La S.C. sull’inutilizzabilità delle intercettazioni avvenute durante un colloquio in Carcere (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 28 febbraio 2022, n. 6952).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente –

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –

Dott. DAWAN Daniela – Rel. Consigliere –

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) SANTE nato a ROMA il 06/08/19xx;

avverso l’ordinanza del 22/09/2020 della CORTE APPELLO di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa DANIELA DAWAN;

lette/sentite le conclusioni del PG.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da (OMISSIS) Sante in relazione alla detenzione subita in carcere dal 20/04/2007 al 20/04/2008, in forza di ordinanza cautelare emessa il 19/04/2007 dal Gip del Tribunale di Roma:

per il reato di cui agli artt. 61 n. 7, 81, 110, 112 n. 1 e 628, commi 1 e 3 n. 1, cod. pen.;

per il reato di cui agli artt. 61 n. 1, 81, 110, 112 n. 1 e 605, comma 1, cod. pen.;

e per il reato di cui agli artt. 61, n. 2, 81, 110, 112 n. 1 cod. pen. e 10, 12, 14 L. 497/74.

2. In particolare, gli indizi di reità erano desunti dal contenuto delle conversazioni che l’istante aveva intrattenuto con suo figlio, (OMISSIS) Danilo, nella sala colloqui del carcere di Regina Coeli ove quest’ultimo era detenuto per altro procedimento.

In tali conversazioni – intercettate con gli strumenti in dotazione del citato istituto penitenziario in forza di decreto di urgenza disposto dal pubblico ministero e convalidato dal Gip – i due parlavano in modo allusivo e criptico di una rapina, verosimilmente coincidente con quella oggetto di indagine.

Il quadro indiziario veniva poi ulteriormente arricchito dal racconto di una fonte confidenziale che aveva indicato (OMISSIS) Sante come colui che, nel corso della rapina, aveva forzato le casseforti, ferendosi ad un occhio con una scheggia, tanto da vedersi costretto a farsi visitare.

Gli inquirenti accertavano che il pomeriggio del giorno successivo alla rapina, il (OMISSIS) si era sottoposto a visita medica presso il Centro Oftalmico di Roma, come documentato da referto medico indicante la diagnosi “rimozione di corpo estraneo superficiale dall’occhio, senza incisione”.

3. All’udienza del 07/03/2011, il Tribunale di Roma, su eccezione della difesa, dichiarava l’inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni ambientali, poiché il decreto di urgenza che le aveva disposte era privo di motivazione sulle ragioni dell’utilizzo degli impianti di captazione esistenti nella casa circondariale di Regina Coeli, anziché di quelli in dotazione della Procura della Repubblica.

In data 19/05/2015, il Tribunale, essendo venuta meno la prova principale, costituita dalle anzidette intercettazioni, sulla quale fondare una pronuncia di colpevolezza in capo al (OMISSIS), assolveva l’imputato per non aver commesso il fatto.

La Corte d’appello di Roma, ribadita la declaratoria di inutilizzabilità delle intercettazioni per i motivi più sopra ricordati, e ritenuto che il certificato del pronto soccorso oftalmico nulla provasse isolatamente considerato, ha confermato la sentenza di primo grado.

4. La Corte territoriale, nell’impugnata ordinanza, evidenzia come la scelta dell’indagato di avvalersi della facoltà di non rispondere, in sede di interrogatorio di garanzia, costituisca comportamento gravemente colposo, ostativo alla riparazione e come l’inutilizzabilità processuale delle conversazioni intercettate nel carcere di Regina Coeli non ne precluda l’apprezzamento da parte del Giudice della riparazione, il quale incontra il solo limite delle prove illegali o di quelle illegittimamente acquisite.

5. Avverso l’ordinanza della Corte di appello di Roma ricorre il difensore dell’istante che solleva due motivi con cui deduce:

5.1. Erronea applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione con riferimento al contegno tenuto dal (OMISSIS) ai sensi dell’art. 64, comma 3, lett. b), cod. proc. pen.

Nella valutazione del legittimo esercizio della facoltà di non rispondere, la motivazione è sostanzialmente omessa giacché vi si ritrova solo un mero collage dei principi affermati dalla Corte di legittimità al riguardo.

Nel corso del giudizio, peraltro, non è emerso alcun elemento noto al Palmieri che potesse incidere sul quadro indiziario che reggeva la misura cautelare.

5.2. Violazione degli artt. 191, 268, comma 3, 271 cod. proc. pen. In particolare, il ricorrente richiama i principi stabiliti dalla sentenza Raco delle Sezioni Unite e la successiva giurisprudenza di legittimità, costante nel sancire l’illegalità delle intercettazioni eseguite fuori dei casi previsti dalla legge, di talché esse non possono formare oggetto di valutazione ai fini della ravvisabilità della colpa grave di cui all’art. 314 cod. proc. pen.

6. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

7. In data 10/10/2021 è pervenuta, nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, memoria dell’Avvocatura generale dello Stato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Va premesso che, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, la colpa che vale ad escludere l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’Autorità giudiziaria, una misura restrittiva della libertà personale.

Il concetto di colpa che assume rilievo quale condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo non si identifica con la “colpa penale”, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’Autorità giudiziaria.

Anche la prevedibilità va intesa in senso oggettivo, quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo dell’autorità giudiziaria.

Va, inoltre, considerato che il giudice della riparazione, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese, Rv. 259082).

La valutazione del giudice della riparazione, insomma, si svolge su un piano diverso, autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro ed altri).

3. Con riguardo al primo motivo, si osserva che, a seguito del d.Igs. 188/2021, recante disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva UE n. 2016/343, relativa anche al rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, è stato modificato l’art. 314 cod. proc. pen. il quale ora stabilisce che “l’esercizio da parte dell’imputato della facoltà di cui all’art. 64, comma 3, lett. b), non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo”.

L’esercizio della facoltà di non rispondere non può più, pertanto, costituire comportamento colposo ai fini della riparazione.

4. Quanto alla dichiarata inutilizzabilità, in sede di merito, delle intercettazioni telefoniche ed ambientali espletate in sede di indagini, e del riflesso di tale dichiarazione di inutilizzabilità nell’ambito del giudizio di riparazione, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo affermato il principio secondo cui l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata nel giudizio penale di cognizione, ha effetti anche nel giudizio promosso per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione (Sez. U, n. 1153 del 30/10/2008, dep. 2009, Racco, Rv. 241667).

Principio ribadito da questa stessa Sezione, nel senso che l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata nel giudizio penale di cognizione, ha effetti anche nel giudizio promosso per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione (Sez. 4, n. 58001 del 24/11/2017, Ferdico, Rv. 271580. In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha annullato l’ordinanza di rigetto del giudice della riparazione che, sulla base del contenuto di una conversazione telefonica oggetto di captazione, dichiarata inutilizzabile nel giudizio di cognizione, aveva ritenuto la sussistenza di fattori di dolo o colpa grave ostativi al riconoscimento dell’indennizzo).

4.1. Deve qui ribadirsi il condiviso insegnamento delle Sezioni Unite Racco, riaffermandosi, ancora una volta, che la distinzione tra inutilizzabilità “fisiologica” e inutilizzabilità “patologica” non può assumere alcun rilievo in sede di ingiusta detenzione, posto che la dichiarata inutilizzabilità delle intercettazioni concretizza una ipotesi di evidente “illegalità” del mezzo di prova in questione, costituendo la disciplina delle intercettazioni concreta attuazione del precetto costituzionale, in quanto attuativa delle garanzie da esso richieste a presidio della libertà e della segretezza delle comunicazioni, la cui inosservanza deve determinare la totale “espunzione” del materiale processuale delle intercettazioni illegittime, effetto che si riverbera inevitabilmente anche nel giudizio di riparazione.

Se è vero, infatti, che il “divieto di utilizzazione” dei risultati comporta che essi siano del tutto “espunti” dalla realtà procedimentale, «è arduo ritenere che, pur tamquam non essent, essi possano egualmente essere legittimamente ritenuti eziologicamente connessi al provvedimento cautelare, determinativi dello stesso, emesso, in sostanza, sulla base di risultati acquisitivi che devono, invece, considerarsi insussistenti sul piano fattuale perché inutilizzabili.

In definitiva, l’espunzione del dato dalla realtà procedimentale non può che comportare l’assoluta irrilevanza dello stesso, anche sul piano fattuale, sotto il profilo causale e genetico, rispetto ad un successivo atto procedimentale, poiché non appare possibile ritenere che una prova illegale… possa legittimamente assumere rilevanza causale rispetto ad un successivo atto determinativo dello stato di detenzione» (Sez. U, n. 1153, cit.).

Sicché, dall’autonomia dei due giudizi di riparazione e di cognizione, pur indiscutibile, data la differenza dei presupposti e dei fini, non discende automaticamente anche il principio in base al quale il giudizio di riparazione sarebbe affrancato da ogni regola probatoria propria del processo penale di cognizione.

La sanzione di inutilizzabilità di cui all’art. 271 cod. proc. pen. non può, pertanto, derubricarsi, se non in termini costituzionalmente discutibili, a mero connotato endoprocessuale, tutt’interno, cioè, al processo penale.

Del resto, ove il procedimento cautelare sia stato emesso solo alla stregua di tali risultati captativi, dichiarati inutilizzabili e quindi del tutto espunti dalla realtà procedimentale, i gravi indizi di colpevolezza sarebbero, in tal caso, rinvenibili solo in elementi di valutazione e di giudizio che non avrebbero dovuto trovare affatto ingresso nella realtà procedimentale, sostanziandosi in una prova illegale, che giammai avrebbero potuto casualmente giustificare il provvedimento restrittivo (così, in motivazione, la già citata Sez. U, n. 1153/2009, Racco).

5. L’ordinanza impugnata non si colloca nell’alveo degli insegnamenti ora richiamati, avendo fondato il rigetto dell’istanza di riparazione sul rilievo attribuito al contenuto delle anzidette intercettazioni di conversazioni che l’istante aveva intrattenuto con suo figlio, (OMISSIS) Danilo, nella sala colloqui del carcere di Regina Coeli.

In sede di cognizione, tuttavia, come si è detto, era stata dichiarata l’inutilizzabilità delle suddette conversazioni intercettate.

Ne consegue che il contenuto dei colloqui intercettati non poteva altrimenti essere valorizzato dal giudice della riparazione, al fine di verificare la sussistenza del dolo o della colpa grave ostativa al riconoscimento dell’equa riparazione richiesta.

6. Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Roma cui va altresì demandata la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità tra le parti.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma, cui demanda la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità tra le parti.

Così deciso il 3 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.