La proporzionalità del sequestro preventivo è un principio garantito dalla Costituzione (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 29 ottobre 2021, n. 39168).

REPUBBLICA ITALIANA

A NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – Rel. Consigliere –

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere –

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere –

ha pronunciato il seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) TIZIANO nato a PIACENZA il 18/10/19xx;

avverso l’ordinanza del 20/04/2021 del TRIB. LIBERTA’ di UDINE;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA;

sentite le conclusioni del PG, Dott. DOMENICO SECCIA, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del Tribunale del riesame di Udine, pronunciata il 20 aprile 2021, è stato confermato il decreto di convalida del sequestro preventivo d’urgenza disposto dal Pubblico Ministero nei confronti del ricorrente Tiziano (OMISSIS).

2. Si osserva, per migliore intelligibilità dell’impugnazione, che nell’ambito di indagini aventi ad oggetto i traffici illeciti di idrocarburi, la Guardia di Finanza di Udine aveva sottoposto a controllo l’autoarticolato (targato FL685NE) condotto dal cittadino bulgaro Atanasov Boris (OMISSIS).

Il suddetto veicolo risulta composto da un trattore IVECO, concesso in locazione finanziaria al Testa, e da un rimorchio cisterna SACIM di proprietà dell’attuale prevenuto.

L’autoarticolato in questione trasportava circa 31 mila litri di prodotto, identificato nel CMR come olio lubrificante.

Tuttavia, l’analisi visiva e la misurazione del prodotto mediante il termo- densimetro, aveva indotto gli agenti della Guardia di Finanza a ritenere che la sostanza presente nella cisterna avesse le caratteristiche tipiche di un prodotto idrocarburico.

Più nello specifico, il prodotto costituiva olio di gas e, di conseguenza, riconducibile all’ambito applicativo dell’art. 21, co. 2 lett. d) D.Igs. n. 504/1995.

Alla luce di tali rilievi, l’Agenzia delle Dogane ha quantificato in 12.620,64 C l’accisa non pagata ed in 6.146,68 C VIVA non corrisposta. Pertanto, nell’immediatezza del fatto era stato disposto il sequestro probatorio sia del trattore che del rimorchio prima indicati.

Di seguito, il Pubblico Ministero aveva disposto il sequestro preventivo dei medesimi beni con provvedimento successivamente convalidato dal GIP presso il Tribunale di Udine.

In particolare, il Giudice per le Indagini Preliminari, con il provvedimento impugnato dinanzi a questa Corte, ha valorizzato la sussistenza del fumus commissi delicti del reato contestato, nonché la presenza di beni suscettibili di confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 44 co. 1 D.Lgs. n. 504/1995.

2. Contro l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia — procuratore speciale, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613 c.p.p., articolando cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per, la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione o falsa applicazione dell’art. 44, co. 1 bis e 1 ter D.Igs. n. 504/1995, introdotti dal d.l. n. 124/2019, convertito nella I. n. 157/2019.

In sintesi, con il primo motivo di ricorso, la difesa ritiene nulli i provvedimenti adottati dal Pubblico Ministero, dal GIP e dal Tribunale del riesame in quanto volti a disporre il sequestro finalizzato alla confisca senza garantire all’interessato la possibilità di pagare la somma di 12.604,64 € ed evitare, così, tale sanzione accessoria.

A sostegno di tale doglianza, il ricorrente invoca la violazione dell’art. 44, co. 1 bis e 1 ter D.Igs. n. 504/1995, nella parte in cui prevedono la non operabilità della confisca “per la parte che il contribuente si impegna a versare all’era- rio anche in presenza di sequestro”.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione e/o falsa applica- zione dell’art. 275 co. 2 c.p.p. e nullità dell’ordinanza impugnata per difetto totale di motivazione e/o motivazione apparente.

In sintesi, con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente censura la proporzionalità e l’adeguatezza della misura del sequestro preventivo disposta nei suoi confronti.

In particolare, a fronte di un’evasione di imposta quantificata in 12.604,64 C, sarebbero stati sottoposti a provvedimento ablatorio beni di valore di almeno dieci volte superiore.

Una simile misura – prosegue la difesa – si pone in evidente contrasto sia con l’art. 275 co. 2 c.p.p. che con l’art. 1 del Protocollo n.1 annesso alla CEDU.

Entrambe le norme, infatti, impongono all’organo giudicante di bilanciare gli interessi coinvolti e di fornire motivazioni pertinenti e sufficienti al fine di giustificare il provvedimento di sequestro preventivo.

Nonostante tali censure difensive fossero state sollevate fin dall’instaurarsi del giudizio, nessun giudice avrebbe indicato l’esistenza di elementi di fatto idonei a rendere congrua e proporzionata una simile misura.

Il ricorrente, infatti, si duole dell’esistenza stessa della motivazione, in quanto né l’ordinanza impugnata, né quella emessa dal GIP in sede di convalida, né tantomeno il decreto del Pubblico Ministero con- terrebbero una motivazione idonea a giustificare il sequestro di quei beni.

Infine, i provvedimenti da ultimo menzionati non indicherebbero neanche le ragioni di urgenza volte a legittimare il sequestro preventivo della Procura locale e la conseguente convalida ad opera del GIP.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione dell’art. 321 co. 3 ter c.p.p., con conseguente sopravvenuta inefficacia della misura cautelare disposta.

In sintesi, nel caso di specie, il sequestro preventivo dei beni dell’istante risalirebbe al 14 ottobre del 2020, data in cui il Pubblico Ministero aveva adottato un decreto di sequestro probatorio che, in realtà, possedeva intrinseche finalità preventive.

Pertanto, trattandosi di un provvedimento di sequestro “sostanzialmente” preventivo che, come tale, soggiace al necessario rispetto dei termini di cui all’art. 321 co. 3 ter c.p.p., dovrebbe ritenersi privo di efficacia fin dall’origine in quanto privo di una successiva convalida.

Sulla base di queste premesse, la difesa ritiene che il secondo decreto di sequestro preventivo, disposto d’urgenza dal Pubblico Ministero nel marzo del 2021 e di seguito convalidato dal GIP, costituisca un’indebita reiterazione della medesima misura cautelare.

2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione o falsa applicazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 annesso alla CEDU, ratificata in Italia con la Legge n. 848 del 4 agosto 1955.

In sintesi, con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente censura la razionalità e coerenza della disciplina a cui è sottoposto nel nostro ordinamento l’istituto del sequestro probatorio. I principi che regolano l’applicazione di tale misura cautelare si pongono in netta contraddizione con i criteri sanciti a livello convenzionale e sono volti a sacrificare, inevitabilmente, la tutela del cittadino.

Nel caso di specie, la finalità perseguita dai giudici della cautela sarebbe stata esclusivamente repressiva in quando diretta ad applicare una sanzione accessoria ben prima dello svolgimento di un accertamento nel merito.

2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 321 c.p.p. e la nullità per omessa motivazione.

In sintesi, con il quinto motivo di ricorso, la difesa si duole dell’omessa motivazione in ordine al requisito del c.d. periculum in mora idoneo a giustificare l’adozione del provvedimento cautelare.

Ai fini dell’adozione del sequestro preventivo, l’art. 321 c.p.p. richiede la sussistenza del c.d. periculum in mora, ovvero la concreta ed attuale probabilità che possa realizzarsi un danno futuro.

È necessario, inoltre, che il bene oggetto della misura possegga un’intrinseca e strutturale stru- mentalità rispetto al reato commesso ovvero a quelli di cui si teme la realizzazione.

Tuttavia, nell’adottare il provvedimento ablatorio, il Tribunale del riesame avrebbe omesso di motivare adeguatamente in merito ai suddetti presupposti applicativi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato limitatamente alla censura sul tema della proporzionalità, dovendo, nel resto, essere dichiarato inammissibile.

2. Deve, preliminarmente, ritenersi sussistere la legittimazione del (OMISSIS) ad impugnare l’ordinanza de qua, sicuramente in quanto proprietario di uno dei mezzi sequestrati (il rimorchio cisterna SACIM), e in quanto nella disponibilità dell’altro mezzo, (il trattore IVECO), concessogli in locazione finanziaria.

Ed invero, il bene detenuto in forza di un contratto di leasing entra nella sfera giuridica dell’utilizzatore, cui è attribuita la materiale disponibilità del bene stesso ed il diritto di goderne e di disporne sulla base di un titolo che esclude i terzi, con la conseguenza che egli è legittimato a proporre impugnazione in quanto soggetto avente diritto alla restituzione sulla base di un titolo contrattuale.

Quanto alla qualifica di “terzo” dell’attuale ricorrente, infatti, l’esame del provvedimento impugnato non consente di qualificarlo, formalmente, almeno allo stato, come indagato del reato per cui si procede, non essendo sufficiente quanto emergente dal provvedimento reiettivo del GIP del 14.10.2020 che ha parlato di un “coinvolgimento dell’istante nella perpetrazione dell’illecito” che non avrebbe consentito di considerare l’istante quale “soggetto estraneo al reato” né, peraltro, pare allo stato risolutivo per qualificarlo come coindagato, quanto affermato nel provvedimento impugnato alle pagg. 4/5, laddove, nel pronunciarsi sull’elemento soggettivo del reato ipotizzato, si afferma che non sarebbe rinvenibile alcun elemento tale da ritenere ictu oculi che il (OMISSIS), in quanto titolare della ditta di autotrasporti coinvolta nel trasporto di cui trattasi, non fosse al corrente della tipologia del prodotto che quel giorno era stato trasportato.

E’ ben vero che in tema di misure cautelari reali, la qualità di indagato deve essere valutata non secondo un criterio formale, quale l’esistenza di una “notitia criminis” e l’avvenuta iscrizione nel registro degli indagati, ma secondo quello sostanziale della qualità che il soggetto ha in concreto assunto, in base alla situazione esistente ed a prescindere dalle iniziative del pubblico ministero (Sez. 5, n. 20734 del 05/02/2016 – dep. 18/05/2016, Rv. 267286 — 01), ma è altrettanto indubbio che detta qualità debba emergere in maniera chiara dagli atti del giudizio di merito, ciò che non si riscontra nel caso in esame, non derivando automaticamente dalla qualità di titolare della ditta di autotrasporti (proprietaria del rimorchio e locataria della motrice), la responsabilità per il reato in esame, in assenza di più consistenti ed ulteriori elementi indiziari.

3. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.

3.1. Giova premettere che, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., il ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale, all’esito della richiesta di riesame in tema di misure cautelari reali, può essere proposto esclusivamente per violazione di legge.

Se dunque non vi è spazio per la censura di cui all’art. 606 co. 1 lett. e) c.p.p., deve pur ricordarsi che la motivazione assente, meramente apparente ovvero priva dei pur minimi requisiti per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice del provvedimento impugnato, integra un’ipotesi di violazione di legge.

3.2. Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata non risulta affetta da alcuna violazione delle norme invocate dall’odierno ricorrente.

È ben vero che l’art. 12-bis, D.Igs. n. 74 del 2000 si esprime in termini identici all’art. 44, D.Igs. 504 del 1995 (La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro), ma non si è mai dubitato dell’applicabilità della norma anche nella fase prodromica del sequestro.

Analogamente deve dirsi con riferimento alla confisca in materia di accise, poiché, così come in tema di confisca di beni costituenti il profitto o il prezzo di reati tributari, la previsione di cui all’art. 12 bis D.Igs. n.74 del 2000, introdotta dal D.Igs. n.158 del 2015 (secondo la quale la confisca, diretta o per equivalente, “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”: cfr. Sez. 3, n. 28225 del 09/02/2016 – dep. 07/07/2016, Passamonti, Rv. 267334 – 01), anche la previsione identica contemplata dall’art. 44, D.Igs. n. 504 del 1995, si riferisce alle assunzioni d’impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione di settore (ad es., in materia di accise, l’accertamento con adesione o concordato).

Analogamente, anche per la materia delle accise, dovrebbe quindi mutuarsi il principio, già affermato in mate- ria tributaria, secondo cui la previsione di cui al comma secondo dell’art. 12-bis del D.Igs. n. 74 del 2000 (introdotta dal D.Igs. n. 158 del 2015), secondo cui la confisca ex art. 44, D.Igs. n. 504 del 1995, (confisca che “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di seque- stro”), si riferisce ai soli casi di obbligo assunto in maniera formale (cfr., in termini, nella materia tributaria: Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016 – dep. 11/02/2016, Or- setto, Rv. 266037 – 01). Impegno che, nella specie, non risulta essere stato formalizzato.

3.3. Tuttavia, il motivo è manifestamente infondato per altra ragione, atteso che la confisca di cui si discute nel caso di specie non riguarda né il prodotto né il profitto del reato (né, tantomeno, il prezzo), non trovando pertanto applicazione l’art. 44, co. 1-bis, D.Igs. n. 504/1995 (che limita l’obbligatorietà della confisca ai beni che ne costituiscono “il profitto o il prezzo”), con conseguente esclusione dell’applicabilità del co. 1-ter del medesimo art. 44 (che si riferisce alla “confisca di cui al comma 1-bis”).

Dunque, nessun obbligo vi era per il giudice di garantire all’interessato la possibilità di pagare la somma ed evitare la confisca.

Trova, diversamente, applicazione nel caso in esame il disposto dell’art. 44, co. 1, D.Igs. n. 504/1995, il quale invero prevede che “I prodotti, le materie prime ed i mezzi comunque utilizzati per commettere le violazioni di cui agli articoli 40, 41 e 43 sono soggetti a confisca secondo le disposizioni legislative vigenti in ma- teria doganale”.

E, nella specie, è indubbio che ad essere colpito dal provvedimento di sequestro preventivo è il mezzo utilizzato (rectius, i mezzi utilizzati, trattore e rimorchio), per commettere il reato di cui all’art. 40, co. 1, D.lgs. n. 504/1995 (reato di sottrazione di idrocarburi dal pagamento dell’accisa), con la conseguenza che trovano applicazione nel caso di specie le disposizioni del TU Dogane (art. 301, D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, recante “Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale”) e, segnatamente, la disposizione del co. 3 secondo cui “Si applicano le disposizioni dell’art. 240 del codice penale se si tratta di mezzo di trasporto appartenente a persona estranea al reato qualora questa dimostri di non averne potuto prevedere l’illecito impiego anche occasionale e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza”, che rinvia in parti- colare alla previsione dell’art. 240, co. 1, c.p. che per le “cose che servirono o furono destinate a commettere il reato”, prevede un’ipotesi di confisca facoltativa.

Ed è indubbio che si versi in fatti nel caso in esame, essendo, almeno allo stato, il (OMISSIS) terzo estraneo al reato per cui si procede, in quanto il compendio sequestrato risulta composto da un trattore IVECO, concesso in locazione finanziaria al (OMISSIS), e da un rimorchio cisterna SACIM di proprietà del medesimo.

4. Sono fondati invece i rilevi che attengono alla carenza di argomentazioni finalizzate a giustificare la proporzionalità ed adeguatezza della misura disposta, oggetto del secondo motivo.

4.1. Per meglio chiarire l’approdo cui è pervenuta questa Corte, s’impone una sintetica disamina della questione fattuale come affrontata dal tribunale del riesame.

Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale ha ritenuto infondate le censure sollevate dalla difesa ed ha confermato il provvedimento di convalida del GIP.

Per quanto riguarda la sussistenza del fumus declicti, il Collegio ha evidenziato come questi rinvengano adeguato riscontro nelle analisi chimiche alle quale il prodotto trasportato era stato sottoposto. Il veicolo sequestrato, inoltre, non riportava all’esterno alcun pannello identificativo delle sostanze trasportate, con conseguente violazione di quanto prescritto dalla normativa europea.

Quanto al coinvolgimento soggettivo dell’odierno ricorrente, il Tribunale del riesame ha richiamato il principio di diritto per cui in sede di riesame di misure cautelari reali, è sufficiente dar atto degli elementi di fatto che non consentono di escludere ictu oculi la sussistenza dell’elemento soggettivo (Cass. pen., Sez. III, n. 26007/2019).

Nel caso di specie, il (OMISSIS) risulta titolare della ditta di autotrasporti coinvolta nella vicenda in contestazione, né tantomeno sono emersi elementi idonei a far ritenere che egli non fosse a conoscenza della tipologia di prodotto trasportato.

Sulla base di tali premesse, il Collegio ha ritenuto infondate le censure difensive ed ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo.

4.2. Come anticipato in relazione al primo motivo, si versa in un caso di confisca facoltativa, relativa ai mezzi con cui il reato di cui all’art. 40, co. 1, d.Igs. n. 504 del 1995 è stato commesso, rivestendo il ricorrente, almeno allo stato, la qualità di terzo estraneo al reato in quanto titolare della ditta di autotrasporti coinvolta nella vicenda in contestazione, nella disponibilità del trattore IVECO in quanto concessogli in locazione finanziaria, e proprietario del rimorchio cisterna SACIM oggetto del sequestro.

Applicandosi l’art. 301, co. 3, d.P.R. n. 43 del 1973 (secondo cui “Si applicano le disposizioni dell’art. 240 del codice penale se si tratta di mezzo di trasporto appartenente a persona estranea al reato qualora questa dimostri di non averne potuto prevedere l’illecito impiego anche occasionale e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza”), va sicuramente ribadito il principio secondo cui la confisca del mezzo di proprietà di un terzo estraneo al reato, utilizzato per il trasporto della merce, è esclusa solo se tale soggetto fornisca la prova non soltanto della sua buona fede ma, specificamente, di non aver potuto prevedere, per cause indipendenti dalla sua volontà, l’illecito impiego – anche occasionale – del veicolo da parte di terzi e di non essere incorso in un difetto di vigilanza (In motivazione, la Corte ha precisato che la possibilità di disporre, in tali ipotesi, la confisca del mezzo di proprietà di terzo estraneo al reato non viola l’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione EDU, non potendo ritenersi sproporzionata l’ingerenza nel diritto del terzo rispetto al fine legittimo perseguito dalla misura cautelare: Sez. 3, n. 8790 del 26/11/2019 – dep. 04/03/2020, Rv. 278267 – 01).

E sotto tale profilo, l’ordinanza impugnata ha escluso che fossero emersi elementi idonei a far ritenere che il (OMISSIS) non fosse a conoscenza della tipologia di prodotto trasportato.

Né risulta, al di là delle labiali affermazioni di cui al ricorso, la prova, nemmeno a livello indiziario, della sua situazione soggettiva di buona fede.

4.3. Nonostante quanto sopra, attesa la facoltatività del sequestro applica- bile nel caso di specie, ritiene il Collegio come, nel caso di specie, colgono nel segno le doglianze difensive articolate sul mancato rispetto del principio di “proporzionalità”, atteso che il valore dei beni complessivamente sequestrati eccede in maniera lampante l’ammontare dei tributi evasi (accise+IVA).

Sul punto merita di essere ricordato che con la sentenza 229/1974 la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 116 comma 1 I.d – trasfuso poi nell’attuale art. 301 – nella parte in cui imponeva la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, anche nell’ipotesi di loro appartenenza a persone estranee al reato, alle quali non fosse imputabile un difetto di vigilanza sull’utilizzazione illecita della cosa.

Per quel che ci interessa, la sentenza della Corte costituzionale argomenta che se è lecito prevedere delle cose che devono essere necessariamente confiscate, a chiunque appartengano, in ragione della loro illiceità assoluta per condizioni intrinseche alle cose stesse – è il caso dell’art. 240 comma 2 n. 2 – altrettanto non può dirsi per cose che non sono criminose ab origine, ma lo diventano allorquando vengono utilizzate o destinate a commettere un reato, perché in tal caso l’illiceità deriva da una qualificazione giuridica – e cioè l’essere la cosa strumento del reato – alla quale il terzo può essere assolutamente estraneo.

La confisca può essere fatta rientrare tra le pene non discrezionali, intendendo con quest’espressione quelle pene la cui irrogazione non passa attraverso una valutazione del giudice ai sensi dell’art. 133 c.p.

Che non sia discrezionale, però, non vuol dire che essa sia fissa, intendendosi per pene fisse quelle pene la cui entità è fissata dalla legge, senza margini di possibile variazione.

La presenza del nesso di pertinenzialità, ossia di quel legame che fa sì che si confischi il prezzo, il prodotto o il profitto o gli strumenti di quel reato, rende la confisca in nuce proporzionata alla gravità dell’illecito compiuto, perché la misura della pena è determinata dal reato stesso, e non c’è alcun margine di apprezza- mento che possa spezzare questo legame e far ipotizzare una violazione del principio di proporzionalità.

Non c’è niente di più proporzionato, infatti, che confiscare il mezzo attraverso cui il reato, nella specie quello dell’art. 40, D.Igs. n. 504 del 1995, è stato commesso.

4.4. Nella figura generale di misura di sicurezza delineata dall’art. 240 c.p. (richiamato dall’art. 301, co. 3, d.P.R. n. 43 del 1973 a seguito del rinvio di cui all’art. 44, co. 1, D.Igs. n. 504 del 1995), la finalità preventiva dell’acquisizione degli instrumenta delicti trova fondamento nell’opzione tendenzialmente facoltativa che permette al giudice di apprezzare nella situazione concreta la reale capacità dei beni medesimi ad essere reimpiegati in nuove attività illecite.

Ciò, tuttavia, non esclude che debba ritenersi inapplicabile il principio di proporzionalità invocato dalla difesa.

Ed infatti – ed è questo il profilo su cui il Collegio ritiene di dover richiedere al giudice di rinvio una più approfondita valutazione -, occorre verificare che la confisca degli “instrumenta delicti” sia pur sempre ispirata al principio del minor sacrificio patrimoniale imposto al proprietario.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, sono applicabili anche alle misure cautelari reali e devono costituire oggetto di valutazione preventiva e non eludibile da parte del giudice nell’applicazione delle cautele reali, al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata (tra le tante, v.: Sez. 5, n. 8152 del 21/01/2010 – dep. 01/03/2010, Magnano e altro, Rv. 246103 – 01).

A rafforzare l’esigenza del rispetto dei tale principio, questa stessa Sezione ha avuto modo di affermare la legittimità del sequestro preventivo su beni di proprietà di persone diverse dall’indagato o dell’imputato purchè sia rispettato il principio di proporzione tra esigenze generali di prevenzione e salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, determinandosi, in difetto, la violazione delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in motivazione la Corte ha ulteriormente affermato che il principio di proporzionalità nella limitazione dei diritti garantiti è altresì previsto dall’art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., riconosciuta dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato con L. 2 agosto 2008, n. 130: Sez. 3, n. 42178 del 29/09/2009 – dep. 03/11/2009, Spini, Rv. 245172 – 01).

4.5. Non deve nemmeno essere dimenticato, come già la già citata sentenza Spini di questa Sezione aveva affermato, che è l’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che richiama il rispetto del principio di proporzione nell’applicazione della confisca proprio con riferimento agli instrumenta delicti, richiamo che implicitamente riconosce un oggettivo coefficiente punitivo nell’ipotesi dell’ablazione degli strumenti del reato.

E proprio l’immanenza in tale ipotesi di confisca del coefficiente punitivo, rectius sanzionatorio, che consente di agganciare la confisca-sanzione al tema della proporzionalità che, pur riguardando la “pena” stricto sensu, è indubbio che concerna anche la confisca-sanzione, con la conseguente necessità di tenere conto del principio di proporzionalità, atteso che di tale principio, ormai da decenni, la nostra Corte costituzionale ha riconosciuto il fondamento costituzionale negli artt. 3 e 27 Cost. (tra le tante: Corte cost., sent. 50/1980; Corte cost., sent. 409/1989; Corte cost., sent. 313/1990; Corte cost., sent. 343/1993; Corte cost., sent. P 422/1993; Corte cost., sent. 341/1994).

Più di recente, non può non operarsi il riferimento alla illuminante sentenza (Corte cost., 10 maggio 2019, n. 112), che ha operato lo scrutinio di legittimità sulla confisca (formalmente) amministrativa obbligatoria del prodotto e dei beni utilizzati per commettere l’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate, prevista dall’art. 187 sexies d.lg. n. 58/1998 [nel testo originariamente introdotto dall’art. 9, comma 2, lett. a), I. n. 62/2005 (poi modificato dal d.Ig. n. 107/2018, che ne aveva espunto il riferimento ai beni utilizzati per commettere l’illecito)], dichiarando incostituzionale l’art. 187 sexies, in ragione del suo contrasto con gli artt. 3, 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. Cedu, nonché degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 17 e 49, § 3, Cdfue.

Sul punto la Corte ha evidenziato come “Tali forme di confisca assumono pertanto una connotazione ‘punitiva’, infliggendo all’autore dell’illecito una limitazione al diritto di proprietà di portata superiore (e, di regola, assai superiore) a quella che deriverebbe dalla mera ablazione dell’ingiusto vantaggio economico ricavato dall’illecito” [§ 8.3.4].

La funzione lato sensu “cautelare” del sequestro, strumentale rispetto al successivo provvedimento di merito, del resto, come reiteratamente affermato da questa Corte, non è sganciata dai principi di adeguatezza e proporzionalità (cfr., Sez. 6, n. 37639 del 13/03/2019 – dep. 11/09/2019, Bufano, non massimata sul punto; ancora, Sez. 4, n. 18603 del 21/03/2013, P.M. in proc. Camerini, Rv. 237327, che, in motivazione, ha chiarito come i principi di “adeguatezza”, “proporzionalità” e “gradualità”, previsti dall’art. 275 c.p.p., come criteri di scelta delle misure cautelari personali, debbano essere applicati anche alle cautele reali.

Ciò “al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata”; nello stesso senso, fra le altre, Sez. 6, n. 10153 del 18/10/2012, (dep. 2013), Con, Rv. 254526; Sez. 5, n. 8152 del 21/01/2010, Magnano, Rv. 246103 e, più recentemente, Sez. 6, n. 12515 del 27/01/2015, Picheca, Rv. 263616).

Il principio di proporzione, dunque, certamente ancorato alla disciplina delle cautele personali nel procedimento penale ed alla tutela dei diritti inviolabili, ha nel sistema una portata più ampia; esso travalica il perimetro della libertà individuale per divenire termine necessario di raffronto tra la compressione dei diritti quesiti e la giustificazione della loro limitazione.

In ambito sovranazionale, il principio in esame è ormai affermato tanto dalle fonti dell’Unione (cfr. par. 3 e 4 dell’art. 5 TUE, art. 49 par. 3 e art. 52 par. 1 della Carta dei diritti fonda- mentali), che dal sistema della CEDU (art. 1, protocollo n. 1 CEDU).

Altrettanto confortanti, in tale ottica, sono i richiami che provengono dalla giurisprudenza sovranazionale, non avendo ad esempio la giurisprudenza della Corte Edu esitato a conferire alla confisca natura nella sostanza punitiva, con la conseguente riconduzione dell’istituto alla materia penale modernamente intesa e, più da vicino, ai princìpi garantistici che ne informano i contenuti (artt. 6, 7 Cedu: cfr., per tutte, C. Edu, Sez. II, 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, n. 17475/09; C. Edu, Sez. II, 20 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia, n. 75909/01; cfr. altresì C. Edu, Sez. I, 23 ottobre 2014, Melo Tadeu c. Portugal, ric. 27785/10; C. Edu, Sez. II, 25 settembre 2008, Paraponiaris c. Grecia, ric. 42132/06).

4.6. Sulla base delle considerazioni che precedono, dunque, emerge con tutta evidenza la fondamentale importanza del principio appena menzionato, nonché la necessità che il giudice del rinvio si attenga adeguatamente a tali coordinate ermeneutiche.

Nel caso in esame, infatti, il Tribunale del riesame non risulta aver vagliato con attenzione la proporzionalità della misura ablativa disposta nei confronti dell’odierno ricorrente, incorrendo, così, nella violazione dedotta con il presente motivo di ricorso.

Ed invero, alla luce della chiara indicazione normativa dell’art. 325 co. 1 c.p.p., il ricorso per Cassazione avverso i provvedimenti emessi in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, dovendosi ricomprendere in tale nozione sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 25932/2008; Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 7472/2009; Cass. pen., Sez. V, sent. n. 35532/2010).

Nel caso di specie, la difensa censura la carenza assoluta di motivazione dell’ordinanza impugnata in merito ad una specifica doglianza difensiva sollevata in sede di riesame (cfr. pag. 4 istanza di riesame).

In quest’ultima sede il ricorrente aveva evidenziato come, rispetto all’esigenza cautelare da fronteggiare, il sequestro preventivo in concreto disposto risultasse sproporzionato ed inadeguato.

Ed infatti, i beni oggetto del provvedimento ablatorio posseggono un valore eccessivamente elevato (almeno dieci volte superiore) rispetto all’entità dell’imposta evasa.

In particolare, per garantire il pagamento di accise di valore di poco superiore a 12.000 €. sarebbe stato sufficiente disporre un sequestro “più contenuto” (parametrando il sacrificio patrimoniale imposto con il sequestro in vista della futura confisca, ove ammissibile all’esito del giudizio di merito, al valore dei beni appresi ed all’entità del fatto-reato contestato), in modo tale da sacrificare i diritti dell’istante solo nei limiti di quanto necessario.

Su tali specifiche censure difensive attinenti al profilo della proporzionalità, il Tribunale del riesame ha omesso di argomentare, con conseguente accoglimento del ricorso in parte qua.

5. Il terzo motivo di ricorso non merita invece accoglimento.

5.1. In particolare, le doglianze in esame non sono state ritualmente proposte nei motivi di riesame, con conseguente esonero del Tribunale adito da ogni valutazione sul punto.

Pacifico infatti è il principio per cui il disposto dell’art. 606 comma terzo cod. proc. pen. che prevede l’inammissibilità del ricorso se proposto per violazione di legge non dedotta con i motivi di appello, è applicabile anche nel caso di mancata deduzione in sede di riesame poiché il relativo procedimento, avendo carattere sostanziale di impugnazione del merito, si presenta equiparabile all’appello (Sez. 4, n. 839 del 24/06/1993 – dep. 21/10/1993, Foti, Rv. 195324 – 01).

Pertanto, alla luce della preclusione di cui all’art. 606 ult. co. c.p.p., il motivo di censura proposto deve essere dichiarato inammissibile.

6. Il quarto motivo di ricorso è parimenti inammissibile.

6.1. Sul punto, osserva preliminarmente il Collegio, non rileva la circostanza che la violazione di legge, relativa alla norma convenzionale dell’art. 1 protocollo n. 1 CEDU, non sia stata sollevata nell’istanza di riesame.

Ed invero, è ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è rilevabile d’ufficio, anche in sede di giudizio di legittimità, la questione relativa alla violazione dell’art. 1 del protocollo n. 1 della CEDU, in quanto le decisioni della Corte EDU, quando evidenziano una situazione di oggettivo contrasto della normativa interna con la Convenzione europea, assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello nel cui ambito sono state pronunciate (Fattispecie in tema di confisca urbanistica, in cui la Corte ha aggiunto che, essendo stato accertato per la prima volta dalla Corte EDU il profilo d’incompatibilità del sistema interno con la normativa convenzionale con una decisione successiva al ricorso per cassazione, il principio per cui il giudice è tenuto ad applicare il diritto nazionale in conformità ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali ex art. 117, comma 1, Cost. impone che, nel giudizio di legittimità, la questione debba essere rilevata d’ufficio ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., come se ci si trovasse di fronte a uno “ius superveniens“, tanto più quando, come nella specie, la questione incide sull’irrogazione di una pena, nel senso di cui all’art. 7 CEDU: Sez. 3, n. 47280 del 12/09/2019 – dep. 21/11/2019, Cancelli, Rv. 277363 – 02).

6.2. Purtuttavia, come anticipato, il motivo è manifestamente infondato, atteso che la censura difensiva non attinge il provvedimento impugnato (ordinanza del tribunale del riesame pronunciatasi sul sequestro preventivo successivamente disposto dal GIP, a seguito della convalida di quello d’urgenza) quanto, piuttosto, il sequestro probatorio originariamente disposto dal PM, censurando la razionalità e coerenza della disciplina a cui è sottoposto nel nostro ordinamento l’istituto del sequestro probatorio e sostenendo che, nel caso di specie, la finalità perseguita dai giudici della cautela sarebbe stata esclusivamente repressiva in quando diretta ad applicare una sanzione accessoria ben prima dello svolgimento di un accerta- mento nel merito.

Trattasi, all’evidenza, di censura che, oltre ad essere generica, in quanto tendente a contestare un profilo astratto (laddove si limita a sostenere che i principi che regolano l’applicazione di tale misura cautelare si porrebbero in netta contraddizione con i criteri sanciti a livello convenzionale e sono volti a sacrificare, inevitabilmente, la tutela del cittadino), è assolutamente eccentrica rispetto al provvedimento impugnato che, come detto, si pronunciava sulla legittimità della soluzione offerta dal GIP in relazione al sequestro preventivo successivamente di- sposto all’originario sequestro probatorio, non coinvolto nell’ordinanza impugnata.

7. Infine, quanto all’omessa motivazione in ordine al requisito del c.d. periculum in mora idoneo a giustificare l’adozione del provvedimento cautelare, oggetto del quinto ed ultimo motivo, si tratta di censura che, al pari del terzo motivo, è inammissibile perché proposta per la prima volta dinanzi a questo Giudice.

Nel giudizio di appello cautelare, infatti, trova applicazione la medesima regola della devoluzione tipica del giudizio di appello in fase di cognizione.

Di conseguenza, al giudice di secondo grado è precluso l’esame dei punti della decisione diversi da quelli oggetto dei motivi di impugnazione (Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 8/1997).

Nel caso di specie, il ricorrente aveva dedotto in sede di riesame esclusivamente censure legate all’elemento materiale e soggettivo del reato ed al difetto di proporzionalità della misura cautelare in concreto disposta.

Pertanto, ogni altra questione, compresa quella relativa alla sussistenza del requisito del periculum in mora, esulava dalla cognizione del Tribunale del riesame e la doglianza sul punto non può ora essere proposta per la prima volta dinanzi al Giudice di legittimità.

Alla luce del principio per il quale al giudice dell’impugnazione di legittimità è devoluta la cognizione in relazione alle (sole) questioni legittimamente dedotte dinanzi al giudice a quo, deve rilevarsi dunque l’inammissibilità dell’ultimo motivo di ricorso.

8. L’impugnata ordinanza dev’essere conclusivamente annullata con rinvio per un nuovo esame al Tribunale di Udine, limitatamente alla valutazione di proporzionalità della misura cautelare disposta.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Udine competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p.

Così deciso, il 7 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.