REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Francesco Maria CIAMPI – Presidente –
Dott. Donatella FERRANTI – Consigliere –
Dott. Eugenia SERRAO – Consigliere –
Dott. Attilio MARI – Rel. Consigliere –
Dott. Daniela DAWAN – Consigliere –
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
(OMISSIS) (OMISSIS) nato in (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza in data 08/02/2022 della Corte d’appello di L’Aquila;
letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Attilio Mari;
lette le conclusioni scritte del PG
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la sentenza emessa il 29/10/2018 dal Tribunale di L’Aquila, con la quale (OMISSIS) (OMISSIS) era stato giudicato responsabile del reato previsto dagli artt. 76, 79 e 125, seconda preposizione, del T.U. emesso con d.P.R. 30 maggio 2002, n.115; commesso per avere, nel procedimento civile n. 207/2018 R.G., pendente di fronte al Giudice di pace di (OMISSIS) dichiarato un reddito familiare complessivo di € 1.706,00, omettendo di comunicare di aver percepito nel 2016 un reddito familiare totale di € 13.014,94, superiore al limite massimo previsto per l’ammissione al beneficio; e quindi condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, alle pena di anni uno di reclusione ed € 309,87, con applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinata allo svolgimento di attività lavorativa non retribuita in favore del Comune di (OMISSIS) per un periodo di dieci giorni.
In motivazione, la Corte ha rilevato che la documentazione acquisita rilevava la falsità dell’autocertificazione contenuta nell’istanza di ammissione al patrocinio in quanto il reddito conseguito dal nucleo familiare dell’imputato era superiore al limite applicabile ratione temporis e pari a € 11.528,41; ha rilevato che l’istanza, presentata il 18/10/2017, faceva necessariamente riferimento al reddito percepito nell’anno precedente, non essendo possibile operare una quantificazione del reddito complessivo per l’anno ancora in corso; ha altresì rilevato la non applicabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art.131-bis cod.pen., non ravvisandosi il dato oggettivo della tenuità del fatto.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) (OMISSIS) proponendo due motivi di impugnazione, il primo dei quali articolato in due punti.
Con il primo motivo ha dedotto l’erronea applicazione della legge penale nonché la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in riferimento all’art.606, comma 1, lett.c) ed e), cod.proc.pen.; ha dedotto che la Corte territoriale non avrebbe preso in adeguata considerazione il dato relativo alla particolare procedura per l’ammissione al gratuito patrocinio prescritta di fronte al giudice civile, che non risultava perfezionato il necessario elemento soggettivo e che la consistenza complessiva del reddito era stata dedotta sulla base di informazioni parziali e incomplete senza un adeguato vaglio istruttorio anche in riferimento all’effettiva composizione della famiglia anagrafica dell’istante, con conseguente incertezza sul presupposto legale della convivenza.
Con il secondo punto del primo motivo di impugnazione, il ricorrente ha chiesto la derubricazione del fatto nell’ipotesi prevista dal comma 1 dell’art.125 del d.P.R. n.115/2002, richiedendo conseguentemente l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art.131-bis cod.pen.; ha dedotto come l’ammissione al patrocinio era stata revocata, a seguito dei controlli, solo dopo alcuni mesi, non risultando quindi nessun effettivo danno nei confronti dell’Erario, con conseguente carenza di offensività della condotta; ha dedotto che sussistevano gli elementi rappresentati dalla non abitualità del comportamento e dal limite di pena; in via ulteriormente subordinata ha chiesto l’applicazione del minimo della pena, ritenendo eccessivamente punitiva la sanzione irrogata.
Con il secondo motivo di impugnazione, il ricorrente ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 175 cod.pen. (rectius, 165 cod.pen.), per avere la sentenza subordinato la sospensione condizionale della pena allo svolgimento di lavori di pubblica utilità contrariamente alla richiesta del difensore.
3. Il Procuratore generale ha fatto pervenire requisitoria scritta nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo punto del primo motivo di impugnazione è manifestamente inammissibile sotto il profilo del difetto del necessario presupposto della specificità intrinsica.
A tale proposito, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che deve considerarsi inammissibile, per genericità dei motivi, il ricorso per cassazione che renda le ragioni dell’impugnazione incomprensibili a causa della tecnica espositiva, caratterizzata da una pluralità di questioni eccentriche, tali da rendere l’illustrazione dei motivi ridonante e caotica senza consentire un ordinato inquadramento delle ragioni di doglianza nella griglia dei vizi di legittimità deducibili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 57737 del 20/09/2018, Obambi Rv. 274471; Sez. 2, n. 29607 del 14/05/2019, Castaldo, Rv. 276748).
Nel caso di specie, quindi, l’esposizione del motivo fa riferimento cumulativo a deduzioni inerenti all’elemento soggettivo e ad altre inerenti all’effettiva concretizzazione dei presupposti alla base dell’elemento oggettivo, ponendo quindi questioni differenti e eccentriche senza alcun adeguato inquadramento delle effettive ragioni di doglianza richiamate in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen..
3. Anche il secondo punto del motivo di impugnazione, attinente alla mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art.131-bis cod.pen., è inammissibile per difetto di specificità.
Va quindi premesso che è infondata la richiesta finalizzata a ottenere la derubricazione del fatto sotto la specie dell’ipotesi base prevista dall’art.125 del d.P.R. n.115/2002; atteso che, sulla base delle disposizioni contenute negli artt. 126 e 127 del T.U. relativo, il provvedimento di accoglimento dell’istanza emesso – come nel caso di specie – dal competente Consiglio dell’Ordine, ha valore di ammissione al beneficio, essendo prevista l’eventuale riproposizione dell’istanza al giudice procedente nel solo caso di provvedimento di rigetto o di inammissibilità. Ciò posto, come rilevato da Sez.un., 25/2/2016, n.13681, Tushaj, Rv. 266590-01, deve rilevarsi che il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori, ovvero le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza.
Da ciò consegue che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133, comma 1, cod.pen.; si richiede, in particolare, una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto, tanto sul fondamentale rilievo che il disvalore penale del fatto, per assegnare allo stesso l’attributo della particolare tenuità, dipende dalla concreta manifestazione del reato, che ne segna perciò il disvalore.
Nel pervenire a tale conclusione, le Sezioni Unite hanno ritenuto illuminante il riferimento testuale, contenuto nell’art. 131-bis cod. pen., alle modalità della condotta, segno che la nuova normativa non si interessa tanto della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, anche in considerazione delle componenti soggettive della condotta stessa, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena.
In altri termini, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità, occorre avere riguardo, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, al fatto storico, alla situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall’agente perché non è in questione la conformità del fatto al tipo (la causa di non punibilità presuppone l’esistenza di un fatto conforme al tipo ed offensivo ma il cui grado di offesa sia particolarmente tenue tanto da non richiedere necessità di pena), bensì l’entità del suo complessivo disvalore e questo spiega il riferimento alla connotazione storica della condotta nella sua componente oggettiva e soggettiva.
La necessità di compiere questa complessa valutazione alla luce dell’art.133, comma 1, cod. pen. mette in campo, oltre alle caratteristiche dell’azione e alla gravità del danno o del pericolo, anche l’intensità del dolo e il grado della colpa, per cui essendo richiesta, nell’ottica delle Sezioni Unite, la ponderazione della colpevolezza in termini di esiguità e quindi la sua graduazione, è del tutto naturale che il giudice sia chiamato ad un apprezzamento di tutte le rilevanti contingenze che caratterizzano ciascuna vicenda concreta ed in specie di quelle afferenti alla condotta; ed anche riguardo alla ponderazione dell’entità del danno o del pericolo occorre compiere una valutazione mirata sulla manifestazione del reato, sulle sue conseguenze, sicché l’esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza. E potrà ben accadere che si sia in presenza di elementi di giudizio di segno opposto da soppesare e bilanciare prudentemente, fermo restando che la valutazione debba essere ancorata ad elementi connotanti il caso concreto.
Da tale premessa deriva come la particolare tenuità dell’offesa costituisca la risultante della positiva valutazione tanto delle modalità della condotta nella sua componente oggettiva (avuto riguardo alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e ad ogni altra modalità dell’azione secondo quanto prevede l’art.133, comma 1, n. 1 cod. pen.) e nella sua componente soggettiva (avuto riguardo all’intensità del dolo o al grado della colpa secondo quanto prevede l’art. 133, comma 1, n. 3 cod. pen.), quanto del danno o del pericolo (avuto riguardo all’entità del danno o del pericolo cagionato secondo quanto prevede l’art. 133, comma 1, n. 2 cod. pen.).
Anche se all’interno di ogni indicatore il giudice sarà chiamato a operare un bilanciamento tra i vari elementi del caso concreto (riferito all’episodio della vita e alle specifiche e singolari forme di manifestazione del reato, che ovviamente variano da caso a caso pure in presenza della violazione di una stessa norma penale), il giudizio finale di particolare tenuità dell’offesa postula necessariamente la positiva valutazione di tutte le componenti richieste per l’integrazione della fattispecie, sicché i criteri indicati nel primo comma dell’art. 131-bis cod. pen. sono cumulativi quanto al giudizio finale circa la particolare tenuità dell’offesa ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità e alternativi quanto al diniego, nel senso che l’applicazione della causa di non punibilità in questione è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi (infatti, secondo il tenore letterale dell’art. 131-bis cod. pen., nella parte del primo comma che qui interessa, la punibilità è esclusa quando, sia per le modalità della condotta che per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità).
Va quindi rilevato che il motivo di ricorso non si confronta in modo adeguato con le specifiche considerazioni spiegate dalla Corte territoriale, che ha valutato l’insussistenza di qualsiasi peculiarità idonea a essere valutata sotto il profilo previsto dall’art.131-bis cod.pen., attesa la non tenuità dell’offesa oltre che dell’intensità dell’elemento soggettivo; elemento, a propria volta, deducibile in presenza di un’ammissione al beneficio determinata sulla base della pressoché totale omissione della dichiarazione del reddito effettivamente percepito.
4. E’ altresì inammissibile il punto del motivo inerente alla determinazione concreta della pena, data la sua evidente genericità; atteso che i poteri discrezionali inerenti alla dosimetria della pena costituiscono esercizio di un potere valutativo riservato al giudice di merito, ove congruamente motivato anche alla stregua di alcuni soli dei parametri previsti dall’art.133 pen. senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri adoperati (Sez. 2, n. 10985 del 9/3/1988, Pelullo, Rv. 179693; Sez.5, n.33114 del 8/10/2020, Martinenghi, RV. 279838, in motivazione) e rilevando peraltro che, previo giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti, nel caso in esame la pena è stata determinata nel minimo edittale.
5. Il secondo motivo è parimenti inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Ciò in quanto il profilo di diritto relativo alla corretta applicazione dell’art.165 cod.pen. da parte del giudice di primo grado non era stato riproposto in sede di appello; difatti, dalla lettura degli artt.606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen. in combinato disposto con l’art.609, comma 1, cod. proc. pen., che limita la cognizione di questa Corte ai motivi di ricorso consentiti, si evince l’inammissibilità delle censure che non siano state, pur potendolo essere, sottoposte al giudice di appello, la cui pronuncia sarà inevitabilmente carente con riguardo ad esse (Sez. 5, n.28514 del 23/04/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577; Sez.2, n.40240 del 22/11/2006, Roccetti, Rv.235504; Sez.1, n.2176 del 20/12/1993, dep. 1994, Etzi, Rv.196414).
6. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 2 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2023.