REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere –
Dott. POLETTI Dianora – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al R.G.N. 31355-2018 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS), giusta procura speciale in atti;
-ricorrenti-
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE (OMISSIS) (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), giusta procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 3592/2018 della CORTE DI APPELLO di MILANO, depositata il 24/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2023 dal Consigliere Dott.ssa DIANORA POLETTI;
FATTI DI CAUSA
1. (omissis) (omissis), proprietario di un immobile sito all’interno di un complesso condominiale sito in Pescate, citava in giudizio (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) per aver costruito, sul lastrico d’ingresso del loro appartamento confinante, una serra bioclimatica che l’attore assumeva essere lesiva del decoro architettonico dell’edificio ex art. 1120 e 1122 c.c. e di ostacolo alla sua visuale; chiedeva quindi la condanna alla demolizione dell’opera, il ripristino dello status quo ante e il risarcimento del danno per essere l’opera stata costruita in contrasto tanto dei divieti presenti nel regolamento condominiale contrattuale, quanto delle prescrizione di cui all’art. 4 della L. 39/2004 della Regione Lombardia in materia di serre climatiche, nonché in violazione del permesso di costruire e delle distanze tra costruzioni prescritte dal D.M. n. 1444/68 e dalle N.T.A. del Comune di (omissis).
2. Con sentenza n. 266/2016, il Tribunale di Lecco, pronunciandosi nel contradditorio delle parti e facendo proprie le risultanze della C.T.U., dichiarava cessata la materia del contendere con riferimento al rispetto delle distanze tra le costruzioni per l’avvenuto arretramento della serra e rigettava per il resto la domanda attorea.
3. Avverso tale decisione proponeva appello (omissis) (omissis).
4. Con sentenza n. 3592/2018, la Corte territoriale, nella resistenza degli appellati, ritenendo fondato e assorbente il motivo di gravame sull’errata valutazione del giudice di prime cure in materia di distanze tra le costruzioni, dichiarava che l’opera realizzata da (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), avente le caratteristiche di una costruzione e non di una serra bioclimatica, violava le distanze legali tra costruzioni ex art. 9 D.M. 1444/1968 e, per l’effetto, accoglieva parzialmente il gravame, condannando gli appellati alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi e al risarcimento del danno in favore del (omissis).
5. Avverso tale decisione ricorrono per cassazione sulla scorta di tre motivi (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis).
6. (omissis) (omissis) ha resistito con controricorso.
Sono pervenute memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo di ricorso, ex art. 360, comma primo n. 3 c.p.c., i ricorrenti censurano la violazione dell’art. 1102 c.c. per non avere la Corte distrettuale considerato il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui le norme sulle distanze tra costruzioni non possono trovare applicazione in ambito condominiale.
L’uso operato dai ricorrenti riguardo all’opera realizzata risulta conforme all’art. 1102 c.c. in quanto non altera la destinazione della cosa utilizzata e rispetta la struttura dell’edificio.
1.1.- Il motivo è infondato.
1.2.- Occorre preliminarmente rilevare che la sentenza impugnata, con un accertamento in fatto, ovviamente non censurabile in questa sede, ha ritenuto che l’opera realizzata dai ricorrenti deve essere considerata una costruzione e non una “serra bioclimatica”, perché “la struttura non ha più solo l’aspetto di un manufatto in legno e vetro tale da svolgere le funzioni di serra bioclimatica, essendo stata realizzata una copertura anche in rame a falda parzialmente inclinata ed una chiusura totale della parete ovest con tavole di legno” (cfr. pag. 11).
Sulla base di tale presupposto, coerentemente – e correttamente – la Corte distrettuale ha applicato alla costruzione in questione la normativa sulle distanze tra le costruzioni e, specificamente, del D.M. n. 1444/1968, che disciplina le distanze tra le pareti finestrate, considerato che la parete realizzata a chiusura della parte ovest della proprietà (omissis)-(omissis) è stata considerata “parete antistante rispetto alla parete finestrata dell’unità immobiliare di proprietà dell’attore” che non rispetta la distanza legale di 10 m prevista dalla norma sopra citata.
Di nessun pregio appaiono le deduzioni dei ricorrenti secondo i quali la normativa sulle distanze non si applica ai rapporti tra condomini, che contrasta con consolidati precedenti di questa Corte di legittimità in materia, come già affermato dal giudice a quo, che ha richiamato specificamente Cass. n. 13170/2001 (e cfr. anche Cass. n. 6546/2010 e Cass. n. 30528/2017). Quest’ultima decisione è stata invocata anche dagli stessi ricorrenti a sostegno dei loro assunti.
E tuttavia, a tacere che la prevalenza della norma speciale in tema di condominio sulla normativa in tema di distanze tra le costruzioni è consentita solo quando il giudice del merito accerti che siano rispettati i limiti dell’art. 1102 c.c. e la struttura dell’edificio condominiale, nel caso di specie va rilevato, quanto alla supposta violazione della norma appena citata, che la Corte di appello ha convenuto – come indicato da Cass. n. 8507/2017 – che l’uso della cosa comune consentito al partecipante non è applicabile ai rapporti tra proprietà individuali e loro accessori e beni condominiali finitimi, che sono disciplinati dalle norme attinenti alle distanze legali, ossia da quelle che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite e che non contraddicono alla particolare normativa della comunione.
In questo senso si è pronunziata anche Cass. n. 17216/2020, la quale ha osservato che, “in tema di condominio negli edifici, la realizzazione, in appoggio al muro perimetrale del fabbricato, di una tettoia insistente su di un resede in proprietà esclusiva di uno dei condomini” deve rispettare le distanze tra le costruzioni, “non ponendosi alcuna questione di compatibilità tra la disciplina sulle distanze e quella sull’uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c., giacché la tettoia insiste su un’area di proprietà esclusiva e non condominiale ed essendo i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite” (con riguardo all’applicazione dell’art. 1102 c.c., ha ribadito che i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi sono disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite, Cass. n. 26807/2019).
La sentenza censurata appare dunque immune dal denunciato vizio di violazione dell’art. 1102 c.c., essendo in discussione la violazione delle distanze tra due proprietà esclusive, ossia tra il nuovo manufatto e la preesistente parete finestrata della proprietà del controricorrente.
2. – Con il secondo motivo di ricorso, in riferimento all’art. 360, comma primo n. 3 c.p.c., i ricorrenti lamentano la falsa applicazione dell’art. 9 D.M. 1444/1968 poiché tale norma, all’ultimo comma, prevede una deroga alle distanze tra costruzioni rispetto a quelle indicate nella normativa stessa nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.
A tal proposito, asseriscono i ricorrenti, gli immobili oggetto di causa costituiscono un unicum edilizio che rientra nella ratio derogatoria appena esaminata.
2.1.- Il motivo è inammissibile.
Come evidenziato dal controricorrente, la questione è stata dedotta per la prima volta nel presente giudizio. Pertanto, oltre a non essere adeguatamente specificata, la stessa si infrange contro il costante orientamento che, in sede di legittimità , non consente “la prospettazione di nuove questioni di diritto, ancorché rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione” (Cass. n. 2443/2016; n. 14477/2018, n. 15430/2018; n. 2038/2019).
Comunque, il principio invocato appare del tutto fuori luogo, posto che la deroga posta dall’art. 9 ult. comma del D.M. n. 14444/68 deve ritenersi legittima solo “quando faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati (gruppi di edifici) che siano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche che evidenzino una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio – dimensionali e architettonici delle varie costruzioni, considerate come fossero un edificio unitario, e siano finalizzate a conformare un assetto complessivo di determinate zone, poiché la legittimità di tale deroga”.
La quale – aggiunge la decisione – “è strettamente connessa al governo del territorio e non, invece, ai rapporti fra edifici confinanti isolatamente intesi” (Cass. n. 27638/2018). Per di più, trattandosi di disposizione di carattere derogatorio rispetto ai limiti d i distanza tra fabbricati posti dal D.M. n. 1444/1968, dunque di stretta interpretazione, la sua applicazione non può essere estesa oltre i casi da essa stabiliti, come vorrebbero i ricorrenti, superando così l’assenza di precise disposizioni plano-volumetriche che ne giustificano l’operatività.
La decisione è dunque conforme alla giurisprudenza di questa Corte e perciò il ricorso è inammissibile anche ai sensi dell’art. 360 bis cpc (cfr. Cass SSUU sentenza n. 7155/2017).
3. – Con il terzo mezzo, riferito all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., i ricorrenti si dolgono per la violazione dell’art. 4, comma 4, L.R. 39/2004 per non avere la Corte territoriale considerato che l’opera oggetto di causa in base alla citata legge rientri, per le sue caratteristiche tecniche e la funzione di risparmio energetico, nella categoria delle serre bioclimatiche e come tale deve essere ritenuta volume tecnico, e – in forza di una giurisprudenza consolidata in materia di volumi tecnici – neppure considerabile ai fini delle distanze tra costruzioni.
3.1.- Anche questo motivo non merita accoglimento.
Già si è chiarito (supra, par. 1.2) che il giudice di seconde cure ha qualificato il manufatto oggetto di causa come costruzione.
Sulla scorta di una relazione tecnica prodotta nel giudizio di primo grado, i ricorrenti chiedono con evidenza a questa Corte di operare una non consentita, nuova valutazione in fatto sulla natura del manufatto, contestando la sentenza della Corte di appello di Milano nel punto in cui la stessa non riconosce la funzione di serra bioclimatica all’opera in questione.
Gli stessi invocano al riguardo (e anche in questo caso la questione è nuova, perché non posta in precedenza, sicché per essa valgono le considerazioni già svolte con riguardo al precedente motivo) una legge della regione lombarda che considera volumi tecnici le serre bioclimatiche, come tali sottratte alla volumetria e, secondo i ricorrenti, anche alle distanze tra le costruzioni, non tenendo neppure in considerazione che, per giurisprudenza del tutto consolidata, “il regime delle distanze fra costruzioni nei rapporti tra privati appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, cui le Regioni possono derogare solo con previsioni più rigorose, funzionali all’assetto urbanistico del territorio” (per tutte: Cass. n. 18588/2018) e che, in particolare, la norma dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, in materia di distanze fra fabbricati, siccome emanata in attuazione dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, non può essere derogata dalle disposizioni regolamentari locali (Cass. n. 13547/2011).
4.- In conclusione, il ricorso va rigettato e i ricorrenti devono essere condannati in solido al rimborso delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, in forza del principio della soccombenza.
5.- Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla l. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2023.