La Procura di Trapani ricorre in Cassazione contro la decisione del GIP su intreccio politico mafioso. Rigettato (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 12 novembre 2019, n. 45898).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –

Dott. TRONCI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere –

Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE della REPUBBLICA presso il TRIBUNALE di PALERMO;

nel procedimento (OMISSIS);

C.V., nato l'(OMISSIS);

avverso l’ordinanza dell’11/04/2019 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO;

sentita la relazione svolta dal consigliere Andrea Tronci;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANIELLO Roberto, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza;

sentito il difensore, Avv. Franco Lo Sciuto, che ha insistito per la conferma dell’impugnata ordinanza.

Svolgimento del processo

1. L’ufficio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trapani impugna per cassazione l’ordinanza indicata in epigrafe, con cui il Tribunale distrettuale di Palermo, adito ai sensi dell’art. 309 del codice di rito, previa declaratoria d’incompetenza per territorio del G.i.p. del Tribunale di Trapani , ha annullato l’ordinanza emessa da detto giudice nei confronti di C.V., sottoposto alla misura degli arresti domiciliari in relazione ai reati di cui ai capi 22) e 29) della rubrica provvisoria – concorso in abuso d’ufficio e partecipazione alle associazioni per delinquere di cui all’art. 416 c.p., e L. 25 gennaio 1982 n. 17, art. 2, in presenza dell’avvenuta creazione di una struttura finalizzata alla commissione di delitti contro la P.A. ed altresì al condizionamento del “funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale nonché di apparati della pubblica amministrazione dello stato e degli enti locali” disponendo quindi la trasmissione degli atti alla Procura trapanese “per le sue determinazioni in ordine alla rilevata incompetenza territoriale”.

Tanto nell’ambito di una complessa indagine che ruota intorno alle condotte criminose contestate in via provvisoria a L.S.G., deputato dell’assemblea della regione Sicilia, ritenuto al centro di un complesso intreccio di relazioni criminali, finalizzato alla consumazione di vari reati contro la pubblica amministrazione – fra i quali l’abuso d’ufficio ipotizzato dal capo 22) – favoriti ed innestati su di una loggia massonica segreta operante in Castelvetrano, promossa dallo stesso L.S. per condizionare il funzionamento e l’indirizzo politico di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nonchè di apparati della pubblica amministrazione statale e degli enti locali.

2. Quattro sono i motivi attraverso cui si articola l’ampia impugnazione formalizzata dalla ricorrente parte pubblica.

2.1 Il primo di essi concerne la dedotta “inosservanza e erronea applicazione dell’art. 27 c.p.p., e art. 291 c.p.p., comma 2, nonchè contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione all’individuazione del locus commissi delicti”.

Premette la parte ricorrente la sussistenza del proprio interesse in proposito, senza che assuma rilievo in senso contrario la sentenza n. 32337/2010 di questa Corte, non ponendosi nella presente vicenda alcun problema legato alla “attivazione del meccanismo di conferma entro venti giorni ex art. 27 c.p.p.” – stante la ritenuta assenza, in uno alla competenza del G.i.p., dei presupposti di urgenza richiesti dal legislatore – con conseguente trasmissione degli atti non già all’ufficio reputato competente, bensì all’originario pubblico ministero procedente, per via degli effetti circoscritti della decisione qui impugnata.

Osserva quindi la parte medesima quanto segue. Vale a dire che erroneamente il Tribunale distrettuale della cautela avrebbe reputato commesso in (OMISSIS) il più grave delitto di peculato di cui al capo 8) della rubrica provvisoria, facendo riferimento all’erogazione al L.S. da parte della Regione Sicilia – avvenuta, appunto, nel capoluogo – del contributo a titolo di rimborso per le somme versate dal deputato regionale a favore di M.M.L., sua collaboratrice politica presso l’A.R.S.; per contro, si sarebbe dovuto correttamente individuare, ai fini della consumazione del reato, il momento ed il luogo in cui il deputato regionale assegnava le somme ricevute dalla Regione ad impieghi diversi da quelli a base dell’erogazione del denaro, dunque nel momento in cui il L.S. versava dette somme a A.G., marito della M., sulla scorta di un’istanza di rimborso corredata da giustificativi di spesa già sostenuti per un contratto di collaborazione in realtà del tutto fittizio: solo allora, infatti – giusta la tesi del ricorrente – il deputato regionale avrebbe distratto il denaro messogli a disposizione dalla Regione, imprimendogli una destinazione diversa da quella consentita.

Dopodiché, stante l’assenza di elementi identificativi del luogo di materiale consegna del denaro all’A., il Tribunale avrebbe dovuto determinare la competenza territoriale sulla scorta delle regole suppletive indicate dalla legge, cioè – secondo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte – nel luogo di consumazione, in via a mano a mano più gradata, del reato successivamente più grave fra gli altri connessi, nella specie quello di corruzione, commesso in Trapani, con conseguente radicamento presso l’A.G. di quel circondario della competenza per territorio.

2.2 Strettamente connesso al motivo testé illustrato è quello ulteriore, avente ad oggetto la “errata applicazione delle norme processuali penali sulla connessione, in relazione al delitto di tentata estorsione aggravata ipotizzato a carico di L.S.G.”: malamente, invero, il Tribunale palermitano avrebbe ritenuto avulso dal vincolo della connessione con gli altri illeciti rubricati nell’ordinanza cautelare l’anzidetto delitto di tentata estorsione, posto in essere in danno dell’allora direttore generale dell’Azienda Sanitaria Provinciale di (OMISSIS) e parimenti commesso in quel capoluogo, da ritenersi “certamente il reato più grave fra quelli commessi”.

2.3 Il terzo motivo di doglianza concerne la denunciata “mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, con riferimento alla ritenuta insussistenza della gravità indiziaria ex art. 273 c.p.p., in relazione al capo 22)”, che attiene all’indebito interessamento posto in essere dal C., vice-sindaco pro tempore del comune di Castelvetrano, a seguito di sollecitazione proveniente da O.R., già responsabile del Centro Medico Legale presso l’I.N.P.S. di (OMISSIS), in funzione dell’esito favorevole della pratica di sanatoria edilizia avviata dai titolari dell’esercizio commerciale (OMISSIS), suoceri di B.A., collega di lavoro dell’ O. e legata allo stesso da una relazione sentimentale.

A fronte della ritenuta assenza, da parte del Tribunale distrettuale, della prescritta gravità indiziaria – in assenza di accertamenti sulla illegittimità della conseguita concessione in sanatoria; non risultando se la pratica di cui trattasi avesse effettivamente goduto di un “canale privilegiato” di trattazione, dal punto di vista temporale, nè se fosse stata imposta, in attesa dell’esito dell’iter procedurale, la chiusura dell’esercizio commerciale, ritenuta anzi ragionevolmente da escludersi – assume il ricorrente Ufficio del pubblico ministero che contraddittoriamente sarebbe stata posta in discussione l’indebita attivazione di un “canale privilegiato” a beneficio della pratica in questione, stante il riconoscimento, compiuto dalla stessa ordinanza impugnata, dell’effettività dell’interessamento del C., nella fattispecie portatore di un interesse di tipo privato e quindi tenuto ad astenersi. Non senza aggiungere l’indebita pretesa, da parte del Tribunale, di una soglia indiziaria ben superiore alla “gravità” prescritta dall’art. 273 c.p.p., “alternativa” alla prova richiesta ‘al di là di ogni ragionevole dubbio, necessaria invece per la condanna all’esito del giudizio, tanto più che si evidenzia aver confermato, altra ordinanza dello stesso Tribunale del riesame, la gravità indiziaria del compendio relativo al reato in questione, nei confronti del menzionato O.R..

2.4 Eguale vizio di motivazione viene dedotto in relazione all’addebito associativo di cui al capo 29) dell’imputazione provvisoria.

Si assume in proposito che del tutto irragionevolmente il Tribunale avrebbe escluso l’esistenza dell’ipotizzato sodalizio criminoso in ragione del fatto che talune conversazioni intercettate darebbero prova che l’intervento del L.S. – come leggesi nell’ordinanza impugnata – fosse “funzionale a rafforzare il suo bacino di voti attraverso una politica clientelare e non già, come sostenuto dalla pubblica accusa, a imporre uomini di fiducia in posti delle istituzioni al fine di condizionarne l’operato”: ciò in quanto il detto giudice avrebbe in tal modo soffermato la propria attenzione unicamente sulle conversazioni relative alla massoneria, dimenticando che l’illecito ipotizzato è quello previsto e punito dall’art. 416 c.p., in funzione della commissione di reati contro la P.A., quale sintomaticamente quello di cui al capo 22), del tutto pretermesso dal Tribunale.

D’altro canto – si prosegue – la stessa nomina del C. a vice-sindaco sarebbe da ricondursi allo “interessamento” del L.S., mentre, per altro verso, la pretesa scarsa significatività delle cariche ricoperte dai soggetti asseritamente coinvolti nel sodalizio criminoso deve apprezzarsi come “inversamente proporzionale alla grandezza del contesto territoriale” nel quale lo stesso opera: a significare, cioè, che in un comune delle dimensioni di (OMISSIS) “anche incarichi aventi portata locale sono idonei a condizionare le scelte del territorio di riferimento”, come appunto nel caso di specie, in cui si assume essere stato “garantito in maniera efficiente” il controllo del territorio, al di là della “atomistica” valutazione del materiale probatorio ad opera del Tribunale.

Quanto poi alla denegata finalità sovversiva dell’associazione di cui trattasi, osserva il ricorrente come detto elemento sia estraneo alla struttura della fattispecie ascritta, laddove “ciò che si imputa (è) che, attraverso il complesso delle condotte contestate, vi è stata la volontà di influenza(re) il buon andamento delle istituzioni locali anche per piegare gli enti locali a propri interessi”.

Irrilevante sarebbe poi che il L.S. abbia in tal modo inteso coltivare precipuamente lo scopo di alimentare il proprio bacino di voti, assumendo valore solo la circostanza che detto scopo sia stato perseguito “attraverso l’accordo di commettere reati contro la pubblica amministrazione”, come esplicitato dalla conversazione dell’8 gennaio 2016, di cui è trascritto il passaggio a tal fine saliente: conversazione del tutto tralasciata dal Tribunale, al pari di altra, egualmente riportata nell’informativa di reato ed anch’essa riprodotta nella parte qui d’importanza, come pure della documentazione versata dal pubblico ministero in sede d’udienza innanzi al giudice del riesame.

Motivi della decisione

1. Reputa il Collegio di dover rigettare l’illustrato ricorso, alla stregua delle ragioni esposte nel prosieguo della presente motivazione.

2. In linea generale, è noto che, a mente dell’art. 22 c.p.p., comma 1, l’ordinanza con cui, nel corso delle indagini preliminari, il giudice riconosca la propria incompetenza e disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero, ha carattere inoppugnabile, in conformità a quanto statuito in proposito dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sola eccezione dell’abnormità di detta ordinanza (cfr. Sez. U., sent. n. 42030 del 17.07.2014, PM in proc. Giuliano e altri, Rv. 260242).

In particolare, la decisione del giudice delle indagini preliminari che, richiesto dal pubblico ministero procedente dell’adozione di una misura cautelare, ritenga altra A.G. territorialmente competente a provvedere, in ossequio alla previsione dettata dall’art. 291 c.p.p. – ai sensi del quale l’istanza di cui trattasi è appunto presentata dal pubblico ministero “al giudice competente” – non riveste alcuna efficacia vincolante nei confronti del titolare delle indagini presso l’Ufficio dichiarato incompetente, che pertanto ben potrà continuare a svolgere le proprie investigazioni, salva solo la preclusione rispetto ad una eventuale domanda di altro provvedimento cautelare. Il che vale anche per l’ipotesi in cui siffatta valutazione sia adottata dal giudice di merito, chiamato ad esercitare il proprio sindacato sull’esercizio dell’anzidetto potere di richiesta, ovvero, in ultima battuta, dal giudice di legittimità, per il quale ultimo tanto si correla alla constatazione, pacifica, per cui solo le decisioni che la Corte di Cassazione assume per dirimere conflitti di giurisdizione o di competenza rivestono sul punto efficacia vincolante per il processo, conformemente a quanto sancito dall’art. 25 del codice di rito.

Altrettanto notorio è che l’ordinamento vigente, ancorché in via eccezionale, contempla, all’art. 27 c.p.p., il potere di disporre una misura cautelare da parte del giudice incompetente, potere suscettibile di essere legittimamente esercitato – così come affermato dalla sentenza Di Lorenzo delle Sezioni Unite (n. 19 del 25 ottobre 1994, Rv. 199393) – “soltanto se sussiste l’improrogabile necessità di salvaguardare le esigenze cautelari” e, dunque, all’esito “della valutazione dei presupposti che lo hanno attivato”.

2.1 Dunque, nell’ottica della ricorrente parte pubblica, mentre l’attivazione del meccanismo disciplinato dal ricordato art. 27 – che prevede l’ultrattività della misura cautelare nei venti giorni dalla trasmissione degli atti al giudice competente, per l’effetto tenuto a rinnovare il titolo in detto termine, pena la perenzione della misura (cfr. Sez. U, sent. n. 1 del 24.01.1996, Fazio, Rv. 204164), comporta comunque la persistenza della misura cautelare, ancorché connotata da intrinseca precarietà, appunto per la decisione d’incompetenza contestualmente assunta, l’intervenuto annullamento della misura è indice della riscontrata assenza o del requisito specifico dell’urgenza, cui ha riguardo l’art. 292 c.p.p., comma 2, ovvero – a monte – dei requisiti costitutivi propri della stessa possibilità di adozione della misura cautelare, come giusto nel caso di specie, sotto il profilo della denegata gravità indiziaria.

2.2 Logico corollario di quanto precede è che qui la questione concernente la competenza territoriale – per così dire – “scolora” di fronte alla indispensabile verifica circa la fondatezza del terzo e quarto motivo del ricorso, che si è visto concernere il preteso vizio di motivazione in ordine alla misconosciuta sussistenza della gravità indiziaria relativa, rispettivamente, alle imputazioni provvisorie di cui ai capi 22) e 29) della rubrica.

3. Poste tali premesse, per ciò che concerne la rivendicata gravità del costrutto indiziario afferente al reato di abuso d’ufficio sub 22), il ricorso non fornisce alcuna risposta all’obiezione del Tribunale, circa l’assenza in atti di elementi che consentano di ritenere non dovuto – e perciò non conforme a giustizia – il provvedimento in sanatoria rilasciato ai titolari dell’esercizio (OMISSIS).

D’altro canto, neppure è possibile affermare che la pratica abbia indebitamente fruito di un “canale privilegiato”, atteso che la prova dell’interessamento effettivamente posto in essere dal C. non dimostra affatto – così come si vorrebbe dal ricorrente – che l’odierno resistente abbia concretamente inciso, quanto meno, sulla tempistica della relativa trattazione, non essendo stato in alcun modo chiarito quale fosse lo stato della pratica medesima nel momento in cui il C. si occupò di essa.

Il motivo di censura in esame è dunque all’evidenza inammissibile, in senso contrario non avendo alcuna consistenza né l’assunto, per vero oscuro, circa la presunta pretesa, da parte del Tribunale, di un quadro indiziario eccedente la misura richiesta dall’art. 273 c.p.p., né l’astratto riferimento, in assenza di dati concreti, alla valutazione di opposto segno, relativamente alla gravità degli indizi raccolti, adottata dal Tribunale palermitano nei confronti di altro indagato per il medesimo addebito.

4. Venendo al capo d’incolpazione sub 29), occorre innanzi tutto premettere che lo stesso ascrive ai soggetti coinvolti la partecipazione tanto ad un “ordinario” sodalizio criminoso finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di delitti, fra cui in particolare quelli elencati contro la P.A., quanto ad un’associazione di carattere segreto, ai sensi della legge Anselmi, preordinata ad incidere sul funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale: in tal senso è sintomatico l’utilizzo nella contestazione, così come cristallizzata nella pur provvisoria rubrica, della parola “delitti”, al plurale, essendo del resto esplicito il provvedimento genetico nel significare il ritenuto concorso formale fra le due consorterie criminose, in ragione del principio di specialità reciproca tra le fattispecie, avuto riguardo altresì alla differenza dei beni giuridici tutelati (cfr. pag. 924 ord. G.i.p.).

Concorso – ritiene il Collegio di precisare – che è certo possibile sussista, a condizione che sia fornita la dimostrazione di due distinti sodalizi, ciascuno dotato di una propria autonomia decisionale ed operativa.

E’ nondimeno dirimente la constatazione che il ricorso, all’apparenza obliterando tale impostazione riconducibile all’iniziativa della stessa accusa pubblica, tralascia di soffermarsi sull’associazione con carattere di segretezza, per concentrare le proprie osservazioni critiche sul solo sodalizio criminoso ordinario (“Si intende in questa sede rammentare come al C. sia contestato in via cautelare il reato di cui all’art. 416 c.p., finalizzato alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione”: cfr. pag. 16 del ricorso), esplicitando la propria valutazione in termini di carenza della motivazione, “nella parte in cui vengono (…) valorizzate le sole conversazioni aventi ad oggetto la massoneria e la messa in sonno di alcuni adepti (cfr. pag. 19 e 20 dell’ordinanza impugnata), senza prendere invece in considerazione gli elementi a sostegno della ricostruzione in termini di progetto criminoso volto a commettere delitti contro la p.a.”.

Peraltro, ove si voglia valorizzare, in senso contrario, il riferimento che pure inopinatamente compare, nello sviluppo del motivo, alla ribadita “volontà di influenza(re) il buon andamento delle istituzioni locali anche per piegare gli enti locali a propri interessi”: ivi, pag. 18), ritenendo dunque l’impugnazione proposta estesa anche all’associazione segreta, sarebbe in ogni caso dirimente la radicale genericità del ricorso sul punto, a fronte del discorso sviluppato dal Tribunale distrettuale, a detta del quale non emergerebbero dal provvedimento impugnato “condotte di interferenza organizzate e pianificate dal sodalizio, ma condotte di influenza poste in essere, di volta in volta, da singoli, eventualmente (ma non necessariamente) in concorso tra loro, per conseguire le finalità (non necessariamente illecite) occasionalmente perseguite” (cfr. pag. 24 dell’ordinanza).

5. Così delimitato, e comunque residuante circoscritto, il perimetro della doglianza, si osserva che il Tribunale, richiamando gli elementi appositamente illustrati, desunti da molteplici colloqui oggetto di captazione – posto che sulle intercettazioni si fonda, pressoché unicamente, la provvista indiziaria in atti – ha fornito la propria lettura dei fatti, incentrata su due proposizioni, fra loro correlate: la ravvisata carenza “di una struttura associativa, essendo emersi solo contatti tra i presunti sodali funzionali a predisporre strategie politiche in vista delle future elezioni e non potendosi di certo valorizzare gli incontri presso la pizzeria (OMISSIS), dei quali non è peraltro nota neanche la frequenza nè i soggetti intervenuti di volta in volta”; la ritenuta assenza “di un comune progetto associativo, atteso che le decisioni assunte dal L.S. erano funzionali a soddisfare il suo esclusivo interesse ad ampliare il suo pacchetto di voti”.

In altri termini, affermano i giudici palermitani essersi qui al cospetto di “una serie di iniziative individuali – nella maggior parte delle quali L.S. assume un ruolo decisamente propulsivo – non attratte nell’orbita dell’attività di un’associazione, bensì agevolate dalla rete di relazioni ed influenze che L.S. curava in funzione dell’ampliamento del suo consenso elettorale, che costituisce l’unico obiettivo concretamente perseguito” dal detto indagato, ivi collocandosi perciò anche “le strategie”, appunto “politiche”, che vedono direttamente coinvolti, accanto all’onnipresente L.S., gli indagati E., P. e – per quanto qui in particolare interessa, C., “tutti esponenti di diversi partiti politici”, essendo dette strategie, coerentemente con la premessa formulata, coordinate dal principale protagonista della complessiva indagine e mosse dal “fine di garantirsi il maggior numero di voti alle elezioni del 2017, attraverso una politica di apparentamento, concretizzatasi nella creazione di una coalizione (cfr. pag. 109 titolo custodiate), nell’ambito della quale venivano in parte concertate le decisioni relative ai candidati da appoggiare e alla scelta di coloro che avrebbero dovuto rivestire incarichi governativi, soggetti questi da individuare, secondo quanto indicato dallo stesso L.S., non tra gli esponenti di tale asserito gruppo segreto ma tra coloro che, dando la disponibilità alla propria candidatura, avrebbero garantito voti al partito”.

5.1 Di contro a siffatta impostazione, il pubblico ministero ricorrente lamenta la mancata valutazione di elementi significativi, estrapolati da taluni colloqui intercettati, lasciando sullo sfondo la finalità di allargamento del bacino elettorale del L.S., relegata a livello di mero scopo soggettivamente perseguito e, dunque, non negata in sé, ma svalutata a fronte di taluni passaggi colloquiali, cui si attribuisce valore sostanzialmente confessorio.

In realtà, tuttavia, così facendo, il pubblico ministero, per un verso, rifugge da un doveroso sguardo d’insieme della totalità della vicenda; sotto altro profilo, omette di riconoscere al non contestato interesse politico-elettorale coltivato dal L.S. – soggetto che rappresenta indubbiamente il fulcro intorno al quale ruota l’intero procedimento – la natura di vera e propria chiave interpretativa del suo operato, che viene configurata dal Tribunale come una sorta di polo d’attrazione che avvince a sé, di volta in volta, i singoli soggetti, al di fuori di uno strutturato contesto associativo, in tal senso essendo stata altresì valorizzata la circostanza che “i maggiori protagonisti” delle vicende corruttive per cui è procedimento, implicati nei due addebiti-manifesto di cui ai capi 1) e 19), ovvero G.P. e O.R., “significativamente non sono stati indicati quali appartenenti ai sodalizi di cui al capo 29)”; ciò che si somma al comunque delimitato orizzonte operativo, come detto costituito dalle elezioni del 2017.

Conclusivamente, pertanto, si è in presenza di un ragionamento frutto di una visione d’insieme dell’amplissimo materiale acquisito e per certo non connotato da illogicità manifesta, cui la parte ricorrente – come detto – ha contrapposto, per di più attraverso la valorizzazione di specifici elementi, al di fuori di un inquadramento complessivo della vicenda, una propria diversa “lettura”, certo dotata di una sua dignità, che tuttavia non è in alcun modo suscettibile di integrare il dedotto vizio di motivazione, quale rilevante nella presente sede di legittimità (cfr., con specifico riferimento alla materia delle misure cautelari, Sez. 4., sent. n. 18795 del 02.03.2017, Rv. 269884, nonchè Sez. 2, sent. n. 31553 del 17.05.2017, Rv. 270628), essendo rimessa alla sede sua propria del giudizio la verifica delle contrapposte posizioni, nel contraddittorio delle parti.

6. Ancorchè le considerazioni che precedono, in ossequio all’impostazione generale di cui si è detto, rivestano valenza assorbente ai fini della decisione del ricorso in esame, nondimeno il Collegio reputa opportuno dedicare alcuni brevi cenni al tema della competenza territoriale, onde significare la sicura non condivisibilità della valutazione compiuta dal Tribunale del riesame, nel ritenere i delitti di cui trattasi connessi, ex art. 12 c.p.p., lett. b) e c), agli altri reati per cui si procede a carico di distinti indagati, segnatamente al peculato di cui al capo 8), commesso in (OMISSIS), suscettibile di esercitare – in quanto più grave, in ragione dell’apparato edittale suo proprio – la vis attractiva prevista dall’art. 16 dello stesso codice di rito (ciò, dunque, a prescindere dalla delicata questione inerente al corretto inquadramento giuridico del fatto di reato oggetto del detto capo d’incolpazione).

6.1 Relativamente all’ipotesi di competenza per connessione determinata dalla configurabilità del vincolo della continuazione fra le diverse fattispecie di reato ascritte agli imputati, consolidato è l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità per cui l’identità del disegno criminoso perseguito in tanto è idonea a determinare lo spostamento della competenza, sia per materia che per territorio, in quanto l’illecito o gli illeciti in continuazione riguardino lo stesso o – se più d’uno, come nel caso di specie – gli stessi imputati, “giacché l’interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza” (così, da ultimo, Sez. 2, sent. n. 57927 del 20.11.2018, Rv. 275519, in linea con quanto enunciato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 53390 del 26.10.2017, là dove, in parte motiva, hanno affermato, ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall’art. 12 c.p.p., lett. c), e della sua idoneità a determinare lo spostamento della competenza per territorio, che non è richiesta l’identità fra gli autori del reato-fine e quelli del reato-mezzo, come invece con riferimento ai partecipi dei diversi reati nel caso di connessione per continuazione, di cui è stata rimarcata la differenza strutturale rispetto all’ipotesi, appunto, della connessione teleologica).

Dunque, l’indiscutibile estraneità del C. al fatto di reato oggetto del succitato capo d’imputazione provvisoria sub 8) comporta la sicura erroneità del riferimento all’indicato criterio di competenza per connessione.

6.2 Quanto all’appena citata ipotesi di determinazione della competenza ex art. 12 c.p.p., lett. c), con la ricordata sentenza del 2017 le Sezioni Unite, nello statuire – si ripete – che la connessione teleologica è idonea a determinare lo spostamento della competenza per territorio a prescindere dall’identità fra gli autori del reato-fine e quelli del reato-mezzo, hanno nondimeno posto l’accento sulla contestuale necessità di accertare che l’autore di quest’ultimo, ferma la connotazione oggettiva del legame finalistico fra i reati di cui trattasi, abbia avuto presente l’obiettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all’occultamento di un altro reato, tipicamente desumibile – seppur non certo in via esclusiva – dalla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2 (cfr. Sez. U., sent. n. 53390 del 26.10.2017, G., Rv. 271223, nonchèpagg. 12 – 13 della relativa motivazione).

Se, dunque, così è, è di tutta evidenza che il provvedimento impugnato risulta sul punto totalmente carente, limitandosi ad enunciare assertivamente la sussistenza della connessione teleologica, sulla scorta della insufficiente appartenenza del peculato al novero dei reati contro la pubblica amministrazione, nonostante che lo stesso non rientri nel catalogo di quelli specificamente enumerati dall’addebito associativo; costituisca un unicum nell’ambito dei 29 capi d’incolpazione formalizzati in seno alla presente procedura; sia caratterizzato da un’evidente singolarità dello specifico episodio criminoso.

D’altro canto, l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2, è specificamente contestata al C. unicamente in seno all’addebito di abuso d’ufficio sub 22) e con esclusivo riferimento al reato di cui al capo 19), ossia alla corruzione reciproca contestata al L.S. ed all’ O. (oltre che a tal C.I., quale extraneus), per essersi accordati fra loro – il primo nelle vesti di membro dell’Assemblea Regionale Sicilia ed il secondo di responsabile del Centro Medico Legale istituito presso l’INPS – “al fine di operare in esecuzione di un più ampio e deliberato disegno di promessa di favori reciproci, consistiti nell’adozione, ognuno per il proprio ambito di competenza, di una serie indeterminata di atti contrari ai doveri d’ufficio (di seguito meglio specificati), così asservendo entrambi costantemente la funzione pubblica a interessi propri e dell’altro e violando i doveri di imparzialità, trasparenza e buon andamento previsti dall’art. 97 Cost.”.

A significare, cioè, che la connessione teleologica, da cui dovrebbe derivare lo spostamento della competenza territoriale, risulta ravvisabile con riguardo ad un reato diverso sia dall’associazione per delinquere (sub capo 29), pure elevata nei riguardi del medesimo indagato, sia – e soprattutto – dal delitto di peculato sub capo 8), suscettibile di esercitare, secondo il ragionamento sviluppato dal Tribunale del riesame palermitano, la vis attractiva rispetto agli addebiti ascritti in via provvisoria al C., onde l’indagato mantiene il diritto ad essere giudicato dinanzi al proprio giudice naturale, quale discendente alla stregua delle specifiche (ed uniche) incolpazioni elevate a suo carico.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019