La preordinazione del delitto non è mai premeditazione (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 19 settembre 2022, n. 34536).

REPUBBLICA ITALIANA

A NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIANI Vincenzo – Presidente –

Dott. CASA Filippo – Rel. Consigliere –

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere –

Dott. TALERICO Palma – Consigliere –

Dott. TOSCANI Eva – Consigliere –

ha pronunciato il seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

DI BIASE SAVERIO nato a BARLETTA il 25/11/19xx;

avverso la sentenza del 09/10/2020 della CORTE ASSISE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. GIANLUIGI PRATOLA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore presente avvocato CORRADO (OMISSIS) del foro di MILANO, in difesa del ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 4 marzo 2019, il G.i.p. del Tribunale di Cremona, in esito a rito abbreviato, condannava Saverio DI BIASE alla pena di trent’anni di reclusione, in quanto ritenuto responsabile dell’omicidio volontario di José Martin BARRIONUEVO DIAZ, aggravato dai futili motivi, dalla premeditazione e dalla recidiva, nonché dei reati connessi di porto in luogo pubblico e ricettazione di un’arma clandestina, fatti commessi in Pandino (CR) il 13 luglio 2018.

L’imputato veniva, inoltre, condannato alla pena accessoria di legge e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, con provvisionale immediatamente esecutiva.

Il fatto era accaduto nei pressi del bar “(OMISSIS) (OMISSIS)”, ubicato a Pandino, in via (OMISSIS), dove i Carabinieri della Compagnia di Crema, a seguito di segnalazione di omicidio, sopraggiungevano rinvenendo il corpo della vittima giacente in terra esanime, con perdite ematiche dal capo.

TERENZI Alessandra, presente sul posto, legata da relazione sentimentale con il BARRIONUEVO DIAZ, riferiva, nell’immediatezza, agli operanti che l’autore del delitto era il suo ex-convivente e collega di lavoro di entrambi Saverio DI BIASE, il quale aveva attirato lei e l’amante in quel luogo e aveva, poi, esploso alcuni colpi d’arma da fuoco all’indirizzo del peruviano, che, attinto alla testa, era subito stramazzato al suolo.

Il personale del 118 constatava il decesso dell’uomo per “ferita d’arma da fuoco con otorragia bilaterale”.

Il DI BIASE, del quale veniva bloccato un tentativo di fuga in auto e sventato un tentato suicidio, in sede di udienza di convalida del fermo ammetteva l’addebito, dichiarando di aver ucciso il BARRIONUEVO DIAZ “per orgoglio”, perché non poteva “lavorare con loro che mangiavano insieme e si baciavano sul luogo di lavoro”.

Il primo giudice, ritenuta raggiunta la prova di responsabilità dell’imputato per tutti i reati ascrittigli, argomentava in ordine alla riconosciuta sussistenza delle aggravanti della premeditazione, dei futili motivi e della recidiva, escludendo, per contro, l’attenuante della provocazione.

2. Con sentenza del 9 ottobre 2020, la Corte di Assise di appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, escludeva l’aggravante dei futili motivi, confermando nel resto la pronuncia medesima.

2.1. Dato atto che i temi proposti dalla difesa con i motivi di gravame afferivano esclusivamente al trattamento sanzionatorio, la Corte bresciana confutava, in primo luogo, il motivo concernente la mancata esclusione della circostanza aggravante della premeditazione.

Rilevava, anzitutto, la Corte di merito che non era posta in discussione la successione degli eventi che avevano scandito le varie fasi in cui si era articolato l’antefatto e che avevano visto l’imputato, dapprima, apprendere l’inaspettata notizia che fosse proprio l’amico e collega BARRIONUEVO DIAZ l’uomo con il quale la TERENZI intratteneva da tempo una relazione, poi trascorrere la notte in un hotel con la compagna Valentina CUSTODIO RICRAT, cui aveva confidato di essersi sentito tradito e offeso dall’amico, indi assumere la decisione di chiedere alla TERENZI un incontro chiarificatore con lei e con il peruviano, e, infine, presentarsi all’appuntamento armato di pistola con colpo in canna e con in tasca altri proiettili.

I descritti comportamenti assumevano indubbia rilevanza in punto di premeditazione, posto che essi denotavano chiaramente nell’imputato un risentimento e un desiderio di vendetta sempre più intensi ai danni della vittima, dando conto del substrato emotivo e psicologico che progressivamente ebbe ad animare il DI BIASE sino ad indurlo a progettare l’omicidio.

Valorizzando le dichiarazioni rese in sede di investigazioni difensive dalla CUSTODIO RICRAT, in correlazione con il narrato della TERENZI, i giudici dell’appello osservavano che, essendo stata considerata dall’imputato assolutamente insopportabile la presenza sul luogo di lavoro del BARRIONUEVO DIAZ, la decisione di proporgli di cambiare collocazione lavorativa, in quanto maturata già prima della telefonata delle ore 11.37 del 13 luglio con la quale il DI BIASE ebbe a concordare l’appuntamento con la TERENZI, era destinata ad armonizzarsi con la scelta del medesimo di prelevare da casa la pistola e i proiettili e di caricare l’arma in tempo utile per farsi trovare pronto quando la donna sarebbe passata a prenderlo per poi dirigersi con lui verso il luogo dell’appuntamento concordato con la vittima.

Irrilevante che fosse stata la TERENZI a scegliere il luogo dell’incontro, atteso che l’iniziativa era stata assunta dal DI BIASI ed era stata presa con sintomatica risolutezza, dal momento che quel giorno l’imputato non si recò al lavoro, né attese a casa la TERENZI, ma si precipitò a chiamarla sul posto di lavoro per chiederle un incontro chiarificatore al quale avrebbe dovuto essere presente anche BARRIONUEVO DIAZ.

Secondo la Corte bresciana, era fin troppo evidente che in quell’incontro non vi era più nulla da chiarire (posto che il DI BIASE aveva appreso dalla TERENZI della relazione da tempo intrattenuta con il sudamericano), sicché quanto comunicato alla donna doveva costituire la scusa per poter avvicinare il BARRIONUEVO DIAZ allo scopo di ucciderlo o, quanto meno, per subordinare l’omicidio al mancato (prevedibile) rifiuto da parte della vittima di cambiare luogo di lavoro.

Infatti, se il DI BIASE, ancor prima di telefonare alla TERENZI, aveva già maturato l’idea di proporre al BARRIONUEVO DIAZ di cambiare luogo di lavoro, era evidente che egli, nel momento in cui chiamò la TERENZI, avesse già deciso che quell’incontro sarebbe stato finalizzato a costringere la persona offesa a lasciare il luogo di lavoro.

E se per andare a tale appuntamento il DI BIASE si era armato per tempo di pistola già con un colpo in canna, era evidente che avesse messo in conto che, qualora il peruviano non avesse accettato la sua proposta, egli avrebbe utilizzato l’arma contro di lui, il che già bastava ad integrare l’aggravante della premeditazione, quanto meno, nella forma c.d. “condizionata”.

Non aveva pregio l’obiezione difensiva volta a far rilevare la mancata predisposizione, da parte dell’imputato, di un piano di fuga, dal momento che la premeditazione di un delitto non comportava necessariamente la preordinazione di tutte le cautele finalizzate ad ottenere pure l’impunità.

Andava, infine, considerato che l’ammissione resa dall’imputato con le parole “Io l’ho ucciso per orgoglio perché non potevo lavorare con loro che mangiavano insieme e si baciavano sul luogo di lavoro” ben si coniugava con l’immediatezza con la quale il DI BIASE ebbe ad estrarre la pistola e a sparare contro il BARRIONUEVO DIAZ, come riferito dalla TERENZI; anche tale immediatezza denotava come detta violenta reazione costituisse frutto di una risoluzione criminosa mantenuta sempre ferma e irrevocabile, sino a manifestarsi senza alcuna remora al semplice previsto rifiuto della vittima di lasciare il luogo di lavoro.

2.2. La Corte di Brescia osservava, poi, che l’esclusione della circostanza aggravante dei futili motivi non comportava, automaticamente, il riconoscimento dell’attenuante della provocazione, in quanto il riconoscimento della serietà o non banalità del movente sotteso alla condotta dell’agente in rapporto al comportamento oppositivo della vittima non equivaleva, di per sé, a qualificare quest’ultimo come ingiusto da punto di vista giuridico o sociale, né a far ritenere proporzionata la reazione aggressiva dell’agente per vincerlo.

2.3. Andava confermata la sussistenza della recidiva, tenuto conto del vero e proprio “salto di qualità” che l’omicidio aveva rappresentato rispetto ai precedenti reati di rapina e detenzione illegale di armi comuni da sparo.

Sebbene tale precedente risalisse a dodici anni prima, era, tuttavia, indubbio come l’imputato, nell’omicidio in discussione, avesse espresso una maggiore pericolosità, avendo mostrato una recrudescenza nel delitto contro la persona sempre più accentuata e allarmante.

2.4. Infondato era il motivo sul diniego delle circostanze attenuanti generiche.

L’estrema spregiudicatezza con la quale il DI BIASE, dopo un brevissimo scambio di battute, ebbe a freddare la vittima, esplodendole contro tre colpi d’arma da fuoco a distanza ravvicinata, tratteggiava in modo del tutto negativo la personalità dell’imputato, al punto da rendere assolutamente recessivi gli argomenti proposti dalla difesa a giustificazione delle invocate attenuanti.

D’altro canto, la detenzione di un’arma clandestina dimostrava in modo eloquente l’assenza di volontà del prevenuto di recidere in modo definitivo il legame con il proprio vissuto criminale.

Da ultimo, la Corte di merito rilevava come l’esclusione dell’aggravante dei futili motivi non comportasse alcuna modifica in meius della pena inflitta, stante la permanente sussistenza dell’aggravante della premeditazione che, di per sé, imponeva la pena dell’ergastolo.

3. Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore, sviluppando i seguenti quattro motivi.

3.1. Violazione della legge penale e travisamento della prova in relazione alla mancata esclusione della circostanza aggravante della premeditazione.

La Corte di Assise di appello aveva confuso gli elementi costitutivi della premeditazione con quelli sintomatici di una mera preordinazione, senza superare, peraltro, la soglia del ragionevole dubbio.

Lo stesso antefatto del delitto, ricostruito in modo incontestato, dimostrava l’assenza, nel caso di specie, dell’elemento cronologico dell’aggravante.

Tutti gli eventi, infatti, si erano verificati nell’arco di poche ore, dalle 11.30 alle 15.15 circa del giorno dell’omicidio, sicché il DI BIASE non aveva neppure avuto il tempo di progettare il delitto in ogni singola “sfaccettatura”.

Travisando le dichiarazioni rese dalla CUSTODIO RICRAT e dalla TERENZI, la Corte di merito aveva affermato che l’imputato ebbe a palesare a costoro l’intenzione di uccidere l’amico e collega.

La richiesta formulata dal DI BIASE affinché il BARRIONUEVO DIAZ cambiasse luogo di lavoro non era tanto indicativa di una personalità pericolosa, quanto, piuttosto, tipica di chi prende atto di una situazione spiacevole, cercando di individuare una soluzione ragionevole.

Costituiva una forzatura logica derivante da una travisante interpretazione delle evidenze processuali affermare che l’imputato, già la sera prima del fatto, avesse deciso di chiedere al rivale di cambiare sede di lavoro ed associare a questa decisione anche quella di ucciderlo se non avesse accettato la proposta.

Vi era, invece, la prova del contrario, atteso che il ricorrente si era procurato la pistola il giorno stesso dell’omicidio, poco prima dell’incontro con la persona offesa, come riferito dalla TERENZI.

Neppure il tempo trascorso tra l’invio del messaggio alla predetta e la consumazione del delitto poteva essere apprezzato a dimostrazione della contestata premeditazione, dal momento che il DI BIASE, salvo che nei minuti appena precedenti l’aggressione, aveva sempre tenuto un atteggiamento ‘passivo’, reagendo in modo violento solo quando ricevette una non preventivabile risposta negativa da parte della vittima alla richiesta di accettare il trasferimento in altra sede lavorativa e quando percepì un movimento del rivale come di chi stesse per afferrare un’arma.

La prospettazione difensiva, del resto, era confortata dalla giurisprudenza di legittimità (cita Sez. 1, n. 41405/2019), secondo la quale neanche l’intervallo di tempo di una notte tra decisione ed esecuzione poteva dimostrare con certezza la premeditazione, così come la predisposizione di un agguato poteva essere frutto di un’iniziativa estemporanea.

L’azione del DI BIASE, invece, era stata improvvisata, costituendo la conseguenza di una reazione istintiva maturata in una frenetica successione temporale.

Mancava, inoltre, diversamente da quanto affermato dalla Corte di Brescia, un rapporto di “necessarietà” logica tra il prelevamento dell’arma da parte dell’imputato poco prima di recarsi all’appuntamento con la vittima e la premeditazione del delitto.

Né vi era ragione di escludere la credibilità della giustificazione fornita dal DI BIASE, il quale riferì di aver portato con sé l’arma per eventuale difesa, essendo a conoscenza dell’indole violenta della vittima, e di averla poi usata per aver percepito un movimento sospetto da parte del peruviano e perché aveva perso la testa.

La pacifica ricostruzione dei fatti era ostativa anche alla ravvisabilità dell’elemento ideologico della premeditazione, tenuto conto:

a) che il DI BIASE aveva scoperto l’identità dell’amante solo la sera prima dell’omicidio;

b) che aveva trascorso la notte precedente il delitto con la compagna Valentina CUSTODIO RICRAT, senza esternare alcun intento omicida;

c) che aveva contattato la TERENZI solo la mattina dei fatti, chiedendole di potersi incontrare con lei e con la persona offesa;

d) che non aveva definito lui il luogo e l’orario dell’incontro;

e) che se avesse voluto uccidere il BARRIONUEVO DIAZ, lo avrebbe colpito direttamente alla testa e non al torace e avrebbe individuato tempo e luogo più appropriati per l’aggressione (non certo in pieno giorno e nelle vicinanze di un bar);

f) che era stato arrestato in una stazione di servizio, mentre riforniva l’auto di benzina, a dimostrazione del fatto che in nessun modo aveva messo in conto di doversi dare alla fuga e, quindi, di volere commettere un omicidio.

La Corte di merito, a pag. 13 della sentenza, aveva banalizzato quest’ultimo dato, osservando in modo illogico che la mancata pianificazione della fuga non escludeva la premeditazione, in quanto ben poteva premeditare un omicidio anche chi fosse rimasto sul luogo del delitto in attesa di essere arrestato.

Era vero il contrario: commettere un omicidio e poi tentare di fuggire, senza predisporre un minimale piano di fuga, equivaleva a dire che non si trattava di un omicidio premeditato, altrimenti l’agente avrebbe pianificato come sottrarsi con successo alla cattura.

A differenza di quanto affermato dalla Corte di secondo grado, gli elementi esposti dovevano considerarsi sintomatici dell’agire di un soggetto che non aveva voluto ideare ed eseguire un progetto criminoso di tale gravità.

Anche a voler inquadrare i fatti narrati alla stregua della ‘preordinazione’, essi non potevano essere stimati sufficienti a integrare l’aggravante della premeditazione, implicante il radicamento e la persistenza costante dell’intento criminoso, per un lasso di tempo apprezzabile, nella psiche dell’autore del reato.

3.2. Violazione della legge penale e vizio della motivazione in relazione alla conferma dell’entità della pena inflitta in primo grado, nonostante l’esclusione dell’aggravante dei futili motivi, e in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

La sentenza impugnata si era limitata a rilevare che, sussistendo altra aggravante che consentiva l’irrogazione della pena dell’ergastolo, la pena inflitta dal primo giudice andava confermata, senza minimamente interloquire sulla avvenuta esclusione dell’aggravante dei futili motivi, che avrebbe dovuto, al contrario, indurre una nuova e diversa valutazione del bilanciamento di aggravanti e attenuanti, o meglio giustificare la concessione delle attenuanti generiche.

Riguardo a queste ultime, la Corte di secondo grado non aveva tenuto conto dell’atteggiamento di immediato ravvedimento manifestato dall’imputato già pochi minuti dopo aver commesso l’omicidio nell’ammettere l’addebito dopo aver tentato il suicidio e nel dichiararsi profondamente pentito.

I giudici del gravame avevano confermato il diniego delle invocate attenuanti insistendo sulla particolare efferatezza del delitto senza, tuttavia, spiegare in cosa fosse consistita.

Inoltre, essi non avevano considerato il particolare stato emotivo in cui versava il DI BIASE.

3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della recidiva reiterata specifica.

In sede di appello, la difesa aveva evidenziato che i precedenti penali dell’imputato erano tutti risalenti nel tempo (l’ultimo risaliva a 12 anni prima della consumazione dell’omicidio), che i reati pregressi erano di tipologia diversa da quello sub iudice (reati contro il patrimonio) e che il DI BIASE aveva dato prova del proprio reinserimento sociale, attraverso una pluriennale attività lavorativa e la creazione di una famiglia.

La Corte di Brescia aveva trascurato gli elementi valorizzati dalla difesa, basando la propria statuizione su un raffronto astratto tra le precedenti condanne e i fatti oggetto del presente procedimento, ponendo l’accento sulla maggior gravità intrinsecamente connessa al reato di omicidio.

Così operando, la Corte di merito non solo aveva omesso qualsivoglia accertamento concreto in merito alla relazione tra i precedenti penali e il fatto più recente, ma neppure aveva individuato analiticamente le ragioni poste a sostegno del riconoscimento della recidiva reiterata e specifica.

3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla esclusione della circostanza attenuante della provocazione.

La Corte di Assise di appello aveva recepito pedissequamente le considerazioni del primo giudice, trascurando le doglianze difensive in merito alla prospettata sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della provocazione:

a) lo stato d’ira dell’imputato generato dalla coperta della relazione sentimentale tra il collega di lavoro e amico BARRIONUEVO DIAZ e la TERENZI;

b) il fatto ingiusto altrui rappresentato dalla condotta ingannevole del peruviano protrattasi nel tempo;

c) il rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione.

Doveva rilevarsi una contraddittorietà motivazionale tra la parte della decisione relativa all’esame della circostanza aggravante dei futili motivi e quella relativa all’attenuante in parola, con conseguente errore di diritto sui presupposti di applicabilità della provocazione.

La Corte territoriale aveva individuato la causa del delitto in un improvviso turbamento psichico “non banale”, originato dalla scoperta, fortuita e del tutto inaspettata, della relazione sentimentale che l’amico e collega di lavoro BARRIONUEVO DIAZ intratteneva da tempo e clandestinamente con la TERENZI.

Era indubbio che la clandestinità di detta relazione e, quindi, l’inganno prolungato nel tempo, integrassero un fatto connotato dal carattere dell’ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva inosservanza di norme sociali e morali regolanti l’ordinaria civile convivenza.

Tale dato fattuale, evidenziato nell’atto di appello, avrebbe dovuto essere valutato ai fini della sussistenza della provocazione, sia pure nella forma cd. per accumulo.

Tuttavia, i giudici dei due gradi di merito avevano motivato l’esclusione dell’attenuante concentrandosi esclusivamente sul rapporto tra l’imputato e la TERENZI, senza, quindi, esaminare, come avrebbero dovuto, il rilievo causale del comportamento ingannevole del BARRIONUEVO DIAZ alla luce del rapporto di amicizia e confidenza esistente con il DI BIASE.

4. È stata depositata memoria difensiva, che si ripropone di evidenziare e approfondire il tema della contraddittorietà degli argomenti svolti nella sentenza impugnata a conforto della ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va accolto limitatamente al motivo (il primo) dedotto sulla circostanza aggravante della premeditazione.

1.1. Come insegnato dal più autorevole Consesso, elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica), dovendosi escludere la suddetta aggravante solo quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione del reato (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci e altri, Rv. 241575; v. anche Sez. 5, n. 34016 del 9/4/2013, F., Rv. 256528; Sez. 5, n. 42576 del 3/6/2015, Procacci, Rv. 265149).

Quanto all’elemento di natura cronologica, in particolare, si è specificato che la consistenza minima dell’intervallo non può essere rigidamente quantificata in via generale e astratta: rileva in modo decisivo sul punto l’accertamento che tale lasso sia risultato in concreto sufficiente a far riflettere l’agente sulla grave decisione presa e a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere, per modo che egli – avendo avuto il tempo adeguato a permettergli di attivare la controspinta inibitoria della pulsione criminosa formatasi nel suo orizzonte volitivo, ma non essendosi avvalso di questa concreta possibilità di recedere dal suo proposito antisociale, mantenendolo ferma senza soluzione di continuità – si sia reso, in tal modo, responsabile di un comportamento più riprovevole e, quindi, più grave.

In presenza di un ristretto arco temporale tra l’insorgenza del proposito delittuoso e la sua attuazione, spetta al giudice il compito di valutare se, alla luce dei mezzi impiegati e delle modalità della condotta, tale lasso di tempo sia stato sufficiente a far riflettere l’agente sulla grave decisione adottata e a consentire l’attivazione di motivi inibitori di quelli a delinquere (Sez. 1, n. 574 del 9/7/2019, dep. 2020, R., Rv. 278492).

Va aggiunto, logicamente, che, quanto più è circoscritto l’arco temporale intercorso tra l’insorgenza nell’agente del proposito delittuoso e la sua attuazione, tanto più deve essere specifica l’individuazione e la dimostrazione degli altri indici sintomatici dell’avvenuta deliberazione del piano omicidiario e della ferma e pervicace volontà dell’agente stesso di portarla a termine, senza cedimenti (Sez. 1, n. 41405 del 16/5/2019, Rossi, Rv. 277136, in motivazione).

Si è, ulteriormente, precisato, sempre in tema di omicidio, che la mera “preordinazione” del delitto – intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a quest’ultima immediatamente precedente – non è sufficiente ad integrare l’aggravante della premeditazione, che, come detto, postula il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni ed opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive (Sez. 1, n. 5147 del 14/7/2015, dep. 2016, Scanni, Rv. 266205).

1.2. Ritiene il Collegio che, nel caso in esame, la Corte di merito non si sia conformata agli enunciati principi, con particolare riguardo all’elemento cronologico costitutivo dell’aggravante contestata.

Sull’accertamento del tempo di insorgenza del proposito omicida in capo all’imputato, la sentenza impugnata tradisce, invero: da un lato, una illogicità manifesta, perché sembra far coincidere tale momento con quello in cui il DI BIASE avrebbe richiesto esplicitamente al collega di cambiare luogo di lavoro, senza dar conto, sul piano logico, di tale supposta, ma non dimostrata, coincidenza; dall’altro, è inficiata da un vizio argomentativo in termini di “perplessità”, perché esprime incertezza sullo stesso momento di insorgenza di tale intenzione, ancorato, temporalmente, alla notte precedente l’omicidio, secondo le confidenze ricevute dalla nuova compagna Valentina CUSTODIO RICRAT, o alla prima mattina successiva, quando l’imputato accompagnò Valentina a lavoro, oppure ancora, alle ore 11.37 del 13 luglio, quando il DI BIASE comunicò telefonicamente ad Alessandra TERENZI la propria intenzione di incontrare lei e il suo nuovo compagno per proporre a quest’ultimo di allontanarsi dal luogo di lavoro comune.

La irrisolta incertezza motivazionale sul momento di insorgenza del proposito omicida dell’imputato, tenuto conto che, in ogni caso, detto momento non sarebbe mai collocabile prima della vigilia del giorno dell’omicidio (perché solo quel giorno DI BIASE scoprì il legame amoroso della sua ex compagna con il BARRIONUEVO, che provocò il suo turbamento emotivo), non consente di apprezzare, nella sua esatta consistenza, l’altro requisito della premeditazione, quello “ideologico”, e cioè se quel lasso di tempo sia stato sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione adottata e a consentire l’attivazione di motivi inibitori di quelli a delinquere.

Trattandosi, comunque, per quanto detto, di un arco temporale non così ampio (anzi, nell’ultima delle ipotesi formulate in sentenza, consistente in circa quattro ore), la Corte di merito avrebbe dovuto assolvere all’onere motivazionale ad essa incombente individuando in modo specifico gli altri indici sintomatici dell’avvenuta deliberazione del piano omicidiario e della ferma volontà dell’agente di portarla a termine, senza cedimenti.

Non può soccorrere all’uopo, come elemento sufficiente e dirimente, la valorizzata scelta dell’imputato di prendere da casa la pistola e i proiettili, nonché caricare l’arma in tempo utile per farsi trovare pronto quando la TERENZI sarebbe passata sotto l’abitazione per andare con lui a Pandino, dove insieme avrebbero incontrato il BARRIONUEVO.

Si tratta, infatti, di un elemento, di per sé, del tutto conciliabile anche con la mera “preordinazione” del delitto.

D’altra parte, in un diverso passaggio motivazionale (pag. 11), la stessa Corte territoriale sembra tradire la propria malcelata incertezza sulla effettiva sussistenza dell’aggravante in parola, laddove dà conto del substrato emotivo e psicologico che “progressivamente” ebbe ad animare l’imputato “sino ad indurlo a progettare l’omicidio”.

Nell’utilizzare un avverbio (progressivamente) e un termine verbale (progettare) che, per il loro corrente significato, sottendono lo svilupparsi di un percorso ideologico non brevissimo nella mente dell’imputato, i giudici dell’appello paiono alludere ad una maggiore estensione della frazione temporale prodromica alla deliberazione del delitto rispetto a quella attuativa della deliberazione, il che implica, necessariamente, una corrispondente riduzione e compressione del tempo utile ad attivare la controspinta inibitoria (elemento ideologico), con evidenti conseguenze sulla possibilità di configurare l’aggravante in parola.

Le rilevate incongruenze e incertezze motivazionali, in definitiva, impongono l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente all’aggravante della premeditazione nei suoi elementi cronologico e ideologico, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di Assise di Appello di Milano, competente ai sensi degli artt. 623, lett. c), cod. proc. pen. e 175 disp. att. cod. proc. pen.

2. Il ricorso del DI BIASE va, nel resto, complessivamente rigettato.

3. Infondato è il motivo con cui ci si duole dell’applicazione della circostanza aggravante della recidiva.

Va ricordato che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice” (fra molte, Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, Del Chicca, Rv. 270419).

La Corte di Brescia ha ravvisato l’aggravante ritenendo correttamente che, rispetto al precedente per rapina in concorso e detenzione illegale di armi, l’omicidio del BARRIONUEVO costituisse espressione di una maggiore pericolosità sociale, un vero e proprio “salto di qualità” nella scala dei reati contro la persona.

Non è fondato il rilievo difensivo, per cui i giudici di secondo grado non avrebbero tenuto conto dell’ampio intervallo temporale (dodici anni) che separava le due vicende delittuose in comparazione.

Tale intervallo è stato, viceversa, analizzato, tenendo conto della detenzione, da parte dell’imputato, in quell’intervallo, di un’arma clandestina, fatto che, non illogicamente, è stato apprezzato come dimostrativo di una sua perdurante frequentazione degli ambiti criminali, mai seriamente interrotta.

4. Aspecifico è il motivo sul diniego dell’attenuante della provocazione.

La Corte di Assise di Appello si è, anzitutto, conformata al principio affermato da questa Corte di legittimità, per cui l’esclusione della circostanza aggravante dei futili motivi non comporta automaticamente il riconoscimento dell’attenuante della provocazione, giacché il riconoscimento della serietà del movente sotteso alla condotta dell’agente in rapporto al comportamento oppositivo della vittima non equivale di per sé a qualificare quest’ultimo come ingiusto dal punto di vista giuridico o sociale, né a far ritenere proporzionata la reazione aggressiva dell’agente per vincerlo (Sez. 1, n. 30707 del 21/5/2019, Djedje Meles, Rv. 276407).

La Corte di merito, in piena sintonia con il primo giudice, ha, poi, ribadito che, nel caso di specie, non poteva ravvisarsi alcun “fatto ingiusto altrui”, tale da integrare l’invocata attenuante, in quanto:

a) fra il DI BIASE e la TERENZI non vi era alcun rapporto di coniugio;

b) il perdurare della loro convivenza era solo apparente e imposto, sembra, dallo stesso imputato;

c) le relazioni sentimentali reciproche erano note;

d) la vittima non aveva alcun ‘dovere’ di palesarsi con lui per la frequentazione della TERENZI.

Aggiungono i giudici del gravame che non poteva rilevare, ai fini dell’integrazione dell’attenuante, la percezione “soggettiva” da parte del DI BIASE di avvertire il comportamento del BARRIONUEVO come un “tradimento” della loro amicizia (ciò che aveva giustificato l’esclusione dell’aggravante dei futili motivi), dovendo tenersi conto solo della sussistenza “obiettiva” del fatto ingiusto.

L’approdo dei giudici territoriali si rivela del tutto conforme all’insegnamento di questa Corte, per cui, ai fini della integrazione del “fatto ingiusto altrui”, costitutivo dell’attenuante della provocazione, è necessario che esso rivesta carattere di ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non valutate con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale (tra le più recenti, Sez. 5, n. 23031 del 3/3/2021, Tripoli, Rv. 281377).

Il ricorso insiste nel proporre la propria tesi sulla “percepita” ingiustizia del fatto, non misurandosi con le corrette argomentazioni svolte nella sentenza impugnata.

5. Manifestamente infondato è il motivo sul trattamento sanzionatorio.

Con ineccepibile argomentare la Corte distrettuale ha escluso che, venuta meno l’aggravante dei futili motivi, l’imputato avesse diritto a una riduzione del trattamento sanzionatorio, essendo stata confermata l’ulteriore aggravante della premeditazione, di per sé implicante la pena dell’ergastolo; ciò impregiudicato l’esito del disposto pregiudizio rese sugli eventuali effetti sul trattamento sanzionatorio.

Sviluppata sul piano del merito è la censura attinente al confermato diniego delle attenuanti generiche, logicamente ancorato alle modalità del fatto, denuncianti particolare freddezza ed estrema spregiudicatezza, indicative di un’allarmante personalità criminale, e all’acclarato possesso di un’arma clandestina, evocante il persistente collegamento dell’imputato con circuiti criminali; a fronte di tali eloquenti indicatori, del tutto recessive sono state considerate, con iter argomentativo plausibile, l’alterazione emotiva in cui versava l’imputato, poiché derivante da sentimenti di odio e vendetta nei confronti della vittima, e le dichiarazioni di pentimento esternate dal predetto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante della premeditazione e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di Assise di Appello di Milano.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 1° aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

________//

In relazione al fatto di cronaca, si omette l’oscuramento delle persone coinvolte nella Sentenza, ut supra, in quanto facente parte al “diritto di cronaca”

Dal sito CremaNew.it; Pandino, 13 luglio 2018

Morto ammazzato in mezzo alla strada. Un peruviano di 43 anni è stato giustiziato da un uomo di Agnadello oggi pomeriggio alle 15:30 a Pandino. Sembra che l’uomo avesse avuto un appuntamento dall’italiano. Il peruviano conviveva con l’ex e moglie dell’italiano. Al colloquio doveva essere presente anche la ragazza. Quando l’italiano è arrivato e ha visto il peruviano ha estratta una pistola e ha sparato tre colpi uno a bruciapelo al collo che è risultato fatale. La sparatoria ha avuto dei testimoni, in particolare una donna anziana che, visto l’uomo cadere a terra dopo aver sentito i colpi, si è precipitata verso la vittima e ha tentato di rianimarla in attesa dei soccorsi. Quando sono arrivati i soccorritori, uomo era in fin di vita. È stato anche fatto alzare un elicottero da Milano ma è stato quasi subito fatto rientrare perché la vittima è deceduta. Sul posto, in via Fontana nei pressi del ristorante cinese Il giardino di Wang sono arrivate le forze dell’ordine polizia e carabinieri che hanno immediatamente chiuso la strada. È stata fatta venire anche una giudice, Elisa Saccaro, che ha coordinato le operazioni. Il cadavere è stato rimosso intorno alle 18. Per quanto riguarda l’assassino, è stato intercettato dalle forze dell’ordine intorno alle 17.30 a Caleppio di Settala ed è stato portato in caserma dove è stato interrogato.

I tre protagonisti della vicenda lavoravano tutti ad Agnadello, alla Stock house. L’assassino è l’ex marito della donna, nativa di Melzo. Quando si sono sposati sono andati ad abitare in paese, nei pressi del comune. Poi la storia è finita e la donna si è messa con il peruviano, che lavora anche lui nello stesso magazzino, che ha sede sulla Bergamina. L’intesa tra i due nuovi compagni è stata subito forte e ha scatenato la gelosia dell’ex marito che oggi avrebbe dato appuntamento ai due a Pandino e quando li ha visti nei pressi del ristorante, si è avvicinato in auto e ha abbassato il finestrino, ha estratto una pistola e ha sparato tre colpi, due ravvicinati, uccidendo il rivale.

La vittima è José Martin Barrionuevo Diaz.

L’arrestato con l’accusa di omicidio si chiama Saverino De Biasi

video
play-sharp-fill