La prova della mala fede o della colpa grave della parte è necessaria ai fini della condanna (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 17 novembre 2021, n. 34818).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14659-2020 proposto da:

(OMISSIS) DANILO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS) 7, presso lo studio dell’avvocato ENNIO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 80(OMISSIS)87 IN PERSONA DEL MINISTRO PRO-TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 10/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/03/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

ritenuto che con decreto monocratico la Corte d’appello di Campobasso dichiarò inammissibile il ricorso con il quale Danilo (OMISSIS) aveva chiesto l’indennizzo per la non ragionevole durata di un processo penale, nel quale il predetto si era costituito parte civile il 15/4/2014, definito con sentenza del Giudice di pace del 23/7/2018, in quanto:

– il processo penale per il (OMISSIS) era iniziato solo dal momento della di lui costituzione di parte civile;

– non era stato esperito il rimedio preventivo dell’istanza acceleratoria, introdotta dall’art. 55, co. 1, lett. a), n. 2 del d. I. n. 83/2012, convertito nella I. n. 134/2012;

– il giudizio si era protratto per quattro anni, tre mesi e undici giorni e da tale periodo andava sottratto quello corrispondente ai rinvii richiesti dal difensore della parte civile;

che la Corte d’appello di Campobasso in composizione collegiale, con il provvedimento di cui in epigrafe, rigettò l’opposizione del richiedente argomentando, in sintesi, nei termini seguenti:

– riportando orientamento di legittimità afferma l’irrilevanza del tempo trascorso prima della costituzione di parte civile, poiché solo da quel momento l’offeso dal reato assume la qualità di parte (vengono citati numerosi arresti di questa Corte fino alla sentenza n. 178/2017);

– afferma l’irrilevanza della questione di costituzionalità rimessa dalla Cassazione con ordinanza n. 2438/2018 in relazione all’introduzione nella I. n. 89/2001, ad opera del d. I. n. 83/2012, convertito nella I. n. 134/2012, dell’onere, a pena d’inammissibilità della domanda, di depositare istanza acceleratoria nel processo presupposto, stante che nella fattispecie veniva in considerazione l’art. 1, co. 2, introdotto dalla legge di stabilità del 2016;

– precisa che i rinvii ottenuti su richiesta della difesa della parte civile avevano avuto durata congrua (ognuno di poco superiore ai tre mesi) e non erano ascrivibili «a concorrenti carenze dell’organizzazione giudiziaria»,

– conclude per l’inammissibilità della domanda per il mancato esperimento del rimedio acceleratorio e, comunque, per l’infondatezza;

che con la statuizione di cui si discorre la Corte locale, reputando sussistere responsabilità aggravata del reclamante, per non avere esercitato la minima diligenza, che gli avrebbe consentito di cogliere agevolmente l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della domanda, sanziona il (OMISSIS), accogliendo l’istanza della parte opposta, ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.;

ritenuto che avverso la decisione della Corte di Campobasso il (OMISSIS) ricorre sulla base di quattro motivi e che il Ministero della Giustizia resiste con controricorso;

considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente denunziando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 § 1 Carte edu, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, co. 2 bis I. n. 89/2001, «laddove prevede che per la parte civile il processo si considera iniziato con la sua costituzione in giudizio per contrasto con l’art. 117 Costituzione in riferimento all’art. 6 § 1 CEDU», è manifestamente infondato, stante che, con la sentenza n. 249/2020, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata «la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), inserito dall’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848», avendo chiarito che «I diritti e le facoltà riconosciuti dal codice di procedura penale alla persona offesa nel corso delle indagini preliminari, allo scopo di far perseguire o condannare l’indagato, e consistenti, indicativamente, nel presentare memorie, nell’indicare elementi di prova, nel nominare un difensore, nel proporre querela, nell’interloquire sulla proroga delle indagini o sulla richiesta di archiviazione, risultano, pertanto, estranei di norma all’ambito del «diritto di carattere civile in causa» di cui all’art. 6 della Convenzione.

Del resto, non può sottacersi che la stessa condizione cui è subordinata la possibilità di costituzione della parte civile – e cioè l’esercizio dell’azione penale – è pur sempre rimessa all’iniziativa del pubblico ministero; con la precisazione che lo stesso decreto del giudice, che accolga la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero e respinga l’opposizione proposta dalla persona offesa, non è suscettibile di impugnazione se non nei soli casi di mancato rispetto delle regole poste a garanzia del contraddittorio formale, non potendo poi essere oggetto di censura le valutazioni poste a fondamento dell’ordinanza di archiviazione», ritenuto che con il terzo motivo, la cui trattazione conviene anticipare, il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 § 1, Carta edu, nonché violazione dell’art. 2, I. n. 89/2001, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, cod. proc. civ., 111 Cost., 8 d. Igs. n. 25/2008, 14, lett. c d. Igs. n. 251/2007, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per «anomalia motivazionale del provvedimento», assumendo che il Giudice aveva non tenuto conto dei parametri di legge al fine di accertare la violazione della ragionevole durata del processo, quali la complessità, l’oggetto, il comportamento delle parti e del giudice, nonché di ogni altro soggetto coinvolto e, nel caso in esame, la Corte distrettuale aveva scomputato il tempo occorso per i rinvii chiesti dal difensore della parte civile, senza verificare se vi fosse stato uno scopo dilatorio, o se, invece se i detti rinvii «rientravano effettivamente nelle prerogative» della difesa, specie dovendosi considerare che l’interpretazione deve essere sintonica con i principi affermati dalla Corte edu e che «anche i rinvii richiesti dalla parte possono essere imputati in parte all’apparato giudiziario, se e nella misura in cui la lunghezza di ciascun rinvio non risulti giustificata dalle ragioni per le quali è stato richiesto», dovendosi escludere uno scomputo automatico;

considerato che il motivo non è fondato, dovendosi osservare quanto segue:

– il ricorrente prende le mosse dal principio più volte affermato da questa Corte, secondo il quale va detratto il periodo riferito a «rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, restando addebitabili gli altri rinvii alle disfunzioni dell’apparato giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla P.A. evidenziare, riconducibili alla fisiologia del processo» (così, fra le ultime, Sez. 2, n. 25318/2019);

– a fronte della constatazione di cui al decreto, secondo il quale i rinvii, disposti su istanza del difensore della parte civile, avevano importato una dilazione ragionevole (poco al di sopra dei tre mesi per volta) e che non trovavano giustificazione in «concorrenti carenze dell’organizzazione giudiziaria», il (OMISSIS) insiste nell’affermare che non si ebbe a trattare di richieste a scopi dilatori e che la motivazione offerta dal Giudice doveva reputarsi apparente;

– che i rinvii non fossero dipesi da esigenze processuali, siano esse state di natura organizzativa in genere, che ricollegate a vizi procedurali addebitabili all’ufficio, viene affermato dal Giudice dell’equa riparazione e poiché trattasi di una constatazione negativa, non è dato cogliere quale ulteriore approfondimento motivazionale avrebbe potuto offrire;

– per contro, il ricorrente neppure ipotizza per quali ragioni non ascrivibili alla mera istanza della difesa della parte civile i predetti rinvii fossero stati effettuati, né contesta la congruità degli iati temporali;

– ciò posto, tenuto conto del numero dei rinvii richiesti, della semplicità dell’affare (trattavasi di processo penale di competenza del giudice di pace con un solo imputato), pare al Collegio che la Corte di Campobasso abbia implicitamente, ma piuttosto chiaramente, ricollegato la reiterata stasi processuale alla negligenza della parte e la conferma di una tale conclusione si ricava dalle odierne difese del ricorrente, il quale continua a non spiegare per quali ragioni, non dilatorie e non dipendenti da negligenza, ebbe bisogno di richiedere ben quattro rinvii, che a nulla approdarono;

considerato che il secondo motivo, con il quale il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6 § 1 e 13 Carta edu, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte locale giudicato inammissibile la domanda per il mancato deposito dell’istanza acceleratoria, pur in astratto fondato (la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi con ordinanza di rimessione di questa Corte, con la sentenza n. 169/2019 ha dichiarato l’incostituzionalità, per contrasto con l’art. 117 Cost. e in relazione alle norme CEDU di cui sopra, lo strumento, posto a pena di decadenza, perché non dotato di effettiva attitudine a ridurre i tempi del processo, chiarendo che il principio era valevole anche per la istanza di accelerazione prevista per il processo penale), resta assorbito (impropriamente) dal rigetto del terzo motivo;

ritenuto che con il quarto motivo il ricorrente allega violazione e/o falsa applicazione dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato condannato dalla Corte di Campobasso al pagamento della somma di €. 1.965,00 per avere agito con mala fede o colpa grave, e assume l’erroneità della pronuncia per non avere specificato se fosse stata integrata la colpa grave o la mala fede, dovendosi escludere che la domanda fosse pretestuosamente in contrasto con il diritto vivente o manifestamente inammissibile, a cagione dell’omesso deposito d’istanza acceleratoria;

considerato che il motivo appare fondato sulla base delle valutazioni che seguono:

– questa Corte ha già avuto modo di precisare essere necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente e alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (S.U. n. 22405, 13/9/2018, Rv. 650452);

– la Corte d’appello di Campobasso ha motivato la condanna in discorso, emessa su istanza della controparte, nei termini seguenti: «le argomentazioni sopra svolte consentono di ritenere sussistente nella fattispecie in esame la mala fede o la colpa grave dell’opponente, tenuto conto della manifesta inammissibilità ed infondatezza della domanda già come proposta nella fase monocratica, domanda che è stata ribadita con la presente opposizione»;

– ove, come nel caso di specie, non vengano in evidenza condotte diverse ed estranee (come quando si evidenzino comportamenti extra o pre-processuali) all’attività processuale strettamente ricollegabile alla statuizione di giustizia, non si rinvengono aree di apprezzamento fattuale in questa sede non censurabili; per contro, ove, come nel caso di specie, la colpa grave o il dolo vengono ricollegati dal giudice del merito esclusivamente alla manifesta inammissibilità o infondatezza della domanda, una tale valutazione, che implica ponderazioni giuridiche, non può essere sottratta al sindacato di legittimità;

– non solo la decisione non spiega in cosa sia consistita la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ma addirittura, erra nell’esprimere un giudizio di palese inammissibilità per mancato deposito dell’istanza acceleratoria (come sopra si è ricordato la Corte Costituzionale ha giudicato tali rimedi preventivi inconsistenti e, quindi, incostituzionali); quanto poi all’infondatezza resta del tutto ignota l’addotta contrarietà al diritto vivente e alla giurisprudenza consolidata, dovendosi, per contro, escludere, sulla base dei principi enunciati da questa Corte (cfr., ex multis, la già richiamata sentenza Sez. 2, n. 25318/2019) temerarietà della domanda, ciò anche in relazione al decorso della durata del processo per la persona offesa, il quale ha necessitato dell’intervento della Corte Costituzionale, epilogato in una pronuncia d’infondatezza della questione e non in una pronuncia di manifesta infondatezza;

– in altri termini, deve convenirsi per una falsa applicazione dell’art. 96, co. 1 e 3, cod. proc. civ., il qual subordina la condanna all’accertamento di colpa grave o mala fede, stante che un tale accertamento risulta solo apparentemente essere stato effettuato;

– in sintesi è opportuno enunciare il seguente principio di diritto “la responsabilità aggravata di cui ai commi 1 e 3 dell’art. 96 cod. proc. civ. presuppone il previo accertamento della colpa grave o della mala fede e ove un tale accertamento risulti solo enunciato deve constatarsi falsa applicazione della norma in parola; inoltre, ove la colpa addebitata alla parte sanzionata debba rinvenirsi esclusivamente nella macroscopica erronea prospettazione giuridica, il vaglio del giudice del merito, poiché involgente questioni di diritto, è sindacabile dalla Corte di cassazione”;

– considerato che, pertanto, la decisione impugnata deve essere cassata sul punto senza rinvio e che le spese del giudizio di cassazione, tenuto conto dell’epilogo, possono compensarsi per intero, confermandosi il regolamento delle spese del giudizio svoltosi innanzi alla Corte di Campobasso.

P.Q.M.

accoglie il quarto motivo del ricorso e, decidendo nel merito, elimina la condanna di Danilo (OMISSIS) al pagamento della somma di €. 1.965,00, ex art. 96, co. 3, cod. proc. civ.;

rigetta gli altri motivi;

conferma la statuizione di condanna alle spese di cui alla impugnata decisione della Corte d’appello di Campobasso;

compensa per intero le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il giorno 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria, addì 17 novembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.