La sentenza che dichiara la tenuità del fatto non può contenere le statuizioni civili (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 11 febbraio 2021, n. 5433).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia – Presidente

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Rel. Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Rel. Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) MICHELE nato a (OMISSIS) il 21/07/1956;

avverso la sentenza del 13/11/2019 della CORTE APPELLO di SALERNO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Matilde BRANCACCIO;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Kate TASSONE che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza limitatamente alle statuizioni civili e la loro eliminazione;

lette le conclusioni dei difensori del ricorrente che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe la Corte d’Appello di Salerno, in riforma della sentenza del Tribunale di Salerno del 14.11.2018, ha dichiarato non punibile Michele (OMISSIS) per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., confermando tuttavia le statuizioni civili già disposte in primo grado (condanna generica) e condannandolo alla rifusione delle spese di giudizio alla costituita parte civile.

Il reato contestato all’imputato è quello di minaccia ai danni di Salvatore (OMISSIS), suo vicino di casa, nei confronti del quale inveiva rivolgendogli la frase “uomo di merda.. ti devo uccidere”.

2. Avverso la pronuncia d’appello suddetta propone ricorso l’imputato, tramite il difensore, avv. (OMISSIS), deducendo un unico motivo con cui, citando giurisprudenza di questa Corte di legittimità, eccepisce violazione di legge in relazione alla conferma delle statuizioni civili ed alla condanna alla rifusione delle spese di parte civile nel grado.

3. Il Sostituto Procuratore Generale Kate Tassone ha concluso, con requisitoria scritta, per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili e loro eliminazione citando, tra le altre, Sez. 3, n. 24272 del 24/3/2010 e Sez. 5, n. 6347 del 6/12/2016.

4. I difensori del ricorrente hanno depositato memoria difensiva con cui reiterano le ragioni del ricorso e chiedono l’eliminazione delle statuizioni civili.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. La declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto non consente di decidere sulla domanda di liquidazione delle spese proposta dalla parte civile, poiché si può far luogo alle statuizioni civili nel giudizio penale solo in presenza di una sentenza di condanna o nelle ipotesi previste dall’art. 578 cod. proc. pen., tra le quali non rientra quella di cui all’art. 131-bis cod. pen. (Sez. 5, n. 6347 del 6/12/2016, La Mastra, Rv. 269449; Sez. 2, n. 26949 del 29/5/2019, n. m.; Sez. 5, n. 44118 del 10/10/2019, n. m.).

Ed invero, il Collegio ribadisce le argomentazioni già poste alla base della pronuncia di legittimità suddetta.

Da un’analisi del sistema normativo di riferimento, infatti, l’art. 538 cod. proc. pen. (applicabile al giudizio d’appello in ragione del richiamo disposto dall’art. 598 cod. proc. pen.) esplicitamente prevede la possibilità per il giudice di decidere sulla domanda per il risarcimento dei danni, proposta dalla parte civile, solo “quando pronuncia sentenza di condanna”.

L’art. 541 cod. proc. pen. consente la liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile nel solo caso in cui si sia pronunciata la sentenza prevista dall’art. 538 cod. proc. pen..

La sentenza di condanna, a sua volta, ai sensi dell’art. 533 dello stesso codice, corrisponde necessariamente a quel provvedimento giurisdizionale che irroga una pena all’imputato, provata la sua responsabilità penale per il reato ascrittogli oltre ogni ragionevole dubbio.

La pronuncia del giudice emessa ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. non rientra nel novero delle sentenze di condanna poiché, anche se accerta il reato, dispone il proscioglimento del medesimo per la causa di non punibilità prevista da tale norma.

2.1. Anche in altri contesti normativi – è utile sottolineare – la medesima logica ha determinato l’applicazione di un’analoga decisione: così, in tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, si è affermata l’illegittimità della sentenza che, assolvendo l’imputato in applicazione dell’art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito in legge 8 novembre 2012, n. 189, condanni il responsabile civile al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile costituita, perché, ad eccezione del caso previsto dall’art. 578 cod. proc. pen., il giudice penale può decidere sulla domanda risarcitoria proposta dalla parte civile solo quando pronunci sentenza di condanna (Sez. 4, n. 8940 del 15/2/2019, ASL Salerno, Rv. 275217).

Inoltre, non si è ritenuto che al giudice penale sia consentito di potersi pronunciare sulle statuizioni civili in caso di proscioglimento per vizio totale di mente (Sez. 1, n. 45228 del 08/10/2013, Hetti Arachchige, Rv. 257300; così come nel caso di proscioglimento per non punibilità per avere agito in stato di legittima difesa: Sez. 4, n. 33178 del 28/06/2012, Petrali, Rv. 253264).

2.2. Del resto, quando il legislatore ha inteso abbinare la permanenza delle statuizioni civili ad una sentenza di diversa natura rispetto al genus “condanna”, lo ha disposto espressamente.

2.3. Nell’ordinamento processuale, infatti, si rinviene un’esplicita eccezione alla regola della permanenza delle statuizioni civili (e della conseguente condanna alle spese), in caso di sentenza che non disponga la condanna ai fini penali dell’imputato, ed è quella prevista dall’art. 578 cod. proc. pen., norma che è sempre stata ritenuta di stretta interpretazione, per la sua natura di eccezione alla regola generale già enunciata e ricavabile dagli art. 538 e 533 cod. proc. pen., stabilendosi, con essa, che, quando vi sia il proscioglimento dell’imputato per essere il reato a lui attribuito estinto per amnistia o prescrizione, il giudice dell’impugnazione deve, in presenza di una condanna nel grado precedente, decidere sulle statuizioni civili.

E difatti, nell’ipotesi di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione emessa in appello, l’imputato può comunque essere condannato al pagamento delle spese in favore della parte civile, non essendo la prescrizione indice di soccombenza (Sez. 6, n. 24768 del 31/3/2016, Caruso, Rv. 267317).

Viceversa, il giudice di primo grado, quando accerti già in fase predibattimentale l’avvenuta maturazione della prescrizione, ed emette per questo sentenza ai sensi dell’art. 469 cod. proc. pen., non può pronunciarsi sulle richieste della parte civile costituita, né condannare l’imputato al pagamento delle spese processuali a favore di questa, in quanto la natura della decisione ex art 469 cod. proc. pen. è incompatibile con tali statuizioni, che si fondano sull’accertamento della responsabilità dell’imputato (Sez. 5, n. 28569 del 23/2/2017, Giolo, Rv. 270239; così anche nel caso in cui l’avvenuta prescrizione già prima della condanna di primo grado sia dichiarata solo in appello: Sez. 3, n. 15245 del 10/3/2015, C., Rv. 263018; Sez. 5, n. 32636 del 16/4/2018, Suraci, Rv. 273502).

2.4. Il ragionamento sin qui condotto è in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza Sez. U, n. 46688 del 29/9/2016, Schirru, Rv. 267884-04, in una questione con rilevanti punti di contatto logico-giuridico con quella in esame: il caso della sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, in cui si è affermato che il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili, fermo restando il diritto della parte civile di agire “ex novo” nella sede naturale, per il risarcimento del danno e l’eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria civile.

Le Sezioni Unite, nell’articolata motivazione, hanno ricordato, in tema, l’intervento della Corte costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2016, volto ad affrontare i dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 538 cod. proc. pen. nella parte in cui, al comma 1, collega in via esclusiva la decisione sulla domanda della parte civile alla condanna dell’imputato: il Giudice delle leggi ha ritenuto tale impostazione codicistica in linea con la scelta di rendere tendenzialmente autonomo il giudizio penale da quello civile sullo stesso fatto, sicché la evenienza della costituzione di parte civile nel processo penale ha natura accessoria e subordinata alla finalità del processo, che è quella dell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato.

Eccezioni a tale regola, si è detto, possono essere poste dal legislatore (in tal senso v. anche sent. Corte cost. n. 12 del 2016) ed esse sono ravvisabili negli artt. 578 e 576 cod. proc. pen., norme alle quali viene riconosciuto il valore, appunto, di disposizioni eccezionali per il fatto di costituire una deroga alla linea di indirizzo generale che abbina la condanna dell’imputato alla decisione sulla domanda della parte civile, sicché, secondo le Sezioni Unite, nel rispetto dell’articolo 14 delle preleggi, esso non si applica oltre i casi e i tempi in esso considerati.

Peraltro, le Sezioni Unite non mancano di sottolineare come la Corte costituzionale abbia dato già risposta sotto molteplici profili al tema della compatibilità costituzionale di precetti in rito che determinino limitazioni o pesi per la parte civile costituita nel processo penale (sia con la citata sentenza n. 12 del 2016, sia con le sentenze n. 168 del 2006 e n. 23 del 2015; n. 168 del 2006 e n. 23 del 2015).

La sentenza Schirru rammenta ancora che, comunque, la norma dell’art. 578 cod. proc. pen. abilita il giudice a decidere sulla domanda di parte civile non sul presupposto di una pronuncia formalmente di assoluzione dal reato (come nel caso della abrogazione all’esame del massimo collegio nomofilattico, ma come anche nel caso della declaratoria di una causa di non punibilità), bensì di riconoscimento di causa di estinzione di un fatto reato dopo condanna.

E’ per questo che il precetto dell’art. 578 non viene, viceversa, ritenuto idoneo a legittimare la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile se quella fosse pronunciata come effetto della declaratoria di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, a sua volta derivante dalla riforma, ad opera del giudice di secondo grado, su impugnazione del p.m., della sentenza di assoluzione di primo grado.

E ciò, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in quanto, nel caso descritto, la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno verrebbe adottata senza che, nel precedente grado di giudizio, sia stata affermata, con sentenza di condanna, la responsabilità dell’imputato (Sez. 4, n. 14014 del 04/03/2015, Bellucci, Rv. 263015; Sez. 5, n. 27652 del 17/06/2010, Giacchè, Rv. 248389), fatto salvo il caso specificamente regolato dall’art. 576 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 25083 del 11/07/2006, Negri, Rv. 233918).

2.5. In conclusione, le Sezioni Unite avvertono che la regola generale deve ritenersi “quella del collegamento in via esclusiva della decisione sulla domanda della parte civile alla formale condanna dell’imputato, espressamente richiesta dall’art. 538 cod. proc. pen., soluzione che dà attuazione al combinato disposto dell’articolo 538 con l’articolo 74 dello stesso codice di rito e con l’articolo 185 del codice penale – imposta, oltre che dalla sistematica, anche dal testuale rimando della prima alla seconda e della seconda alla terza -, norme dalle quali si desume che la domanda della parte civile nel processo penale è legittimata con riferimento ai danni e alle restituzioni cagionati da un fatto integrante reato, e che la risposta ad essa viene fatta dipendere da una sentenza che formalmente dichiari la responsabilità, non essendo sufficiente, di regola, una sentenza di proscioglimento, pur se includente l’accertamento del fatto reato.

Diversamente ragionando, come ribadito anche nella sentenza n. 12 della Corte costituzionale citata, il risarcimento del danno verrebbe ancorato non già alla fattispecie prevista dall’art.185 cod. pen., ma a quella prevista dall’art. 2043 cod. civ., in ordine alla quale manca la competenza del giudice penale”.

Mentre, quanto al carattere di eccezionalità dell’art. 578 del codice di rito, le Sezioni Unite sottolineano come detta disposizione non sia stata ritenuta applicabile neppure ai caso di estinzione del reato per oblazione o per morte dell’imputato (Sez. 6, n. 12537 dei 05/10/1999, Nicolosi, Rv. 216394; Sez. 4, n. 31314 del 23/06/2005, Zelli, Rv. 231745) e comunque non suscettibile di essere estesa analogicamente ad altre cause estintive (Sez. 3, n. 22038 del 12/02/2003, Pludwinski, Rv. 225321), come la remissione di querela (Sez. 2, n. 37688 del 08/07/2014, Gustinetti, Rv. 259989) o la sanatoria edilizia (Sez. 3, n. 3593 del 25/11/2008, dep. 2009, Orrù, Rv. 242739).

Di contro, la sentenza Schirru ricorda l’espressa previsione del legislatore anche in altri casi, oltre quelli citati; previsioni che confermano il carattere eccezionale dell’art. 578 cod. proc. pen., mutuandone il contenuto: quella posta dall’art. 448, comma 3, cod. proc. pen., che abilita alla pronuncia sulle statuizioni civili il giudice della impugnazione avverso sentenza di condanna, quando ritenga ingiustamente non riconosciute, dal giudice di primo grado, le condizioni per accogliere la richiesta di patteggiamento cui il p.m. non aveva prestato il consenso; la stessa disposizione transitoria prevista per gli illeciti penali depenalizzati (e non ricondotti ad illecito civile) dal decreto legislativo “gemello” di quello su cui si è pronunciata la sentenza Schirru – e cioè l’art. 9, comma 2, del d. Igs. 15 gennaio 2016, n. 8 – con cui si è espressamente previsto che il giudice che dichiara la intervenuta depenalizzazione, in sede di appello dopo sentenza di condanna, è onerato del dovere di decidere sulla impugnazione ai soli effetti civili.

2.6. Aderendo a tale impostazione, rilevato che il legislatore non ha previsto una norma analoga all’art. 578 del codice di rito per l’ipotesi di proscioglimento ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., e fatte salve prospettive de iure condendo, la sentenza impugnata deve essere annullata nel solo punto oggetto del ricorso, la condanna dell’imputato alle statuizioni civili.

3. Resta fermo che, ovviamente, i diritti del danneggiato potranno trovare tutela nell’ambito dell’azione da proporre in sede civile, tanto più che, ai sensi dell’art. 651-bis cod. proc. pen., la decisione irrevocabile dì proscioglimento per particolare tenuità del fatto ha efficacia di giudicato in ordine all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, che elimina.

Così deciso in Roma il 18 dicembre 2020.

Depositata in Cancelleria l’11 febbraio 2021.

SENTENZA – copia conforme -.