La ricusazione del giudice resta un caso eccezionale (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 1 settembre 2021, n. 32630).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACETO Aldo – Presidente

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(OMISSIS) RAMONA SIMINA nata in ROMANIA il 27/02/19xx;

(OMISSIS) MARIA MAGDALENA nata in ROMANIA il 23/06/19xx;

avverso l’ordinanza del 30/12/2020 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA;

lette le conclusioni del PG, Dott. LUIGI CUOMO, che ha chiesto a questa Corte di dichiarare inammissibili i ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanze della Corte di Appello di Brescia, pronunciate il 30 dicembre 2020, sono state dichiarate inammissibili le istanze di ricusazione presentate dalle odierne ricorrenti.

2. Al fine di una migliore intelligibilità dell’impugnazione proposta in questa sede, si rileva, preliminarmente, che i provvedimenti impugnati delineano e precisano la genesi delle suddette istanze presentate a norma dell’art. 38 c.p.p.

Il 9 dicembre del 2020, nell’ambito della prima udienza dibattimentale innanzi al Tribunale di Mantova per il procedimento penale avente n. 2604/2012 RGNR, le attuali ricorrenti avevano presentato una dichiarazione di ricusazione nei confronti del Dott. Enzo (OMISSIS), nella sua qualità di giudice monocratico assegnatario della trattazione del procedimento in esame.

Le istanze si fondavano sulla convinzione che tale giudice avesse già espresso il proprio convincimento sui fatti oggetto del procedimento.

Quest’ultimo, infatti, era stato Presidente di due collegi del Tribunale del riesame di Mantova e con due ordinanze (n. 5/2020 e n. 15/2020) aveva assunto decisioni in merito al provvedimento di sequestro preventivo, disposto nell’ambito del procedimento originario dal GUP del Tribunale di Mantova.

In particolare, con l’ordinanza n. 5 del 2020 era stato rigettato l’appello presentato nell’interesse delle società Le Torbiere s.r.l. e Immobiliare Marina s.r.I., intestatarie di alcuni beni sottoposti a vincolo cautelare, in quanto tali enti erano stati ritenuti un mero “schermo” utilizzato dal coimputato (OMISSIS) Vincenzo al fine di realizzare il “meccanismo fraudolento emerso dagli atti di indagine”.

Allo stesso modo, con l’ordinanza n. 15 del 2020 era stato rigettato il gravame proposto nell’interesse della società London Company Investment Ltd, in quanto i beni formalmente appartenenti a tale impresa erano, in realtà, riconducibili allo stesso (OMISSIS).

Nell’assumere tale decisione, il Tribunale del riesame aveva rievocato l’esistenza dei presupposti previsti dalla legge per l’applicazione del sequestro preventivo, tra cui il fumus commissi delicti desumibile dalle “inequivocabili risultanze investigative in atti”.

La difesa riteneva che simili statuizioni costituissero una valutazione nel merito in ordine alla positiva sussistenza delle ipotesi di reato elevate nei confronti dell'(OMISSIS) e della (OMISSIS), concernenti reati di natura tributaria commessi mediante il c.d. meccanismo della frode a carosello.

Le due ricorrenti, inoltre, censuravano la circostanza che il giudice assegnatario fosse stato anche componente del collegio giudicante della commissione Tributaria Provinciale di Mantova che, con sentenza n. 343 del 2015, aveva respinto i ricorsi presentati nell’interesse dell'(OMISSIS) e della (OMISSIS) in merito alla fattispecie di omesso versamento dell’imposta Irpef relativa al biennio 2009-2010.

Al riguardo, la difesa evidenziava come le operazioni oggetto di accertamento tributario fossero anche oggetto, rispettivamente, dei capi H) ed I) contestati all'(OMISSIS) e dei capi B) e C) contestati alla (OMISSIS).

La Commissione Tributaria aveva accertato che, anche in questo caso, le fattispecie fiscali contestate erano state commesse attraverso il medesimo meccanismo della frode a carosello sottoposto all’attenzione del Tribunale di Mantova.

In realtà, tale procedimento penale promanava dal medesimo verbale di constatazione della Guardia di Finanza di Mantova che aveva dato origine agli avvisi di accertamento valutati dalla Commissione Tributaria.

Sulla base di tali considerazioni, le due attuali ricorrenti ritenevano configurabile l’ipotesi di ricusazione prevista all’art. 37, co. 1 lett. b) c.p.p. secondo cui: «il giudice può essere ricusato dalle parti se nell’esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, egli ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione».

Tuttavia, la Corte di Appello di Brescia, con due distinte ordinanze (n. 682/2020 e n. 683/2020), oggetto di impugnazione in questa sede di legittimità, non ha ritenuto fondate le motivazioni addotte a sostegno di tali istanze.

3. Contro le richiamate ordinanze ha proposto congiunto ricorso per cassazione il difensore di fiducia delle ricorrenti, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge ex art. 606, co. 1 lett. c) in relazione all’art. 41 c.p.p. ed inosservanza degli artt. 41 co. 3 e 127 c.p.p.

Con il primo motivo di ricorso, la difesa deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 41 co. 3 e 127 c.p.p.

In particolare, la Corte di Appello di Brescia si sarebbe erroneamente pronunciata sulle istanze di ricusazione de plano ex art.41 co. 1 c.p.p., senza previa fissazione dell’udienza di discussione in camera di consiglio, pur valutando nel merito tali richieste.

Alla luce delle argomentazioni svolte dai giudici di secondo grado, emerge come il Collegio abbia svolto un accertamento approfondito del caso dedotto in giudizio, ben diverso dalle valutazioni caratterizzanti le pronunce di manifesta infondatezza, di carenza di legittimazione ovvero di inosservanza dei termini e delle forme previsti dall’art. 38 c.p.p.

A ben vedere, le ipotesi in cui il Collegio può pronunciarsi de plano, dichiarando l’inammissibilità della ricusazione, sono tassativamente previste dalla legge e soddisfano un’esigenza di celerità del processo nei casi in cui ictu oculi la dichiarazione di ricusazione difetti dei suoi elementi essenziali.

Nel caso di specie, invece, la Corte di Appello avrebbe svolto un attento vaglio nel merito della questione, e non si sarebbe limitata ad accertare un vizio di forma, di legittimazione ovvero di motivazione manifestamente infondata.

Quest’ultima valutazione, infatti, viene condotta nei casi in cui le istanze di ricusazione risultino evidentemente e manifestamente inconsistenti.

Al riguardo, la difesa evidenzia che le censure sollevate dalle odierne ricorrenti traggono origine da una situazione concreta e si fondano su considerazioni di diritto la cui puntualità esclude un giudizio di manifesta infondatezza.

La verifica puntuale condotta dal Collegio nell’esaminare le questioni sollevate si desume dall’accuratezza con cui le ordinanze impugnate hanno ritenuto inammissibili entrambe le istanze di ricusazione.

I giudici di seconde cure, inoltre, hanno valutato attentamente gli elementi probatori portati alla loro attenzione, sia con riferimento ai provvedimenti emessi dal Tribunale del riesame di Mantova che relativamente alle decisioni della Commissione Tributaria Provinciale.

Alla luce di tali considerazioni, la difesa ritiene che, nella fattispecie in esame, si sarebbe dovuto procedere attraverso le forme di cui agli artt. 41 co. 3 e 127 c.p.p.

In tal modo, si sarebbe consentito alle parti l’esercizio del diritto di difesa, nonché alla Corte di Appello “di assumere, ove necessario, le opportune informazioni”.

L’omesso rispetto di tale modulo procedimentale – concludono le ricorrenti – costituisce inosservanza e violazione di una norma giuridica ed altresì violazione del principio del contraddittorio nelle forme proprie del rito camerale.

3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 37 co. 1 lett. b) c.p.p., come novellato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 283 del 14 luglio 2000.

In particolare, le istanze di ricusazione presentate dalle odierne ricorrenti riguardavano proprio l’ipotesi oggetto della pronuncia della Consulta, ovvero il caso in cui un giudice, chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità dell’imputato, abbia espresso in un altro procedimento una valutazione di merito sullo stesso fatto e nei confronti del medesimo soggetto.

In tali evenienze, infatti, rischierebbe di essere compromesso il principio, costituzionalmente tutelato, di imparzialità e terzietà dell’organo giudicante.

Nel caso di specie, il Dott. Enzo (OMISSIS), in qualità di componente della Commissione Tributaria Provinciale di Mantova, aveva giudicato, sotto il profilo tributario, il c.d. meccanismo delle frodi carosello in cui le stesse imputate (OMISSIS) e (OMISSIS) erano coinvolte.

Le medesime operazioni fiscali – prosegue la difesa – costituiscono l’oggetto del procedimento penale (RGNR n. 2604/2012) di cui il Dott. (OMISSIS) risulta assegnatario.

Le ricorrenti evidenziano come nella sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria (sent. n. 343/2015), di cui il Giudice ricusato era componente, sono presenti diverse valutazioni involgenti il merito della vicenda.

La pronuncia in esame, infatti, individua ed accerta la natura fittizia delle imprese facenti capo alle odierne imputate, in quanto destinate ad essere utilizzate per realizzare le c.d. frodi carosello.

Una simile valutazione, dunque, potrebbe avere un’incidenza diretta ed immediata nell’ambito del procedimento penale nel momento in cui il Giudice ricusato dovrà giudicare, rispettivamente, la (OMISSIS) per il reato di omessa dichiarazione fiscale ex art. 5 D.Igs. 74/2000 e la (OMISSIS) per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili ai sensi dell’art. 10 del medesimo testo normativo.

Il Dott. Enzo (OMISSIS), inoltre, avrebbe avuto un ulteriore conoscenza della medesima vicenda criminosa anche in sede di riesame cautelare in quanto, quale componente del Collegio, aveva confermato due distinti provvedimenti di sequestro preventivo.

Anche in tali circostanze, il Tribunale del riesame di Mantova aveva accertato l’esistenza di un meccanismo fraudolento finalizzato a sottrarre i beni degli indagati dal rischio di apprensione mediante i provvedimenti ablatori emessi nei loro confronti.

Sul punto, la difesa censura le argomentazioni della Corte di Appello volte a configurare tali statuizioni quali mere espressioni finalizzate ad un generico inquadramento delle questioni tecniche da analizzare.

Al contrario, le ricorrenti ritengono che simili considerazioni postulino l’esistenza di una conoscenza approfondita degli atti di indagine, tale da consentire di affermare la sussistenza di un sistema di frode fiscale.

Alla luce di tali considerazioni, la difesa ritiene evidente che il Dott. (OMISSIS) abbia – in più occasioni ed in sedi diverse – manifestato il proprio convincimento riguardo il fatto storico oggetto del procedimento penale in esame, valutando i medesimi elementi di prova addotti dall’accusa a fondamento delle proprie richieste.

Il principio, costituzionalmente tutelato, della formazione della prova dinnanzi ad un Giudice terzo ed imparziale, impone di evitare qualsiasi collegamento tra la fase procedimentale e la fase processuale penale.

Da ciò ne consegue che il giudice funzionalmente competente ad effettuare le determinazioni cautelari nel corso delle indagini preliminari non può in alcun modo ricoprire la funzione di Giudice del dibattimento.

In sede di riesame, infatti, le valutazioni vengono svolte attraverso il vaglio del medesimo compendio probatorio che successivamente sarà oggetto di esame dibattimentale.

In definitiva, tali conclusioni vengono avvalorate dalla difesa attraverso un rinvio alle fonti ed alla giurisprudenza sovranazionale.

In particolare, si richiama l’art. 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e l’art. 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, volti a garantire il diritto di ciascun individuo ad un’equa e pubblica udienza dinnanzi ad un tribunale indipendente ed imparziale.

Allo stesso modo, anche l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e l’art. 47 co. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sanciscono il principio del giusto processo.

Per quanto riguarda la giurisprudenza convenzionale, si evocano alcune pronunce in cui la Corte di Strasburgo ha ritenuto violato il principio di imparzialità sulla base del semplice rilievo della partecipazione, nel collegio giudicante, di magistrati che avevano avuto conoscenza della causa in altra occasione ratione offici (Corte EDU, sent., 28.09.1995, Procola c. Lussemburgo; Corte EDU, De Cubber c. Belgio).

4. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta in data 13.04.2021, ha chiesto di dichiarare inammissibile il congiunto ricorso perché manifestamente infondato.

In particolare, nella sua requisitoria scritta datata 17.04.2021, il PG, in merito al primo profilo di censura, condivide il giudizio della Corte di Appello di Brescia riguardo la “manifesta infondatezza” delle istanze di ricusazione. In tali evenienze, l’inammissibilità delle richieste ben può essere dichiarata all’esito di un procedimento svolto “de plano” (Cass. pen., Sez. I, sent. n. 52569/2014).

Quanto all’asserita incompatibilità del giudice assegnatario, evidenzia come non costituisce valida causa di ricusazione la circostanza per cui il Dott. (OMISSIS), in qualità di componente del Tribunale del riesame, abbia confermato una misura cautelare reale.

L’adozione di tali provvedimenti, infatti, prescinde da qualsiasi valutazione in ordine alla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza per la fattispecie per cui si procede.

Alle medesime conclusioni ritiene di pervenire in relazione alla posizione del giudice procedente, quale membro della Commissione Provinciale Tributaria, stante la diversità strutturale ed ontologica tra i due procedimenti, nonché la divergenza dei rispettivi fatti oggetto di accertamento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il congiunto ricorso è inammissibile.

2. Ed invero, quanto al primo motivo, va premesso che qualora risulti chiaro – indipendentemente dall’utilizzo nel dispositivo dell’ordinanza del termine “rigetto” ovvero “inammissibilità” – che l’istanza è stata ritenuta manifestamente infondata, il provvedimento può essere adottato “de plano” senza la necessità di ricorrere alla procedura camerale (Cass. pen., Sez. V, sent. n. 43855/2005; Cass. pen., Sez. I, sent. b. 6621/2010; Cass. pen., Sez. I, sent. n. 52569/2014; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 6211/2014).

Tale conclusione discende dalla lettura dell’art. 41 co. 1 c.p.p., là dove stabilisce che la declaratoria di inammissibilità deve essere emessa “senza ritardo”, ovvero senza alcun preventivo adempimento processuale.

L’adozione delle forme dell’udienza camerale partecipata ai sensi dell’art. 127 c.p.p., invece, è prevista con esclusivo riguardo all’assunzione di una decisione di merito sull’istanza di ricusazione (Cass, pen., Sez. I, sent. n. 409/2000; Cass. pen., Sez. I, sent. n. 6621/2010).

D’altra parte, in diverse occasioni la giurisprudenza di legittimità ha valutato come manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41 co. 1 c.p.p. per asserita violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost., 6 CEDU) e dei principi del giusto processo (art. 111 Cost.), nella parte in cui consente al giudice collegiale competente di dichiarare inammissibile la richiesta di ricusazione senza previa fissazione dell’udienza camerale.

In particolare, per quanto riguarda l’art. 6 CEDU, ne è esclusa l’applicabilità ai procedimenti o sub-procedimenti incidentali e, quanto all’art. 111 Cost., rientra nell’insindacabile discrezionalità del legislatore la scelta di graduare forme e livelli differenti di contraddittorio, sia esso meramente cartolare ovvero partecipato, purché sia sempre garantito il diritto di difesa (Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 44713/2013; Cass. pen., Sez. V, sent. n. 18522/2017).

Nel caso in cui il giudice di merito abbia ritenuto manifestamente infondata la relativa istanza di ricusazione e ne abbia, di conseguenza, dichiarato l’inammissibilità con un provvedimento adottato “de plano”, non sussiste, in capo all’istante, alcun interesse a proporre ricorso per cassazione per inosservanza dell’art. 127 c.p.p., norma prevista per i casi in cui debba rigettarsi la suddetta richiesta nel merito (Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 1379/1998; Cass. pen., Sez. I, sent. n. 23502/2003).

Pertanto, non si riscontra alcuna incompatibilità logica tra la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di ricusazione, basata su motivi manifestamente infondati, e la circostanza che il provvedimento dichiarativo illustri le ragioni della ritenuta manifesta infondatezza con motivazione complessa (Cass. pen., Sez. II, sent. n. 27611/2007).

L’obbligo di motivazione, infatti, non viene certo meno nel caso di una decisione di inammissibilità e l’esistenza di una motivazione congrua e completa non può considerarsi incompatibile col tenore della decisione assunta (Cass. pen., Sez. II, sent. n. 27611/2007).

3. Nel caso di specie, la Corte di Appello di Brescia ha adottato le ordinanze impugnate de plano, sul presupposto, correttamente valutato, della manifesta in- fondatezza delle istanze di ricusazione proposte dall'(OMISSIS) e dalla (OMISSIS) nei confronti del Dott. Enzo (OMISSIS).

Tale procedura semplificata può essere legittimamente osservata nelle ipotesi in cui la dichiarazione di ricusazione risulti sprovvista di determinati requisiti formali ovvero sia manifestamente infondata.

Sul punto, non può che richiamarsi l’orientamento consolidatosi in sede di legittimità, secondo cui: «in tema di ricusazione, solo quando la dichiarazione ricusatoria risulti “prima facie” infondata, si giustifica la dichiarazione di inammissibilità con la procedura “de plano” e senza ritardo, occorrendo, in caso diverso, e cioè ove appaia un “fumus boni juris” che ne giustifichi il passaggio all’esame del merito, l’adozione della procedura prevista dall’art. 127 cod. proc. pen.» (Cass. pen., Sez. V, sent. n. 4829/1999; Cass. pen., Sez. IV, sent. n. 42024/2017).

Né potrebbe essere diversamente, atteso che la declaratoria di manifesta infondatezza di un’istanza di ricusazione si caratterizza per una sommaria delibazione, che si arresta a una fase preliminare del vaglio delle ragioni processuali poste a fondamento della richiesta.

Ne consegue che il provvedimento adottato de plano implica una verifica esterna della corrispondenza dell’istanza di ricusazione al modello legale, rispetto alla quale il giudice deve limitarsi a vagliare la mera plausibilità dei motivi che sorreggono l’atto processuale (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 6211/2014).

4. Tanto premesso, la Corte di Appello di Brescia si è pronunciata nel rispetto dei parametri ermeneutici appena richiamati in quanto le istanze di ricusazioni presentate dalle odierne ricorrenti si fondavano su ragioni che apparivano prima facie destituite di fondamento giuridico.

I giudici di secondo grado hanno – opportunamente – dichiarato inammissibili le suddette richieste alla luce dell’evidente diversità dell’oggetto dei diversi procedimenti a cui il giudice assegnatario aveva in precedenza partecipato.

Non sussiste, infatti, alcuna incompatibilità logica tra la dichiarazione di inammissibilità delle istanze di ricusazione e la circostanza che le ordinanze dichiarative, ancorché adottate de plano, illustrino le ragioni della ritenuta manifesta infondatezza con una motivazione complessa (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 18043/2019).

In definitiva, del tutto ineccepibile si appalesa l’adozione con la procedura de plano delle ordinanze dichiarative d’inammissibilità delle richieste presentate dalle due ricorrenti, là dove il Collegio si è limitato ad argomentare – in ogni caso con una motivazione non ridondante – le ragioni della manifesta infondatezza della dedotta incompatibilità.

5. Anche il secondo motivo non merita accoglimento.

Giova ribadire che le norme che prevedono le cause di ricusazione costituiscono norme eccezionali e, come tali, di stretta interpretazione, sia in quanto determinano dei limiti all’esercizio del potere giurisdizionale ed alla capacità del giudice, sia perché consentono un’ingerenza delle parti nell’ambito dell’ordinamento giudiziario (Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 14/2013).

Inoltre, la valutazione espressa dal giudice in un provvedimento reso nell’ambito di un procedimento connesso ovvero collegato a quello del quale è investito, concernente un reato storicamente diverso, non costituisce un’indebita manifestazione del proprio convincimento suscettibile di fondare una richiesta di ricusazione ai sensi dell’art. 37 co. 1 lett. b) c.p.p.

Né tanto meno essa dà luogo ad una situazione di incompatibilità rilevante ex art. 37 co. 1 lett. a) c.p.p., non potendosi configurare – in assenza dell’identità del fatto storico – alcuna compromissione del principio dell’imparzialità (Cass. pen., Sez. V, sent. n. 21146/2019).

6. Non a caso, la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 37 co. 1 c.p.p. nella parte in cui non prevede che possa esser ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto, ha espressamente chiarito che «la funzione pregiudicata va a sua volta individuata in una decisione attinente alla responsabilità penale, essendo necessario, perché si verifichi un pregiudizio per l’imparzialità, che il giudice sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito collegata alla decisione finale della causa» (Corte Cost., sent. n. 283/2000).

È evidente, infatti, che, affinché possa parlarsi di “parzialità” del giudice, occorre individuare un effetto condizionante della decisione da lui assunta in precedenza, capace di distorcere ovvero di influenzare il giudizio successivo.

È necessario, dunque, accertare se le valutazioni compiute dal giudice ricusato nell’altro processo riguardino lo stesso fatto e, in caso negativo, se possano interpretarsi analogicamente le norme sulla ricusazione.

Tuttavia, come già chiarito, le norme sulla ricusazione non ammettono interpretazione estensiva o analogica, e, quindi, non autorizzano una lettura degli artt. 36 e 37 c.p.p. che pretenda di assimilare interessi emergenti dal caso concreto – non espressamente considerati dall’ordinamento – a quelli oggetto di specifica regolamentazione (Cass, pen., Sez. I, sent. n. 45470/2005).

Pertanto, alla luce del costante orientamento della Corte costituzionale (ord. n. 368/2000 e sent. n. 283/2000), nonché della Corte di Cassazione, la funzione pregiudicante può essere ravvisata non già in qualsiasi attività processuale precedentemente svolta dallo stesso giudice nel medesimo ovvero in altro procedimento penale, a carico dello stesso imputato, bensì soltanto in una valutazione di merito espressa dal giudice, sia sulla sussistenza del medesimo fatto di reato, sia sulla colpevolezza dello stesso imputato (Cass. pen., Sez. III, ord. n. 11535/2013).

7. Ne consegue che, nel caso di specie, non può essere ritenuta ammissibile l’istanza di ricusazione del Dott. (OMISSIS) sotto il profilo del difetto di imparzialità.

La Corte di Appello di Brescia ha opportunamente premesso come non possa costituire un’indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare simili istanze, la circostanza che questi, quale componente del Tribunale del riesame, abbia confermato una misura cautelare reale.

Tale decisione, infatti, prescinde da qualsiasi valutazione in ordine alla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’imputato nei cui confronti si procede.

Anche nel caso in esame, il Tribunale della libertà di Mantova non si era in alcun modo pronunciato sulla configurabilità delle fattispecie di reato contestate alle odierne ricorrenti.

Al contrario, la questione devoluta alla cognizione dei giudici del riesame riguardava il vincolo intercorrente tra il coimputato (OMISSIS) Vincenzo e determinate società terze, utilizzate da quest’ultimo al fine di realizzare un’interposizione fittizia.

Deve, dunque, condividersi l’assunto secondo cui i riferimenti al fumus commissi delicti, agli indizi di reato ed all’esistenza di un generico meccanismo fraudolento assumono la valenza di un mero inquadramento generale delle questioni tecniche da affrontare. L’ambito cognitivo del Tribunale del riesame, infatti, risulta limitato alle questioni devolute e non si estende in alcun modo agli elementi fattuali e probatori sottesi al provvedimento cautelare.

8. Per quanto attiene il diverso rilievo riguardante la posizione del Dott. (OMISSIS) quale componente della Commissione Tributaria Provinciale di Mantova, il Collegio ha correttamente evidenziato, in via preliminare, la diversità ontologica e strutturale esistente tra il processo penale ed il procedimento tributario.

Pur volendo prescindere da tale osservazione, non può non considerarsi come, nel caso di specie, l’oggetto del processo tributario non coincida con quello sottoposto al vaglio del giudice penale.

La pronuncia della Commissione Tributaria, infatti, riguardava degli avvisi di accertamento emessi dall’agenzia delle entrate di Mantova in materia di Irpef per il biennio di imposta 2009-2010 e riguardanti la ditta individuale Italcommercio.

La fattispecie di reato contestata all'(OMISSIS), invece, concerne l’ipotesi di emissione di fatture per operazioni inesistenti ex art. 8 D.Igs. 74/2000 nella sua qualità di amministratore di diritto della Petrolpolimeri s.r.l. ed in relazione agli anni di imposta tra il 2012 ed il 2014.

Si tratta, dunque, di un giudizio avente un oggetto differente, riguardante una società diversa, nonché anni di imposta successivi rispetto a quelli oggetto dell’accertamento tributario.

Analoghe considerazioni devono essere svolte in merito all’ulteriore ipotesi di reato di cui al capo H) della rubrica, laddove all'(OMISSIS) – sempre in qualità di amministratore di diritto della Petrolpolimeri s.r.l. – viene contestata la condotta di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, tra cui quelle emesse dalla ditta individuale Italcommercio in relazione agli anni di imposta 2011, 2012, 2013, 2014. La fittizietà di tali operazioni, tuttavia, non è stata oggetto di alcun accertamento da parte della Commissione Tributaria.

9. Allo stesso modo, anche le fattispecie di reato contestate alla (OMISSIS) risultano del tutto inconferenti rispetto all’ambito cognitorio del precedente giudizio tributario. In particolare, l’una ha ad oggetto la condotta di occultamento o di distruzione delle fatture dell’impresa individuale alla stessa intestata di cui all’art. 10 D.Igs. 74/2000, l’altra riguarda l’omessa presentazione delle dichiarazioni annuali relative all’imposta IVA del biennio 2009 e 2010.

Pertanto, l’accertamento svolto nel procedimento tributario atteneva ad un aspetto del fatto storico di evasione fiscale non attinto da alcuna contestazione in sede penale.

In considerazione della diversità dell’oggetto dei rispetti giudizi, non può che condividersi la conclusione cui giunge la Corte di Appello di Brescia: le valutazioni svolte in sede tributaria in merito all’esistenza di un generale meccanismo fraudolento finalizzato all’evasione fiscale non possono avere alcuna influenza diretta sugli accertamenti da svolgersi in sede penale, riguardanti condotte differenti ed una diversa tipologia di imposta.

10. Alla dichiarazione di inammissibilità del congiunto ricorso segue la con- danna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di euro 3.000,00 ciascuna in favore della Casse della ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso, il 21 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1° settembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.