, in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1218 del 17/01/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 34636 del 16/11/2021; Sez. 2, Sentenza n. 21258 del 05/10/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 16073 del 28/07/2020; Sez. 2, Sentenza n. 8199 del 27/04/2020; Sez. U, Sentenza n. 11748 del 03/05/2019).

Con la conseguenza che, in mancanza di tale dimostrazione, l’azione spiegata non può trovare seguito.

La Corte d’appello ha applicato tale principio, che era già stato affermato da questa Corte prima della citata sentenza delle Sezioni Unite (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18947 del 31/07/2017; Sez. 2, Sentenza n. 18125 del 26/07/2013; Sez. 2, Sentenza n. 13695 del 12/06/2007).

1.4.- Solo nella memoria integrativa il ricorrente richiama la speciale disciplina sulla ripartizione dell’onere probatorio nella vendita dei beni di consumo, senza che il motivo articolato nel ricorso si premuri di specificare alcuna lesione delle norme dedicate a tale tipologia di vendita.

È però prospettata la violazione della norma generale sulla distribuzione dell’onere probatorio.

Nondimeno, anche ove il caso sia inquadrato, sul piano sistematico, nell’alveo della vendita di beni di consumo, come in effetti avrebbe dovuto essere, le conclusioni cui può pervenirsi non sarebbero dissimili, in esito alle argomentazioni spese dalla sentenza impugnata.

1.4.1.- E ciò avuto riguardo al principio secondo cui il giudice nazionale, investito di una controversia cui si applica la Dir. n. 1999/44/CE (nella specie, si verte sulla garanzia che il venditore deve all’acquirente nel contesto di un contratto di vendita di un bene mobile materiale), è tenuto, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto o possa disporne su semplice domanda di chiarimenti, a verificare se l’acquirente possa essere qualificato come “consumatore’, anche se questi non ne abbia espressamente rivendicato la qualità.

Orbene, quanto al rapporto tra normativa codicistica e normativa speciale, in tema di vendita di beni di consumo, si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo (art. 128 e ss.), a fronte della deduzione di una fattispecie che rientri nelle relative previsioni (iura novit curia facta sunt probanda), potendosi applicare la disciplina del codice civile in materia di compravendita solo per quanto non previsto dalla normativa speciale, attesa la chiara preferenza del legislatore per la normativa speciale ed il conseguente ruolo “sussidiario” assegnato alla disciplina codicistica (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13148 del 30/06/2020; Sez. 3, Sentenza n. 14775 del 30/05/2019).

Questa conclusione è supportata, sul piano normativa: sia dal dettato dell’art. 135, secondo comma, cod. cons. – secondo il testo vigente ratione temporis, posto che il capo dedicato alla vendita di beni di consumo, di cui agli artt. 128-135 della disciplina consumeristica, risente, allo stato, delle modifiche apportate dall’art. 1, primo comma, del d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170, che, ai sensi del suo art. 2, primo comma, hanno efficacia a decorrere dal 10 gennaio 2022 -, il quale prevede che, in tema di contratto di vendita, le disposizioni del codice civile si applicano “per quanto non previsto dal presente titolo”; sia dal disposto dell’art. 1469-bis c.c., secondo cui le disposizioni del titolo secondo del libro quarto del codice civile, dedicato ai contratti in generale, si applicano ai contratti del consumatore “ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore”.

Senonché, nella motivazione della sentenza impugnata si fa riferimento ad un acquisto di automobile usata da un concessionario a una persona fisica per uso personale, sicché avrebbe dovuto trovare applicazione la speciale disciplina dettata per la vendita di beni di consumo – più favorevole al consumatore, nella prospettiva di sanare la fisiologica asimmetria che ricorre rispetto al professionista -, normativa applicabile d’ufficio dal giudice, in forza del brocardo latino da mihi ractum, dabo tibi ius.

Viceversa, nel caso di specie, la Corte di merito – in adesione all’impostazione della domanda introduttiva del giudizio – ha applicato le sole norme civilistiche in materia di vendita e non la disciplina relativa ai contratti di consumo, pur risultando dalla sentenza impugnata che l’autovettura era stata alienata da un operatore commerciale – recte una concessionaria di rivendita di autovetture usate – ad una persona fisica, che l’aveva acquistata per ragioni personali (non vi è, infatti, alcun riferimento all’uso professionale del mezzo acquistato).

Sarebbe stato, quindi, applicabile il codice del consumo, con particolare riferimento al regime probatorio agevolato in favore del consumatore, in quanto l’incendio si era manifestato entro sei mesi dalla consegna, nonostante l’attore non avesse evocato il corrispondente riferimento normativo.

Risulta, infatti, dalla sentenza impugnata che l’autovettura è stata acquistata e consegnata il 29 dicembre 2005 mentre, l’incendio si è verificato nella notte tra il 26 e il 27 febbraio 2006.

1.5.- In tal caso, ai sensi dell’art. 132, secondo e terzo comma, cod. cons. – secondo la versione vigente ratione temporis il Giudice del gravame avrebbe dovuto accertare se un vizio fosse stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e, trattandosi di vizio che asseritamente si era manifestato entro sei mesi dalla consegna, applicare la presunzione circa l’esistenza del difetto alla data della consegna, a meno che tale ipotesi fosse stata incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.

Siffatte previsioni si pongono in chiave sintonica: in primis, con l’art. 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/44, che deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una norma nazionale, la quale preveda che il consumatore, per usufruire dei diritti che gli spettano in forza di tale direttiva, debba denunciare tempestivamente al venditore il difetto di conformità, a condizione che tale consumatore, per procedere a detta denuncia, disponga di un termine non inferiore a due mesi a decorrere dalla data in cui ha constatato tale difetto, che la denuncia cui occorre procedere verta solo sull’esistenza di detto difetto e che essa non sia assoggettata a regole relative alla prova che rendano impossibile o eccessivamente difficile per il citato consumatore esercitare i propri diritti e, in secondo luogo, con l’art. 5, paragrafo 3, della Direttiva n. 44/99/CE – il quale prevede che, salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già, in linea di principio, al momento della consegna -, il quale deve essere interpretato nel senso che esso va considerato come una disposizione equivalente ad una disposizione nazionale, avente nel diritto interno rango di norma di ordine pubblico, e che il giudice nazionale è tenuto ad applicare d’ufficio qualsiasi disposizione che garantisca la sua trasposizione nel diritto interno.

1.6.- Alla luce di tale ricostruzione, resta fermo comunque che – anche ove fosse stata applicata la disciplina speciale sulla vendita dei beni di consumo -, in base alle argomentazioni rassegnate dalla sentenza impugnata, non vi sarebbero stati i presupposti per affermare la responsabilità del venditore.

E ciò benché si sia trattato di un fatto dannoso accaduto sul bene di consumo entro il termine semestrale dall’avvenuto acquisto.

Non risulta, infatti, che il consumatore abbia allegato e dimostrato uno specifico vizio (recte difetto di conformità), da cui era affetta l’autovettura. L’acquirente si è limitato a denunciare l’incendio accaduto, il quale costituisce un mero evento lesivo (recte un dato puramente effettuale), potenzialmente ascrivibile, sia a vizi o difetti di conformità del bene, sia a cause estranee.

Ma non ha denunciato alcun difetto di conformità del bene mobile acquistato, quale asserita causa scatenante dell’incendio, secondo la nozione di difetto di conformità che può trarsi dall’art. 129, secondo comma, cod. cons., sempre secondo la versione vigente ratione temporis.

Ed, in effetti, l’equivoco quadro probatorio raggiunto ha indotto il Giudice del gravame a ritenere che non vi fossero elementi sufficienti per ricondurre l’incendio a vizi dell’autovettura, piuttosto che a cause esterne, come un potenziale tamponamento subito dal mezzo, prima che l’incendio si sviluppasse, o l’azione dolosa di terzi.

Ancora, la sentenza d’appello ha puntualizzato che, anche ove si fosse condivisa la tesi dell’appellante sulla riconducibilità dell’incendio ad un corto circuito (circostanza, in realtà, scartata, alla stregua della non condivisione della valutazione apodittica contenuta nel verbale rilasciato dai Vigili del Fuoco intervenuti sul posto), in ogni caso, l’attore-appellante non aveva fornito alcuna prova idonea a dimostrare che il corto circuito fosse stato imputabile ad un guasto o ad un malfunzionamento intrinseco all’autovettura o piuttosto ad altre cause non ascrivibili al venditore.

Sicché è stato precisato, in primis, che anche il corto circuito è, invero, un evento indotto e non un difetto di conformità e, in secondo luogo, che la ricorrenza di tale corto circuito, ad ogni modo, non è stata provata.

Ora, con riferimento alla disciplina sulla ripartizione degli oneri probatori in caso di controversia che abbia ad oggetto la vendita di beni di consumo, fermo restando che, in linea di principio, è il consumatore ad essere gravato dall’onere di provare che nel bene ricevuto in consegna è presente e si è manifestato, entro i due anni successivi alla consegna stessa, un difetto di conformità e che questo difetto sussisteva sin dal momento in cui il bene gli era stato consegnato, l’art. 132, terzo comma, cod. cons. (in base al testo vigente ratione temporis) ha previsto, in chiave agevolativa di detto onere, che, allorché il difetto di conformità si sia manifestato entro il termine di soli sei mesi dalla consegna – nella disciplina successiva alla novella del 2021, non applicabile alla fattispecie ratione temporis, tale termine è stato esteso ad un anno – trovi applicazione la c.d. presunzione legale relativa di preesistenza del difetto, in forza della quale si presume che qualsiasi difetto di conformità che si manifesta entro sei mesi dal momento in cui il bene è stato consegnato esistesse già a tale data, a meno che siffatta ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.

Il che non toglie che, in ogni caso, il difetto di conformità debba essere allegato e dimostrato.

Tale conclusione vale anche in ordine alla fattispecie di vendita di autovettura usata da una concessionaria ad un consumatore (ossia ad una persona fisica che abbia acquistato l’automobile per uso personale), poiché, ai sensi degli artt. 128 e ss. del d.lgs. n. 206/2005, secondo la formulazione vigente ratione temporis, la specifica tutela riconosciuta al consumatore, in ordine alla responsabilità del venditore per qualsiasi difformità esistente al momento della consegna, presuppone che il consumatore quantomeno alleghi e provi il fatto da cui possa desumersi il difetto di conformità, allo scopo di vincere il meccanismo presuntivo iuris tantum delineato dall’art. 129, secondo comma, cod. cors.

Inoltre, tale orientamento è suffragato dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, secondo cui la presunzione di esistenza, al momento della consegna del bene, del difetto di conformità – di cui all’art. 5, paragrafo 3, della Dir. UE 1999/44 (corrispondente al dettato dell’art. 132, terzo comma, cod. cons. vigente ratione temporis) – deve essere interpretata nel senso che:

a) si applica quando il consumatore fornisce la prova che il bene venduto non è conforme al contratto e che il difetto di conformità in questione si è manifestato, ossia si è palesato concretamente, entro il termine di sei mesi dalla consegna del bene, non essendo, in tal caso, il consumatore tenuto a dimostrare la causa di tale difetto di conformità, né a provare che la sua origine è imputabile al venditore;

b) può essere disapplicata solo se il venditore prova in maniera giuridicamente sufficiente che la causa o l’origine del difetto di conformità risiede in una circostanza sopravvenuta alla consegna del bene (Corte di Giustizia UE 4 giugno 2015, in causa C-497/13, Froukje Faber c. Autobedrijf Hazet Ochten BV).

L’agevolazione probatoria di cui all’art. 132, terzo comma, cod. cons., vigente ratione temporis, si materializza, dunque, nella presunzione legale relativa della preesistenza del difetto, sin dal momento della consegna, ma non esclude affatto che il difetto di conformità debba essere dedotto e provato (iuxta alligata et probata).

In altri termini, in tanto può presumersi che il difetto di conformità di un’autovettura, come – ad esempio – il fatto che uno sportello non si chiuda o la mancata emissione di aria fredda dal condizionatore o piuttosto un qualsiasi difetto dell’impianto elettrico, sussistesse al momento della consegna, in quanto si denunci lo specifico difetto entro sei mesi e si dimostri la sua ricorrenza, pur non essendovi l’onere di provare la causa del difetto e la sua imputazione all’alienante.

Non si può, invece, aderire all’indirizzo ormai superato, secondo cui è sufficiente che il compratore alleghi l’inesatto adempimento, ovvero denunci la presenza di vizi che rendano la cosa inidonea all’uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre è a carico del venditore, quale debitore di un’obbligazione di risultato ed in forza del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ne consegue che, solo ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore di dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 21927 del 21/09/2017; Sez. 2, Sentenza n. 20110 del 02/09/2013).

Alla stregua di tale excursus, e dando continuità ai precedenti di questa Corte che si sono pronunciati sul punto, si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data, sicché è onere del consumatore allegare – nonché provare – la sussistenza del vizio, senza doverne altresì dimostrare le cause e l’imputabilità al venditore.

Superato il suddetto termine, trova nuovamente applicazione la disciplina generale in materia di onere della prova posta dall’art. 2697 c.c., ossia dovrà essere data, a cura del compratore, anche la prova delle cause e della imputazione all’alienante (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3695 del 07/02/2022; Sez. 2, Sentenza n. 13148 del 30/06/2020).

Applicando tali dettami al caso di specie, il Giudice dell’appello ha dato atto che nessuna allegazione e dimostrazione del vizio dell’autovettura o di difetti di conformità è stata resa dal compratore, sicché, anche ove fosse stata applicata la disciplina sulla vendita dei beni di consumo, non vi sarebbero state le condizioni per riconoscere la responsabilità del venditore.

2.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., in materia di fede privilegiata degli atti compiuti dal pubblico ufficiale, per avere la Corte territoriale disatteso le risultanze dell’accertamento effettuato dai Vigili del Fuoco, avente valore probatorio privilegiato, quanto alle cause dell’insorgenza dell’incendio.

Secondo l’istante, tale accertamento avrebbe rilevato che l’incendio era dipeso da un corto circuito di natura elettrica e avrebbe lasciato appositamente in bianco lo spazio dedicato alla constatazione dell’imputabilità della causa del sinistro a un’azione dolosa, il che avrebbe costituito una circostanza attestata, in quanto avvenuta in presenza dei pubblici ufficiali.

2.1.- Il motivo è infondato.

Infatti, la ricostruzione delle possibili cause dell’incendio ricade tra gli aspetti valutativi, che non fanno piena prova fino a querela di falso.

Al riguardo, deve essere confermato il consolidato principio in forza del quale il verbale di accertamento del pubblico ufficiale fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti e alle valutazioni del verbalizzante, né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (Cass.14 Sez. L, Sentenza n. 23800 del 07/11/2014; Sez. 2, Sentenza n. 25842 del 27/10/2008).

In altri termini, nel processo civile, l’atto pubblico va annoverato tra le prove legali, per quel che riguarda l’ “estrinseco”, ovvero per tutte le attività avvenute alla presenza del pubblico ufficiale, incluso l’avvenuto rilascio di dichiarazioni, non per l’ “intrinseco”, cioè per la veridicità del contenuto delle dichiarazioni rese ovvero delle valutazioni espresse.

Nella fattispecie l’attendibilità intrinseca della valutazione sulle ragioni dell’insorgenza dell’incendio (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20025 del 06/10/2016; Sez. 2, Sentenza n. 15108 del 22/06/2010; Sez. 3, Sentenza n. 22662 del 09/09/2008) è stata infirmata dal Giudice del gravame, sia alla stregua della carenza di alcun riferimento a specifiche indagini svolte dai Vigili del Fuoco per giungere a tale esito, sia alla luce della comparazione con le diverse risultanze della svolta consulenza tecnica d’ufficio.

3.- Con il terzo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., della violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in materia di disponibilità delle prove, per avere la Corte di merito attribuito un rilievo marginale (e, dunque, per non aver “prestato maggiore attenzione”) alla scheda tecnica prodotta dalla terza chiamata (OMISSIS), attestante gli interventi eseguiti sulla Mercedes in data 22 marzo 2005, cioè prima del perfezionamento della vendita in favore della (OMISSIS) Motori, nonché alla fattura del 31 maggio 2005, emessa da (OMISSIS) verso (OMISSIS), da cui sarebbe risultata l’esecuzione sulla vettura di interventi sia al motore che alla carrozzeria, con la sistemazione del cofano, del paraurti anteriore e posteriore e anche della parte elettrica.

Cosicché, ad avviso del ricorrente, i danni cui si riferiva la consulenza tecnica d’ufficio sarebbero stati imputabili a un urto avvenuto in epoca antecedente alla vendita in favore dell'(OMISSIS).

3.1.- La critica è priva di pregio.

E ciò perché attraverso tale critica si imputa al giudice di merito di avere commesso un errore valutativo sulla prova documentale, che avrebbe avuto un peso – peraltro non dirimente – nella ricostruzione del nesso eziologico.

Ossia si sostiene che, ove il giudice avesse attribuito la giusta rilevanza a tali documenti, sarebbe potuto giungere a conclusioni diverse sull’individuazione delle cause dell’incendio della vettura.

Sicché il contenuto di tali documenti non avrebbe avuto comunque una valenza decisiva, ma avrebbe potuto indirizzare verso diverse conclusioni, unitamente agli altri riscontri probatori, e segnatamente avrebbe potuto permettere una diversa lettura delle risultanze peritali.

Senonché il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

A fortiori non è integrata alcuna violazione dell’art. :L15 c.p.c., posto che, in tema di ricorso per cassazione, l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa (o meno) del fatto che si intende provare – non è mai sindacabile nel giudizio di legittimità, mentre solo l’errore di percezione – non dedotto nella fattispecie -, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 115 del medesimo codice, il quale vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7187 del 04/03/2022; Sez. L, Sentenza n. 27033 del 24/10/2018).

4.- Il quarto motivo investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

Secondo l’istante, la Corte territoriale avrebbe omesso di verificare, e conseguentemente di valutare, la ragione per la quale una vettura Mercedes, pur di nuova fabbricazione, perché immatricolata per la prima volta in data 8 aprile 2002, fosse stata sottoposta a revisione generale o meglio ad un intervento di riparazione generale nel marzo 2005.

4.1.- La critica è infondata.

E tanto perché il fatto storico la cui ponderazione è stata asseritamente omessa, secondo la stessa ricostruzione del ricorrente, non ha una portata dirimente, sicché non si tratta di fatto decisivo. Il fatto che un veicolo di nuova fabbricazione, perché immatricolato per la prima volta in data 8 aprile 2002, sia stato sottoposto a revisione generale o meglio ad un intervento di riparazione generale nel marzo 2005 non costituisce elemento concludente ai fini di una diversa ricostruzione del nesso causale.

5.- Il quinto motivo, sebbene non separatamente articolato come autonomo motivo, prospetta l’indebita disposizione della condanna alle spese anche nei confronti del terzo chiamato.

In ordine ai termini in cui è stato formulato, deve intendersi, per l’effetto, che l’istante abbia inteso censurare la violazione dell’art. 91 c.p.c., con riferimento alla regolamentazione delle spese di lite.

5.1.- La censura è infondata.

La sentenza d’appello ha argomentato correttamente le ragioni per le quali anche le spese legali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dovessero essere poste a carico dell’attore, avendo appunto evidenziato che la chiamata in garanzia non era “pretestuosa”, cosicché, ove la domanda principale fosse stata fondata, sarebbe stata accolta anche la domanda di manleva proposta dalla società convenuta verso la società terza chiamata.

Ora, in forza del principio di causazione – che, unitamente a quello di soccombenza, regola il riparto delle spese di lite – il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, qualora la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto, nei confronti del terzo, alcuna domanda; il rimborso rimane, invece, a carico della parte che ha chiamato o fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante, rivelatasi manifestamente infondata o palesemente arbitraria, concreti un esercizio abusivo del diritto di difesa (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 18710 del 01/07/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 31889 del 06/12/2019; Sez. 2, Sentenza n. 23948 del 25/09/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 23123 del 17/09/2019).

Questa ultima ipotesi, per quanto anzidetto, non ricorre nella fattispecie.

6.- Alle considerazioni innanzi espresse consegue il rigetto del ricorso.

La regolamentazione dei compensi di lite segue il principio di soccombenza e la correlata liquidazione avviene come in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.300,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 1° giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.