La stipula del contratto preliminare di vendita implica accettazione dell’eredità (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 10 aprile 2025, n. 9436).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta da

Rosa Maria Di Virgilio – Presidente –

Vincenzo Picaro          – Consigliere –

Mauro Criscuolo         – Consigliere –

Antonio Mondini         – Consigliere –

Valeria Pirari                – Consigliere – Rel. –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20553/2020 R.G. proposto da

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) COSTRUZIONI GENERALI s.r.l., rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS) (OMISSIS), con domicilio informatico presso indirizzo PEC.

–ricorrente–

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), rappresentate e difese dall’avv. (OMISSIS) (OMISSIS), nel cui studio in Roma, (OMISSIS) (OMISSIS), n. 29, sono elettivamente domiciliate.

-controricorrenti-

avverso la sentenza n. 1730/2020, emessa dalla Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 5/10/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2025 dalla dott.ssa Valeria Pirari;

Rilevato che:

1. Con citazione notificata il 19/01/2010, (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) Costruzioni s.r.l. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Latina, (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), eredi di (OMISSIS) (OMISSIS), onde ottenere il trasferimento ex art. 2932 cod. civ. dell’immobile di cui ai contratti preliminari del 24/02/2009 e del 28/07/2009 oppure, in subordine, l’accertamento dell’inadempimento delle convenute, con loro condanna alla restituzione del doppio della caparra già loro versata e trascritta dall’attore ai sensi dell’art. 2652, n. 2, cod. civ., in data 29/06/2010.

Costituitesi in giudizio, le convenute chiesero il rigetto della domanda, proponendo anche domanda riconvenzionale per l’accertamento della risoluzione del preliminare e per la dichiarazione della legittimità della ritenzione della caparra già incassata.

Con sentenza n. 1573/13 del 29/07/2013, il Tribunale adito rigettò le domande dell’attore e accolse quella riconvenzionale, dichiarando la risoluzione del preliminare e del correlato accordo per inadempimento della società attrice e accertando il diritto delle convenute a ritenere la minor somma di € 175.000,00, quale importo della qualificata clausola penale ricondotta ad equità, con loro condanna alla restituzione all’attrice della somma di € 75.000,00.

Il giudizio di gravame, instaurato con citazione notificata il 16/10/2013 da (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) Costruzioni s.r.l., si concluse, nella resistenza di (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) che proposero appello incidentale, con la sentenza n. 1730/2020, pubblicata il 05/03/2020, con la quale la Corte d’Appello di Roma rigettò l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, dichiarò che le appellate avevano diritto a ritenere l’intero importo della caparra confirmatoria di € 250.000,00, e revocò, perciò, la loro condanna al pagamento della somma di € 75.000,00 a favore dell’appellante.

2. Contro la predetta sentenza, (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) Costruzioni Generali s.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) si difendono con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento alla promessa di vendita immobiliare del chiamato all’eredità e di inadempimento contrattuale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che le venditrici avessero dato prova di avere accettato l’eredità con la produzione in giudizio della denuncia di successione del 24/8/2009, nonostante la valenza meramente fiscale della stessa e la sua non equivalenza ad accettazione, e avere correttamente considerato sufficiente che il promittente alienante acquistasse la proprietà del bene al momento della stipula del definitivo, ben potendo obbligarsi a farlo con il preliminare, senza però valutare che il mancato acquisto della proprietà del bene compromesso in vendita e l’omessa sua trascrizione prima della scadenza del termine per il rogito di vendita avrebbero determinato l’impossibilità per le promittenti venditrici di far valere l’altrui inadempimento, non potendovi essere alcun inadempimento della promissaria acquirente in assenza di quell’acquisto.

In sostanza, le promittenti venditrici, prima di esperire efficacemente la domanda di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, avrebbero dovuto divenire proprietarie del bene, accettando formalmente l’eredità e ottenendo in loro favore la trascrizione dell’atto mortis causa, onde porre l’acquirente al riparo da evizione e opponibilità a terzi.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento alla contestazione di inadempimento della parte acquirente in assenza di trascrizione in favore della venditrice, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché le promittenti venditrici avevano provveduto alla trascrizione dell’accettazione dell’eredità soltanto sette anni dopo la sottoscrizione del preliminare e non erano dunque titolari alla data del 20/11/2009, con la conseguenza che il contratto non poteva considerarsi risolvibile per inadempimento della società, dovendo la parte che invoca l’inadempimento dell’altra essere, a quel momento, titolare del diritto che si voleva trasferire e dovendo il diritto costituito dalla proprietà del bene essere debitamente trascritto e opponibile erga omnes.

3. I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto afferenti alla medesima questione della configurabilità di un inadempimento delle promittenti venditrici asseritamente dovuto sia alla mancata acquisizione, da parte loro, della proprietà dell’immobile compromesso in vendita nei termini pattuiti, sia alla trascrizione del relativo titolo nei medesimi termini, sono infondati, sebbene debba correggersene la motivazione.

Va al riguardo innanzitutto ricordato come, in presenza di un termine essenziale ex art. 1457 cod. civ., la risoluzione di diritto del contratto prescinda da un’indagine sulla rilevanza dell’inadempimento, già anticipatamente valutata dai contraenti, rilevando esclusivamente la sua sussistenza e imputabilità (Cass., Sez. 2, 3/7/2000, n. 8881; Cass., Sez. 3, 4/5/2005, n. 9275), con la conseguenza che il mancato adempimento entro un termine essenziale non dà luogo a risoluzione del contratto se questo non sia imputabile all’obbligato almeno a titolo di colpa, ma corrisponda alla mancata prestazione dell’altra parte che rivendica la risoluzione per scadenza di detto termine, spettando a chi si oppone alla risoluzione del contratto, nonostante la scadenza del termine, l’onere di dimostrare che soltanto per effetto del comportamento della controparte, contrario a buona fede, l’adempimento non è stato reso possibile (Cass., Sez. 2, 29/11/2024, n. 30714).

Nella specie, il promissario acquirente ha attribuito la colpa dell’inadempimento alle promittenti venditrici in quanto queste non avevano dimostrato, tra le altre cose (causa col confinante e certificato di destinazione urbanistica), di avere acquistato la proprietà del bene compromesso in vendita attraverso la produzione della dichiarazione di successione, alla quale però non si può attribuire la funzione voluta.

Infatti, ai fini dell’acquisto della qualità di erede, non è di per sé sufficiente, neanche nella successione legittima, la delazione dell’eredità che segue l’apertura della successione, essendo necessaria l’accettazione del chiamato mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 cod. civ.oppure mediante un comportamento obiettivo di acquiescenza (tra le tante, Cass., Sez. 6-2, 6/3/2018, n. 5247; Cass., Sez. L, 30/4/2010, n. 10525), rispetto alla quale nessuna rilevanza può essere attribuita alla denuncia di successione o al pagamento della relativa imposta, trattandosi di adempimenti fiscali che, in quanto diretti ad evitare l’applicazione di sanzioni, hanno scopo meramente conservativo e rientrano, dunque, tra gli atti che il chiamato a succedere può compiere in base ai poteri conferitigli dall’art. 460 cod. civ., senza comportare accettazione tacita dell’eredità (Cass., Sez. 2, 18/05/1995, n. 5463; anche Cass., Sez. 2, 11/5/2009, n. 10796;Cass., Sez. 2, 31/10/2016, n. 22017).

Questa viene, infatti, a configurarsi soltanto quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede o pone in essere atti gestori incompatibili con la volontà di rinunziare o significativi della volontà di accettare e non altrimenti giustificabili se non in relazione alla qualità di erede (v. Cass. Sez. 3, 17/11/1999, n. 12753; Cass., Sez. 2, 19/10/1988, n. 5688), come, per esempio, in caso di conferimento di procura a vendere beni ereditari (Cass., Sez. 2, 4/9/2017, n. 20699) o di voltura catastale (per la rilevanza anche civilistica e non solo tributaria di tale atto, sul punto Cass., Sez. 2, 11/5/2009, n. 10796) o di concessione d’ipoteca su uno dei beni compresi nell’eredità (Cass., Sez. 6-2, 01/03/2021, n. 5569).

Posto che l’accettazione tacita dell’eredità postula, ex art. 476 cod. civ., la ricorrenza delle due condizioni del compimento di un atto presupponente necessariamente la volontà di accettare e la qualificazione di tale atto, nel senso che ad esso non sia legittimato se non chi abbia la qualità di erede, può allora dirsi che la stessa stipulazione di un contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un bene relitto da parte dei chiamati all’eredità, come accaduto nella specie, costituisca in sé accettazione tacita dell’eredità.

Ciò significa che la questione prospettata con la censura in termini di assenza della proprietà del bene compromesso in capo alle promittenti venditrici non può che considerarsi infondata, stante l’efficacia di accettazione tacita dell’eredità attribuibile alla stessa stipulazione del preliminare, oltre a presentare, prima ancora, profili di inammissibilità per novità della stessa, atteso che, come risulta dalla sentenza impugnata, la doglianza aveva avuto riguardo, in sede d’appello, più che alla titolarità della proprietà, alla mancata sua dimostrazione mediante esibizione della dichiarazione di successione. Né può costituire inadempimento la mancata trascrizione dell’accettazione dell’eredità, come preteso dalla ricorrente.

Questa Corte ha, infatti, già avuto modo di affermare che, poiché a norma dell’art. 2648 cod. civ., ove il chiamato allaeredità abbia compiuto atti diaccettazione tacita, se ne può chiedere la trascrizione del relativo acquisto sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da sentenza, atto pubblico o scrittura autenticata o accertata giudizialmente, nel caso di contratto preliminare divendita immobiliare il promissario acquirente che abbia ottenuto la sentenza ex art. 2932 cod. civ. nei confronti degli eredi del promittente venditore può, in base ad essa, procedere alla trascrizione (eventualmente mancante) dell’acquisto mortis causa dei detti eredi (presupponendo necessariamente detta sentenza che gli eredi abbiano accettato quell’eredità), oltre che del successivo trasferimento da questi ultimi in suo favore, con la conseguenza di non avere interesse a chiedere, ai fini della trascrizione ex art. 2648, comma terzo, citato, una pronuncia di accertamento del pregresso trasferimento della proprietà del bene per successione mortis causa (in questi termini, Cass., Sez. 2, 5/8/1987, n. 6724).

Consegue da quanto detto l’infondatezza delle censure.

3. In conclusione, dichiarata l’infondatezza di entrambi i motivi, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.

Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 marzo 2025

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2025.

SENTENZA – copia non ufficiale -.