Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della B.H. spa, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche n. 122/06/2007, depositata in data 4/03/2008, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento, per IRPEG, IRAP ed IVA, relative all’anno 1999, emesso a seguito di verifica fiscale a carattere generale (effettuata nell’anno 2000) e di recupero a tassazione degli interessi passivi di un finanziamento, indebitamente detratti dalla società, in quanto ritenuti, dall’Amministrazione finanziaria, frutto di operazioni elusive, consistenti in una riduzione del capitale sociale, deliberata nel maggio 1997, con distribuzione ai soci e sottoscrizione, da parte degli stessi, di un prestito obbligazionario, in favore della società, e dei ricavi conseguenti a presunte vendite di beni senza fattura – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente.
In particolare, i giudici d’appello hanno, preliminarmente,ritenuta legittima l’utilizzazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’accertamento parziale, ai sensi dell’art. 41 bis DPR 600/1973, sia perché detto strumento consegue ad una “segnalazione” non necessariamente di “particolare semplicità”, sia perché comunque l’eccezione dell’appellata avrebbe dovuto costituire oggetto di uno specifico motivo di appello, “avendo costituito un punto controverso non deciso o deciso dalla Commissione di 1° grado in senso sfavorevole alla società contribuente”.
Quindi, gli stessi, nel merito, hanno sostenuto che il comportamento della contribuente non appare elusivo, ma sorretto da valide ragioni economiche (considerato che le operazioni societarie, succedutesi nel tempo, sono conseguite a decisioni legittimamente assunte dagli organi sociali, riflettenti scelte di politica d’impresa; gli investimenti sono effettivamente ammontati a “£ 7 miliardi e la copertura finanziaria corrispondeva all’ammontare dell’emissione del prestito obbligazionario”, con conseguente inerenza con l’attività sociale e le necessità finanziarie aziendali; la scelta di ricerca di capitali di terzi, in alternativa all’utilizzo di capitali propri, è rimessa all’imprenditore; è illogica la scelta dell’Ufficio di recuperare a tassazione l’importo di £ 581.000.000 sia nel 1998 sia nel 1999); inoltre, ad avviso della C.T.R., l’ulteriore rilievo relativo al recupero dei ricavi afferenti merce, stante la ritenuta non corrispondenza tra imballaggi e cerniere acquistate ed utilizzate, non è legittimo, in quanto, come ritenuto dai giudici di primo grado, “gli impieghi di tali elementi accessori … possono rientrare tra quelli giustificabili”, non potendo presumersi omissione di ricavi da “gli sfridi, i resi, le rotture e la contestuale fornitura di scorte”.
L’intimata ha depositato controricorso, nonché ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Considerato in diritto
1. L’Agenzia delle Entrate ricorrente, in via principale, limitando il ricorso al solo rilievo concernenti le operazioni elusive, ai sensi degli artt. 37 bis e 41 bis DPR 600/1973 e riducendo comunque, in questa sede, la pretesa dell’Ufficio a £ 166.000.000 (corrispondente all’8,3%, onere annuale dedotto dalla contribuente per gli interessi passivi, su £ 2 miliardi, anziché £ 7 miliardi), lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt.37 bis comma 4 DPR 600/1973 e 53 Cost. e dei principi in tema di abuso del diritto, non essendo, da un lato, opponibili all’Ufficio i comportamenti elusivi anche se frutto, quanto alle società, di specifiche delibere sociali.
2. La censura è infondata.
2.1. E’ utile una breve ricostruzione del quadro normativo, come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
Recitano i primi cinque commi dell’art. 37 bis DPR 600/1973, nel testo vigente ratione temporis:
“1. Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.
2. L’amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all’amministrazione. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell’ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o più delle seguenti operazioni: a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili; b) conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende; c) cessioni di crediti; d) cessioni di eccedenze d’imposta ; e) operazioni di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l’adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi di azioni; f) operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni, aventi ad oggetto ((i beni ed i rapporti di cui all’articolo 81, comma 1, lettere da c) a c quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi)), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. 4.
L’avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2. 5. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 42, l’avviso d’accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente e le imposte o le maggiori imposte devono essere calcolate tenendo conto di quanto previsto al comma 2.”.
Secondo l’orientamento di questa Corte, formatosi proprio in relazione alla disposizione antielusiva di cui all’art. 37 bis, “costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo elusivo del fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera ove esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta; la prova del disegno elusivo, nonché delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di marcato ed utilizzati solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria” (Cass. nr 21390 del 2012; Cass. n. 1465 del 2009; Cass. S.U. 23 dicembre 2008, n. 30055; Cass. 4603 e 4604/2014, nella quale ultima si è affermato che “il carattere abusivo va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extra fiscali, che non necessariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda”).
L’Amministrazione finanziaria ha dunque l’onere di provare il disegno elusivo, nonché le modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato ed utilizzati solo per pervenire a quel risultato fiscale.
Non costituisce elusione la sola scelta del contribuente di non seguire l’opzione fiscalmente più onerosa.
Va evidenziato che, mentre al comma 1 dell’art. 37 bis in esame, si specifica, quali requisiti necessari per l’individuazione del comportamento elusivo, che l’operazione elusiva comporti un aggiramento “patologico” di norme tributarie, che attraverso essa si realizzi un risparmio d’imposta indebito e che la stessa operazione, complessivamente considerata, sia priva di valide ragioni economiche, nei commi 4 e 5 si tiene conto del diritto di difesa del contribuente, imponendosi il contraddittorio preventivo in materia di contestazioni di tipo anti-elusivo, la successiva motivazione dell’avviso di accertamento sulla scorta dei chiarimenti forniti in sede di contraddittorio preventivo e, dunque, in sostanza, la contestazione specifica dell’elusività dell’operazione ben prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.
2.2. Giova rammentare che, più in generale, il concetto di abuso del diritto, elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici, ed impone al giudice tributario di considerare l’operazione come un tutto unitario, nella sua essenza, prescindendo dall’accertamento della simulazione o del carattere fraudolento (Cass. 20398 e 22932/2005; Cass. 21221/2006; cfr. Cass.S.U. 30055/2008).
2.3. Con una recente pronuncia di questa Corte (Cass. 438/2015; cfr. anche Cass. 2012/21390 e Cass. 2014/4604), in materia di comportamenti elusivi ex art. 37 bis DPR 600/1973 (ed in relazione ad una contestata operazione di fusione per incorporazione), è stato chiarito che “il carattere elusivo, sotto il profilo fiscale, di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, presuppone l’esistenza di un adeguato strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dal contribuente, sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito dal contribuente medesimo”; conseguentemente, “la cautela, che deve guidare l’applicazione % del principio, … deve essere massima quando non si tratti di operazioni finanziarie …, di artificioso frazionamento di contra di anomale interposizioni di soggetti (ma di ristrutturazioni societarie, soprattutto quando le stesse avvengono nell ‘ambito di grandi gruppi d’imprese”, dovendo, in questi ultimi casi, essere indagato se “vi siano manipolazioni ed alterazioni di schemi negoziali classici, considerate irragionevoli in una normale logica di mercato e se vi sia reale fungibilità con le soluzioni prospettate da fisco”.
La Corte ha pertanto affermato il seguente principio di diritto: “nei processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale integra gli estremi della condotta elusiva quella costruzione che, tenuto conto sia della volontà delle parti implicate che del contesto fattuale e giuridico, ponga quale elemento essenziale dell ‘operazione economica lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta e manchi il presupposto dell’esistenza di un idoneo strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dalla parte contribuente, sia comunque funzionale ai raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito”.
2.4. Nella stessa direzione si è mosso, da ultimo, anche il legislatore nazionale (legge n. 23 dell’11/03/2014, articolo 5) che, nel delegare al Governo l’attuazione della disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale, coordinandola con la succitata raccomandazione dell’UE,. indica, tra i principi e i criteri direttivi, quelli di: “definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta”; “garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale”; “considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell ‘operazione abusiva”; “escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extra fiscali non marginali” “stabilire che costituiscono ragioni extra fiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funziona le dell’azienda del contribuente”; “disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extra fiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti”; “prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso”.
2.5. Ora, i giudici della C.T.R., oltre ad avere precisato che le operazioni poste in essere erano conseguenti a “decisioni legittimamente assunte dagli organi sociali”, implicanti precise scelte di politica d’impresa (ricerca di capitali di terzi in alternativa all’utilizzo di capitali propri), hanno affermato che le stesse erano sorrette da valide ragioni economiche, essendo stati documentati “investimenti” per £ 7 miliardi, importo corrispondente all’ammontare del prestito obbligazionario.
Il motivo della ricorrente Agenzia delle Entrate estrapola invece un frammento della complessa motivazione, isolandolo dal resto.
3. Con il secondo motivo, la stessa ricorrente censura l’omessa motivazione, ex art. 360 n. 5 c.p.c., circa un fatto decisivo e controverso, non avendo i giudici motivato sul carattere elusivo e sull’assenza di valide ragioni economiche della complessiva operazione posta in essere dalla società, non tanto in relazione all’emissione del prestito, finalizzato ad investimenti, quanto alla riduzione ed al successivo aumento, a distanza di pochi mesi, del capitale sociale, laddove la società “ben avrebbe potuto evitare di ridurre il capitale sociale (e di aumentarlo subito dopo) con la successiva distribuzione ai soci, ed ottenere poi dagli stessi in prestito la stessa somma distribuita”, con identico risultato, divergente solo per il risparmio di imposta conseguente agli oneri pagati dalla società per il prestito dei soci e portati in detrazione, correttamente ripreso a tassazione.
La censura è infondata.
I giudici hanno ritenuto che le delibere sociali, dunque quelle di riduzione, prima, nel maggio 1997, ed aumento, a distanza di quattro mesi, con emissione del prestito obbligazionario, ad un tasso annuale dell’8,3%, per £ 7 miliardi, delibere “succedutesi nel tempo”, corrispondono a specifiche “scelte di politica d’impresa in merito all’organizzazione produttiva, scelte di mercato e conseguenti piani finanziari”.
La contribuente aveva, in effetti, documentato la maggiore onerosità del finanziamento presso un istituto di credito.
Peraltro, una delibera di riduzione del capitale sociale può anche essere funzionale alla esigenza di “liberare” capitali da reinvestire.
Inoltre, l’ aumento di capitale è stato, pacificamente, deliberato successivamente alla trasformazione della società, da srl a spa, e l’aumento è stato corrispondente ad importo almeno pari all’ammontare ritenuto necessario per il piano di investimenti, programmati ed effettivamente attuati, come accertato dal giudice di merito.
4. La controricorrente ha proposto due motivi di ricorso incidentale (Motivo 1, per violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 41 bis DPR 600/1973, in ordine all’illegittimità dell’avviso di accertamento parziale, scaturente da una verifica fiscale generale e non già da apposita segnalazione; motivo 2, per violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 4 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c., avendo i giudici d’appello omesso di statuire su di un’eccezione pregiudiziale all’esame del merito della controversia, ritualmente sollevata dalla contribuente, in primo grado, e riproposta in appello, concernente la mancata indicazione, nella motivazione dell’atto impositivo, delle ragioni alla luce delle quali l’Ufficio, in violazione del comma 5 dell’art. 37 bis DPR 600/1973, non aveva considerato i chiarimenti forniti dalla società in risposta al questionario ex art. 37 bis comma 4 DPR 600/1973).
I motivi del suddetto ricorso incidentale, stante il rigetto del ricorso principale, sono, di conseguenza, assorbiti.
5. Per tutto quanto sopraesposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale;
condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 4.000,00, oltre rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.